Appello: le innovazioni introdotte dal Correttivo

Pasqualina Farina
23 Gennaio 2025

Il contributo esamina le novità introdotte dal Correttivo sulle disposizioni che regolano il procedimento in appello

Breve premessa

Il legislatore del 2024 è intervenuto su diverse disposizioni che regolano il regime dell'appello. Più precisamente, la ristrutturazione ha interessato:

  • il primo comma dell'art. 342 c.p.c. (sulla forma dell'appello);
  • il primo comma dell'art. 343 c.p.c. (sul modo e termine dell'appello incidentale);
  • il primo comma dell'art. 347 c.p.c. (su forme e termini della costituzione in appello);
  • il comma secondo dell'art. 348 c.p.c. (sull'improcedibilità dell'appello);
  • gli ultimi due commi dell'art. 350 c.p.c. (sulla trattazione dell'appello);
  • Il comma terzo dell'art. 351 c.p.c. (sull'esecuzione provvisoria);
  • il primo comma dell'art. 352 c.p.c. (sulla decisione).

Le modifiche alla forma dell'appello di cui all'art. 342 c.p.c. (ed all'omologo art. 434 c.p.c. in materia di appello nelle controversie di lavoro).

Prima di esaminare la ricaduta del Correttivo del 2024, va segnalato che la ristrutturazione dell'art. 342 c.p.c. era già stata effettuata dal d.lgs. n. 149/2022 (in parallelo con quella di cui all'art. 434 c.p.c. sulla forma dell'appello nel rito del lavoro) per l'attuazione del criterio di delega previsto dalla lettera c), del comma 8 dell'unico articolo della legge delega di cui alla l. n. 206 del 2021, che richiedeva di «prevedere che, negli atti introduttivi dell'appello disciplinati dagli articoli 342 e 434 del codice di procedura civile, le indicazioni previste a pena di inammissibilità siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico».

Ebbene queste due disposizioni, dopo il restyling del 2022, rappresentano un compromesso tra le esigenze di efficienza e quelle di tutela effettiva, anche in considerazione del fatto che la chiarezza e la sinteticità non dovrebbero mai condurre ad una indebita compressione dell'esercizio del diritto di azione e del diritto di difesa delle parti, né ad interpretazioni eccessivamente rigide della norma, che appesantiscono inutilmente l'esposizione o conducono alla redazione di veri e propri progetti alternativi di sentenza, nel timore di pregiudizievoli pronunce di inammissibilità.

L'art. 342 c.p.c. (come pure l'omologo art. 434 c.p.c.) va, quindi, letto nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (Cass. civ., sez. lav., 23 marzo 2018, n. 7332).

In questo stato di cose, il legislatore del 2022 ha recepito, da un lato, la decennale elaborazione giurisprudenziale in tema di modalità di redazione degli atti giudiziari, che addossa alle parti l'onere di un appello chiaro e sintetico (Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2012, n. 11199), a pena d'inammissibilità del ricorso, per violazione dei principi di sinteticità e chiarezza, in quanto proiezione di un vero e proprio dovere processuale delle parti.

Da altra prospettiva, la formulazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., post riforma del 2022, ha raccolto l'onere di redigere atti chiari e sintetici, attuando una proiezione dei doveri di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., la cui violazione può incidere sulle spese di lite, sino alla responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Da un punto di vista normativo v'è da dire che questa impostazione è confluita pure nell'art. 46 disp. att. c.p.c., che ha stabilito che gli atti giudiziari siano scritti in carattere chiaro e facilmente leggibile, demandando al Ministero della giustizia, sentiti Csm e Cnf, l'elaborazione di un decreto che stabilisca, tra l'altro, i limiti degli atti processuali e, per effetto del comma 6, che il mancato rispetto dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporti invalidità dello stesso, ma possa essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.

Al di là dal contenuto dell'atto di citazione, l'appellante è chiamato a misurarsi sulla intellegibilità del suo scritto che deve essere «chiaro, sintetico e specifico»; salvo precisare che la mancanza di questi tre requisiti resta(va) sguarnita di sanzioni. Già le innovazioni apportate dal d.lgs. n. 149/2022 all'art. 342 c.p.c. presentavano, a ben guardare, un carattere meramente linguistico, tale da non incidere sul contenuto della disposizione, se solo si considera che l'art. 342 c.p.c. (post riforma del 2022) si limitava a meglio precisare i canoni di chiarezza, sintesi e specificità che non integrano veri e propri requisiti di ammissibilità dell'appello, salvo quest'ultimo sia stato formulato in modo tale da determinare seri dubbi interpretativi circa l'effettiva portata dei motivi di impugnazione; ovvero sia limitato alla mera riproposizione delle medesime argomentazioni già sottoposte all'esame del primo giudice senza alcuna adeguata confutazione della decisione contestata secondo l'insegnamento della Suprema Corte (sul punto cfr. Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2023, n. 13189, per l'affermazione del principio che l'inammissibilità dell'appello pronunciata in ragione del difetto di specificità dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., e non sulla base dei presupposti di cui all'art. 348-bis c.p.c. - ossia, in considerazione dell'insussistenza di alcuna ragionevole probabilità di accoglimento dell'impugnazione - non è soggetta ai termini di preclusione imposti dall'art. 348-ter c.p.c., e, pertanto, può essere emessa anche dopo l'udienza di cui all'art. 350 c.p.c.).

Si aggiunga che il riferimento alla parte della sentenza è stato sostituito, nel corpo dell'art. 342 c.p.c., come riformato dal d.lgs. n. 149/2022, dal termine tecnico «capo» di sentenza, per indicare le statuizioni che possono essere contenute in una sentenza. È rimasta invariata la tipologia di censure che possono essere denunciate, circostanze di fatto e violazioni di legge, ma il testo – come riformato nel 2022 - ha la pretesa di essere semplice e chiaro.

Ricostruita in questi termini l'evoluzione normativa della forma dell'atto di appello, possiamo esaminare le modifiche apportate dal legislatore del 2024 che presentano interventi contenuti ma funzionali al riordino di istituti esistenti, contraddistinti da formulazioni farraginose ed aspetti applicativi problematici (id est l'inammissibilità dell'appello).

Così, è stato modificato il primo comma dell'art. 342 (e dell'art. 434 c.p.c.) nell'ottica della sinteticità e, quindi, della previsione relativa alla indicazione, per ciascun motivo di appello, del capo della decisione che viene impugnato (in luogo della indicazione, richiesta dalla norma previgente, «delle parti del provvedimento che si intende appellare»), per evitare inutili trascrizioni nell'atto delle pagine delle pronunce appellate. In sintesi, il legislatore ribadisce la centralità della puntuale individuazione del capo impugnato e delle censure, in fatto e diritto, mosse nei confronti dello stesso; e ciò indipendentemente da ogni riferimento svolto nell'ambito dell'illustrazione delle ragioni per cui si chiede la riforma della sentenza.

Le modifiche al modo e al termine dell'appello incidentale di cui all'art. 343 e all'art. 347 c.p.c. sulla costituzione in appello

Preliminarmente va segnalato che l'art. 343 c.p.c. aveva già subito modifiche da parte del d. lgs. n. 149/2022 dovute, prevalentemente, al fatto che la ristrutturazione della fase introduttiva del giudizio di primo grado aveva reso inutilizzabile il mero rinvio a quelle norme (v. l'art. 163-bis c.p.c.).

In questo stato di cose il legislatore del 2022 era intervenuto sul primo comma dell'art. 343 c.p.c. per ampliare i termini tra la data della citazione e quella della prima udienza; senza trascurare che anche il termine per la costituzione del convenuto con comparsa di risposta era stato anticipato, potendo essere effettuata fino a venti giorni prima della suddetta udienza. In questo modo il giudice è messo in condizione di tenere la prima udienza dopo aver avuto a disposizione un congruo lasso di tempo per studiare gli atti. Segnatamente, la formulazione precedente della norma prevedeva per la proposizione dell'appello incidentale il termine di venti giorni anteriori alla prima udienza, lasciando però per la costituzione in giudizio inalterato (nel corpo dell'art. 347 c.p.c.), il rinvio al termine previsto per il giudizio di primo grado, che tuttavia è stato portato a settanta giorni. Da qui il dubbio che l'appellato dovesse costituirsi nel termine da ultimo indicato e quindi poco più di venti giorni dopo aver ricevuto la notifica dell'atto di appello, ma potesse comunque proporre l'appello incidentale con una seconda memoria depositata entro venti giorni prima dell'udienza.

A scanso di equivoci, il Correttivo del 2024 ha modificato l'art. 343 c.p.c. sopprimendo il riferimento ai «venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione o dell'udienza fissata a norma dell'articolo 349-bis, secondo comma» e prevedendo espressamente che l'appello incidentale si propone con la comparsa di risposta depositata nel termine di cui all'art. 347 c.p.c.

Considerato che, in seguito alla riforma operata dal d.lgs. n. 149/2022 è venuta meno la possibilità dell'appellante di costituirsi fino alla prima udienza in caso di tempestiva costituzione dell'appellato, il legislatore del 2024 - per un migliore coordinamento tra l'articolo in commento e la disciplina di cui all'art. 343 c.p.c., ha riscritto il primo comma dell'art. 347 c.p.c., anche alla luce dell'art. 166 c.p.c., non essendo chiaro il termine di costituzione dell'appellato, né se tale termine coincidesse con il termine per la proposizione dell'appello incidentale.

Sicché l'ultimissima versione dell'art. 347, comma 1 c.p.c., dispone che – fermo restando, per l'appellante, il rinvio alle forme e ai termini previsti per il giudizio di primo grado, dal momento che sul punto l'art. 165 c.p.c. non ha subito modifiche rilevanti– l'appellato si costituisce in giudizio almeno venti giorni prima dell'udienza, recuperando così il termine previsto anteriormente alla novella di cui al d. lgs. n. 149/2022, nelle forme proprie del giudizio davanti al tribunale. Di conseguenza, come già anticipato riguardo all'art. 343 c.p.c., è stata reintrodotta la previsione per cui l'appello incidentale si propone con la comparsa di risposta depositata nel termine ora indicato.

Le modifiche all'improcedibilità dell'appello di cui all'art. 348 c.p.c.

L'improcedibilità, e cioè la chiusura in rito del giudizio d'appello, è come noto, la sanzione per il caso in cui l'appellante ometta - dopo la proposizione dell'appello - il compimento di determinate attività, ovvero non si costituisca o, pur essendosi costituito, non compaia alla prima, né all'udienza successiva. Gli effetti dell'improcedibilità, del resto, sono talmente gravi da precludere, ai sensi dell'art. 348 c.p.c., la riproposizione dell'impugnazione anche se non è ancora decorso il termine fissato dalla legge, per il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

In questa cornice la novella del 2022 ha aggiunto al corpo dell'art. 348 c.p.c. un ultimo terzo comma dove si chiarisce che l'improcedibilità è dichiarata con sentenza. Questo avviene quando il giudice d'appello è monocratico. Tuttavia, ove la causa dovesse pendere davanti alla Corte d'appello bisogna distinguere l'ipotesi in cui:

  • il presidente ha nominato il giudice istruttore, perché in tal caso l'improcedibilità è dichiarata con ordinanza direttamente da quest'ultimo e tale provvedimento è, analogamente all'ordinanza di estinzione del giudizio, reclamabile davanti al collegio;
  • da quella diversa in cui il giudice istruttore non è stato nominato, lasciando intendere che il provvedimento di estinzione venga adottato direttamente dal collegio con sentenza.

Quanto al Correttivo del 2024 va detto che il legislatore si è limitato ad un intervento chiarificatore, lasciando inalterata la disciplina sull'improcedibilità dell'appello. Segnatamente, il legislatore si è limitato a novellare solo il secondo comma dell'art. 348 c.p.c., prevedendo che - in caso di mancata comparizione dell'appellante alla prima udienza - i provvedimenti sono adottati dal «giudice», in luogo del «collegio». In questo modo, in linea con la nuova centralità, attribuita dal legislatore del 2022, al giudice istruttore nel giudizio d'appello di cui all'art. 349-bis c.p.c., l'ultima riforma ha chiarito che in caso di nomina dell'istruttore, quest'ultimo è pienamente legittimato a provvedere ai sensi della norma in esame, senza necessità di rimettere gli atti al collegio.

La trattazione dell'appello di cui al novellato art. 350 c.p.c.

La riforma del 2022 ha inciso profondamente la struttura dell'art. 350 c.p.c., dedicato alla trattazione dell'appello che non è più collegiale, per affidarla al giudice istruttore, se nominato ai sensi dell'art. 349-bis c.p.c.. Discorso diverso per l'appello dinanzi al Tribunale, che è sempre deciso monocraticamente, senza distinzione fra istruttore e collegio. La più rilevante innovazione della riforma del 2022 è in realtà enunciata nell'art. 350, comma 3 c.p.c., specie in rapporto all'art. 348-bis c.p.c. e alla decisione accelerata ai sensi dell'art. 350-bis c.p.c., che ha luogo sia quando l'appello è inammissibile o manifestamente infondato, sia quando è manifestamente fondato. Con l'ulteriore precisazione che la decisione mediante discussione orale può aver luogo anche quando la causa non è complessa oppure vi è urgenza di una decisione; e che la dizione «può provvedere» non riconosce al giudice — accertata la manifesta fondatezza, la non complessità della controversia etc. —la facoltà di «non provvedere».

Ed infatti, non si potrebbe individuare «alcun criterio sulla base del quale il giudice possa articolare la sua discrezionalità, discrezionalità che certamente sussiste nella valutazione dei presupposti della inammissibilità, della manifesta infondatezza o fondatezza, ma non certo nella scelta dell'iter processuale una volta che tale valutazione sia stata fatta» (Luiso, Il nuovo processo civile. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano 2022, 173).

Il quarto ed ultimo comma, post riforma del 2022, attua la (re)introduzione del giudice istruttore, attribuendogli il potere di ammettere le prove da sempre riservato al collegio. Al riguardo va precisato che difficilmente le prove saranno quelle nuove richieste in appello, trattandosi, con ogni probabilità, di quelle già chieste in primo grado ma erroneamente non ammesse dal Tribunale. Da qui la considerazione che il giudice istruttore, quando ammette prove richieste e non espletate in primo grado, oppure dispone la rinnovazione di una c.t.u., implicitamente ma necessariamente prende posizione sulla fondatezza dell'appello (di quest'avviso Luiso, op.loc.cit.).

Quanto alle innovazioni apportate dal Correttivo del 2024, cominciamo col dire che anche gli ultimi due commi aggiunti all'art. 350 c.p.c., come pure le innovazioni apportate ai successivi artt. 351 e 352, individuano meglio le attribuzioni del giudice istruttore rispetto a quelle del collegio. Premesso che spettano al collegio tutti i provvedimenti dalla natura - anche in senso lato - decisoria e all'istruttore quelli di natura ordinatoria; e che nei casi dubbi, sono dirimenti le disposizioni che regolano il giudizio di primo grado, in virtù del rinvio previsto dall'art. 359 c.p.c., il giudice istruttore può adottare, oltre ai provvedimenti a questi espressamente attribuiti (v. ad es. gli artt. 348, 350, 350-bis, 351, 352 c.p.c.), anche quelli di cui agli artt. 309 (mancata comparizione delle parti ad un'udienza successiva alla prima e cancellazione della causa dal ruolo) e 355 c.p.c. (sospensione del processo per la proposizione di querela di falso).

Viene inoltre previsto dal nuovo penultimo comma dell'art. 350 c.p.c., a fronte di plurimi orientamenti adottati nei vari uffici di merito, che l'estinzione del giudizio di appello (ad es., per rinuncia delle parti agli atti del giudizio o per loro reiterata mancata comparizione all'udienza) sia dichiarata nello stesso modo in cui viene pronunciata l'improcedibilità ai sensi dell'art. 348 c.p.c.: se è stato nominato l'istruttore e l'evento si è verificato davanti a lui, adotta un'ordinanza reclamabile al collegio; altrimenti, si pronuncia il collegio con sentenza.

Sul punto va ancora segnalato che l'art. 350 c.p.c. si riferisce alla trattazione dell'appello tanto innanzi alla Corte di appello (ipotesi nella quale la trattazione è affidata all'istruttore, se nominato, mentre la decisione è collegiale), quanto davanti al Tribunale (in tal caso, l'appello è trattato e deciso dal giudice monocratico) come chiarito dal primo comma della disposizione. Considerato poi che il sostantivo «giudice» ha valenza generale e si riferisce all'organo giudicante, il legislatore se ne avvale sia al secondo, sia al terzo, come pure al quarto comma.

Ed infatti, queste disposizioni – nel riferirsi espressamente al giudice – tendono ad individuare la procedura applicabile alla trattazione della causa in grado di appello, senza interferire in alcun modo con il riparto dei compiti e dei poteri attribuiti, innanzi alla Corte di appello, al giudice istruttore e al collegio, riparto definito proprio dall'introduzione del nuovo ultimo comma nel corpo dell'art. 350 c.p.c.

Le modifiche ai provvedimenti sull’esecuzione provvisoria di cui all’art. 351 c.p.c. ed al modulo decisorio di cui all’art. 352 c.p.c.

La novella del 2022 aveva riformulato la disposizione che regola i provvedimenti resi sull’esecuzione provvisoria, per adeguarla alle altre modifiche apportate al giudizio davanti alla corte d’appello e al fatto che potrebbe essere nominato il giudice istruttore ai sensi dell’art. 349 bis c.p.c.

Così era stato stabilito che in Corte d’appello i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria sono adottati con ordinanza collegiale; fermo restando che in caso di nomina dell’istruttore, questi sente le parti e poi riferisce al collegio, che pronuncerà l’ordinanza. La parte potrebbe anche, con ricorso al giudice, chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunciata prima dell’udienza di comparizione.

In tal caso il presidente del collegio (davanti alla corte d’appello), o il giudice monocratico (davanti al Tribunale), con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio, rispettivamente, davanti all’istruttore se nominato o davanti a sé. Con lo stesso decreto, in caso di giusti motivi di urgenza, può anche disporre provvisoriamente l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza.  Se così ha provveduto, all’esito dell’udienza in camera di consiglio, il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile. L’ultimo comma dell’art. 351 c.p.c. post riforma del 2022 regola il potere del giudice, chiamato a pronunciare il provvedimento sospensivo alla prima udienza, di decidere direttamente nel merito dell’appello, se ritiene la causa matura per la decisione, provvedendo ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., ossia con sentenza in forma semplificata dopo la discussione orale.

Quanto al Correttivo del 2024: la modifica apportata all’art. 351, comma 3 c.p.c. risponde, come anticipato nel § precedente, anch’essa all’esigenza di precisare meglio i rapporti tra collegio e istruttore. In questo caso l’innovazione riguarda l’ipotesi in cui l’appellante chieda che la decisione sulla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado sia adottata prima dell’udienza di comparizione. In particolare, il terzo comma viene riscritto in modo da chiarire che davanti alla Corte d’appello l’udienza per la decisione sulla sospensiva sarà tenuta dall’istruttore, tutte le volte in cui il presidente abbia optato per la nomina di questi, o davanti al collegio quando viceversa egli ha ritenuto, ai sensi dell’art. 349-bis c.p.c., di disporre la trattazione davanti al collegio.

Un'ulteriore innovazione apportata dal legislatore del 2024 di cui tenere conto riguarda Il primo comma dell’art. 352 c.p.c., dove con la sostituzione del sostantivo del sostantivo «giudice», in luogo dell’«istruttore», vengono meglio chiariti i rapporti tra istruttore e collegio.

Ed infatti, nel vigore della precedente versione della disposizione, si dubitava che, ove il presidente avesse direttamente fissato l’udienza davanti al collegio questi potesse, anziché procedere alla discussione orale, assegnare alle parti i termini previsti dall’art. 352 c.p.c. per la precisazione delle conclusioni, le comparse conclusionali e le memorie di replica. L’innovazione, nel consentire esplicitamente tale soluzione, può essere particolarmente utile per le cause di maggiore complessità, riconoscendo un congruo termine alle parti per le difese e al collegio per la decisione e la stesura della motivazione.

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