Il ruolo del PM nelle procedure concorsuali regolate dal c.c.i.i.: considerazioni generali (1/3)

Ciro Santoriello
09 Aprile 2025

Questo primo scritto approfondisce, in generale, il compito del PM di partecipare alla procedura concorsuale, che si estrinseca, da un lato ed in via preliminare, nell’evidenziare alle autorità competenti l’esistenza di una crisi aziendale che merita di essere gestita secondo le modalità previste dal c.c.i.i. e, dall’altro, nel verificarela correttezza delle modalità di svolgimento della procedura concorsuale. Viene, infine, trattata la previsione di cui all’art. 348 d.lgs. n. 14 del 2019 che consente all’ufficio di Procura di investigare prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale.

Premessa. Il duplice ruolo del pubblico ministero nella crisi d'impresa

Da sempre è previsto che il pubblico ministero eserciti un significativo ruolo nell'ambito delle diverse procedure di gestione ed emersione delle crisi d'impresa. Conformemente a quanto dispone nell'art. 73 ord. giud., che attribuisce a quest'organo il compito di «vegliare all'osservanza della legge, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia» e nella relazione del ministro guardasigilli sul codice di procedura civile, dove si legge (n. 14) il pubblico ministero procede «quando l'interesse pubblico reclama che l'esercizio dell'azione sia svincolato dalla iniziativa privata», in ambito concorsuale al soggetto in parola è attributo un duplice ruolo.

Accanto, ovviamente, alle funzioni repressive, che si concretizzano nell'indagine prima e nell'esercizio dell'azione penale dopo in relazione agli illeciti di bancarotta richiamati dagli artt. 322 d.lgs. n. 13 del 2019, al titolare del potere inquirente è attribuito l'ulteriore compito di partecipare alla procedura concorsuale, partecipazione che a sua volta si estrinseca in una duplice veste. Da un lato ed in via preliminare, l'ufficio inquirente è legittimato, in presenza di determinati presupposti, a far emergere la difficoltà economica in cui versa l'impresa tanto da rendere necessario valutare la possibilità di arrestare le sue ordinarie modalità di funzionamento, sollecitando l'adozione di soluzioni per il superamento della crisi aziendale o per porre termine alla sua operatività; dall'altro, il pubblico ministero verifica la correttezza delle modalità di svolgimento della procedura concorsuale, evidenziando al giudice eventuali comportamenti del (gestore del)l'impresa che meritano forme di reazione ed eventualmente la modifica della procedura di gestione della crisi con passaggio alla più radicale soluzione delle liquidazione giudiziale.

Nelle pagine che seguono, l'attenzione si soffermerà sul ruolo del pubblico ministero quale organo di giustizia, salvo che per un paragrafo dedicato alla previsione di cui all'art. 348 d.lgs. n. 14 del 2019 che consente all'ufficio di Procura di investigare prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale.

Pubblico ministero ed emersione delle difficoltà economiche dell'azienda

Nessun dubbio, in termini generali, sussiste sulla legittimazione del pubblico ministero ad evidenziare alle autorità competenti l'esistenza di una crisi aziendale che merita di essere gestita secondo le modalità previste dal d.lgs. n. 14 del 2019, anche se, come vedremo, tale principio incontra alcune eccezioni in relazione ad alcune procedure concorsuali.

La legittimazione in parola ha titolo originario ovvero non sussiste in conseguenza dell'inerzia di altri soggetti, come i creditori sociali o i titolari dell'azienda: il pubblico ministero, con compiti squisitamente civilistici, è parte pubblica alla quale è rimesso il precipuo compito di agire, ai sensi dell'art. 38 CCII, per la rapida emersione della crisi nonché il compito di garantire il corretto svolgimento delle procedure di risoluzione della crisi ed il terzo comma dell'art. 38 d.lgs n. 14 del 2019– espressione dell'art. 70 c.p.c. - lo legittima a intervenire in tutti i procedimenti diretti all'apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza. In quest'ottica il pubblico ministero è collettore della notitia decotionis e destinatario degli atti che costituiscono gli snodi essenziali delle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza; la sua partecipazione si caratterizza come essenziale perché sia garantita la tutela delle posizioni soggettive coinvolte nella crisi dell'imprenditore commerciale.

Con riferimento alla liquidazione giudiziale, la legittimazione del pubblico ministero è espressamente riconosciuta (o presupposta) da molteplici disposizioni normative. Non rileva solo il disposto degli artt. 37 e 38 d.lgs. n. 14 del 2019 ma anche le precedenti previsioni di cui agli artt. 22 – in tema di segnalazione al pubblico ministero dell'insolvenza dell'ente rilevata in sede di composizione negoziale -, e 33 – con riferimento alla possibilità per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività di una impresa individuale o di imprenditori collettivi cancellati d'ufficio dal registro dell'impresa -, la cui ratio va rinvenuta per l'appunto nella necessità di fornire al pubblico ministero gli elementi per avanzare istanza di liquidazione sulla scorta di una accertata insolvenza aziendale, o ancora le previsioni di cui agli artt. 41 e 43 che consentono al pubblico ministero, rispettivamente, di intervenire in una procedura aperta su istanza di altro soggetto ovvero di coltivare istanza di liquidazione dopo che il soggetto che aveva in precedenza avanzato analoga domanda vi abbia rinunciato, ed infine l'art. 50 che consente al pubblico ministero di esperire reclamo contro la sentenza che rigetta l'istanza.

Rispetto alla disciplina previgente contenuta nell'art. 7 r.d. n. 267 del 1942, che vincolava l'iniziativa del pubblico ministero alla circostanza che l'insolvenza dell'impresa emergesse in presenza di determinate circostanze o con determinate modalità - ovvero nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore (la giurisprudenza, tuttavia, interpretava in senso assai largheggiante tale previsione: Cass., civ., sez. I, 28 ottobre 2022, ord. n. 31999, in Mass. Uff., n. 666003; Cass. civ. sez. VI, 29 settembre 2021, ord. n. 26407, in Mass. Uff., n. 662508) -, oggi la sussistenza della legittimazione dell'ufficio pare svincolata da ogni presupposto posto che è previsto che lo stesso possa procedere «in ogni caso in cui ha notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza» - notizia che, peraltro, può provenire anche da altra autorità giudiziaria essendosi così reintrodotta la previsione originariamente presente nell'art. 7 r.d. n. 1942 del 2006 ed incautamente abrogata con il d.lgs. n. 5 del 2006.

Questa significativa differenza rispetto alla normativa precedente non è stata accolta con favore, specie dalla dottrina, la quale ha rappresentato il rischio che a seguito della riforma si attribuisca al pubblico ministero un ruolo eccessivamente pervasivo sino a diventare il controllore di tutti gli operatori economici, in una logica inquisitoriale che la Direttiva Insolvency invita ad abbandonare. In sostanza, se è pacifica - e se ne condivide la ratio - la centralità dell'ufficio di Procura nel seno del Codice della Crisi e dell'insolvenza, essendogli attribuito per questa ragione il potere di richiedere la messa in liquidazione giudiziale a difesa dell'interesse pubblico all'eliminazione dal mercato delle imprese decotte, sarebbe altresì da evitare di conferire al pubblico ministero un (non accettabile) potere di indagini su qualsivoglia azienda o impresa che opera nel circondario di sua competenza - ed a conferma di ciò, va evidenziato come la Procura Generale presso la Corte di Cassazione abbia redatto un documento in cui in via di premessa si legge «Considerato che l'iniziativa ex art. 38 CCI – non obbligatoria - è svincolata dalle situazioni legittimanti previste dall'art. 7 l. fall. è senz'altro opportuna l'elaborazione di linee guida che garantiscano l'uniforme esercizio delle funzioni di iniziativa sul territorio nazionale, e ciò al fine di evitare che la diversa gestione della stessa determini disparità di trattamento e incentivi il c.d. forum shopping».

Diversamente da quanto osservato con riferimento alle condizioni legittimanti l'istanza di liquidazione giudiziale avanzata dal pubblico ministero, la riforma non sembra debba determinare una modifica o abbandono del preesistente orientamento secondo cui – a conferma della rilevanza pubblica (e non di mera sostituzione processuale della parte) dell'attività che il pubblico ministero esercita in tale ambito – il pubblico ministero è legittimato a chiedere il fallimento dell'imprenditore a prescindere dalla circostanza che il tribunale competente per la dichiarazione di fallimento sia diverso da quello presso cui svolge le sue funzioni nei procedimenti penali, sicché non è necessaria la rinnovazione della detta richiesta da parte del pubblico ministero che sia intervenuto all'udienza davanti al giudice competente (Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 2022, ord. n. 31999 in Mass. Uff., n. 666003).

Considerazioni assolutamente analoghe possono essere formulate con riferimento all'accertamento giudiziario dello stato d'insolvenza successivo alla liquidazione coatta amministrativa ed all'ipotesi in cui dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale di società con soci a responsabilità illimitata risulti l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili.

Unica eccezione rispetto alla generale legittimazione del pubblico ministero a sollecitare l'apertura di procedure concorsuali è rinvenuta con riferimento alla liquidazione controllata ai sensi dell'art. 268 d.lgs. n. 14 del 2019. Secondo una decisione del Tribunale di Milano (Tribunale Milano, 1° giugno 2023), infatti, la legittimazione dell'organo inquirente a richiedere l'apertura della liquidazione controllata era prevista dall'art. 268 nel testo originario di cui al d.lgs. n. 14 del 2019 ma tale disposizione è stata poi modificata dal d.lgs. n. 147 del 2020 che ha escluso una tale legittimazione e «la mancata inclusione del pubblico ministero tra i soggetti legittimati non può pertanto essere trattata alla stregua di una “lacuna” necessitante di essere colmata o di un errore di coordinamento ma di una scelta espressa che ha tenuto conto delle finalità da perseguire e segnatamente quella di consentire al pubblico ministero di avviare iniziativa avanti al Tribunale Concorsuale al fine di estromettere dal mercato un'impresa che rischi di recare grave pregiudizio al corretto funzionamento dell'economia, solo nel caso sussista il superamento delle soglie dimensionali».

Inoltre, la medesima decisione esclude anche che possa riconoscersi la competenza della Procura della Repubblica sulla base del generale potere di intervento che gli attribuiscono gli artt. 70, comma 3, c.p.c. e 73 ord. giudiz. ovvero in virtù del disposto dell'art. 270, comma 5, d.lgs. n. 14 del 2019 che rinvia, per quanto non regolato dalle disposizioni sulla liquidazione controllata, alle norme sul procedimento unitario e, dunque, all'art. 38 c.c.i.i. o, ancora, sulla base degli artt. 73 e 83 c.c.i.i. che, nella procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore e nel concordato minore, consentono la conversione della rispettiva procedura in liquidazione controllata su richiesta del pubblico ministero quando la revoca dell'omologazione dello strumento consegua ad atti di frode o ad inadempimento del debitore: secondo il Giudice meneghino, infatti, la specialità della fattispecie «preclude che la mancata espressa previsione di legittimazione in capo al pubblico ministero (diversamente da quanto previsto all'art. 38 CCII, pur richiamato dall'art. 270 comma 5) possa essere superata dal mero richiamo ad un generale potere di intervento (in ossequio ai già citati artt. 70 co. 3 c.p.c. e 73 ord. Giud) del pubblico ministero nell'ordinamento, che nella specie appare recessivo o quantomeno non sussumibile nel potere di iniziativa diretta». Di contro, «gli atti. 73 co. 2 e 83 co. 2 CCI sopra richiamati devono essere letti sotto la lente interpretativa del principio di tassatività e, quindi, quale ipotesi residuale di potere del pubblico ministero di domandare la apertura della liquidazione controllata esclusivamente in ipotesi di conversione della procedura di concordato minore o di accordo di ristrutturazione in liquidazione controllata. La conversione prevista in tali casi opera, infatti, unicamente in presenza di atti di frode o in caso di inadempimento. Il potere di conversione spettante al PM si configura pertanto solo in presenza di procedure già instaurate per consentire, ogni qual volta si registrino eventi patologici rispetto all'ordinario iter della procedura, l'iniziativa pubblica rispetto all'avvio dell'iter di revoca della procedura omologata, con successiva conversione in procedura liquidatoria. Trattasi di casistiche eccezionali e per tale ragione non passibili di applicazione analogica alla (ben diversa) ipotesi di proposizione ab origine della domanda di apertura della liquidazione controllata».

Il controllo del pubblico ministero sullo svolgimento della procedura

Come accennato, numerose disposizioni del codice della crisi attribuiscono al pubblico ministero anche il ruolo di verificare il corretto svolgimento della procedura concorsuale ed in particolare la persistenza delle condizioni che consentono di accedere a soluzioni di gestione della crisi diverse e “meno radicali” dalla liquidazione giudiziale.

Prima di esaminare, sia pure in maniera necessariamente sommaria, come l'ufficio inquirente debba svolgere tale compito e quali facoltà possa esercitare, è bene fare una precisazione. Quando si fa riferimento a questo ruolo del pubblico ministero non si intende richiamare le attività che questo soggetto può porre in essere in ottica repressiva, come ad esempio l'interlocuzione con il commissario giudiziale prevista dal comma 6 dell'art. 92 ed estrinsecantesi in particolare nel deposito presso la Procura della comunicazione ex art. 130 d.lgs. n. 14 del 2019 – ovvero prevista dall'art. 105 con riferimento al commissario giudiziale. Piuttosto, vanno richiamate le molteplici previsioni in cui è prevista la partecipazione e l'intervento del titolare dell'ufficio di Procura onde realizzare – non l'esigenza di punizione di fatti di reato connessi alla direzione dell'impresa in crisi o commessi nel corso della procedura concorsuale, bensì – il perseguimento degli interessi che sono ricollegati alla gestione dell'insolvenza innanzi all'autorità giudiziaria.

Premesso ciò, sono indiscutibilmente molteplici i dati normativi che illustrano come il pubblico ministero possa e debba esercitare una forma di controllo sullo svolgimento della procedura. Assolutamente emblematico in tal senso è l'art. 40 d.lgs. n. 14 del 2019nella parte in cui prevede che la domanda del debitore di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale è semprecomunicata al pubblico ministero, il quale può (e comunque, deve essere messo in condizione di) intervenire (artt. 41,47 e 50 d.lgs. n. 14 del 2019) nel relativo procedimento: è evidente che una tale comunicazione non ha altra ratio che quella di consentire all'ufficio pubblico di svolgere attività di controllo e verifico sullo svolgimento della procedura.

La rilevanza di tale ruolo del pubblico ministero emerge con particolare riferimento a quelle che un tempo erano definite procedure minori e che oggi hanno decisamente perso tale carattere connotandosi invece per la circostanza di consentire all'imprenditore di affrontare la crisi (o l'insolvenza) della propria impresa senza subirne lo spossessamento – come invece si verificherebbe in caso di ricorso alla liquidazione giudiziale -, potendo così il vertice aziendale continuare a gestire l'attività produttiva, sia pure sotto la sorveglianza di altri soggetti. Chiaro il riferimento alla procedura di concordato preventivo, in cui la funzione di verifica e controllo attribuita al pubblico ministero trova massima espressione e rilievo nella possibilità per l'organo inquirente di chiedere al giudice di revocare l'omologazione del concordato quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero risulti sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti o se risultano commessi altri atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. Identiche le considerazioni formulabili con riferimento al cd. concordato minore.

Come si vede, in tali ipotesi vi è un'evidente sinergia fra la funzione repressiva ed investigativa del pubblico ministero in relazione a reati di bancarotta e attivazione per il corretto svolgimento della procedura concorsuale posto che le condizioni per addivenire alla revoca del concordato sono rappresentati (anche) da fatti e condotte dell'imprenditore sussumibili, in sede penale, nelle fattispecie di delitto di cui agli artt. 322 ss. d.lgs. n. 14 del 2019.

È bene sottolineare che si tratta di disposizioni di primaria importanza perché consentono al pubblico ministero di evitare che l'imprenditore, per il tramite del ricorso al concordato preventivo che, come detto, gli consente di rimanere alla guida dell'azienda, possa procedere alla (o continuare nella) spoliazione del patrimonio societario – sia tale attività iniziata in precedenza e poi portata a termine durante la procedura o venga iniziata nel corso della stessa. La scelta del legislatore di non confinare l'emersione di fatti di bancarotta patrimoniale – perché in ciò, di fatto, consistono le condotte che integrano gli atti in frode cui si è detto – alla sola sfera criminale, riconoscendo, in caso di loro accertamento, la legittimazione del pubblico ministero a presentare istanza di liquidazione giudiziale – istanza, invece, non formulabile da alcuno in assenza di tali condotte riprovevoli da parte dei vertici societari – è decisamente apprezzabile perché, in maniera ben più efficace del ricorso al processo penale ed alle misure cautelari nello stesso adottabili, consente di arrestare immediatamente l'adozione di scelte effettuate in chiaro pregiudizio dei creditori.

Analoghi poteri di controllo, con conseguente possibilità di segnalazione dei fatti al tribunale fallimentare affinché lo stesso assuma le sue determinazioni sono, ad esempio, richiamate dall'art. 53 c.c.i.i., in tema di violazione degli obblighi gravanti sul debitore e conseguente divieto di compiere gli atti di amministrazione ordinaria e straordinaria

Il controllo del pubblico ministero sullo svolgimento della procedura, tuttavia, non investe solo la condotta dell'imprenditore quando a questi, in ragione della disciplina normativa in materia concorsuale, sia consentito di permanere al vertice dell'azienda, ma concerne anche la verifica dei comportamenti degli organi della procedura ed in particolare del curatore e soggetti equiparati allo stesso. Emblematica in questo senso la disposizione di cui all'art. 116 laddove è previsto che, conclusa l'esecuzione del concordato, il commissario giudiziale comunichi al pubblico ministero il deposito ed il contenuto della relazione del liquidatore giudiziale: chiaro che in questo caso l'intervento del pubblico ministero è pensato nell'ottica di garantire che a comportarsi correttamente siano stati (non l'imprenditore o i vertici aziendali, ma) quanti hanno gestito la procedura, in forma di ausilio al giudice ed in tale veste quali pubblici ufficiali, con tutte le conseguenze penali che possono derivarne.

Indagini ed esercizio dell'azione penale prima dell'apertura della procedura concorsuale

Ai sensi dell'art. 346, comma 2, d.lgs. n. 14 del 2019, l'azione penale per i reati di bancarotta – di regola esercitata dopo la comunicazione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (ovvero atti equiparabili alla stessa con riferimento alle altre procedure) – può iniziare anche prima di tale momento quando “concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta”.

Trattasi della riproposizione di una previsione già presente nella vigenza del r.d. n. 267 del 1942 e perciò, al pari di quanto previsto nella vigenza della precedente disciplina, deve ritenersi che il pubblico ministero possa esercitare l'azione penale anche prima della definitività della sentenza di fallimento e indipendentemente dal fatto che non siano decorsi i termini per la presentazione avverso la stessa del reclamo da parte dei creditori ( Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2011, n. 15061, in Mass. Uff., n. 250091).

La norma non indica quali siano i “gravi motivi” che consentono una tale forma di anticipazione dell'esercizio dell'azione penale. Si può, tuttavia, ritenere che gli stessi vadano rinvenuti nelle circostanze che, secondo il previgente art. 7 r.d. n. 267 del 1942, legittimavano una tale condotta da parte dell'organo inquirente ovvero in caso di fuga, irreperibilità o latitanza dell'imprenditore, di chiusura dei locali dell'impresa, o in caso di trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore (tuttavia, come accennato, la giurisprudenza interpretava con larghezza tali condizioni giungendo ad affermare che «il potere del pubblico ministero di assumere, ai sensi dell'art. 6 legge fall., l'iniziativa della richiesta al tribunale della dichiarazione di fallimento non è limitata alle ipotesi di cui all'art. 7 della citata legge - il quale dispone il relativo obbligo a carico del Procuratore della Repubblica che procede contro l'imprenditore, quando l'insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dello stesso, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore - , ma ha, invece, carattere generale»: Cass. Civ., sez. I, 5 dicembre 2021, n. 15407, in Mass. Uff., n. 550895).

A conferma di ciò, può evidenziarsi come in giurisprudenza, con considerazioni che devono ritenersi operanti anche dopo la riforma del 2019, abbia ritenuto che – stante la possibile anticipazione dell'esercizio dell'azione penale prima della pronuncia della sentenza che rileva l'insolvenza dell'impresa - prima di tale momento sia legittima anche l'applicazione di misure cautelari personali e reali. È evidente che l'adozione dei relativi provvedimenti cautelari presuppone la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. che a loro volta si identificano con le circostanze di cui al citato art. 7 (Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2023, n. 23037 in Mass. Uff., n. 284676).

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