Il Correttivo-ter e la definizione di “professionista indipendente”: un arretramento sul piano delle garanzie e della coerenza sistematica del c.c.i.i.?

Filippo Lamanna
19 Maggio 2025

Il d.lgs. n. 136/2024 ha riformulato la definizione di “professionista indipendente” di cui all’art. 2, lett. o), n. 3, del c.c.i.i., riproponendo quella originariamente contenuta nell’art. 67 l. fall. Tale modifica rischia di dare luogo ad una “incoerenza sistemica” rispetto alla definizione di "esperto" della composizione negoziata della crisi, contenuta nella lettera o-bis) del medesimo articolo.

Il codice della crisi e dell'insolvenza ha delineato nell'art. 2, in senso generale, la figura del “ professionista indipendente ”, estrapolandola da quella preesistente, e più specifica, dell'“attestatore”, che era stata introdotta nell'art. 67, comma 3, lettera d) l. fall. dal d.l. n. 83/2012, il cd. Decreto Sviluppo. In ultima analisi, dunque, quello che il codice definisce come professionista indipendente altro non è, al postutto, che un attestatore; di fatto, il codice ha espanso al massimo la presenza dell'attestatore individuando molteplici ipotesi in cui è necessaria un'attestazione da parte di un “professionista indipendente” (peraltro contraddicendo in tal modo, di fatto, l'esigenza di contenere i costi della ristrutturazione, destinati ad aumentare in proporzione dei casi in cui un'attestazione viene considerata indispensabile).

Deve evidenziarsi, ad ogni modo, che la definizione di professionista indipendente posta con l'art. 2 del codice ha ricalcato fino a poco tempo fa solo in parte la originaria definizione dell'art. 67 l. fall.

Tale ultima norma statuiva e statuisce, in particolare, che il professionista attestatore, sebbene nominato dal debitore, deve comunque essere “indipendente”, specificando anche che cosa debba intendersi per indipendenza. In particolare, è indipendente il professionista non legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio . Questa definizione mira chiaramente ad eliminare un possibile conflitto d'interessi, limitando però l'area in cui i rapporti personali o professionali possono ostacolare l'incarico, e a tal fine lascia aperta la valutazione caso per caso dell'eventuale difetto di indipendenza, senza farla derivare sic et simpliciter dall'esistenza di rapporti personali o professionali purchessia.

L'art. 67 ha posto infatti tale criterio perché il solo riferimento ai rapporti personali o professionali, da un lato, non avrebbe consentito di individuare con certezza predeterminata, in senso quantitativo , il limite o grado di prossimità — nei rapporti personali o professionali tra il professionista e l'imprenditore-debitore o coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento —, oltre il quale l'indipendenza non sussista (fino a quale grado bisogna risalire se — sotto il profilo dei rapporti personali — ricorre un caso di parentela o di affinità, per escludere che vi sia un potenziale conflitto d'interessi che possa pregiudicare l'indipendenza del professionista? Se — sotto il profilo dei rapporti professionali — venti anni prima il professionista ha prestato una consulenza per un soggetto che attualmente ha un credito verso il debitore, e quindi ha un interesse all'operazione di risanamento, può considerarsi solo per questo non indipendente? E si potrebbe così via via continuare con simili esempi in forma di quesito), ma rendendo possibile opinare per ciò stesso, dall'altro, che la mera rilevazione di un qualunque rapporto personale o professionale rendesse l'attestatore non indipendente.

Per tale motivo ha posto il suddetto criterio completivo di carattere qualitativo con finalità limitativa : i rapporti personali o professionali rilevano in senso ostativo solo quando appaiano tali (in concreto) da compromettere l ' indipendenza di giudizio del professionista . In caso contrario, i rapporti personali-professionali non dovrebbero compromettere l'indipendenza del professionista attestatore.

È chiaro che tale valutazione implica un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito quando si ponga il problema di giudicare dell'indipendenza, e dunque tutte le volte in cui il difetto del requisito possa influire in senso negativo sull'attestazione di veridicità, fattibilità, ecc..

Ebbene, l'originaria definizione di “professionista indipendente ” contenuta nell'art. 2 c.c.i.i. non si era conformata in pieno a tale criterio, saltando a piè pari proprio la specificazione surricordata (relativa ai rapporti di natura personale o professionale «tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio»).

Per una sorta di schizofrenico pendolo, però, la cancellazione di tale fattore diacritico operata con il testo originario del codice è stata infine a sua volta cancellata dal Terzo Correttivo, che ha riformulato la definizione di “professionista indipendente” di cui all'art. 2, lett. o ), n. 3, reinserendo la medesima specificazione già presente prima nella legge fallimentare («non essere legato all'impresa o ad altre parti interessate all'operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio»).

È difficile stabilire se la modifica apportata dal Correttivo -ter ripristinando il criterio discretivo previsto dalla legge fallimentare sia stata o meno opportuna ed utile.

Da un lato, in difetto di tale specificazione, ossia in mancanza di parametri volti a perimetrare con un criterio/valvola di carattere concreto come quello che esclude l'indipendenza del professionista (solo) quando i rapporti personali o professionali siano «tali da comprometterne l ' indipendenza di giudizio » , si sarebbe potuto ritenere, come si è osservato poc'anzi – forse però con eccessivo rigore - che la semplice esistenza di un rapporto personale o professionale potesse bastare di per sé a pregiudicare l'indipendenza del professionista, estendendo così oltremodo il confine dell'area concettuale entro cui tali rapporti potrebbero considerarsi idonei a pregiudicarne l'indipendenza.

Dall'altro, non si può negare che l'interpolazione in commento, alla luce dell'ampia potestà di valutazione sulla concreta sussistenza, nei singoli casi, dell'idoneità a comprometterne l'indipendenza di giudizio, con un giudizio da svolgere necessariamente ex post, possa propiziare un depotenziamento della regola d'indipendenza del professionista, circoscrivendola peraltro attraverso una valutazione di merito inevitabilmente soggettivistica , determinando di conserva un'inesorabile scivolamento verso incertezze operative.

Per tale motivo, sembra, le Commissioni Giustizia di Camera e Senato avevano suggerito, nel loro parere, di non inserire la modifica in oggetto, invitando il Governo a valutare «di sopprimere l' inciso “tali da comprometterne l ' indipendenza di giudizio” , in quanto tale locuzione introduce elementi di incertezza lasciando spazio a condotte poco trasparenti, quando non potenzialmente in conflitto di interessi, in contrasto con la sistematica dell' intero codice» .

A ben vedere , però, è alquanto discutibile che l'inciso possa effettivamente introdurre elementi d'incertezza che in sua mancanza non vi sarebbero stati: ben sarebbe stato possibile ritenere, infatti, che anche in difetto del suddetto criterio specificativo fosse legittimo svolgere comunque una valutazione in concreto, con analogo apprezzamento di fatto, del livello di prossimità nei rapporti personali o professionali oltre il quale non si ponga più un problema di indipendenza, con altrettale rischio di variabili interpretazioni/applicazioni.

Ciò non dimeno, non sembra affatto pretestuoso il rischio che si verifichi ora — oltre allo sgradevole e destabilizzante alternarsi a distanza di poco tempo di regole opposte sulla medesima fattispecie — anche un'indesiderabile incoerenza sistemica.

Non si comprende infatti perché un'analoga modifica non sia stata inserita anche nella lettera o-bis ) dell'art. 2 e/o nel comma 1 dell'art. 16, relativamente al requisito d'indipendenza di cui parimenti deve essere in possesso l'“esperto della composizione negoziata della crisi (laddove il testo dell'art. 16 continua ancora a recitare che: «L'esperto deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve essere legato all'impresa o ad altre parti interessate all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale»).

Forse che per l'esperto sia necessario un maggior rigore valutativo quanto al requisito dell'indipendenza rispetto a quello richiesto per il professionista indipendente (visto che soltanto per il primo non si deve valutare in concreto se davvero i rapporti di natura personale o professionale possano minarne l'indipendenza, sì che basta che simili rapporti vi siano per considerarlo sempre in conflitto d'interessi e quindi non indipendente), quando proprio relativamente a quest'ultimo si è voluto utilizzare — appunto — l'aggettivo «indipendente» per definirlo e denominarlo?

Il legislatore delegato si è mostrato dunque in ogni caso assai poco coerente: piuttosto avrebbe dovuto o lasciar fuori il discrimine specificativo da entrambe le norme, o inserirlo per entrambe. Aver optato per una diversificazione che appare del tutto immotivata è di per sé fonte di ulteriori incertezze e discriminazioni indebite.

Residua dunque anche questo profilo di incoerenza sistemica, che potrebbe peraltro ancor più aggravarsi laddove si reputasse, e non pretestuosamente, che la diversa ed immotivata modulazione del pur medesimo requisito nell'uno e nell'altro caso (nell'art. 2 e nell'art. 16) possa costituire un'ipotesi di ingiustificata disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

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