I. La tematica affrontata dal decreto in oggetto involge l'assai delicata tematica delle scansioni procedimentali del rito semplificato di cognizione, a seguito della novellazione recata dal decreto correttivo (d.lgs. n. 164/2024), che ne ha ridisegnato gli assetti e l'architettura complessiva.
Assai significativa ed anzi «molto positiva» (SALVANESCHI, Luci e ombre sullo schema di decreto legislativo correttivo e integrativo delle disposizioni processuali introdotte dalla riforma Cartabia, in Judicium, 4 aprile 2024, 8, si riferisce ad una «correzione sicuramente opportuna») si rivela l'innovazione veicolata nel nuovo quarto comma dell'art. 171-bis (introdotto ex novo dal d.lgs. n. 164/2024): «se ritiene che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 281-decies, il giudice dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato di cognizione e fissa l'udienza di cui all'articolo 281-duodeciesnonché il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti».
In modo conseguenziale, la previsione riguardante la conversione in semplificato, da compiere all'esito dell'udienza di prima comparizione (a tenore dell'art. 183-bis c.p.c.), è stata abrogata.
Con il Correttivo, il Governo ha preso atto delle criticità emerse nella prassi, «accogliendo le sollecitazioni giunte da alcuni dei primi commentatori» (come testualmente si esprime la Relazione Illustrativa, 12; GAMBINERI, Il procedimento semplificato di cognizione (o meglio il nuovo processo di cognizione di primo grado), in Quest. Giust., 2023, 9, precisa: la «scelta di posticipare il passaggio dei rito all'udienza, cioè dopo il giro delle memorie integrative, rende la previsione priva di significato». In termini analoghi, la Relazione Illustrativa, 15), in particolare prevedendo l'immediata conversione del procedimento, da ordinario in semplificato, tramite pronunzia del decreto ex art. 171-bis c.p.c., in presenza dei presupposti indicati dall'art. 281-decies c.p.c.
L'anticipazione del mutamento del rito in sede di verifiche preliminari, a tenore del Correttivo, dovrebbe garantire «sensibile accelerazione dei tempi di definizione della causa stessa» (Relazione Illustrativa, 15); una scelta omogenea rispetto al principio di speditezza del processo (ex art. l. n. 206/2021).
Non solo: tale opzione è stata suggerita dalla prassi pretoria, la quale tende(va) a “saltare” gli adempimenti procedurali previsti in vista della prima udienza di comparizione (in tal senso, si era pronunziato per primo Trib. Piacenza 1° maggio 2023, con nota adesiva di MASONI, Verifiche preliminari ed immediata conversione del rito ordinario in semplificato di cognizione, in IUS Processo civile, 29 maggio 2023; in Trim. dir. Proc. Civ., 2023, 4, 1307 e segg, con nota di CASTAGNO, Processo con pluralità di parti e nuovo rito semplificato di cognizione; Trib. Mantova, 10 novembre 2023, in Il caso).
Ammettendo la conversione del rito da ordinario in semplificato in sede di verifiche preliminari si incentiva l'utilizzo di quest'ultimo rito, come da più parti è stato suggerito. Al contempo, la novella restituisce al giudice, nella sua pienezza, il ruolo forte di «direzione del procedimento», in funzione del suo «più sollecito e leale svolgimento» (art. 175 c.p.c.). La scelta sul rito più consono alla tipologia di contenzioso (case manager) viene sottratta al difensore della parte che, nel primo biennio applicativo della riforma processuale, ha mostrato di non apprezzare il nuovo rito semplificato, statisticamente assai poco richiesto ed ancor meno praticato, che così è stato opportunamente rimesso nell'alveo della giurisdizione, cui istituzionalmente compete.
La possibilità di conversione del rito è ora ammessa, a seguito dell'abrogazione dell'art. 183-bis c.p.c. che lo consentiva alla prima udienza, unicamente in sede preliminare e non più in una fase processuale successiva.
Oggi, tale opzione è esercitabile in sede di verifiche preliminari, in una fase processuale in cui la natura embrionale del thema decidendum non sempre permette al giudice di verificare ponderatamente la sussistenza dei presupposti necessari di conversione.
Il problema potrebbe insorgere quando la parte, inizialmente contumace, si costituisca tardivamente in giudizio così purgando la contumacia (art. 293 c.p.c.), in tal modo evidenziando che una causa che prima facie appariva semplice, tale in realtà non è. Giustificando la riconversione del rito in ordinario, un'eventualità che, tuttavia, nella prassi non appare statisticamente frequente.
II. La scelta di convertire il rito non riveste carattere discrezionale (dato che rappresenta un potere-dovere del giudice), dato che suppone la presenza dei presupposti normativi:
- fatti non controversi;
- causa documentale o di pronta soluzione;
- istruzione non complessa (art. 281-decies, comma 1, c.p.c.);
per quanto l'opzione di conversione rimanga nozione sfumata, dato che la complessità della lite non costituisce concetto rigido, statico ed indiscutibile.
Da un punto di vista dinamico, il giudice, mediante pronunzia di «decreto», dispone la conversione del rito, fissando la prima udienza del procedimento semplificato (art. 281-duodecies c.p.c.), al contempo, assegnando alle parti un «termine perentorio» per «integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti».
Come osserva la Relazione Illustrativa (p. 16), la modifica correttiva (di cui all'art. 171-bis c.p.c.) riproduce analoga previsione dettata dall'art. 426 c.p.c., in ipotesi di mutamento del rito da ordinario in speciale (lavoristico-locatizio).
I termini di deposito sono «perentori» e sono assegnati dal g.i col decreto ex art. 171-bis c.p.c.; termini che, a seconda della scelta del magistrato, potrebbero essere concessi sfalsati ovvero potrebbe essere assegnato un unico termine alle parti (rientrando ciò nella discrezionalità giurisdizionale: art. 175, capoverso, c.p.c.).
Se i termini assegnati sono «perentori» ciò significa che, una volta decorsi, maturano preclusioni assertive ed istruttorie, salva possibilità di limitati aggiustamenti successivi (come dispone il terzo comma dell'art. 281-duodecies c.p.c.), secondo la falsariga dell'art. 420 c.p.c., dettato per l'udienza di discussione del rito speciale.
Il deposito della memoria integrativa serve per contestare la conversione del rito, come per dotare (o integrare) la causa del corredo probatorio, oltreché per contestare le circostanze dedotte da controparte, fatta salva la possibilità di richiedere la concessione del duplice termine di deposito di memorie (ex art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c.), «quando l'esigenza sorge dalle difese della controparte» (secondo l'innovata formulazione data dal decreto correttivo).
Dato che il convenuto si costituisce in giudizio nella fase ordinaria ex art. 166 c.p.c., tramite pronunzia del decreto di cui all'art. 171-bis c.p.c. la prima udienza, susseguente a conversione del rito in semplificato, potrebbe essere cartolarizzata (art. 127-ter c.p.c.); dato che il rito semplificato non prevede comparizione personale delle parti, ovvero espletamento di ulteriori attività processuali incompatibili con la sostituzione dell'udienza (interrogatorio libero e tentativo di conciliazione: v. art. 281-duodecies c.p.c.).
III. La Relazione illustrativa ha evidenziato che la previsione normativa di conversione immediata del rito (introdotta dal d.lgs. n. 164/2024) riproduce analoga previsione dettata in tema di conversione del rito ordinario in quello speciale, di cui all'art. 426 c.p.c. Per la ricostruzione sistematica della conversione in oggetto appare giocoforza riferirsi all'elaborazione interpretativa maturata e consolidatasi per la conversione disposta art. 426 c.p.c. (tanto per il rito del lavoro, che per quello locatizio).
Vanno con ciò ricordati i principi affermati in materia (per il rito locatizio, si vult, MASONI, Il processo ordinario delle locazioni, Milano, 2025, II ed., 101 e segg.; per quello laburistico, LOMBARDI, Il nuovo processo del lavoro, Milano, 2025, 93 e segg.), ovvero che:
- le memorie integrative sono eventuali («le parti possono integrare gli atti introduttivi»), non depositabili in presenza della completezza degli atti introduttivi del giudizio o nella contumacia del convenuto;
- le memorie autorizzate possono contenere nuove istanze istruttorie oppure possono integrare le prove già in precedenza articolate (Cass. civ., sez. lav., 8 novembre 1996, n. 9774):
- le memorie, in quanto integrative, non possono contenere domande nuove (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23908), fatta salva la possibilità di porre a fondamento della domanda «una causa petendi diversa da quella originariamente formulata» (Cass. civ., sez. VI, 10 gennaio 2023, n. 324);
- restano ferme le preclusioni già maturate nel rito ordinario, dato che l'integrazione «non comporta regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, ma permette alle parti di “adeguare le difese alle regole del rito speciale» (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2023, n. 22392);
- l'ordinanza di mutamento del rito va comunicata, a pena di nullità degli atti successivi da dedurre quale motivo d'appello (Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 1982, n. 3277), alla parte non costituita, in quanto «espressione di un principio generale del nostro ordinamento volto a garantire il diritto di difesa» (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2015, n. 24341) e secondo cui la parte non deve essere pregiudicata da variazioni processuali di rilievo;
- la mancata assegnazione del termine di integrazione vizia il procedimento fino a condurre alla nullità della sentenza, laddove l'omissione abbia «comportato pregiudizio o limitazioni del diritto di difesa» (Cass. civ., sez. lav., 16 gennaio 2001, n. 511; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19942);
- il provvedimento che dispone il mutamento del rito non è impugnabile, in quanto provvedimento endoprocessuale (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 1979, n. 4967; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1997, n. 2876);
- il decreto che dispone la conversione è sempre revocabile con «ordinanza non impugnabile» nel contraddittorio d'udienza (a tenore dell'innovato art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c.).
Ciò significa che, melius re perpensa, il giudice potrebbe nuovamente rimettere le parti in ordinario. In tal caso, rispetto alle parti, non si formano preclusioni di alcun genere («rispetto alle quali decorrono i termini previsti di cui dall'art. 171-ter c.p.c.»). E' questa l'ipotesi già adombrata, della costituzione tardiva della parte, la cui difesa evidenzi la complessità della causa.
Quest'ultimo provvedimento di (ri)conversione è processualmente immodificabile ed irrevocabile (art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c.)
IV. Dalla natura «perentoria» dei termini di integrazione, il decreto in commento ha fatto discendere una preclusione processuale alla concessione, in sede di prima udienza del rito semplificato convertito, dei termini per l'appendice scritta, come invece prevede l'art. 281-duodecies, comma 4 c.p.c.
In contrario a quest'impostazione, si evidenzia anzitutto che é inammissibile desumere preclusioni processuali non espresse dal testo positivo.
In ogni caso, l'art. 281-duodecies, comma 3 c.p.c. (come parzialmente novellato dal d.lgs. n. 164/2024), alla prima udienza del procedimento, permette alle parti, «a pena di decadenza», di «proporre domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle parti».
Questo significa che l'attore può avanzare alla prima udienza una «domanda nuova», la reconventio reconventionis (come espressamente precisa la Relazione Illustrativa, 16), ovvero, formulare nuove eccezioni conseguenti al dibattito processuale, ovvero conseguenti alle produzioni effettuate.
A questo punto, la parte potrebbe richiedere un termine (ex art. 281-duodecies, comma 4 c.p.c.) per replicare alla nuova eccezione o alla domanda nuova formulata da controparte o alle difese altrui.
In definitiva, l'interpretazione restrittiva prospettata dal decreto scaligero potrebbe impedire il pieno dispiegarsi della dialettica processuale, «il pieno sviluppo della libera esplicazione del diritto di difesa» (come precisa la Relazione cit.), laddove si ritenesse inammissibile la concessione del termine previsto dal quarto comma in ipotesi di conversione immediata del rito.
In tal modo, sarebbe vulnerato il principio del contraddittorio (art. 111, capoverso, Cost.).
Tale lettura rischierebbe di porsi in conflitto (pure) col disposto di cui all'art. 24 Cost., in tema di tutela del diritto inviolabile di difesa in giudizio (v. CAPUTO, Il procedimento semplificato di cognizione ed il rapporto con il procedimento ordinario, Relazione per i MOT nominati con D.M. 22 ottobre 2024, Napoli, 17 gennaio 2025, 35); senza soggiungere che il testo normativo neppure pone testuali limitazioni alla concessione dei termini richiesti ex quarto comma, che sono concedibili, in termini astratti e generali, «quando l'esigenza (del contraddittorio scritto: n.d.a.) sorge dalle difese di controparte».
Ancora, come è stato segnalato (nota critica al provvedimento qui annotato, TARASCHI, Memorie integrative ed istruttorie nel rito semplificato post conversione: incompatibilità?, in IUS Processo civile, 24 gennaio 2025), l'art. 171-bis, comma 4, c.p.c., col richiamare l'art. 281-duodecies, non esclude l'applicazione di alcuno dei commi di cui tale ultima norma si compone - e pertanto neppure il quarto comma (in tema di appendice scritta) - come invece faceva l'abrogato testo dell'art. 183-bis c.p.c. (abrogato), che disponeva la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato «e si applica(va) il comma quinto dell'art. 281-duodecies».
Per concludere, se le parole hanno un senso, la concessione del termine sembra un potere-dovere del giudice («il giudice, se richiesto, concede...»), più che una facoltà discrezionale, come invece emergeva dal precedente testo normativo («se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere...»), cosicché la soluzione interpretativa prospettata dal decreto scaligero non pare dotata di solido fondamento positivo e, laddove accolta, si risolverebbe in una tacita abrogazione del comma 4 dell'art. 281-duodecies c.p.c., in ipotesi di conversione del rito da ordinario in semplificato.
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