Gli “atti di frode” e la violazione del dovere di buona fede e correttezza “durante i procedimenti”

La Redazione
28 Gennaio 2025

Il Tribunale di Firenze ha omologato il concordato preventivo proposto da una società escludendo la commissione, da parte dell’amministratore, di “atti di frode” secondo il disposto dell’art. 106 c.c.i.i. ma riconoscendo, in capo costui, la violazione del dovere di correttezza e buona fede stabilito dall’art. 4 c.c.i.i.

La questione affrontata dal Tribunale di Firenze origina dalla segnalazione, fatta dal commissario giudiziale nella propria informativa, nell'ambito di un procedimento per l'omologa di un concordato preventivo, di possibili atti di frode commessi dall'amministratore unico rilevanti ex art. 106 c.c.i.i. e apparentemente pregiudizievoli per il ceto creditorio.

Si ricorda che l'art. 106 («Atti di frode e apertura della liquidazione giudiziale nel corso della procedura») stabilisce al comma 1 che, laddove il commissario ravvisi certe condotte tenute dal debitore – la norma elenca le condotte, salvo chiudersi con formula aperta: «altri atti di frode» –, questi debba darne immediata notizia al tribunale, che provvederà ai sensi dell'art. 44, comma 2, c.c.i.i. (revoca del provvedimento di concessione dei termini ex art. 44, comma 1, lett. a), c.c.i.i.), dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. Le stesse disposizioni si applicano «anche quando il debitore non ha effettuato tempestivamente il deposito previsto dall'articolo 47, comma 2, lettera d) o il debitore compie atti non autorizzati o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'apertura del concordato previste agli articoli da 84 a 88».

Tra le altre, le condotte segnalate dal commissario giudiziale sono:

  • l'aver percepito per alcuni mesi un compenso da amministratore in misura eccedente rispetto a quanto deliberato e rimborsi spese non dovuti;
  • l'avere in uso personale tre autovetture aziendali, con conseguente aggravio di costi per la società in concordato;
  • l'aver beneficiato di rimborsi per note spese, inerenti a viaggi, alberghi, ristoranti, taxi, parcheggi, contravvenzioni stradali, carburante e ulteriori spese ad uso personale.

Il tribunale ha ritenuto che le condotte sopra descritte non costituiscano atti in frode ai sensi dell'art. 106 c.c.i.i., pur rilevando sotto il diverso profilo del dovere di correttezza e buona fede stabilito dall'art. 4 c.c.i.i.

I giudici fiorentini chiariscono infatti che tratti costitutivi della nozione di “atto in frode” sono due aspetti che stanno a monte della variegata tipologia di condotte sanzionabili: «Da un lato “Deve trattarsi […] di una circostanza la cui esistenza viene taciuta nella sua materialità ovvero pure esposta in modo non adeguato e compiuto, come successivamente venuta alla luce in esito alle verifiche ed analisi compiute dal commissario giudiziale”; dall'altro lato “Questo deficit informativo dev'essere […] tale da risultare per sé idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e quindi a incidere in modo significativo sulla valutazione compiuta dagli stessi” (Cass. Sez. I, Sentenza n. 25458 del 10/10/2019 (Rv. 655347 - 01))».

Dirimente, nel caso di specie, sarebbe proprio il fatto che «le condotte in questione non risultano essere state sottaciute al commissario, e non vi è stata un'omissione informativa su fatti rilevanti tali da alterare la percezione o la conoscenza delle caratteristiche fondamentali della proposta e del piano e che potesse influire sull'espressione di voto dei creditori e sulla formazione del loro consenso o dissenso».

Precisa però il Tribunale che «Si tratta, tuttavia, di comportamenti non totalmente in linea con i doveri posti in capo al debitore nelle procedure di accesso agli strumenti di regolazione della crisi sanciti dall'art. 4 CCII». Tale norma, infatti, oltre a prevedere un dovere generale di comportamento secondo buona fede e correttezza in tutte le fasi della risoluzione della crisi, compresa quella stragiudiziale della composizione negoziata (comma 1), individua al comma 2, lett. c), uno specifico dovere del debitore di gestire il patrimonio dell'impresa “durante i procedimenti” nell'interesse prioritario dei creditori.

Il principio di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. (cui i primi commenti hanno ricollegato la disposizione in questione) deve essere tenuto a mente anche – e ancor di più – dall'imprenditore in difficoltà «tenuto conto che quando l'impresa è in crisi o è insolvente vi è il concreto rischio che l'interesse dei creditori al conseguimento del bene della vita rappresentato dalla soddisfazione del diritto di credito venga leso».

Fatte queste considerazioni, nonostante il tribunale ammetta che «i comportamenti posti in essere dall'A.U. non appaiono essere allineati a tale dovere», non viene disposta la revoca del concordato, limitandosi i giudici, nella parte dispositiva del provvedimento, a prevedere obblighi informativi puntuali a carico dell'organo amministrativo in ordine alle spese e ai pagamenti e controlli pregnanti del commissario al riguardo.

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