No alla libera restituzione dei versamenti in conto futuro aumento di capitale

Ciro Santoriello
30 Gennaio 2025

La pronuncia qui annotata chiarisce che la restituzione di versamenti operati dai soci in conto futuro aumento di capitale operata in assenza di fissazione del termine entro cui deve intervenire l’aumento di capitale - senza che sia acquisita certezza in ordine al suo mancato compimento - deve, in caso di insolvenza della società, essere qualificato in termini di distrazione.

Massima

Il prelievo di somme a titolo di restituzione dì versamenti operati dai soci in conto futuro aumento di capitale che interviene in assenza di fissazione del termine entro cui deve intervenire l’aumento di capitale - senza che sia acquisita certezza in ordine al suo mancato compimento - deve, in caso di insolvenza della società, essere qualificato in termini di distrazione.

Il caso

In sede di merito, l’amministratore di una società fallita era condannato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente alla restituzione ai soci di una somma di modesta entità dagli stessi in precedenza versata in conto futuro aumento di capitale.

In sede di ricorso per cassazione, per quanto rileva in questa sede, si contestava la rilevanza penale della restituzione dei versamenti ai soci, posto che fin dal momento del conferimento era previsto che le somme versate in vista di un futuro aumento di capitale potessero essere restituite ai soci ove non utilizzate.

A tale osservazione si aggiungeva poi che i versamenti in conto futuro aumento di capitale sono da considerarsi dei conferimenti potenziali che diventano effettivi solo nel momento in cui vanno ad incardinarsi nel capitale sociale, assumendo l’esclusiva destinazione di scopo sottesa al perseguimento dell’oggetto sociale: per questa ragione vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale come “altre riserve distintamente indicate” e sono vincolati, potendo essere utilizzati esclusivamente per la liberazione della parte di aumento di capitale a pagamento (riservato ai soci che li hanno eseguiti) a cui sono subordinati. Conseguentemente se l’aumento di capitale non è ancora stato deliberato ed è quindi futuro, le erogazioni fatte alla società non possono imputarsi al patrimonio netto bensì devono iscriversi fra i debiti della società verso coloro che le abbiano eseguite, poiché se l’aumento di capitale non venisse più deliberato, quanto meno entro un termine ragionevolmente prossimo, oppure non potesse venire attuato a causa della sua mancata integrale sottoscrizione, questi soggetti avrebbero diritto di richiedere alla società stessa la restituzione.

Venivano poi evidenziate ulteriori circostanze, quali l’assenza di uno stato di insolvenza, l’assenza di lettere di messa in mora, di richieste di pagamenti di creditori, che escludevano la configurabilità e riconoscibilità del delitto sotto l’aspetto soggettivo, non essendo ragionevolmente dimostrati quegli indici di fraudolenza sulla base di una valutazione ex ante ai fini di una concreta messa in pericolo dell’integrità patrimoniale della società e della proiezione soggettiva di tale messa in pericolo.

Quanto alla natura giuridica dei versamenti effettuati in “conto futuro aumento capitale sociale”, il problema di tale qualificazione giuridica nasce essendo frequente che, durante la vita di una società di capitali, i soci operino versamenti a vario titolo “fuori capitale”, ovvero diretti al finanziamento dei mezzi necessari allo svolgimento dell'attività sociale.

Sono versamenti effettuati dai soci in forma di erogazione di denaro diversa dai conferimenti; essi non vengono imputati al capitale sociale e dunque non costituiscono conferimenti.

Sono previste due modalità di perfezionamento di tali versamenti:

  1. a titolo di mutuo, con obbligo di restituzione da parte della società al socio conferente entro una determinata scadenza (finanziamento dei soci) ed in tal caso rappresentano un capitale di debito;
  2. senza obbligo di restituzione da parte della società, per cui assumono la forma di capitale di rischio.

Nella prassi, si parla di versamenti in conto aumento di capitale quando l'apporto è messo a disposizione della società dopo la delibera di aumento del capitale, ma prima della sua esecuzione (e dunque nel lasso di tempo intercorrente tra la data della delibera e la data di iscrizione della stessa o la data di apertura delle sottoscrizioni), con la finalità di anticipare la provvista per la sottoscrizione delle nuove emittende partecipazioni.

Ci si riferisce, invece, ai versamenti in conto futuro aumento di capitale qualora l'apporto sia messo a disposizione della società prima della delibera di aumento del capitale, con l'intento di anticipare alla società la provvista destinata alla sottoscrizione del relativo ammontare, a liberazione delle future emittende partecipazioni.

I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono considerati, quindi, dei conferimenti potenziali, che diventano effettivi solo nel momento in cui vanno ad incardinarsi nel capitale sociale, assumendo l'esclusiva destinazione di scopo sottesa al perseguimento dell'oggetto sociale; vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale come “altre riserve distintamente indicate” e (a differenza dei precedenti) sono vincolati (cd. targati), potendo essere utilizzati esclusivamente per la liberazione della parte di aumento di capitale a pagamento, riservata ai soci che li hanno eseguiti, a cui sono subordinati.

La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la piena legittimità dell'effettuazione, da parte dei soci, di versamenti societatis causa - ossia di veri e propri conferimenti “a rischio”, che confluiscono nel patrimonio sociale come componenti del netto - non imputati, o non imputati nell'immediato, a capitale (Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 1998, n. 12539; Cass. civ., sez. I, 21 maggio 2002, n. 7427).

La distinzione fra versamenti in conto capitale – o, meglio, in conto di futuro aumento di capitale - ed i menzionati finanziamenti a titolo di mutuo risiede nel fatto che i primi, pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale di rischio (non conseguendo essi ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso, ma essendo effettuati in previsione di essa) hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio, poiché essa imprime loro la destinazione a capitale di rischio - e non di credito - sicché vanno iscritti in un'apposita riserva “in conto futuro aumento capitale”, che trova sede nel passivo dello stato patrimoniale, e non come debiti della società, non dando essi luogo a crediti esigibili da parte del socio, potendo essere chiesti in restituzione - stante il vincolo di destinazione - solo nel caso in cui l'aumento di capitale non sia intervenuto entro il termine stabilito dalle parti o dal giudice - a cui può ricorrere il socio nel caso in cui il termine non sia stato preventivamente stabilito - e, ove non sia stato fissato alcun termine, rimane impressa sulla somma versata la sua destinazione al futuro aumento di capitale (Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2023, n. 24093).

Secondo questa impostazione, dunque, in caso di versamenti in conto capitale l'apporto del socio produce l'acquisizione definitiva al patrimonio della società delle somme versate, da assimilare al capitale di rischio, cui vanno equiparate agli effetti sostanziali; la riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma una eventuale distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio (Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16393; Cass., Cass. Civ., sez. I, 19 marzo 1996, n. 2314). Dunque, ove l'aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell'indebito; inoltre, i soci hanno diritto alla restituzione di tali somme solo in caso di scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale residual claimant (Cass. civ., sez. I, 20 aprile 2020, n. 7919).

In dottrina, A. Ferrucci, C. Ferrentino, Sull'analiticità o sinteticità del verbale, sugli effetti del mancato deposito dei titoli azionari, sulla natura dei versamenti in conto capitale e sull'art. 2467 c.c., in Riv. Not., 2009, 1059; T. Leone, Contributi in conto capitale: generalità della fattispecie e invalidità della delibera di restituzione ai soci, in Soc., 2009, 453; F. Gennari, Il diritto alla restituzione dei versamenti del socio in conto aumento capitale, ivi, 1996, 1267; N. De Luca, Natura giuridica dei versamenti di somme da parte dei soci. È questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti, in Fisco, 2000, 8638

Sulla scorta di questa impostazione, la giurisprudenza penale ha affermato che integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sia la restituzione ai soci dei versamenti conferiti in conto di aumento futuro di capitale, prima della scadenza del termine, pattuito o fissato dal giudice, per l'approvazione dell'aumento di capitale programmato; sia la restituzione operata, in assenza della fissazione di tale termine, nel corso della vita della società (Cass. Pen., sez. V, 23 giugno 2023, n. 39139).

La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato rigettato, ritenendosi infondata la questione relativa ai versamenti in conto di futuro aumento di capitale.

 Secondo la Cassazione, conformemente all'orientamento giurisprudenziale sopra menzionato, i conferimenti in conto di aumento futuro di capitale, entrando a far parte del patrimonio sociale, costituiscono, in caso di insolvenza della società, una garanzia del diritto dei creditori di essere informati sulle condizioni finanziarie della società, sicché soltanto a seguito del verificarsi della mancata adozione della delibera di aumento del capitale nel termine fissato sorge il diritto dei soci conferenti alla restituzione delle somme, mentre, qualora non sia stabilito alcun termine, le somme devono restare vincolate alla copertura dell'aumento di capitale.

Trattasi invero di somme che sono confluite nel patrimonio sociale e che devono rimanere ad esso acquisite fino a quando non si verifica il mutamento in capitale sociale in conseguenza della deliberazione del relativo aumento - che attribuisce loro definitamente la natura di capitale - ovvero non sia certo che tale mutamento non intervenga - per essere scaduto il termine fissato dalle parti o dal giudice senza che l'aumento di capitale sia intervenuto - circostanza quest'ultima che fa sorgere il diritto alla restituzione secondo la regola dell'indebito. Sicché ove non sia fissato un termine tali somme rimangono indefinitamente assoggettate al vincolo di destinazione che la volontà negoziale ha inteso attribuirvi.

Nel caso in cui non sia fissato un termine per dare corso all'aumento di capitale, non sorge alcun diritto alla restituzione fino a quando non diventi certo che non si procederà a tale aumento, perché è solo in tal caso e momento che viene meno la causa solvendi sottostante giustificativa del versamento. In caso di mancata fissazione di un termine (termine che, a rigore, ove non già stabilito dalle parti, deve essere fissato da un giudice all'uopo interpellato o dall'assemblea dei soci, organo deputato a decidere se effettuare o meno un aumento di capitale: Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2013, n. 17467; l'aumento di capitale è infatti un atto di organizzazione interno alla società - che implica tra l'altro una modificazione statutaria - per il quale il potere è di regola riservato all'assemblea dei soci, chiamata ad esprimere la volontà della società attraverso i quorum e le maggioranze previste dalla legge o dallo statuto), non si può far riferimento, per giustificare la restituzione, a concetti indefiniti come “tempo ragionevole trascorso”, senza neppure indicare gli elementi in base ai quali dovesse ritenersi oramai non più realizzabile l'aumento di capitale nonostante la inesistenza di un termine. Ne consegue che l'amministratore non può decidere, liberamente, di restituire le somme versate in conto futuro aumento di capitale durante la vita della società, né tanto meno egli può addurre a giustificazione della restituzione - come accaduto nel caso di specie - l'esistenza di delibere precedenti quando non indicano con certezza un termine per procedere.

Una tale conclusione è, secondo la Cassazione, necessaria per evitare che, consentendo l'effettuazione di versamenti qualificati come in conto di futuro aumento di capitale senza che siano ancorati ad un termine entro cui deve intervenire l'aumento stesso, ritenendoli in tale ipotesi liberamente restituibili, si avalli la creazione apparente di situazioni di liquidità su cui i creditori ben possono fare, incongruamente, affidamento, come poteva riscontrarsi nel caso deciso dalla sentenza in commento, posto che le restituzioni erano intervenute in una fase in cui la società non era già più in grado di soddisfare regolarmente i creditori, avendo avuto negli anni sempre problemi di liquidità con un indice di indebitamento molto elevato ed un indice di liquidità primaria pari a zero, con la conseguenza che la società non era in grado di far fronte alle passività.

Del tutto infondata viene poi ritenuta la deduzione difensiva secondo cui era stato necessario procedere alla restituzione onde interrompere il termine di prescrizione del diritto alla restituzione. Infatti, nel caso di specie, come in tutte quelle in cui il difetto della causa solvendi sopravvenga all'erogazione della somma di denaro, il diritto alla restituzione del socio non può sorgere nel momento in cui è avvenuto il versamento, ma solo nel momento in cui l'indebito si è concretizzato - nel caso in esame nel momento in cui è certo che l'aumento di capitale non ci sarà - sicché è da tale momento che decorre il termine decennale di prescrizione dell'azione di ripetizione.

In conclusione, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto futuro aumento di capitale che interviene in assenza di fissazione del termine entro cui deve intervenire l'aumento di capitale - senza che sia acquisita certezza in ordine al suo mancato compimento - deve, in caso di insolvenza della società, essere qualificato in termini di distrazione, nozione, questa, che la giurisprudenza di legittimità ricollega al distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Cass., sez. V, 9 ottobre 2008, n. 44891), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall'occultamento, dalla dissimulazione ecc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l'apprensione da parte degli organi del fallimento (Cass., sez. V, 1 febbraio 2019, n. 8431).

Considerazioni conclusive

Con riferimento ai versamenti dei soci a favore della persona giuridica di appartenenza, in alcuni casi la mancata imputazione a capitale dell'apporto finanziario del socio è sine die nel senso che l'apporto stesso è stabilmente destinato ad accrescere i “mezzi propri” della società senza alcuna contemporanea variazione del capitale nominale; in altri casi, invece, la mancata imputazione a capitale è solo temporanea, giacché il versamento resta, negli intenti, causalmente collegato ad un successivo e formale aumento del capitale, nel quale esso è destinato a confluire. In questo secondo caso, i soci creano un'area provvisoria di “stazionamento”, eseguendo in via anticipata conferimenti corrispondenti ad un aumento di capitale già deliberato, ma non ancora sottoscritto (“versamenti in conto aumento di capitale”), ovvero semplicemente programmato e da deliberare in futuro, entro un periodo di tempo determinato o meno (“versamento in conto futuro aumento di capitale”) e ciò nella precipua ottica di dotare immediatamente la società di nuovi mezzi finanziari, ponendola in condizione di far fronte alle proprie esigenze di cassa, senza dover attendere i tempi di perfezionamento dell'operazione.

In questi ultimi casi, il mancato aumento del capitale nel termine prestabilito (o, in difetto, fissato dal giudice in applicazione analogica dell'art. 1183 c.c., comma 2), operando, a seconda dei casi, come condizione risolutiva o sospensiva, determina l'insorgenza del diritto del socio alla restituzione del versamento, salva la possibilità di interpretare la mancata attivazione tanto dei soci che della società per la restituzione - non infrequente nella pratica - come espressiva del sopravvenuto comune intento di “convertire” i versamenti in parola in “versamenti in conto capitale” (Cass. civ., sez. 1 civile, 14 aprile 2006, n. 8876).

Il profilo che non viene esaminato nella decisione in commento attiene alle modalità con cui pervenire alla qualificazione di un versamento, con conseguente riconoscimento o meno del diritto del socio alla restituzione. Secondo la giurisprudenza, si tratta di questione di interpretazione della volontà delle parti e l'onere della prova grava sul socio che in proposito deve far riferimento non tanto alla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, quanto soprattutto al modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, alle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e agli interessi che vi sono sottesi (Cass. civ., sez. III, 6 lugli 2001, n. 9209).

In ogni caso, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 19 marzo 1996 n. 2314) ritiene che i versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell'essere destinati ad incrementare il patrimonio della società - talvolta anche sotto forma di copertura di perdite - senza però riflettersi (o, almeno, non immediatamente) sul capitale nominale della società stessa e senza, perciò, essere sottoposti ai vincoli legali propri del capitale sociale in senso stretto, sono apporti che in quanto appunto volti ad accrescere il patrimonio dell'ente dotandolo di ulteriori mezzi propri di cui esso possa disporre (il che evidentemente non accadrebbe se l'acquisizione delle somme erogate fosse bilanciata, al passivo, da debiti per restituzione di pari importo in favore dei soci), perciò stesso non danno luogo a crediti esigibili a richiesta del conferente durante la vita della società.

Solo una volta che si riscontri la mancata la deliberazione di aumento di capitale, essendo irrealizzata la condizione, cui il versamento si deve ritenere fosse stato risolutivamente condizionato, sorgerebbe per la società l'obbligazione di restituzione, sempre che le parti non abbiano inteso per questa eventualità comunque lasciare le somme versate nella disponibilità della società e dare altrimenti al socio la possibilità di chiedere che dal giudice venga fissato un termine, entro il quale la società sia tenuta a riunire l'assemblea per decidere l'aumento di capitale, si da determinare l'avveramento od il mancato avveramento della condizione.

Di conseguenza si afferma che la consegna di una somma di denaro non è, di per sé, circostanza idonea a porsi come fatto costitutivo di un diritto alla restituzione, laddove non risulti che essa sia avvenuta in esecuzione o a conclusione di un contratto che obblighi a restituire, gravando in questa ipotesi sull'attore l'onere di provare integralmente il fatto costitutivo della pretesa restitutoria, onere esteso all'indicazione di uno specifico titolo implicante il relativo obbligo (Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 1999 n. 738). In mancanza di tale prova, per configurarsi un obbligo di restituzione da parte della società che abbia ricevuto un conferimento in conto di futuro aumento di capitale occorre che le erogazioni siano state condizionate all'adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine.

Sulla scorta di tali conclusioni della giurisprudenza civile, in sede penale (Cass. pen., sez. V, 1 febbraio 2019, n. 8431; Cass. pen., sez. V, 21 giugno 2021, n. 32930) si afferma che l'indicata vicenda integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo i versamenti in conto futuro aumento capitale ad un credito esigibile nel corso della vita della società. Infatti, in ragione della causa giustificativa che sorregge le attribuzioni patrimoniali dei soci eseguite in conto di aumento (anche futuro) di capitale in favore della società, a tale elargizione non è correlato il diritto alla restituzione del denaro che, invece, in tanto può configurarsi, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, solo in quanto il programmato aumento del capitale non venga deliberato, così facendo venire meno la causa giustificativa: la condizione è che sia stato fissato un termine per l'approvazione dell'aumento. Può, allora, affermarsi che il conferimento va restituito se non viene deliberato l'aumento di capitale, nel termine stabilito dalle parti o dal giudice; in tale ultimo caso, il termine finale per il completamento dell'operazione di aumento, eventualmente non apposto, potrà essere individuato facendo riferimento - al fine di ritenere maturato il diritto alla ripetizione di quanto versato - alla natura dell'affare o agli usi, in applicazione in via analogica dell'art. 1331 comma 2 c.c. in tema di opzione, oppure dell'art. 1326, comma 2, c.c.

Secondo alcune decisioni (Cass. Pen., sez. V, 26 ottobre 2023, n. 39139), inoltre, in caso di crisi aziendale, il salvataggio attuato dai soci attraverso integrazioni del patrimonio, che possono avere diverse gradazioni, non può prescindere dalla garanzia di una informazione simmetrica tra soci e terzi sulle condizioni finanziarie della società. La ragione per la quale il conferimento destinato a coprire futuri aumenti di capitale deve essere assoggettato a un termine finale conoscibile anche dal ceto creditorio sta nella considerazione che i creditori confidano nel patrimonio dell'impresa per l'adempimento delle obbligazioni sociali. Diversamente ragionando, si trasferirebbe il rischio di impresa dalla società sui creditori, oltre a consentirsi la restituzione sine causa di somme conferite per altra ragione.

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