L’adeguatezza degli assetti contabili in relazione alle prescrizioni dell’art. 3, comma 3, c.c.i.i.
Giuseppe Savioli
28 Gennaio 2025
Dopo un primo intervento con cui si è definito il concetto e il contenuto del sistema informativo aziendale alla luce dell’economia aziendale, il presente articolo intende declinare il concetto di “adeguatezza” di quelli che il legislatore definisce “assetti contabili”, alla luce del finalismo che assegna loro nel comma 3 dell’articolo 3 del codice della crisi.
Premessa
Nel nostro precedente intervento (L’adeguatezza degli assetti contabili alla luce delle indicazioni dell’Economia Aziendale) abbiamo definito il concetto ed il contenuto del sistema informativo aziendale alla luce delle elaborazioni dell'Economia Aziendale.
Partendo da tali presupposti metodologici, s'intende ora contribuire a declinare il concetto di “adeguatezza” di quelli che il legislatore definisce “assetti contabili” alla luce del finalismo che assegna loro nel comma 3 dell'articolo 3 del codice della crisi.
La predetta disposizione indica infatti esattamente gli output che il sistema informativo aziendale è chiamato a produrre, e che però non possono non essere declinati in relazione alla dimensione dell'impresa.
Come noto, sia l'art. 2086 c.c., che l'art. 3, commi 1 e 2, c.c.i.i. prevedono un generale obbligo a carico dell'imprenditore di dotarsi di un assetto contabile (oltre che organizzativo e amministrativo) adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa.
Il successivo comma 3 dell'art. 3 c.c.i.i. definisce meglio le informazioni minimali che gli stessi devono essere in grado di produrre, nei seguenti termini:
«Al fine di prevedere tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:
a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore;
b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;
c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2».
Le finalità normativamente individuate sono quindi rappresentate da:
rilevare eventuali squilibri aziendali;
verificare la sostenibilità dei debiti almeno per i dodici mesi successivi;
verificare le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi;
rilevare i segnali di crisi di cui al comma 4 dell'art. 3;
ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata di cui all'articolo 13, comma 2;
effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, comma 2.
Gli assetti contabili dovrebbero quindi essere giudicati “adeguati”, sotto il profilo di rispondenza alla norma, se consentono di raggiungere almeno i sopra elencati risultati. Il condizionale è d'obbligo poiché, come vedremo in seguito, in molte realtà di piccola o piccolissima dimensione alcuni degli obiettivi normativi possono essere raggiunti solo con qualche approssimazione e con costi difficilmente compatibili con le relative marginalità.
Vediamo quindi quale della strumentazione contabile indicata nel nostro precedente lavoro sia funzionale al rispetto del precetto normativo appena esposto.
La rilevazione degli equilibri (e squilibri) aziendali
Il monitoraggio delle fondamentali condizioni di equilibrio aziendale (economico, patrimoniale e finanziario) avviene attraverso la nota tecnica delle analisi di bilancio, le quali consistono nella riclassificazione dei documenti di sintesi contabile allo scopo di far emergere valori differenziali di per sé significativi e nel calcolo di quozienti tra le relative grandezze così riesposte (indici o ratios), sulle quali non abbiamo qui modo di soffermarci, dovendo rinviare quindi all’ampia letteratura esistente in materia.
Alla sua base è quindi posto il propedeutico presidio della redazione di un bilancio di esercizio che rappresenti correttamente la situazione patrimoniale, finanziaria ed il risultato attribuibile all’esercizio, a sua volta conseguente all’ordinata e regolare tenuta della contabilità generale.
L’analisi di bilancio dovrebbe auspicabilmente riferirsi non solo al bilancio annuale, ma estendersi anche a bilanci infrannuali e a bilanci preventivi, allo scopo di valutare ex ante gli impatti sugli equilibri aziendali delle azioni programmate ed ex post i risultati della gestione ad intervalli inferiori a quello annuale.
La valenza informativa delle analisi di bilancio è amplificata dall’analisi storica, che consente di cogliere gli andamenti aziendali, e spaziale, che permette di rilevare il posizionamento dell’azienda nei confronti del contesto competitivo di riferimento.
La predetta tecnica può ritenersi alla portata anche delle piccole imprese, consistendo in rielaborazioni di un documento contabile comunque obbligatorio, e può avere un approfondimento anche limitato, utilizzando cioè pochi indici significativi. Le eventuali difficoltà relative alla elaborazione ed interpretazione dei dati e alla loro valenza segnaletica, probabilmente non sempre alla portata di tutte le imprese dell’indicata taglia, potrebbero essere colmate mediante l’esternazione dell’incarico a professionisti contabili.
La sostenibilità dei debiti almeno per i dodici mesi successivi
La previsione normativa relativa all’obbligo di verificare la sostenibilità dei debiti almeno per i dodici mesi successivi è estremamente chiara e nella sua formulazione letterale non si presta ad equivoci. Consiste nella redazione di preventivi di tesoreria a dodici mesi “rolling”, ossia aggiornati mese per mese, in modo tale che il periodo temporale coperto dalla previsione sia sempre di almeno un anno.
Il preventivo di tesoreria rappresenta il documento di sintesi di tutta l’attività di pianificazione aziendale, poiché la dimensione finanziaria è l’ultima a venire in rilievo, essendo naturalmente preceduta da quella economica e da quella patrimoniale.
Dalla dimensione economico-patrimoniale dei fatti aziendali si passa infatti alla loro dimensione finanziaria assumendo gli ipotetici tempi in cui gli stessi si tradurranno in entrate ed uscite di cassa.
Ne consegue che il budget di tesoreria presuppone la redazione del budget economico, di quello degli investimenti, della previsione dei tempi medi di incasso dei crediti da clienti, del tempo medio di pagamento dei debiti di fornitura, dei tempi di rotazione delle giacenze di magazzino, dei tempi di pagamento delle altre uscite diverse (i.e. tributarie, contributive, ecc.), la ricognizione di tutti i debiti e di tutti i crediti esistenti all’inizio dell’esercizio e dei relativi tempo di incasso e pagamento, delle previsioni di ricorso ad ulteriore indebitamento, ecc.
Lo stesso rappresenta quindi un’attività estremamente impegnativa che, secondo la previsione normativa, dovrebbe essere ripetuta ogni mese.
Dato il richiamato chiaro e perentorio tenore letterale della norma, la trattazione dell’argomento potrebbe terminare con le considerazioni appena esposte, salvo ulteriormente approfondire gli aspetti manualistici delle modalità tecniche di redazione del documento.
Ma non vi è chi non veda come il descritto adempimento, nei termini sopra esposti, trovi difficile implementazione anche in realtà di medie dimensioni e sia sostanzialmente inapplicabile a quelle di taglia ridotta.
Occorre allora appellarsi ad una interpretazione sistematica della norma alla luce del criterio di adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza, richiedendo che nelle imprese di modesta dimensione la previsione di flussi finanziari prospettici non sia analitica e con cadenza mensile, ma per aggregati e con cadenze infrannuali.
In tal senso va anche un dato normativo: nel Decreto del Ministero della Giustizia 21 marzo 2023 di aggiornamento del decreto dirigenziale 28 settembre 2021, relativamente alla composizione negoziata per le micro e piccole imprese, al par. 4.11.4. è previsto che per la previsione dei flussi finanziari relativi al piano di risanamento – condizione quindi già drammatica – possa essere approssimata attraverso una pianificazione solo economica, prescindente da grandezze finanziarie. Secondo la predetta disposizione, infatti: «le micro e le piccole imprese possono ricorrere alle sole grandezze economiche senza convertirle in flussi di cassa. In tal caso occorre comunque: (i) verificare che l’ammontare degli investimenti di mantenimento sia adeguatamente espresso dagli ammortamenti (portando una rettifica in caso contrario); (ii) portare in conto l’effetto delle iniziative industriali previste; (iii) tenere conto della dismissione di cespiti e delle operazioni straordinarie programmate (a cura dell’imprenditore)».
L’esercizio di previsione che consegue anche nella proposta versione semplificata appare comunque estremamente utile poiché: i) è concretamente realizzabile; ii) impone comunque all’imprenditore il salto culturale sotteso alla disposizione in commento, volta ad una conduzione aziendale basata su proiezioni future; iii) è da considerarsi adeguato e sufficiente in realtà di piccole dimensioni, caratterizzate da andamenti altamente prevedibili, investimenti incrementali modesti, capitale circolante netto stabile.
La continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi
Nel nostro ordinamento, oltre che in plurime elaborazioni della dottrina aziendalistica e della migliore prassi professionale, è presente il concetto di “continuità aziendale”, il quale trova definizione nel principio contabile nazionale OIC 11, nel principio contabile internazionale IAS 1 e nel principio di revisione ISA 570.
Possiamo allora utilizzare le elaborazioni da tempo sedimentate nella dottrina e nella prassi contabile – come statuite in solidi principi contabili e di revisione – anche per meglio interpretare le indicazioni del c.c.i.i.
Allo scopo vengono in rilevo le indicazioni del principio di revisioneISA 570 il quale individua gli aspetti indicativi della “probabile” perdita della continuità aziendale in una serie di circostanze non meramente finanziarie (equilibrio finanziario) – indicatori della perdita dell’equilibrio finanziario sono: prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; difficoltà nel pagamento di dividendi arretrati o discontinuità nella distribuzione di dividendi; incapacità di pagare i debiti alla scadenza; incapacità di rispettare le clausole contrattuali dei prestiti; cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori, dalla condizione “a credito” alla condizione “pagamento alla consegna”; incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari – ma sintomatiche anche della perdita delle altre condizioni di equilibrio aziendale fondamentale, come di quello:
economico: principali indici economico-finanziari negativi; consistenti perdite operative o significative perdite di valore delle attività utilizzate per generare i flussi di cassa; bilanci storici o prospettici che mostrano flussi di cassa negativi
patrimoniale: situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo; eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine; indizi di cessazione del sostegno finanziario da parte dei creditori
strategico: perdita di membri della direzione con responsabilità strategiche senza una loro sostituzione; perdita di mercati fondamentali, di clienti chiave, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti; difficoltà con il personale; scarsità nell’approvvigionamento di forniture importanti; comparsa di concorrenti di grande successo; modifiche di leggi o regolamenti o delle politiche governative che si presume possano influenzare negativamente l’impresa.
Conclusivamente sul punto: anche le indicazioni dei principi contabili e di revisione portano alla conclusione per cui il rischio di perdita della continuità aziendale si sostanzia nell’incapienza dei flussi finanziari futuri in entrata a soddisfare le obbligazioni aventi scadenza nel medesimo lasso temporale e nella perdita di uno o più degli equilibri aziendali fondamentali.
La richiesta normativa sul punto deve quindi ritenersi assorbita dai presidi già esposti in ordine alla verifica della sostenibilità finanziaria nei dodici mesi a venire e degli equilibri aziendali fondamentali, avendo quindi più una funzione enfatica che un contenuto precettivo proprio.
La rilevazione dei segnali di crisi di cui al comma 4 dell'art. 3
I segnali che il comma 4 dell'art. 3 c.c.i.i. individua come sintomi della crisi sono rappresentati da:
a) esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni e pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
b) esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
c) esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;
d) esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall'articolo 25-novies, comma 1.
Le esposizioni debitorie previste dall'articolo 25-novies, comma 1, al verificarsi delle quali scatta l'obbligo di segnalazione da parte dei creditori pubblici qualificati all'imprenditore e, ove esistente, all'organo di controllo, attengono a debiti di carattere previdenziale e tributario.
Poiché tutti i menzionati “segnali” si sostanziano in esposizioni debitorie, gli stessi non possono non essere rilevati da un apparato contabile che possa definirsi minimamente adeguato. Anche il precetto normativo in esame deve quindi ritenersi assorbito da quello di ordinata e regolare tenuta della contabilità generale.
Il tema dell'adeguatezza sul punto si pone quindi su di un piano organizzativo-procedurale ed attiene alla definizione di una reportistica che periodicamente porti all'attenzione della direzione le indicate rilevanti informazioni.
Test pratico e check list per la redazione del piano di risanamento: considerazioni introduttive
Come abbiamo anticipato, gli assetti contabili, per essere definiti adeguati, devono essere in grado, tra le altre cose, di «ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2».
Il precetto normativo è stato ottemperato mediante l’emanazione del Decreto dirigenziale 21 marzo 2023, che sostituisce il precedente Decreto dirigenziale 28 settembre 2021.
Poiché le elaborazioni richieste dal citato Decreto presuppongono una situazione di crisi in atto (o, comunque, di una situazione di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi, a norma dell’art. 12, comma 1, c.c.i.i.), il rinvio che ad esso opera l’art.3, comma 3, lett. c), non deve essere inteso come un obbligo attuale di produzione in continuo, ma come capacità potenziale del sistema informativo di adempiere ove necessario.
Le informazioni richieste al sistema informativo aziendale per la redazione dei predetti documenti sono sostanzialmente assorbite dalla tenuta di una regolare contabilità, dalla redazione di bilanci di esercizio in ottemperanza alle disposizioni civilistiche ed ai principi contabili di riferimento, dalla predisposizione di bilanci infrannuali, dal monitoraggio dell’andamento della gestione mediante il confronto con gli andamenti passati e dalla elaborazione di previsioni di andamenti prospettici, con particolare riguardo ai flussi di cassa.
Nella sostanza, quindi, il precetto normativo nulla aggiunge alle condizioni in precedenza esposte per esprimere un giudizio di adeguatezza dell’asseto contabile, sempre da declinare nel caso concreto in relazione alla complessità ed alla dimensione aziendale. Sotto questo profilo, l’ovvia richiesta – per il contesto in cui la norma si inserisce – contenuta nel citato provvedimento di predisposizione di un piano di risanamento pluriennale non può ovviamente essere intesa quale obbligo da parte della generalità delle imprese di redigere un piano industriale con pari orizzonte temporale, per le considerazioni in precedenza svolte.
Considerazioni finali in ordine all'adeguatezza dell'assetto contabile in relazione alla “natura e dimensioni dell'impresa”
Alla luce delle considerazioni che precedono possiamo ora argomentare circa il giudizio di adeguatezza dell'assetto contabile in relazione ai parametri individuati dall'art. 2086 c.c. della “natura e dimensioni dell'impresa”.
La natura dell'impresa che qui viene in rilievo non è quella attinente alla forma giuridica attraverso la quale l'attività viene svolta, poiché le esigenze informative per il governo aziendale sono del tutto indifferenti a tale circostanza, ma alla complessità dell'attività svolta e all'articolazione organizzativa e geografica.
Il parametro dimensionale, poi, non può essere assunto secondo indici univoci relativi, per esempio, al fatturato, al valore dell'attivo o al numero di dipendenti, ma va declinato congiuntamente a quelli sopra esposti poiché a dimensioni economiche anche rilevanti potrebbe conseguire una complessità gestionale modesta, così come è vero il contrario.
La multidimensionalità che ne consegue fa sì che il giudizio di adeguatezza dell'assetto contabile (così come di quello organizzativo e amministrativo) non possa che essere formulato in relazione a ciascun caso concreto, utilizzando le ulteriori categorie della proporzionalità e della ragionevolezza, da declinarsi anche in relazione alle effettive dotazioni di risorse economiche ed umane a disposizione.
Per questi motivi, faremo in seguito riferimento a concetti di piccola, media e grande impresa senza indicare parametri quantitativi.
Il livello basico di un assetto contabile per imprese di piccola dimensione è rappresentato dalla contabilità generale e dalle sintesi periodiche, anche infrannuali, da questa ritraibili, le quali evidenziano l'entità complessiva delle grandezze economiche, patrimoniali e finanziarie e la loro tendenza. Il loro esame attraverso la tecnica dell'analisi di bilancio consente un primo giudizio sul tema, posto anche a livello normativo, della verifica degli equilibri aziendali, attività eventualmente da esternalizzare in assenza di adeguate competenze interne.
La predetta attività deve essere implementata mediante l'analisi storica, riferendola cioè anche ai bilanci di più anni consecutivi, permettendo così di monitorare le tendenze gestionali in essere.
Il ricorso sistematico ai dati contabili consuntivi al fine di monitorare periodicamente (anche per il tramite di apposite situazioni infrannuali) l'andamento della gestione rappresenta, inoltre, un primo passo verso il successivo sviluppo di sistemi di verifica delle performance aziendali più evoluti, con l'integrazione di dati previsionali e, successivamente, di strumenti di pianificazione e controllo.
Il rispetto del precetto normativo relativo alla verifica della sostenibilità dell'indebitamento per i successivi dodici mesi deve necessariamente essere interpretato nelle realtà di medio-piccola dimensione in maniera semplificata, come in precedenza esposto, e con verifiche infrannuali e non mensili.
Lo stesso presuppone comunque la formulazione di bilanci di previsione per l'esercizio a venire, attività alla portata di imprese di medio-piccola dimensione, eventualmente da svolgere attingendo a competenze professionali esterne, da ritenersi necessaria per un giudizio di adeguatezza dei relativi assetti. La stessa impone infatti all'imprenditore di confrontarsi con la formalizzazione degli andamenti attesi e di adottare, se del caso, le iniziative necessarie a far fronte agli eventuali segnali di crisi, come richiesto dall'art. 3, comma 1, c.c.i.i.. È inoltre propedeutica all'analisi degli scostamenti, ossia delle differenze tra risultati previsti e quelli conseguiti, che consente di indagarne le motivazioni, scorgendo le eventuali anomalie e disfunzioni che hanno impedito il dispiegarsi della gestione secondo le linee programmate e che possono rappresentare sintomi di avversità in corso.
L'analisi di bilancio storica si completa – al crescere della dimensione - con quella spaziale, relativa ai bilanci di altre imprese operanti nel medesimo settore, la quale consente di percepire le prime avvisaglie di un possibile declino già nel momento in cui le performance aziendali, pur positive, si dimostrano inadeguate rispetto a quelle dei principali concorrenti o alla media del settore. Per tale via si apre la strada all'analisi strategica ed alla redazione di piani industriali pluriennali che diano conto della strategia concretamente individuata.
Un ulteriore elemento di completamento di un assetto contabile da ritenersi adeguato al crescere della dimensione e complessità gestionale è costituito dalla o dalle contabilità analitiche, le quali, essendo deputate a rilevare alterazioni di tipo tecnico-organizzativo, sono adatte a cogliere quei sintomi di disfunzioni endo-aziendali - quali la resa degli impianti, dei fattori produttivi impiegati, eventuali condizioni di inefficienza, sovraccapacità o rigidità.
L'analisi degli scostamenti amplifica la sua potenza informativa se riferita alle combinazioni parziali oggetto di esame delle contabilità analitiche, piuttosto che ai dati di estrema sintesi della contabilità generale.
Conclusioni
Lo schematismo riassuntivo delle considerazioni che precedono non deve far perdere di vista il fatto che tutti gli strumenti utili alla rilevazione degli eventuali squilibri aziendali, singolarmente considerati, presentano potenzialità e limiti e che, pertanto, è fondamentale la loro implementazione congiunta.
Il sistema informativo-contabile deve cioè comporsi di una pluralità di strumenti di monitoraggio della gestione, che devono essere selezionati e costantemente adattati in funzione delle specifiche caratteristiche dell’impresa (dimensione, rischiosità operativa e finanziaria, turbolenza del contesto ambientale, ecc.).
Ribadiamo così che il giudizio complessivo di adeguatezza non può essere definito in astratto, potendo al contrario essere declinato solo nel caso concreto, alla luce della reale capacità di presidiare l’ordinato svolgimento della gestione e di intercettare tempestivamente i sintomi della crisi.
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Sommario
La rilevazione degli equilibri (e squilibri) aziendali
La sostenibilità dei debiti almeno per i dodici mesi successivi
La continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi
La rilevazione dei segnali di crisi di cui al comma 4 dell'art. 3
Considerazioni finali in ordine all'adeguatezza dell'assetto contabile in relazione alla “natura e dimensioni dell'impresa”