Frontex: danni da espulsione collettiva e ripartizione dell’onere della prova
23 Aprile 2025
Un cittadino siriano sosteneva di aver riportato danni nel corso di una procedura di espulsione collettiva, in quanto coinvolto nello sbarco di 22 persone, avvenuto in data 28 aprile 2020, presso l’isola di Samos, cui era seguito il sequestro dei telefoni da parte della polizia greca e il trasferimento forzato prima in mare, poi sul suolo turco. Secondo quanto riportato dal ricorrente, durante il periodo trascorso in mare, un velivolo di sorveglianza privato pilotato dall’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) avrebbe ripetutamente sorvolato la zona. Il cittadino siriano si rivolgeva al Tribunale dell’Unione europea chiedendo la condanna di Frontex al risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa dell’espulsione collettiva, per un importo totale di EUR 500 000. Il Tribunale, tuttavia, respingeva il ricorso, asserendo che il cittadino siriano non avesse portato prove sufficienti a dimostrare il danno subito e questi impugnava la decisione presso la Corte di giustizia dell’UE. Nel depositare le proprie conclusioni e alla luce del principio di libertà di forma e produzione dei mezzi di prova, l’avvocato generale Rimvydas Norkus ha individuato due fasi necessarie in materia di procedure di espulsione collettiva:
Tuttavia, tale presunzione non può applicarsi nei confronti di attori diversi dalle autorità di uno Stato membro, come Frontex, in quanto i poteri di questi ultimi sono maggiormente limitati, rendendo meno evidente il «privilegio» di cui godrebbero sotto il profilo probatorio. Nel caso di specie l’avvocato generale individua due possibili strade percorribili: la Corte potrebbe respingere l’impugnazione qualora disponesse di elementi sufficienti a stabilire che il cittadino siriano non ha prodotto prove prima facie del danno, oppure potrebbe rinviare al Tribunale la decisione della causa, nel caso in cui sussistano le condizioni perché operi l’inversione dell’onere della prova. |