All’Adunanza plenaria quesiti in tema di violazione del dovere di sinteticità degli atti processuali
19 Marzo 2025
Massima Sono deferite all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni di diritto: i) se la previsione di cui all'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. vada intesa nel senso di stabilire un vero e proprio dovere del giudice di non esaminare le parti degli atti processuali eccedenti i limiti dimensionali, senza alcun margine di discrezionalità; ii) in caso di risposta negativa al precedente quesito, quali siano le conseguenze che il giudice deve o può ricavare dalla violazione dei suddetti limiti dimensionali; iii) se le modifiche introdotte al citato art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. dalla legge 30 dicembre 2024, n. 205, si applichino anche ai giudizi in corso alla data della loro entrata in vigore ovvero soltanto ai ricorsi proposti dopo tale data. Il caso L'inammissibilità dell'appello per superamento del limite dimensionale di cui all'art. 3, comma 1, lettera a), del d.P.C.S. 22 dicembre 2016. Con l'ordinanza in commento il Consiglio di Stato deferisce all'Adunanza plenaria quesiti relativi alle conseguenze processuali del superamento del limite dimensionale fissato dall'articolo 3, comma 1, lettera a), del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, in attuazione della previsione di cui all'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. L'ordinanza di rimessione è stata adottata nel giudizio di appello promosso avverso una sentenza del T.A.R. Lazio che, adìto in primo grado con ricorso ai sensi dell'art. 116 cod. proc. amm., avverso un diniego di accesso agli atti di un Fondo Pensione, aveva giudicato inammissibile la domanda, in quanto ritenuta intesa ad un “surrettizio e non consentito controllo esplorativo e generalizzato” dell'operato dell'Ente. Il Fondo appellato ha, quindi, eccepito in via preliminare l'inammissibilità del gravame proposto dal privato soccombente in primo grado, sul rilievo che i motivi di impugnazione sarebbero ricompresi interamente nella parte del ricorso che, superando il limite dimensionale di cui all'art. 3, comma 1, lettera a), del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, non sarebbe dovuta essere esaminata a norma dell'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. Il Consiglio di Stato ritiene fondata l'eccezione, chiarendo che ciò che rileva ai fini del rispetto dei limiti dimensionali è il numero delle battute e che le uniche parti che, a norma dell'articolo 4 del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, vanno escluse dal computo sono l'intestazione e le conclusioni. Rigetta, quindi, l'istanza di autorizzazione successiva al superamento dei limiti dimensionali, non apparendo prima facie sussistenti i "gravi e giustificati motivi" che ai sensi dell'articolo 7 d.P.C.S. 22 dicembre 2016 solo possono legittimare un'autorizzazione ex post, nonché la richiesta dell'appellante di espungere alcune pagine da lui specificamente indicate, non ricorrendo le condizioni previste dall'art. 7 ("è in ogni caso fatta salva la facoltà della parte di indicare gli argomenti o i motivi cui intende rinunciare"). Rilevata, così, la pertinenza dell'eccezione sollevata da parte appellata, il Consiglio di Stato dà conto della esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti sul tema dell'interpretazione del già citato art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm., sotto il profilo delle conseguenze della sua violazione, tale da indurre a sollecitare l'intervento chiarificatore dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, anche in considerazione della rilevanza della questione, non ravvisando nell'appello proposto profili di manifesta infondatezza. La questione Le conseguenze del superamento del limite dimensionale di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, ai sensi dell'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. e questioni di diritto intertemporale. Con l'ordinanza di rimessione in commento, il Consiglio di Stato esamina la questione dell'impatto del superamento del limite dimensionale di cui all'art. 3, comma 1, lettera a), del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, sull'ammissibilità del mezzo di impugnazione e, quindi, espone i contrastanti orientamenti giurisprudenziali che si sono formati sul punto. In premessa chiarisce la rilevanza generale del principio di sinteticità e chiarezza nel processo amministrativo, in quanto codificato dall'art. 3, comma 2, cod. proc. amm., e definito quale “frammento” del più ampio principio del giusto processo di ragionevole durata legato, a sua volta, alla considerazione della giustizia quale “risorsa scarsa”. La questione delle conseguenze processuali della violazione del principio di sinteticità e chiarezza risulta controversa a causa della mancanza di espresse indicazioni normative sul punto. Le uniche conseguenze codificate sono, infatti, individuate nell'art. 26 cod. proc. amm., in materia di condanna alle spese di lite, e all'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. laddove si prevede che «il giudice è tenuto ad esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione». Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, la previsione di cui all'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. stabilirebbe un vero e proprio dovere del giudice di non esaminare le parti degli atti processuali eccedenti i limiti. Secondo un indirizzo, minoritario, la norma consentirebbe al giudice di decidere se esaminare o meno le parti eccedenti i limiti, in ragione della rilevanza e delicatezza delle questioni trattate e degli interessi in campo, ovvero di tenere conto del superamento dei limiti dimensionali sotto altri profili e quindi: (i) ai fini dell'invito a riformulare le difese o a sintetizzare con memoria; (ii) ai fini della concessione alla controparte della possibilità di replicare sulla parte eccedente; (iii) ai fini della valutazione della violazione del dovere di sinteticità in sede di liquidazione delle spese processuali. Secondo un terzo indirizzo giurisprudenziale, il superamento dei limiti dimensionali andrebbe valorizzato solo nella misura in cui esso concorra a determinare una più generale violazione dei principi di chiarezza e specificità dei motivi (di ricorso e di appello), quale si riscontra nelle ipotesi in cui la prolissità e l'estrema lunghezza delle difese rendano non comprensibili e non confinabili il petitum e la causa petendi dell'atto, in contrasto con gli artt. 40, comma 1, lett. c, e 101, comma 1, cod. proc. amm. Il Consiglio di Stato decide, quindi, di sottoporre all'Adunanza Plenaria anche un quesito sulla questione di diritto intertemporale, a sua volta potenzialmente foriera di ulteriori contrasti di giurisprudenza, dell'immediata applicabilità o meno della novella introdotta dalla legge n. 207/2024 ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore. La nuova formulazione dell'articolo 13-ter, comma 5, delle norme di attuazione al cod. proc. amm. prevede, infatti, in caso di superamento dei limiti dimensionali per gli atti processuali, la sola possibilità di irrogare una sanzione corrispondente all'aumento del contributo unificato previsto. La questione che si pone è, quindi, di considerare il nuovo articolo 13-ter come disposizione regolatoria del potere del giudice di decidere se esaminare o meno le parti eccedenti i limiti, applicabile ai processi in corso, ovvero come disposizione innovativa, ritenendosi ormai cristallizzato l'effetto regolatorio della precedente versione dell'articolo 13-ter (con conseguente sanzione di inammissibilità della parte eccedente o del ricorso tout court) per i giudizi instaurati prima della novella legislativa. La soluzione giuridica La pluralità di ragioni a favore dell'orientamento che esclude sanzioni processuali in caso di violazione dei principi di sinteticità e chiarezza. Il Consiglio di Stato, prima di rimettere la questione all'Adunanza Plenaria, espone dettagliatamente tutte le ragioni a sostegno dell'orientamento giurisprudenziale, sia pur minoritario, secondo cui la previsione di cui all'art. 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm. lascia spazio al giudice di decidere se esaminare o meno le parti eccedenti i limiti, anche in considerazione della rilevanza e delicatezza delle questioni trattate e degli interessi in campo. La prima ragione è fondata sull'argomento testuale secondo il quale la norma sopra richiamata si è limitata a prevedere che il giudice esamini tutte le questioni trattate nei caratteri rientranti nei margini permessi, autorizzandolo a non pronunciarsi in ordine alle questioni contenute nelle parti extra limina, senza che tale omissione possa - eccezionalmente - costituire motivo di appello. Peraltro, sempre sul piano testuale, il principio codificato dall'art. 3, comma 2, cod. proc. amm. contiene l'endiadi “sintesi e chiarezza” che induce a ritenere che sia il giudice a dover valutare, in maniera ponderata, se effettivamente è stata rispettata dagli atti processuali una proporzione argomentativa e quantitativa. Sotto il profilo della coerenza ordinamentale, il Consiglio di Stato richiama l'opzione seguita per il processo civile dall'art. 46 disp. att. cod. proc. civ. che esclude invalidità in caso di mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione degli atti processuali. Sul piano costituzionale, un'interpretazione in chiave sanzionatoria dell'articolo 13-ter citato potrebbe porsi in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione e con l'art. 6 CEDU - sotto il profilo del rispetto del diritto di difesa e del principio di ragionevolezza nell'individuazione della sanzione processuale rispetto alla violazione commessa. Infine, il Consiglio di Stato reputa opportuna una lettura liberale della norma, in quanto si potrebbero esporre le sentenze che omettano automaticamente la valutazione degli atti eccedenti i limiti dimensionali al sindacato ex art. 111, comma 8, Cost., per diniego di giurisdizione, oltreché, sul piano della razionalità del complessivo quadro regolativo, si rischierebbe di attribuire a criteri dettati da una norma interna alla giustizia amministrativa (qual è la norma fissata dal d.P.C.S.) efficacia di fonte del diritto incidente su diritti costituzionalmente protetti. Osservazioni Il principio di sinteticità e chiarezza al vaglio dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: da principio generale a dovere specificamente sanzionato. Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza di rimessione in commento, sottopone all'Adunanza Plenaria quesiti volti a testare la portata del principio di sinteticità e chiarezza che permea tutto il processo amministrativo. È stato, infatti, evidenziato in dottrina che, oltre alla sua affermazione quale principio generale, all'art. 3, comma 2, cod. proc. amm., esso è declinato in diverse altre norme del processo amministrativo: all'articolo 74 sulla disciplina dell'udienza pubblica; all'articolo 55, comma 7, sulla trattazione dell'udienza in camera di consiglio per la discussione dell'istanza cautelare; agli articoli comma 1, lett. c) e d), e 101, comma 1, cod. proc. amm. in relazione al contenuto del ricorso introduttivo in primo grado e in appello. Nella ricostruzione generalmente accolta dalla giurisprudenza, sia ordinaria sia in particolare amministrativa, il principio di chiarezza e sinteticità degli atti giudiziari risulta di fondamentale importanza, in quanto strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo, che soddisfa l'interesse generale dell'efficiente allocazione delle limitate risorse giudiziarie. Il processo amministrativo ha, poi, rappresentato il primo ambito in assoluto nel quale è stato dato un contenuto concreto al principio di sinteticità, attraverso la determinazione di limiti dimensionali con il d.l. n. 90/2014 e con il d.l. n. 168/2016, delegandone l'attuazione a un d.P.C.S. e rappresentando, così, un modello molto avanzato per l'effettiva attuazione del principio in discorso. Proprio l'evoluzione di tale modello, progressivamente realizzatosi, anche grazie all'avvento, dal 2017, del processo amministrativo telematico (PAT), che ha segnato una tappa epocale sul piano della innovazione tecnologica della Giustizia amministrativa, ha ispirato le proposte del gruppo di lavoro ministeriale sulla sinteticità degli atti processuali nel processo civile, sfociate nella nuova formulazione dell'art. 121, comma 1, c.p.c. e nella pressoché completa riscrittura dell'art. 46 disp. att. c.p.c., norma con la quale si delegano al Ministero della giustizia - sentiti il CSM e il CNF - la definizione e l'aggiornamento degli schemi informatici, dei criteri e dei limiti di redazione degli atti processuali. Tuttavia, in assenza di espresse indicazioni legislative, in dottrina e giurisprudenza si è riscontrata una notevole difficoltà a ricostruire in maniera univoca il quadro sanzionatorio per le ipotesi di inosservanza dei canoni di chiarezza e sinteticità degli atti di parte. D'altronde, il Consiglio di Stato, nell'ordinanza in commento, utilizza diversi argomenti e criteri di interpretazione letterale e sistematica, per escludere sanzioni processuali in termini di inammissibilità e invalidità e non per indicare in positivo quali sono in concreto le conseguenze processuali della violazione del principio di sinteticità e chiarezza. La ragione di tale argomentazione “in negativo” si rinviene proprio nell'assenza di una previsione normativa che stabilisca univocamente le conseguenze della violazione dei limiti dimensionali come declinati nel d.P.C.S. 22 dicembre 2016, non essendo a tal fine sufficienti i riferimenti contenuti nell'art. 26 cod. proc. amm., in punto di condanna alle spese, e all'articolo 13-ter, comma 5, disp. att. cod. proc. amm., in punto di omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo. In altri termini, mancherebbe nel sistema processuale amministrativo una chiara e precisa norma precettiva che sancisca un vero e proprio di dovere di sinteticità con annessa previsione sanzionatoria. Una indicazione positiva si può, invero, attualmente ricavare nel sistema del processo civile all'articolo 46, comma 5, disp. att. cod. proc. civ. e nel D.M. di attuazione n. 110 del 2023 che prevedono che il mero superamento dei limiti dimensionali dell'atto di parte rileva unicamente ai fini della liquidazione delle spese, non essendo ipotizzabili ripercussioni dirette sul piano della validità dell'atto processuale, neppure con riguardo alla disciplina degli atti di impugnazione. Tuttavia, anche con una normativa di tal specie è stato segnalato dai primi commentatori che vizi dell'atto processuale riconducibili alla violazione del principio di sinteticità e chiarezza, in considerazione della sua struttura endiadica, potrebbero pur sempre rappresentare indici sintomatici di forme di abuso del processo, dissimulare la temerarietà della pretesa, oppure ostacolare l'esercizio dei diritti e/o l'adempimento degli oneri difensivi della controparte (si pensi, ad esempio, all'onere di contestazione specifica exarticolo 115 cod. proc. civ.), in violazione del dovere di lealtà e probità di cui all'articolo 88 cod. proc. civ., tanto da potersi intendere l'atto processuale privo di requisiti formali indispensabili al raggiungimento dello scopo obiettivo dell'atto e pregiudicarne addirittura la validità ex art. 156, comma 3, c.p.c. La recente modifica dell'art. 13-ter, comma 5, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo introdotta dalla legge finanziaria 2025 (30 dicembre 2024, n. 207), entrata in vigore il 1° gennaio 2025, contiene, per la prima volta, un'indicazione precisa sulle conseguenze della violazione dei limiti dimensionali, riconoscendo il rispetto di tali limiti come un vero e proprio dovere processuale e stabilendo che la parte che è incorsa nella violazione, indipendentemente dall'esito del giudizio, può essere tenuta al pagamento di una somma complessiva per l'intero grado del giudizio fino al doppio del contributo unificato e, ove occorra, in aggiunta al contributo già versato. La suddetta novella normativa fa, quindi, porre al Consiglio di Stato il dubbio della sua efficacia nei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, soprattutto accedendo alla tesi secondo la quale il già più volte citato articolo 13-ter non avrebbe previsto già una sanzione processuale obbligata alla violazione dei limiti dimensionali e, quindi, potrebbe ora ritenersi integrata dalla “sanzione” pecuniaria - facoltativa - parametrata al contributo unificato. Tuttavia, anche laddove l'Adunanza Plenaria dovesse escludere che l'articolo 13-ter, nella sua versione originaria, abbia previsto qualsivoglia sanzione automatica di inammissibilità o inutilizzabilità dell'atto processuale eccedente i limiti dimensionali, la risposta al quesito sul regime intertemporale della norma modificata non dovrebbe essere “a rime obbligate” nel senso indicato dall'ordinanza di rimessione. In altri termini, la scelta dell'orientamento da seguire in relazione all'interpretazione dell'articolo 13-ter nella sua versione originaria non vincola l'esito della decisione in relazione all'efficacia temporale della novella legislativa, in quanto andrebbe approfondita autonomamente la questione della sua natura sanzionatoria - o meno - in senso tecnico. Se, infatti, venisse riconosciuta alla suddetta norma natura sanzionatoria, in ossequio al principio generale di irretroattività delle fattispecie di responsabilità amministrativa (art. 1, l. n. 689/1981), se ne dovrebbe, comunque, escludere la portata retroattiva ai giudizi instaurati prima della sua entrata in vigore, analogamente a quanto già sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa in relazione all'istituto di cui all'art. 26, comma 2, cod. proc. amm., nonché dal legislatore del 2022 (cd. riforma “Cartabia”) che ha espressamente previsto l'esclusione dell'applicazione ai giudizi in corso di tutte le nuove norme che hanno innovato il processo civile, compresa la norma che ha introdotto una nuova sanzione processuale all'art. 96, comma 4, c.p.c. D'altronde, la nuova disposizione contiene al suo interno diversi indici della sua natura sanzionatoria: la sanzione prescinde, infatti, dalla domanda di parte ed è posta a presidio della risorsa “scarsa” della giustizia; il suo gettito, commisurato a predeterminati limiti edittali, è destinato al bilancio della giustizia amministrativa, applicandosi l'art. 15 delle disp. di attuazione del cod. proc. amm. e, infine, la condotta sanzionata risponde al canone di tipicità e precisione, trattandosi di illecito istantaneo che si consuma al momento del deposito dell'atto processuale che viola il limite dimensionale stabilito dalla legge. A titolo esemplificativo: BARBIERI, Il superamento dei limiti dimensionali stabiliti per i ricorsi giurisdizionali amministrativi, in Diritto processuale amministrativo, 1/2022, 223 CANALE, La violazione del dovere di sinteticità e chiarezza: abuso del processo?, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 3/2018, 1025 G. PAOLO CIRILLO, Dovere di motivazione e sinteticità degli atti, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, vol. 42, Il nuovo diritto processuale amministrativo, a cura di G. PAOLO CIRILLO, Padova, 2014, 33 COMMANDATORE, Sinteticità e giusto processo: il decalogo del Consiglio di Giustizia Amministrativa, in www.lexitalia.it NOCETO, Chiarezza e sinteticità degli atti di parte nella recente riforma del processo civile. Minimi tentativi di inquadramento sistematico, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.2, 1 giugno 2024, 617 NUNZIATA, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo: fra valore retorico e regola processuale, in Diritto processuale amministrativo, 4/2015, 1327 SAITTA, La violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, in Il Processo, 3/2019, 539 C. VOLPE, Dovere di motivazione della sentenza e sinteticità degli atti delle parti processuali, in Giustamm., 3, 2015 |