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Per attenuare i conflitti e garantire la bigenitorialità, sanzioni e astreintes possono essere un utile strumento

13 Febbraio 2025

Quali sono i rimedi avverso le condotte ostruzionistiche di un genitore che impediscono di garantire il rispetto del diritto alla bigenitorialità del minore e quali siano i presupposti per l’applicazione dell’art. 709-ter c.p.c. (norma abrogata dal d.lgs. 149/2022 e confluita nell’art. 473-bis. 39 C.p.c.) e se sia possibile applicarla congiuntamente all’art. 614-bis c.p.c.

Massima

Preso atto dell'impossibilità di riattivare forzatamente i rapporti tra un genitore e figlio, è possibile sanzionare l'altro genitore, ai sensi dell'art. 709-ter cpc, per non aver rispettato le prescrizioni impartite dal giudice. Le sanzioni previste dalla norma possono essere disposte unitamente alla determinazione di una somma di denaro da doversi corrispondere ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c. (c.d. astreinte), che ha una diversa finalità. I due istituti possono coesistere, allo scopo di  tutelare e garantire il rispetto del principio di bigenitorialità.

Il caso

Si tratta di una vicenda molto nota, che già nel 2022 era salita agli onori della cronaca per la decisione degli ermellini relativa alla decadenza della responsabilità genitoriale in forza di mero richiamo alla cosiddetta PAS.

A seguito della cassazione con rinvio della decisione della Corte di Appello di Roma (che aveva appunto disposto la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio della madre, l'allontanamento del bambino dalla famiglia e la temporanea sospensione di ogni rapporto tra la donna e il minore) all'esito della riassunzione la Corte territoriale ha:

- revocato la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale della madre, limitatamente alla gestione ordinaria;

- disposto l'affidamento del minore ai Servizi Sociali territorialmente competenti, delegati ad assumere tutte le decisioni più importanti;

- incaricato i Servizi "di monitorare l'evoluzione psicofisica del minore relazionando con cadenza almeno semestrale il Giudice Tutelare”;

- disposto la presa in carico del bambino da parte del servizio di tutela della salute mentale;

- stabilito il contributo per il mantenimento del minore, a carico del padre;

- respinto la domanda del padre di condanna della madre ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. “in difetto di prescrizioni” cui la madre debba attualmente attenersi.

Il padre ha proposto ricorso per la cassazione della decisione.

La questione

Quali sono i rimedi avverso le condotte ostruzionistiche di un genitore che impediscono di garantire il rispetto del diritto alla bigenitorialità del minore e quali siano i presupposti per l'applicazione dell'art. 709-ter c.p.c. (norma abrogata dal d.lgs. 149/2022 e confluita nell'art. 473-bis. 39 C.p.c.) e se sia possibile applicarla congiuntamente all'art. 614-bis c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorrente, con i primi motivi di ricorso, ha lamentato, sostanzialmente, che la Corte di Appello avesse revocato il provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale della madre, nonostante quest'ultima avesse impedito per anni qualsiasi contatto con il padre, e al contempo non avesse previsto un calendario di visite padre/figlio che consentisse di riprendere la frequentazione con il minore.

Con l'ultimo motivo, ha dedotto la violazione dell'art. 709-ter c.p.c. per non aver accolto la domanda di risarcimento del danno proposta a seguito dell'accertata violazione delle prescrizioni giudizialmente impartite.

Sul primo punto, la Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte di Appello di Roma, nell'ambito del giudizio riassunto, aveva compiuto una ulteriore attività istruttoria, disponendo una nuova CTU e procedendo all'ascolto il minore e che, all'esito, era emerso un netto rifiuto del figlio di incontrare il padre.

Tenuto conto, pertanto, della circostanza che la disfunzionale dinamica dei rapporti con la madre aveva comportato una “radicalizzazione” del rifiuto del figlio e della materiale impossibilità di individuare interventi efficaci e/o risolutivi per recuperare la relazione con il padre, si era preso atto del fatto che il ricorrente poteva solo “attenderlo pazientemente” nella speranza che, con il tempo, il ragazzo possa capire che le iniziative del padre avevano lo scopo di garantire il suo benessere.

In sintesi, la corte di appello aveva preso atto sia dell'impossibilità di coartare la volontà di un minore “palesemente ostile”, sia del concreto rischio di fuga e di crollo psicotico connessi ad un ipotetico collocamento eterofamiliare, e aveva quindi ritenuto rispondente all'interesse del medesimo minore revocare il provvedimento di decadenza, pur limitando, di fatto, il relativo esercizio.

Di fronte ad un atteggiamento di totale chiusura del figlio divenuto ormai adolescente che, nonostante l'accertato condizionamento materno e l'insanabile frattura con il padre, aveva comunque raggiunto un suo equilibrio, il collegio ha quindi ritenuto rispondente all'interesse del minore non imporre forzatamente una frequentazione, ma individuare degli interventi che consentissero al ragazzo di recuperare fiducia nel padre, per arrivare poi in modo graduale ad un riavvicinamento.

La decisione della corte territoriale, pertanto, ha fatto corretta applicazione dei principi espressi con l'ordinanza Cass. n. 9691/2022 del giudice di legittimità (che aveva disposto il rinvio) in quanto, pur avendo accertato le condotte disfunzionali materne, con la decisione censurata è stato perseguito esclusivamente l'interesse del minore.  

Gli ermellini hanno altresì precisato che il diritto alla bigenitorialità deve essere garantito tenendo conto anche delle conseguenze che la decisione che si va ad assumere avrà sulla vita del minore, ivi comprese le eventuali ripercussioni che “una brusca e definitiva sottrazione dello stesso dalla relazione familiare con la madre, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita sull'assetto cognitivo” può comportare sull'assetto cognitivo della prole (nello stesso senso Cass. civ. sez. I, 5 agosto 2024).

A ciò si aggiunga che, comunque, era stato confermato l'affidamento al servizio sociale, al quale è stata delegata l'assunzione delle decisioni più rilevanti, con una consistente limitazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale.

L'unico motivo accolto è quello relativo alla mancata condanna della madre al risarcimento del danno per non avere consentito al padre di esercitare il diritto alla bigenitorialità.

In merito la Suprema Corte ha richiamato una delle argomentazioni della pronuncia del 2022 (ordinanza 9691 del 24 marzo 2022) resa tra le medesime parti (che, come detto, aveva portato al giudizio di rinvio) ovvero che "tra le misure che le autorità debbono considerare - come richiesto dai principi CEDU in ordine all'effettività del principio di bigenitorialità - potrebbe semmai essere efficace l'utilizzo delle sanzioni  economiche ex art. 709-ter c.c. nei confronti di quel coniuge il quale dolosamente o  colposamente si sottragga alle prescrizioni impartite dal giudice".

Gli ermellini hanno evidenziato che nel ricorso in riassunzione il padre aveva richiesto sia che fosse sanzionato il comportamento pregresso della donna – che, di fatto, aveva impedito il pieno esercizio della responsabilità genitoriale – sia l'applicazione dell'art 614-bis c.p.c. per l'ipotesi in cui in futuro la madre avesse continuato a reiterare un comportamento ostativo e impeditivo dei rapporti con l'altro genitore e, preliminarmente, hanno esaminato la questione relativa alla individuazione della norma applicabile ratione temporis, tenuto conto del fatto che l'art. 703-ter c.p.c. è stato abrogato dal decreto legislativo n. 149/2022 e trasposto nell'art. 473-bis.39 c.p.c.

In merito si è rilevato che, in virtù del disposto dell'art. 35, comma 1 del d. lgs. n. 149/2022, l'art. 473-bis. 39 c.p.c. si applica ai procedimenti instaurati a decorrere dal 28 febbraio 2023 e, pertanto, al caso di specie è applicabile l'art. 709-ter c.p.c., norma correttamente invocata dal ricorrente.

L'art.709-ter c.p.c., in seguito alla modifica intervenuta a far data dal 22 giugno 2022, dispone che il giudice possa disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis” (comma 2 n. 3)).

Nel testo vigente prima dell'abrogazione, dunque, la norma prevede espressamente che il giudice oltre alle sanzioni indicate ai numeri 1 e 2, possa anche disporre la condanna in futuro prevista dall'art. 614-bis c.p.c., stabilendo l'importo dovuto dal genitore ostacolante per ogni singola violazione o inosservanza delle disposizioni impartite, allo scopo di evitare che nel prosieguo le disposizioni del giudice possano essere violate.

La Suprema Corte ha confermato che si tratta di misure adottate unitamente ad una statuizione giudiziale, quale strumento di prevenzione indiretta e precisa che le “sanzioni” previste dai numeri 1) e 2) del comma 2 dell'art. 709 ter c.p.c. presuppongo che una violazione sia già accertata, mentre nell'ipotesi prevista dal numero 3) la violazione non si è ancora verificata, ma sussistono elementi che possono far ritenere che la decisione del giudice potrebbe non essere rispettata.

Nell'ordinanza in commento, il giudice di legittimità ha altresì precisato che i precedenti arresti che avevano escluso l'applicabilità dell'art 614-bis c.p.c. alla materia del diritto di famiglia (Cass. 6471/ 2020; Cass. 7262/2022) si riferivano a ipotesi relative al mancato esercizio del diritto di visita da parte del genitore non collocatario, per sottolineare che il diritto dovere di frequentare regolarmente la prole non è coercibile neppure in modo indiretto, trattandosi di adempimento rimesso esclusivamente ad una esecuzione spontanea.

In altre fattispecie, peraltro, pronunce successive hanno poi pacificamente ammesso che l'art. 614-bis c.p.c. trova applicazione anche in materia di diritto di famiglia (Cass. n. 21970/2022, relativa alla previsione di una misura di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c. applicata nei confronti del coniuge collocatario unitamente ai provvedimenti previsti dall'art. 709-ter c.p.c.; Cass. n. 23800/2023, relativa all'applicazione, sempre unitamente a sanzioni ex art. 709-ter c.p.c., di una astreinte per ogni giorno di ritardo nella rimozione di immagini e notizie inerenti la vita dei figli minori divulgate sui social), proprio per garantire al minore il rispetto del diritto alla bigenitorialità.

Con il ricorso per la cassazione della sentenza in esame, però, il ricorrente ha lamentato solo la violazione dell'art. 709-ter c.p.c., in punto di mancata applicazione dei rimedi sanzionatori ivi previsti, ma non è stata denunciata la mancata pronuncia sulla richiesta di applicazione anche dell'art. 614-bis c.p.c., (domanda contenuta invece nelle sue conclusioni del ricorso in riassunzione).

La decisione del giudice di legittimità si è quindi limitata alla valutazione della mancata applicazione dell'art. 709-ter c.p.c. e ha evidenziato che la Corte di Appello di Roma aveva riconosciuto che la criticità del rapporto padre-figlio era imputabile al comportamento ostacolante della mamma, atteggiamento stigmatizzato nel provvedimento impugnato che, nella parte motiva, ha indicato i plurimi comportamenti non collaboranti della donna.

La decisione di negare il risarcimento richiesto "in difetto di prescrizioni cui Ma.La. debba attualmente attenersi" è stata quindi ritenuta incongrua, atteso che il padre aveva chiesto di sanzionare l'inadempimento passato, ormai accertato in modo incontestato e persino “rimarcato dalla Corte d'Appello che ha disposto l'affidamento ai Servizi  sociali e indicato la madre come collocataria solo perché ciò rappresentava il "male  minore" per il ragazzo”.

In effetti la norma prevede quale unico presupposto per l'adozione di una delle misure sanzionatorie ivi indicate che si siano verificate “gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento”; non occorre dunque siano contestualmente previste delle specifiche indicazioni e/o prescrizioni da seguire, essendo sufficiente che il genitore abbia tenuto una condotta che sia risultata dannosa per la prole o abbia comunque ostacolato il regolare svolgimento del regime di affidamento.

Osservazioni

La vicenda processuale, molto nota in quanto oggetto di decisioni che hanno avuto un'eco notevole, affronta un tema che, purtroppo, è sempre più comune: il rifiuto della prole di incontrare un genitore.

Si tratta di una criticità frequente e la circostanza è confermata dal fatto che il legislatore, con la recente riforma, ha ritenuto opportuno prevedere all'art. 473-bis. 6 c.p.c. una specifica disposizione (“Rifiuto del minore a incontrare il genitore”) che dispone che il giudice proceda all'ascolto del minore “senza ritardo” e assuma “sommarie informazioni sulle cause del rifiuto” disponendo eventualmente anche l'abbreviazione dei termini processuali.  

La norma recentemente introdotta dimostra che vi è piena consapevolezza della necessità di intervenire rapidamente, per evitare che situazioni pregiudizievoli per la prole possano cristallizzarsi e divenire di fatto irreversibili.

Nel caso in commento, peraltro, neppure la massima sanzione possibile – ablazione della responsabilità genitoriale e affidamento del minore al servizio – è riuscita ad arginare la condotta ostacolante della mamma, e il trascorrere del tempo senza interventi risolutivi ha fatto che sì che sia divenuta materialmente impossibile la ripresa dei rapporti.

Risulta particolarmente rilevante il riferimento al fatto che il diritto alla bigenitorialità sia, anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori, per questo deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete dirette a realizzare in primis il miglior interesse della prole; il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone dunque che possa e debba essere perseguito tenendo comunque conto del miglior interesse di quest'ultimo, e, pertanto, assume carattere recessivo se questo non è concretamente garantito

Si vedano al riguardo anche Cass. civ. sez. I, 8 giugno 2023, n. 16231 che ha precisato che il giudice deve ponderare attentamente le dichiarazioni del minore in sede di ascolto “al fine di individuare quale sia il superiore interesse del minore stesso e, ove intenda disattendere le valutazioni e le aspirazioni espresse nel corso dell'ascolto, deve compiere una rigorosa verifica della contrarietà di una simile volontà al suo interesse” e Cass. civ. sez. I, 5 agosto 2024, n. 21969 che ha ribadito: “se il figlio minore, adolescente e con piena autonomia di giudizio, prova nei confronti di un genitore sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa, talmente radicati da non poter essere facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche, vanno sospesi gli incontri tra il minore stesso e il coniuge non affidatario”.

Anche l'ordinanza in esame, preso atto del sostanziale fallimento di tutti gli interventi disposti, ha ritenuto di non poter imporre la frequentazione, ma ha compiuto un ulteriore passo evidenziando che può essere utile, nelle situazioni di così particolare gravità, disporre delle sanzioni di carattere economico nei confronti del genitore inadempiente/ostacolante, che possono fungere da deterrente per le violazioni future e divengono quindi una forma di coercizione indiretta.

In merito si ricorda che con l'ordinanza Cass. n. 32290/2023 la Corte di Cassazione aveva chiarito che gli interventi sulla famiglia nei casi di separazione, divorzio e affidamento dei figli possono distinti in due aree:

  1. sostegno e supporto alla famiglia, che vanno ad ampliare le risorse destinate al benessere del minore, nei quali un soggetto terzo viene affiancato ai genitori al fine di supportarli ed assisterli nello svolgimento dei loro compiti (sia pure nel rispetto del diritto di autodeterminazione, sul punto v. Cass. n. 17903 del 22/06/2023), supportando e assistendo al contempo la pole ed esercitando una funzione di vigilanza;
  2. in tutto o in parte ablativi della responsabilità genitoriale, quando si dispone la decadenza o si pongono limiti per l'accertata l'incapacità totale o parziale del genitore ad assolvere i suoi compiti.

Nel primo caso l'insieme di poteri e doveri che costituiscono la responsabilità genitoriale resta immutato e “si procede per accrescimento o addizione delle risorse dirette ad assicurare il best interest of the child”, nella seconda ipotesi, invece, “alla sfera delle funzioni genitoriali (poteri e doveri) vengono sottratte alcune competenze e il compito di esercitare le funzioni tolte ai genitori (e le correlate responsabilità) viene demandato a terzi; si procede quindi per sottrazione e non per addizione”.

È doveroso, in proposito, sottolineare che la dottrina – e anche la scienza psicologica e neuropsichiatrica – ritengono che tali interventi dovrebbero restare distinti e non siano sovrapponibili, mentre nella prassi di frequente vengono emessi provvedimenti che assegnano ai servizi sociali compiti sia di controllo, sia di sostegno, che, invece, non sono sovrapponibili.

Quando i sopradescritti interventi sono risultati inefficaci, o si teme che possano non essere sufficienti, si deve però tenere conto del fatto che le sanzioni previste dall'art. 709 ter c.p.c. e le misure coercitive indirette di cui all'art. 614-bis c.p.c. (ora art. 473-bis.39 c.p.c.) possono essere un utile strumento per evitare, o porre fine a, quei comportamenti ostruzionistici che impediscono il corretto esercizio del diritto alla bigenitorialità e garantire il rispetto delle decisioni del giudice.

È noto, inoltre, che la CEDU, nei casi di rifiuto immotivato di un genitore di consentire l'accesso all'altro, più volte ha invitato gli Stati ad intervenire in modo rapido ed efficace, con misure non stereotipate ed automatiche, per garantire l'effettività dei diritti relazionali in gioco e, in rima con tale indicazione, la recente riforma ha introdotto una specifica sezione (libro II - Titolo IV Bis - Capo II  Sezione III) dedicata espressamente alla “attuazione dei provvedimenti” nella quale sono contenute norme finalizzate a consentire al giudice di intervenire fattivamente e rapidamente.

Tra queste, assume particolare rilievo l'art. 473-bis.39 c.p.c. che conferisce al giudice il potere di intervenire, anche di ufficio, modificando i provvedimenti già adottati disponendo, inoltre, l'ammonimento del genitore inadempiente e la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa, oppure individuando “ai sensi dell'articolo 614 bis la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento”, statuizioni che possono essere assunte unitamente alla condanna del genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell'altro genitore o, anche d'ufficio, del minore.

Tale disposizione costituisce piena applicazione dei principi indicati dalla Suprema Corte con la decisione in esame: per essere efficace la giustizia deve intervenire tempestivamente per evitare che si radichino e si stabilizzino situazioni dannose per i figli coinvolti nel conflitto, e quando gli interventi disposti dal Tribunale si rivelano insufficienti o del tutto inefficaci, si deve procedere con l'irrogazione di sanzioni, tra le quali può risultare di particolare interesse la condanna in futuro, che costituisce un forte deterrente per il genitore ostacolante.

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