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Processo in assenza

28 Gennaio 2025

La disciplina è stata riformata dal d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) e, successivamente, è stata oggetto di alcuni interventi correttivi apportati in primis dal d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 e, poi, dalla l. 9 agosto 2024, n. 114.

Inquadramento

La disciplina del processo in assenza sconta da sempre la difficoltà di trovare un punto di equilibrio tra il diritto dell'imputato a partecipare al suo processo e le ragioni della giurisdizione. Le novità apportate dalla l. 28 aprile 2014, n. 67, che ha sostituito l'assenza all'istituto della contumacia, parevano aver realizzato una vera svolta. In realtà, nonostante le rilevanti novità, continuava ad essere sufficiente, ai fini della celebrazione del giudizio in assenza, la conoscibilità del procedimento e l'imputato che fosse stato giudicato a sua insaputa continuava ad essere gravato di un pesante onere probatorio per poter accedere ai diversi rimedi restitutori. Il fatto che ancora una volta il legislatore non fosse riuscito a delineare una disciplina esente da criticità apriva a nuove modifiche. In effetti, la disciplina è stata riformata dal d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) e, successivamente, è stata oggetto di alcuni interventi correttivi apportati in primis dal d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 e, poi, dalla l. 9 agosto 2024, n. 114. L'intento primo della Riforma Cartabia è stato quello di riaffermare il principio per cui si può procedere in assenza dell'imputato solo se è possibile ritenere con certezza che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è frutto di una scelta volontaria e consapevole. Questo obiettivo, come vedremo, è stato sostanzialmente centrato, essendosi eliminata la possibilità di procedere in assenza al ricorrere di indici presuntivi di conoscenza del procedimento. Le modifiche apportate al sistema dei rimedi non vanno, invece, nella direzione auspicata. La disciplina emendata ripropone, infatti, delle ipotesi in cui l'accesso al rimedio restitutorio passa per l'assolvimento di gravosi oneri probatori che finiscono per ostacolare anche ex post l'esercizio del diritto alla presenza, sebbene questo aspetto della disciplina sia sempre stato criticato dal giudice di Strasburgo e non risulti in linea con la normativa europea.

Il nuovo status di assente e gli effetti della relativa declaratoria

Nel ridefinire i presupposti per la prosecuzione del processo nonostante la mancata comparizione in udienza dell'imputato, il legislatore è intervenuto e sulla disciplina delle notificazioni e sulla norma che individua le situazioni di assenza che legittimano lo svolgimento del processo. Ecco che, da un lato, nel tentativo di recuperare una conoscenza reale e certa e non solo formale degli atti introduttivi del giudizio ha introdotto l'art. 157-ter c.p.p. il quale stabilisce che la notificazione della vocatio in iudicium sia effettuata al domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 161 c.p.p. o, in difetto e fuori dei casi di cui all'art. 161 comma 4  c.p.p., presso i luoghi e con le modalità di cui all'art. 157 c.p.p., fatta esclusione per il ricorso alle modalità telematiche ex art. 148, comma 1, c.p.p.; dall'altro, ha introdotto nell'art. 420 c.p.p., il comma 2-bis, in forza del quale, in presenza di notifiche regolari, laddove l'imputato non sia presente in udienza preliminare e non sia impedito, il giudice è tenuto a verificare se vi siano i presupposti per procedere in assenza ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p. Questa valutazione passa, naturalmente, anche per la previa verifica sulla eventuale sussistenza di situazioni in cui, nonostante la mancata comparizione all'udienza, l'imputato, debba ritenersi presente. Ci si riferisce a casi tradizionali quali quello dell'imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza o dell'imputato che, presente ad una udienza, non compare alle successive, cui il nuovo comma 3-ter dell'art. 420 c.p.p. affianca l'ipotesi dell'imputato che ha richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o che è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la scelta di un rito alternativo. Quanto ai presupposti per procedere in assenza, l'art. 420-bis c.p.p. si presenta in una formulazione interamente innovata. Innanzitutto, risultano eliminate le situazioni di conoscenza tipizzate - in linea con le indicazioni della giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, n. 23948, P.G. c. Ismail Darwish, in CED, n. 279420) - che altro non erano che ipotesi in cui si valorizzava il contatto con l'autorità o l'attivazione del soggetto per superare l'obbligo di citazione al processo, senza che risultasse in alcun modo dimostrato che da esse discendesse sempre e comunque la conoscenza “qualificata” del processo. Al fine di recuperare questa dimensione di “certezza” della conoscenza del processo da parte dell'interessato, l'art. 420-bis c.p.p. attribuisce rilievo, ai fini del procedere in assenza, al fatto che il prevenuto è stato citato a comparire mediante notifica eseguita a mani o tramite persona alla quale è stata data espressa delega dall'interessato per il ritiro dell'atto nonché alla rinuncia espressa e inequivoca del medesimo a comparire o, in alternativa, a far valere un impedimento (comma 1). In alternativa, prevede sia possibile procedere in absentia ove il giudice ritenga «altrimenti provato che [l'imputato] ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all'udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole» (comma 2). Si attribuisce, in tal modo, al giudice un ruolo primario nella individuazione di altri indici di conoscenza - non presunti né tipizzati ex ante dal legislatore ma accertati nel caso concreto - che permettano di ritenere che l'imputato è al corrente del giudizio.  In sostanza, al giudice spetta valutare in modo autonomo la capacità informativa di atti di natura diversa, tra cui le modalità della notificazione, gli atti compiuti dall'imputato prima dell'udienza, la nomina di un difensore di fiducia e ogni altra circostanza utile. Da ultimo, il comma 3, prevede la possibilità di procedere in assenza, in difetto delle condizioni fissate nei primi due commi, nei casi di volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo. A venire in rilievo sono due situazioni i cui confini non sempre sono nitidi: da un lato, la latitanza dichiarata, dall'altro la volontaria sottrazione alla conoscenza del processo. Quanto alla prima occorre precisare che la fuga del latitante, volta a preservare la libertà personale, non prova l'effettiva conoscenza del processo e la volontà di non presenziarvi, pertanto, onde non riproporre delle forme di presunzione e correre il rischio di processare un inconsapevole occorrerà interpretare la previsione nel senso che la conoscenza del processo da parte dell'interessato e il suo disinteresse a prendervi parte devono essere oggetto di un'attenta valutazione. Analogamente, deve essere oggetto di valutazione in concreto la sussistenza di una reale volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo. In presenza di una delle situazioni sopra analizzate il giudice dichiara con ordinanza l'assenza. La conseguenza di tale provvedimento è la prosecuzione del giudizio, nel corso del quale l'imputato sarà rappresentato dal difensore.

Per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 192/2023, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 420-bis comma 3 c.p.p., è possibile procedere absente reo, seppure per i soli delitti di tortura, anche quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell'imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.

L'alternativa al processo senza imputato: la sentenza di non doversi procedere

Se l'imputato non è presente e non ricorre alcuna delle condizioni per procedere in assenza o per disporre un rinvio dovuto a un legittimo impedimento ex art. 420-ter c.p.p., il giudice, a norma dell'art. 420-bis comma 5 c.p.p., dispone un rinvio dell'udienza e ordina che l'atto introduttivo sia notificato a mani dell'interessato. Nel caso in cui questo estremo tentativo di notifica dia esito positivo il processo si potrà svolgere e qualora l'imputato non sia presente all'udienza, potrà esserne dichiarata l'assenza ex art. 420-bis comma 1 lett. a c.p.p., sussistendo il requisito della notifica a mani. Nel caso in cui, invece, la notificazione non vada a buon fine, troverà applicazione l'art. 420-quater c.p.p. Questa disposizione prevede che, nel caso di mancata conoscenza, da parte dell'imputato, della pendenza del processo, sia pronunciata una sentenza ‘inappellabile' di non doversi procedere (art. 420-quater c.p.p.) provvedimento che ha sostituito – salvo che nel processo d'appello – l'ordinanza di sospensione ‘per assenza inconsapevole', prevista dalla disciplina previgente. Si tratta di una scelta normativa che non pare apportare sul piano delle garanzie significative novità, dietro la quale si annidano non poche ambiguità. Innanzitutto, la sentenza di non doversi procedere, diversamente dalla previgente ordinanza di sospensione, pare precludere, almeno nel silenzio della legge, una declaratoria ex art. 129 c.p.p. D'altro canto, la qualità di prosciolto da riconoscere al suo destinatario stona con la persistente efficacia espressamente riconosciuta alle misure cautelari e ai provvedimenti di sequestro (art. 420-quinquies c.p.p.), i quali - in deroga a quanto disposto rispettivamente dall'art. 300 c.p.p. e dagli artt. 262,317 e 323 c.p.p. - conservano efficacia fino al momento in cui la sentenza di non luogo a procedere non sia più revocabile (art. 420-quater, comma 7, c.p.p.). Dopo la sua emanazione, le ricerche dell'interessato proseguono per un periodo di tempo pari al doppio del termine di prescrizione per tutti i reati contestati e il giudice può, a richiesta di parte, procedere all'eventuale assunzione di prove non rinviabili, nel rispetto della disciplina “operativa” prevista per l'incidente probatorio. Questa attività, il cui svolgimento stona con la natura della declaratoria che dovrebbe inibire ogni condotta processuale, permette di raccogliere materiale probatorio che potrà essere utilizzato nel caso in cui le ricerche diano esito positivo e si provveda alla revoca della sentenza di non doversi procedere e alla conseguente riapertura del processo. Trattasi, invero, di una pronuncia che sfugge ad ogni inquadramento dogmatico giacché essa da un lato segna l'epilogo della vicenda processuale, facendo perdere all'imputato la relativa qualifica, dall'altro costituisce atto di vocatio nell'eventualità in cui, rintracciato il soggetto, il processo dovesse proseguire. In effetti, tale pronuncia contiene, tra l'altro, “l'indicazione della data fino alla quale dovranno continuare le ricerche della persona nei cui confronti la sentenza è emessa” (art. 420-quater, comma 2 lett. c c.p.p.), l'individuazione del giudice competente, l'indicazione della data dell'udienza (all'art. 420-quater comma 4 lett. b) c.p.p.) e del luogo di sua celebrazione nonché l'avviso all'imputato che non comparendo, sarà giudicato in assenza. La scelta di un criterio automatico per l'individuazione della data di riapertura è volta a conferire cadenze certe al procedimento, nell'ottica di una migliore razionalizzazione dei tempi del processo. Solo nei casi in cui la sentenza sia revocata nei confronti di un soggetto sottoposto a misura cautelare, è il giudice a fissare la data dell'udienza per la prosecuzione, disponendo che ne sia dato avviso a tutte le parti almeno venti giorni prima. Risultano, così, superati i limiti del precedente assetto che non garantiva la possibilità di informare il soggetto rintracciato della nuova udienza, ben potendo accadere che prima della notifica della vocatio in iudicium si perdessero nuovamente le sue tracce.  Nel caso in cui il soggetto sia rintracciato e gli sia notificata la sentenza, il giudice, con decreto revoca il provvedimento (art. 420-sexies c.p.p.) e, salvo che sia maturato il termine di prescrizione di cui all'art. 159 c.p. per tutti i reati al medesimo ascritti, fa dare avviso a tutte le parti della data dell'udienza, almeno venti giorni prima del suo svolgimento.

La revoca della declaratoria di assenza in udienza preliminare e in dibattimento

La revoca dell'ordinanza che dispone la prosecuzione del processo in absentia può essere disposta in due casi: nel caso di comparizione tardiva dell'imputato in udienza preliminare cui può seguire la restituzione nel termine per il compimento della facoltà perdute; nel caso in cui l'assenza sia stata dichiarata in mancanza dei presupposti di cui all'art. 420-bis c.p.p., situazione che determina la regressione del procedimento e un rinnovo delle notifiche.  La prima situazione è disciplinata dall'art. 420-bis comma 6 c.p.p. il quale prevede che l'ordinanza dichiarativa dell'assenza possa essere revocata nel caso in cui l'imputato compaia prima della decisione, ovvero dopo la verifica della regolare costituzione delle parti, ma prima della pronuncia del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare. In questo caso, l'imputato non recupera la possibilità di esercitare le facoltà eventualmente perdute per effetto del normale decorso dell'iter in quanto ha liberamente deciso di non comparire. Può, però, essere restituito nel termine per esercitare le facoltà  perdute nel lasso di tempo in cui il procedimento si è svolto senza la sua presenza se: a) fornisce la prova che per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento si è trovato nell'assoluta impossibilità a comparire in tempo utile e prova di non aver potuto trasmettere tempestivamente la prova dell'impedimento senza sua colpa; b) fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non essere potuto intervenire senza colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. Accanto alla revoca per comparizione tardiva, l'art. 420-bis comma 7 c.p.p. disciplina la revoca basata sull'insussistenza, al momento della pronuncia dell'ordinanza dichiarativa dell'assenza, delle condizioni legittimanti il processo in absentia . In tali casi, il giudice anche ex officio revoca l'ordinanza e rinvia l'udienza e dispone che vengano notificati all'imputato personalmente, e a mezzo della polizia giudiziaria, l'avviso di cui all'art. 419 c.p.p., la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale di udienza. Lo schema bipartito si ripropone anche in dibattimento, seppure con qualche adattamento. Innanzitutto, occorre precisare che la verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni per procedere in assenza che, nel rito ordinario è effettuata in udienza preliminare, ha efficacia anche in dibattimento. In questa fase, il giudice - che non deve ripetere gli accertamenti già compiuti, può comunque, in forza dell'art. 489 comma 1 c.p.p., dichiarare l'eventuale nullità del decreto che dispone il giudizio nel caso in cui dovesse emergere, anche su eccezione di parte, che, nella fase precedente si è proceduto in difetto dei presupposti di cui all'art. 420-bis c.p.p. Questa patologia comporta la regressione del procedimento davanti al giudice dell'udienza preliminare che sarà chiamato a celebrare ex novo tale udienza. Tuttavia, come chiarisce l'art. 489 comma 2 c.p.p., la nullità speciale è sanata se non viene eccepita dall'imputato. Nondimeno la sanatoria non impedisce all'imputato di richiedere la restituzione nel termine per formulare richieste relative all'accesso ai procedimenti speciali e al fine di esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. Nel caso in cui si era proceduto correttamente in assenza, sulla falsariga di quanto avviene in udienza preliminare, l'accesso ai rimedi restitutori è invece subordinato alla prova da parte dell'imputato di un legittimo impedimento a comparire o della celebrazione dell'udienza a sua insaputa. Gli atti precedentemente compiuti, diversamente da quanto accade nel caso di comparizione tardiva in udienza preliminare, conservano la loro validità anche se l'imputato prova che l'assenza è dipesa da cause indipendenti dalla sua volontà.

L'assenza in appello e i rimedi nei gradi successivi al primo

Innanzitutto, occorre distinguere la situazione dell'imputato che abbia partecipato al dibattimento e risulti assente in appello, da quella di colui che è stato dichiarato assente in primo grado. Infatti, se l'imputato ha partecipato al dibattimento ma non si presenta in appello il giudice di secondo grado è chiamato a valutare la sua assenza alla luce dei presupposti di carattere generale di cui all'art. 420-bis c.p.p.  All'assente nel giudizio di primo grado si applica, invece, l'art. 598-ter c.p.p. il quale distingue la disciplina a seconda che l'imputato assuma, o meno, la qualità di parte appellante. Nel caso di imputato appellante, la mancata presenza di quest'ultimo determina la prosecuzione del giudizio in absentia, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di cui all'art. 420-bis c.p.p. Nel caso in cui l'imputato non sia anche la parte appellante, l'art. 598-ter comma 2 c.p.p. prevede che si applichi l'art. 420-bis commi 1, 2 e 3 c.p.p. pertanto, nel caso di mancata presenza, potrà essere giudicato assente secondo i criteri generali applicabili nel corso dell'udienza preliminare. Laddove non ricorrano le condizioni per dichiararne l'assenza, però, non viene pronunciata una sentenza di non doversi procedere ma la Corte d'Appello con ordinanza sospende il processo e, ferma la possibilità di acquisire, su istanza di parte, le prove non rinviabili con le modalità del dibattimento, ordina nuove ricerche dell'imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

Quanto alla disciplina in appello dei rimedi ex post si segue la nota bipartizione tra nullità – per essersi proceduto in assenza in mancanza dei presupposti di legge – e attivazione del rimedio restitutorio, subordinato al consueto onere probatorio. Nella prima ipotesi, alla verifica dell'invalidità corrisponde la regressione alla fase in cui la stessa si è verificata, con la precisazione che: la nullità è sanata se non eccepita nell'atto di appello; la questione è preclusa se l'imputato era già a conoscenza del processo e in condizione di parteciparvi prima della pronuncia della sentenza di primo grado. Nel caso di celebrazione rituale del giudizio in assenza, l'imputato può beneficiare della regressione se fornisce la prova che, per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell'assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell'impedimento senza sua colpa; se, nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell'articolo 420-bis, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non essere potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. Il legislatore specifica però che, fornita la prova necessaria, la regressione alla fase precedente non è disposta quando l'imputato chieda il patteggiamento, l'oblazione oppure la sola rinnovazione istruttoria dibattimentale, casi nei quali, per ragioni di economia processuale, provvede direttamente il giudice ad quem. Nei casi in cui l'assenza sia stata dichiarata per latitanza o volontaria sottrazione dell'imputato, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale potrà essere disposta soltanto nei limiti di cui all'art. 190-bis c.p.p. (art. 603 comma 3-ter c.p.p.). Una disciplina speculare è prevista nel caso in cui le condizioni per annullare la sentenza rispettivamente ai sensi dell'art. 604, commi 5-bis e 5-ter, c.p.p. emergano nel corso del giudizio dinnanzi alla Corte di cassazione (art. 623, comma 1, lett. b-bis, c.p.p.). In particolare, nei casi di cui all'art. 604, comma 5-bis l'annullamento comporta, oltre che il travolgimento degli atti compiuti, il rinvio al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità; nei casi di cui all'art. 604, comma 5-ter, c.p.p., invece, gli atti precedentemente compiuti non sono travolti e il rinvio è disposto al giudice della fase nella quale può essere esercitata la facoltà dalla quale l'imputato è decaduto. Si tratta, infatti, delle ipotesi in cui l'assenza è stata ben dichiarata ma l'imputato dimostra che in realtà non era la corrente del processo. Al fine di impedire un uso strumentale delle garanzie, è previsto che non sia disposto alcun annullamento nel caso risulti che l'imputato era a conoscenza del processo ed era nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata. L'annullamento nel corso del giudizio di Cassazione continua ad essere previsto per le sole sentenze di condanna. Ciò conduce ad una ingiustificata disparità di trattamento, posto che l'esito del giudizio dovrebbe essere del tutto irrilevante al fine di riconoscere all'assente incolpevole il pieno recupero delle garanzie perdute.

I rimedi post giudicato

A completamento delle tutele predisposte a garanzia del diritto dell'imputato a presenziare al proprio processo troviamo i rimedi attivabili post giudicato, della cui fruibilità il condannato deve essere informato ai sensi del rinnovato art. 656, commi 3 e 5 c.p.p.

Innanzitutto, si assiste ad un recupero dell'istituto della restituzione nel termine mediante l'inserimento nell'art. 175 c.p.p. di un nuovo comma 2.1. e un rimodellamento del comma 2-bis. In ragione di tali modifiche, l'assente può chiedere - entro trenta giorni dalla conoscenza effettiva del provvedimento - di essere restituito nel termine per impugnare la sentenza oltre che nei casi - valevoli anche per l'imputato presente - in cui per caso fortuito o forza maggiore sia decaduto dalla relativa facoltà, anche nei casi in cui è stato dichiarato assente ai sensi dell'art. 420-bis, commi 2 e 3, c.p.p., sempre che non abbia rinunciato all'impugnazione e fornisca la prova di non avere saputo della pendenza del processo e/o di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza colpa. S'intende, in tal modo, impedire l'utilizzo strumentale dell'istituto di cui all'art. 175 c.p.p. da parte di chi, formalmente assente, ha successivamente avuto conoscenza della pendenza del processo in tempo utile per intervenire e avvalersi dei rimedi interni alla fase e, soprattutto, per proporre impugnazione nei termini ordinari. Allo stesso tempo la possibilità di essere restituito nel termine per impugnare giova all'imputato che non abbia nominato un difensore di fiducia, considerato che il difensore d'ufficio non può impugnare se non è munito di procura speciale rilasciata dopo la sentenza (art. 581 comma 1-quater c.p.p.).

L'ulteriore rimedio di cui può avvalersi il condannato o la persona sottoposta a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato nei cui confronti si sia proceduto in assenza è la rescissione del giudicato, istituto attivabile quando si è proceduto in difetto dei presupposti previsti dall'art. 420-bis c.p.p.Il ricorso a questo strumento postula che l'imputato dimostri l'irritualità della prosecuzione del giudizio e di non aver potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa. L'accesso al rimedio è precluso ove ‘risulti' che l'interessato era a conoscenza del processo prima della pronuncia della sentenza. Occorre precisare, poi, quanto a campo di applicazione, che la rescissione può essere chiesta fuori dei casi disciplinati dall'art. 628-bis c.p.p. ossia fuori dei casi in cui la violazione del diritto alla partecipazione sia stata acclarata dalla Corte di Strasburgo, ipotesi in cui occorre attivare lo specifico rimedio previsto per dare esecuzione alle pronunce del giudice sovranazionale. Nel complesso, nella nuova formulazione, l'art. 629-bis c.p.p. ci restituisce una disciplina che non presenta novità significative, salvo che per l'individuazione del termine di decorrenza per proporre l'istanza di rescissione ora correttamente ancorato alla conoscenza della sentenza anziché del procedimento. Una volta ottenuto l'accesso al rimedio e accolta la richiesta, la Corte d'appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento, revoca la sentenza definitiva e trasmette gli atti al giudice della fase o del grado in cui si è verificata la nullità.

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