Estromissione e legittimazione ad agire

Redazione Scientifica Processo amministrativo
01 Aprile 2025

L'“estromissione” consiste nella riduzione del numero delle parti del processo, che con ordinanza del giudice, riscontrate le sopravvenienze sostanziali, esclude la parte; produce effetti processuali sulla parte intesa “in senso processuale” e non sostanziale.

Una società proprietaria di un'attività commerciale proponeva ricorso, integrato da motivi aggiunti, al T.a.r. per il Lazio nei confronti di Roma Capitale, per l'annullamento della determinazione dirigenziale, mai comunicata o notificata alla ricorrente, di ingiunzione a demolire opere edilizie abusive, del verbale di sopralluogo della Polizia locale di Roma Capitale (non posseduto dalla ricorrente) e dell'accertamento tecnico dell'asserito abuso edilizio (non posseduto dalla ricorrente). Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente domandava l'annullamento del provvedimento con cui Roma Capitale vietava di proseguire l'attività commerciale e delle note del Comando del Gruppo di polizia locale competente. A sostegno dei motivi aggiunti, la ricorrente deduceva che la determinazione dirigenziale impugnata, si baserebbe sull'erroneo presupposto della pretesa abusività delle opere nel locale in cui si svolge l'attività. Di qui il provvedimento impugnato sarebbe affetto da invalidità derivata. Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché l'inibitoria dell'attività commerciale avrebbe dovuto riguardare solo una parte svolta nei locali asseritamente abusivi, e non l'intera attività.

Si costituivano in giudizio il R.U.P., con richiesta  di “estromissione” dal giudizio, e Roma capitale contestando, in via pregiudiziale di rito, l'inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti per omessa notifica al controinteressato, proprietaria del locale sede delle opere abusive e per omessa impugnazione della determinazione dirigenziale di Roma Capitale per sopravvenuta carenza di interesse, avendo la ricorrente demolito, seppure in parte qua, le opere abusive per cui è causa.

Sull'”istanza di estromissione per difetto di legittimazione passiva dal giudizio” presentata dal R.U.P., esaminata in via pregiudiziale, il Collegio ha precisato che l'“estromissione” consiste nella riduzione del numero delle parti del processo, con ordinanza del giudice che, riscontrato il verificarsi di sopravvenienze sostanziali, esclude la parte interessata dalle stesse; dunque, non trattandosi da un istituto processuale generale, trova applicazione solo nelle tre ipotesi tassative previste agli artt. 108,109 e 111 c.p.c. Peraltro, l'”estromissione” deve essere tenuta distinta dall'istanza con cui la parte intimata eccepisce il difetto della titolarità della situazione giuridica soggettiva e chiede una pronuncia parziale non definitiva e di merito (non di rito), che accerti il difetto di rispondenza tra la domanda del ricorrente nei suoi confronti e l'esistenza di una situazione giuridica soggettiva passiva in capo a sé. A sua volta è necessario distinguere il “difetto di legittimazione passiva”, che rileva in chiave processuale quale condizione dell'azione. Per completezza, il Collegio ha precisato che nel processo amministrativo, diversamente che nel processo civile, la nozione di titolarità della situazione giuridica soggettiva e di difetto di legittimazione passiva si sovrappongono, in quanto, come chiarito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8232/2021, non è sufficiente che il ricorrente alleghi la sussistenza della legittimazione attiva/passiva, ma è necessario dimostrare l'effettiva titolarità di una situazione giuridica di interesse legittimo pretensivo/oppositivo. La legittimazione ad agire assume, dunque, una connotazione sostanziale, costituendo la proiezione nel processo dell'interesse legittimo.

Venendo al caso di specie, in applicazione dei suddetti principi, il Collegio ha ritenuto non fondata l'eccezione sollevata dal R.U.P., controinteressato, volta alla sua “estromissione per difetto di legittimazione passiva”, in quanto, ove debba essere intesa in senso tecnico, quale istanza di “estromissione”, è inammissibile, non vertendo in alcune delle tre ipotesi predette.

Sul punto, il Collegio nel ritenere di esaminare la questione nella sentenza che definisce il giudizio e di non adottare, sulla posizione del R.U.P., una sentenza parziale non definitiva, ha precisato che affinché una parte privata, diversa dall'Amministrazione che ha adottato il provvedimento impugnato, possa essere intimata nel processo amministrativo, deve essere titolare di un contro-interesse diretto, immediato, effettivo, derivante direttamente dal predetto provvedimento, che fa sorgere la posizione giuridica di interesse legittimo oppositivo, onde evitare di perdere il bene della vita che quel provvedimento gli ha accordato. Nel caso di specie, il R.U.P. non può considerarsi, in base al rapporto di immedesimazione organica, soggetto distinto dall'Amministrazione che ha adottato l'atto, perciò non può essere considerato, processualmente, parte resistente; inoltre non consegue alcuna utilità pratica dal provvedimento impugnato, per cui non è controinteressato.

Successivamente il Collegio ha ritenuto infondata anche l'eccezione pregiudiziale sollevata da Roma Capitale, di omessa notificazione del ricorso introduttivo alla controinteressata, proprietaria del locale ove sono le opere abusive. Questa non può essere ritenuta titolare di un interesse contrario a quello della ricorrente, ma titolare dello stesso interesse (legittimo oppositivo), per cui deve ritenersi cointeressata, non trovando applicazione l'art. 49 c.p.a., relativo all'integrazione del contraddittorio.

Il Collegio ha respinto l'altra eccezione di Roma Capitale, di improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente, avendo quest'ultima eseguito in parte l'ordinanza di demolizione impugnata. Infatti, trattandosi di ottemperanza parziale e non totale, non può ritenersi venuto meno l'interesse alla definizione del giudizio: in caso di sentenza favorevole potrebbe voler ripristinare le opere rimosse nonché agire in via risarcitoria nei confronti di Roma Capitale.

Quanto al ricorso introduttivo il Collegio lo ha ritenuto inammissibile, dato che la ricorrente non era titolare di alcun interesse a impugnare la determinazione dirigenziale di Roma Capitale, poiché l'ordine di demolizione era rivolto al proprietario dell'immobile, mentre la ricorrente ha allegato solo la propria qualità di conduttore. Ad avviso del Collegio il conduttore non è titolare di un interesse diretto e immediato all'impugnazione dell'ordine di demolizione impartito al locatore, bensì di un interesse mediato, riflesso e indiretto, che lo avrebbe, se del caso, legittimato a spiegare intervento ad adiuvandum nel giudizio caducatorio eventualmente azionato dal proprietario.

Il Collegio ha ritenuto fondata l'eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio, per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata da Roma Capitale. La ricorrente ha impugnato la determinazione dirigenziale di Roma Capitale, ma non la successiva determinazione notificata in qualità di conduttrice responsabile dell'abuso. Pertanto, anche in caso di accoglimento del ricorso introduttivo e di annullamento del primo ordine di demolizione, rimarrebbe comunque fermo il secondo, per non essere divenuto definitivo e, come tale, inoppugnabile.

Infine, sulla doglianza con i motivi aggiunti relativa all'invalidità derivata della determinazione che vietava la prosecuzione dell'attività, il Collegio ha affermato che la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo, impone il rigetto dei motivi aggiunti per incompatibilità logica. Invece, ad avviso del Collegio non sussiste il vizio del citato provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, per cui Roma Capitale avrebbe dovuto limitare l'inibitoria solo alla parte dell'immobile oggetto delle opere abusive, non essendo possibile ipotizzare, per il rilascio del titolo abilitativo e della prosecuzione dell'attività, un'osservanza parziale delle norme urbanistiche.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha dichiarato il ricorso introduttivo inammissibile, e comunque improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, e ha respinto nel merito i motivi aggiunti.

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