Dalla Cassazione un invito ai giudici di merito a valutare con attenzione gli esiti di singole scelte dell’imprenditore

Ciro Santoriello
17 Gennaio 2025

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, gli Ermellini ricordano che può costituire strumento di frode in danno dei creditori anche l’esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento, laddove, all’esito di un accertamento in concreto, le conseguenze prodotte sulle ragioni dei creditori siano state effettivamente depauperative.

Massima

Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo concreto che richiede, per il suo perfezionamento, il depauperamento del patrimonio dell’impresa, che può essere anche conseguenza dell’assunzione di comportamenti di per sé leciti. Per valutare la sussistenza di tale depauperamento, tuttavia, il giudice può dover verificare se la singola operazione negoziale, che isolatamente considerata appare dannosa per le sorti della società, non si inserisca all’interno di una politica imprenditoriale che esclude o comunque elimini le iniziali conseguenze negative.

Il caso

In sede di merito, diversi amministratori di una società fallita erano condannati per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver concorso nella distrazione di una pluralità di beni immobili, tutti iscritti a bilancio per un valore inferiore a quello di mercato e donati ad un terzo soggetto - un partito politico -, indirettamente controllante la società fallita.

 In sede di ricorso per cassazione, la difesa evidenziava come si trattasse di un'operazione neutra, realizzata al solo fine di trarre vantaggio dall'applicazione delle disposizioni fiscali agevolative vigenti all'epoca del trasferimento, che consentivano al partito beneficiario di ricevere tali beni al valore effettivo (senza oneri fiscali) e cederli a terzi a titolo oneroso, realizzando le somme necessarie per estinguere i debiti dei quali erano gravati. In particolare, nel caso di specie, con riferimento alla cessione di uno degli immobili, gravato da ipoteca in favore di un istituto di credito, si evidenziava come il partito beneficiario, una volta alienato l'immobile ricevuto per donazione, con il ricavato avesse provveduto ad estinguere l'obbligazione assunta verso il creditore ipotecario. Più in generale, si affermava che tutte le operazioni prese in considerazione avevano natura non distrattiva in quanto inidonee, in concreto, ad incidere sugli interessi dei creditori, in ragione della solida situazione economico e finanziaria in cui versava la società al momento in cui furono stipulate le donazioni e della residua capienza patrimoniale (costituita dai numerosi immobili all'epoca presenti all'interno del patrimonio societario), ampiamente sufficiente ad assicurare l'adempimento di tutti i debiti societari.

La questione

In tempi recenti, la giurisprudenza è tornata a sottolineare come il delitto di bancarotta fraudolenta sia un reato di pericolo concreto, diretto ad attentare al bene giuridico rappresentato dall'interesse dei creditori alla conservazione della consistenza patrimoniale dell'imprenditore, destinata, dall'art. 2740 c.c., a garanzia dei debiti contratti (Cass., sez. V, 17 luglio 2024, n. 28941; Cass., sez. V, 24 marzo 2017, n. 17819).

Alla luce di queste considerazioni, la condotta - quale che sia la forma che la stessa assume - per essere penalmente rilevante deve condurre alla lesione dell'interesse dei creditori alla conservazione dell'integrità patrimoniale conseguente ad un atto di disposizione che abbia determinato una diminuzione economicamente apprezzabile del compendio attivo della società fallita. Ne deriva che non ogni atto dispositivo può definirsi distrattivo, rientrando il potere di disposizione all'interno delle legittime facoltà dell'imprenditore; ciò che caratterizza l'atto distrattivo e lo differenzia rispetto alla lecita attività di disposizione del suo patrimonio è la sua estraneità rispetto alle finalità proprie dell'attività economica e la sua idoneità ad incidere sull'integrità del patrimonio sociale - oltre a doversi considerare la solidità o meno dell'azienda rispetto al momento storico in cui è stata posta in essere la decisione (Cass., sez. V, 22 febbraio 2018, n. 18517).

Non rileva, invece, la circostanza che la lesione agli interessi dei creditori avvenga a mezzo di condotte di per sé illecite. Infatti, anche l'esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall'ordinamento, può costituire uno strumento di frode in danno dei creditori laddove, all'esito di un accertamento in concreto, le conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio siano state effettivamente depauperative (Cass., sez. V, 5 giugno 2014, n. 30830), dovendosi valutare la reale incidenza dell'atto sulla consistenza della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e, quindi, l'esistenza, l'effettività e l'integrità del rapporto sinallagmatico che sta alla base dell'atto di disposizione (Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474; Cass., sez. V, 26 maggio 2023, n. 33810). Piuttosto, ciò che rileva, per la rilevanza penale della vicenda, è che una determinata operazione, anche astrattamente riconducibile ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento, «per le modalità con le quali è stata realizzata, si presenti come produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio (...) ed in prospettiva pregiudizievoli per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale».

Al contempo, proprio la circostanza che il profilo rilevante per la definizione della vicenda è rappresentato dalla riconducibilità delle scelte dell'imprenditore al perseguimento delle esigenze dell'azienda e dell'esito finale delle stesse, ha condotto la giurisprudenza a precisare come la valutazione atomistica di un atto possa, talvolta, non dar conto della sua effettiva ragione economica, in tutte le ipotesi nelle quali gli effetti giuridico-economici perseguiti dalle parti non dipendono dal compimento di un singolo atto, ma si ricollegano ad una più ampia operazione della quale l'atto stesso rappresenta solo tassello - dovendosi riconoscere che in alcune ipotesi la valutazione parziale dei singoli elementi che compongono l'operazione non solo non riesce a dar conto della causa concreta della complessiva operazione, ma può giungere ad una rappresentazione distorta dell'effettiva realtà economica, che, invece, può percepirsi solo mutando la prospettiva e valutando non il singolo tassello ma l'operazione complessiva nella sua totalità (Zanchetti, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta? Vecchi quesiti e nuove risposte (o magari viceversa), alla luce della giurisprudenza di legittimità sul ruolo del fallimento della bancarotta fraudolenta prefallimentare, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2014, 111; Perdonò, I reati fallimentari, in Manna (a cura di), Corso, cit., 3619. Per un esame di tale profilo con riferimento all'elemento soggettivo del reato in esame, Poggi D'Angelo, Il dolo di pericolo nella bancarotta fraudolenta, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 2130; Riverditi, La responsabilità penale degli organi societari”, in Riv. Diritto Economia Impresa, 1-2019, 83).

Quest'ultima prospettiva assume particolare rilievo con riferimento ai gruppi di società. In tali ambiti, ogni società mantiene la propria autonomia giuridica e patrimoniale, il che impone all'amministratore della singola società di perseguire prioritariamente l'interesse specifico del soggetto giuridico alla cui gestione egli è preposto (Cass., sez. V, 8 novembre 2007, n. 7326; Cass., sez. V, 4 dicembre 2007, n. 4410). Di conseguenza, in questi casi il referente per la valutazione dell'atto di disposizione rimane sempre e comunque il patrimonio della singola società e non quello, pur legittimo, dell'intero gruppo, che, avendo valenza solo finanziaria e programmatica, lascia intatta la distinzione giuridico-patrimoniale tra i diversi soggetti giuridici coinvolti; al contempo, però, ove l'operazione coinvolga una pluralità di distinti soggetti giuridici appartenenti al medesimo gruppo (e, quindi, più soggetti sottoposti alla medesima attività di direzione, coordinamento o controllo), occorre, sempre e comunque, valutare la valenza economica del singolo atto, pretermettendo ogni ulteriore e diversa considerazione, ben potendo la valenza distrattiva del (singolo) atto essere compensata da simmetrici "vantaggi" che, all'interno della medesima società, riequilibrino gli effetti negativi prodotti dall'atto, neutralizzando i connessi pregiudizi per i creditori sociali (da ultimo, Cass., sez. V, 26 settembre 2024, n. 36040).

In questo caso, però, l'interesse che può escludere l'effettività della distrazione non è dato dalla sola appartenenza della società ad un gruppo imprenditoriale unitario: perdurando l'autonomia soggettiva delle singole società, il collegamento tra le società è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l'atto di disposizione del proprio patrimonio (Cass., sez. V, 16 aprile 2009, n. 36595) poiché ciò che conta è il saldo finale positivo, per la singola società, delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo [Cass., sez. V, 30 giugno 2016, n. 46689; in dottrina, su questa impostazione della giurisprudenza, che ritiene in sostanza applicabile anche al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale la normativa in tema di vantaggi compensativi di cui al comma 3^ dell'art. 2634 c.c., cfr. Amati, Infedeltà patrimoniale, in Rossi (a cura di), Reati societari, Torino 2005, 425; Bellacosa, Obblighi di fedeltà dell'amministratore di società e sanzioni penali, Milano 2006, 139; Mezzetti, L'infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2004, 23; Zanotti, Il nuovo diritto penale dell'economia, Milano 2006, 273; Benussi, Vantaggi compensativi e infedeltà patrimoniale nei gruppi di società, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, III, a cura di Dolcini e Paliero, Milano 2006, 2207; Foffani, Le infedeltà, in Alessandri (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano 2002, 359; Mucciarelli, Il ruolo dei vantaggi compensativi nell'economia del delitto di infedeltà patrimoniale, in Giur. Comm., 2002, I, 631; Guercia, L'infedeltà patrimoniale, in Corso di diritto penale dell'impresa, a cura di Manna, Padova 2018, 340; Codazzi, Vantaggi compensativi ed infedeltà patrimoniali (dalla compensazione ‘virtuale' alla compensazione ‘reale'): alcune riflessioni alla luce della riforma del diritto societario, in Giur. Comm., 2004, 599; Masucci, Vantaggi del gruppo e dell'impresa collegata nel governo penale degli abusi di gestione, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2004, 885; Napoleoni, Geometrie parallele e bagliori corruschi del diritto penale dei gruppi (bancarotta infragruppo, infedeltà patrimoniale e “vantaggi compensativi), in Cass. Pen., 2005, 3787)].

La decisione della Cassazione

I ricorsi sono stati rigettati, poiché la Cassazione ha condiviso la tesi dei giudici di merito secondo cui gli atti negoziali di disposizione dei beni, a prescindere dalla loro valenza civilistica in termini di validità ed efficacia delle singole donazioni, hanno natura distrattiva, in quanto produttivi di effetti immediatamente (e consapevolmente) depauperativi del patrimonio e, nella prospettiva concorsuale, pregiudizievoli per i creditori.

Questa conclusione, infatti, non sarebbe contraddetta dalla valutazione sistematica delle complessive operazioni economiche predisposte, in ipotesi difensiva, per salvaguardare l'interesse dei creditori, e ciò in quanto già il saldo economico delle diverse operazioni si era tradotto in un pregiudizio patrimoniale per la società poi fallita. Rispetto a tale considerazione, tuttavia, le memorie difensive richiamavano la necessità di non imputare in capo all'amministratore societario le responsabilità penali conseguenti ad esiti infausti delle operazioni da lui intraprese: infatti, «l'imprenditore può dare dinamicamente a singoli propri beni destinazioni che non necessariamente collidono ed anzi possono coesistere col principio di responsabilità di cui all'art. 2740 cod. civ., essendo egli semmai tenuto alla conservazione del valore del patrimonio nel suo complesso. Egli è anzi abilitato a fare spese personali o per la famiglia la cui entità non deve essere neppure assiomaticamente minima se la condizione economica glielo consente; non è perseguibile neppure a titolo di bancarotta semplice se, quando le sue condizioni economiche sono favorevoli, impiega una parte contenuta del suo patrimonio in operazioni imprudenti; né il singolo creditore potrebbe attivare i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (artt. 2900 e 2901 c.c.) se non ricorresse, quale effetto del suo comportamento quale debitore, una lesione al patrimonio capace di mettere in dubbio la realizzazione coattiva del credito» (Cass., sez. V, 14 ottobre 2016, n. 533).

Tale principio non è certo negato nella decisione in commento, ma ne viene correttamente ricostruita la modalità operativa. Infatti, da un lato, quando vi sia uno stretto rapporto cronologico tra l'atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori rispetto alla successiva procedura concorsuale, la manifestazione dei presupposti storici dì questa (nella forma della crisi di impresa o in quella della insolvenza o del dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie normativa, poiché è del tutto evidente la natura non solo pericolosa, ma anche concretamente depauperativa dell'azione e la rimproverabilità soggettiva del suo autore. Di contro, quando questo rapporto cronologico non si riscontri, allora il giudice deve dar conto della connotazione del fatto in termini di pericolo concreto e della riconoscibilità del dolo generico sulla base di una puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, ricercando possibili (positivi o negativi) "indici di fraudolenza" necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori, e, dall'altro, alla proiezione soggettiva di tale concreta messa in pericolo - indici rinvenibili, ad esempio, nella disamina del fatto distrattivo o dissipativo alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'imprenditore o dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; nella "distanza" (e, segnatamente, nell'irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale (Cass., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396).

Una tale valutazione, secondo la Cassazione, era stata correttamente ed esaurientemente svolta dai giudici di merito. In particolare, i giudici di legittimità censurano le memorie difensive nella parte in cui, nel sostenere che i trasferimenti di beni avevano consentito di ridurre l'esposizione debitoria preesistente, avrebbero trascurato di considerare proprio come tale pesante posizione debitoria avrebbe dovuto imporre una particolare cautela nella scelta di cedere diversi immobili ad un prezzo assai minore rispetto a quello ricavabile da una loro cessione, tant'è vero che al termine della complessiva vicenda la posizione complessiva della società si era aggravata.

A fronte di questa considerazione nessun rilievo ha, secondo la Suprema Corte, la circostanza, sottolineata invece dalla difesa, che le condotte contestate non potessero considerarsi come legate eziologicamente al fallimento. In proposito, la decisione ricorda che il fallimento non è l'evento del reato (che si perfeziona nel momento in cui la condotta ha generato un depauperamento del patrimonio dell'imprenditore), ma il dato storico che certifica l'offesa aprendo il concorso tra i creditori. La condotta distrattiva è sanzionata non perché causativa di uno stato d'insolvenza o dello stesso fallimento, ma in quanto depauperativa del patrimonio destinato a garanzia delle poste debitorie e potenzialmente idonea a pregiudicare gli interessi dei creditori, come per l'appunto verificatosi nel caso di specie.

Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, viene ricordato come il coefficiente di partecipazione soggettiva proprio del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è il dolo generico, che si risolve nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori (Cass., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396), per cui l'agente deve solo prefigurarsi la probabile idoneità della condotta ad incidere negativamente sulla consistenza della garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori, senza necessariamente dover prevedere (né tanto meno volere) né il dissesto, né il fallimento

Nel caso decisivo dalla sentenza in commento, la consapevolezza della pericolosità delle scelte degli imputati era in concreto immediatamente desumibile dalla gratuità degli atti stipulati (e della conseguente, oggettiva, diminuzione del patrimonio), la cui volontà negoziale (manifestata attraverso la stipula della donazione) implica di per sé l'accettazione, quale conseguenza tipica della condotta, della sottrazione del bene dal patrimonio dell'imprenditori e, con essa, del potenziale pregiudizio per gli interessi dei creditori (Cass., sez. V, 4 giugno 2014, n. 35093). In altri termini, se, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza della distrazione si sostanzia nella piena rappresentazione e volontà di sottrarre un bene alla sua funzione di garanzia (impressa normativamente dall'art. 2740 cod. civ.), ove l'atto distrattivo è rappresentato da un atto negoziale, il dolo che caratterizza la fattispecie penale si concretizza nella piena rappresentazione e volontà degli effetti (negoziali) dell'atto stesso, che nel caso di specie erano riassumibili nella perdita della disponibilità della cosa senza alcun ritorno economico per la società.

Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione in commento presenta plurimi profili di interesse, anche se, nell'affrontare tali argomenti, rimane nel solco di un orientamento giurisprudenziale che si sta sempre più consolidando e che è inteso a riportare la responsabilità dell'imprenditore entro ambiti meno severi rispetto a quelli che erano in precedenza richiamati.

In quest'ottica, intesa a valutare con maggiore attenzione e giudicare con minor rigore le scelte dell'amministratore societario quand'anche produttive di conseguenze nefaste per l'impresa, si colloca una affermazione che, fra le molte che sono presenti nella decisione in esame, pare decisamente interessante.

Intendiamo riferirci all'affermazione secondo cui, per parlare di bancarotta fraudolenta patrimoniale, deve essere sempre preso in considerazione l'esito finale della vicenda imprenditoriale, anche quando si sia in presenza di comportamenti dall'amministratore di una persona giuridica sottoposta a liquidazione giudiziale assolutamente sussumibili nella fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Trattasi di considerazione già espressa in Cass., sez. V, 9 febbraio 2024, n. 5958. Nella vicenda decisa da tale pronuncia, l'amministratore di una società fallita era stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, avendo dissipato le rimanenze di magazzino e gli acquisti della società fallita; in particolare, gli era contestato di aver ceduto tali beni al prezzo di costo ad una società costituita dai suoi figli pochi giorni prima, con il chiaro obiettivo di acquistare a condizioni decisamente favorevoli il magazzino dell'azienda del padre ed in presenza di una sostanziale continuità aziendale tra le due società, secondo un tipico schema fraudolento volto a sottrarre ai creditori ogni forma di garanzia patrimoniale. La Cassazione – pur a fronte di circostanze, come descritte, apparentemente significative di un intento depredatorio ai danni dell'impresa in crisi - ha annullato la decisione di condanna evidenziando come, da un lato, all'esito dell'operazione l'attivo patrimoniale rappresentato dalle merci di magazzino e dai beni ceduti risultasse, in concreto, sostituito con il relativo prezzo (in astratto maggiormente idoneo a garantire la soddisfazione delle pretese creditorie) e, dall'altro, come l'operazione fosse stata giustificata dall'imputato evidenziando le difficoltà connesse allo stato in cui versava la società da lui gestita di accedere al mercato ordinario e alla conseguente necessità di liquidare la merce, intrinsecamente deperibile: di conseguenza, secondo i giudici di legittimità, nel caso di specie non si era in presenza di una distrazione (essendo la garanzia patrimoniale rimasta intatta, seppur modificata nella sua qualità, peraltro in termini più favorevoli per i creditori), né si poteva riscontrare una dissipazione del patrimonio societario (non essendosi trattato di un'operazione stravagante, priva di giustificazione economica o, comunque, depauperativa del patrimonio societario), dovendosi piuttosto riconoscere che l'imputato aveva concluso un'operazione economica che, rientrando nelle libere scelte imprenditoriali, era insindacabile, anche in relazione alla scelta del soggetto cessionario, individuato in una società gestita dai suoi figli.

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