Distribuzione ai soci di somme iscritte quali riserve da conferimento e bancarotta fraudolenta per distrazione

04 Giugno 2025

La questione su cui viene chiamato ad esprimersi il Supremo Consesso attiene alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale nell’ipotesi di distribuzione di riserve allocate a forma libera.

Massima

Il carattere pregiudizievole o meno della distribuzione ai soci delle riserve deve essere valutato avendo riguardo alla situazione economico – patrimoniale della società, al fine di verificare se tale distribuzione sia stata in concreto contraria a ragionevolezza imprenditoriale, in quanto generativa di uno squilibrio tra attività e passività, pericolosa per l’integrità del patrimonio posto a garanzia dei creditori e perciò integrativa del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Il caso

La Corte di Appello di Bologna, giudicando in sede di rinvio in seguito ad annullamento della Corte di Cassazione, aveva confermato la sentenza di assoluzione, pronunciata dal Gup, perché il fatto non sussiste, in relazione ad una serie di condotte commesse in danno delle società del Gruppo Mercatone Uno.

Secondo l’ipotesi accusatoria, in occasione di un processo di riorganizzazione societaria, la distribuzione di riserve da conferimento allocate in quota libera e distribuibili per cassa ai soci aveva avuto come effetto finale quello di trasferire in favore dei soci o di società a loro riconducibili gran parte del patrimonio immobiliare del Gruppo.

Il Gup presso il Tribunale di Bologna, giudicando all’esito di giudizio abbreviato condizionato all’espletamento di perizia e di prova testimoniale, aveva assolto gli imputati ritenendo sussistenti i presupposti della bancarotta riparata, avendo gli imputati, prima della dichiarazione di insolvenza, reintegrato il patrimonio della società.

Il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso immediato avverso tale sentenza e la Corte di Cassazione, in accoglimento dello stesso, rinviava alla Corte di Appello per un nuovo esame.

I giudici del rinvio precisavano che, per verificare l’integrazione dei presupposti della bancarotta riparata ritenuta dal primo giudice, era necessario preliminarmente appurare la sussistenza dei fatti di bancarotta contestati dall’ufficio della Procura. A tale quesito veniva data risposta negativa, in quanto le operazioni erano state poste in essere in un momento in cui il patrimonio netto del gruppo era positivo, essendo emersa solo nell’anno 2013 l’esigenza di ricapitalizzazione.

Avverso detta sentenza, il Procuratore Generale della Repubblica ricorreva per cassazione articolando quattro motivi di ricorso, con i quali deduceva l’erronea applicazione della legge penale, la mancata assunzione di una prova decisiva nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Per quanto di interesse nel presente commento, con il terzo motivo, il ricorrente si doleva del fatto che i giudici del rinvio avevano ritenuto che la distribuzione delle riserve inerenti agli anni 2010, 2011 e 2012 non integrassero condotte distrattive.

In sostanza secondo l’accusa, la fattispecie distrattiva – circoscritta alle distribuzioni avvenute negli anni 2010, 2011 e 2012 – si era realizzata con l’attribuzione di cespiti, mediante costituzione di un fondo patrimoniale chiuso in cui era stato conferito gran parte del patrimonio immobiliare. I componenti del fondo erano stati dati poi in locazione alle società del gruppo e le quote del fondo erano state vendute a società di diritto lussemburghese riferibili ai soci. L’obbligazione di pagamento sorta a carico dei soci era stata dai medesimi estinta con le risorse costituite dalle riserve oggetto di distribuzione in favore degli stessi soci negli anni 2010, 2011 e 2012.

La questione

Le questioni giuridiche di cui vengono investiti i Giudici del Supremo Consesso sono molteplici, ma quella meritevole di interesse, in questa sede, attiene al se e quando la distribuzione di riserve ai soci può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione non condivideva le argomentazioni proposte dal Procuratore Generale, che aveva prospettato la contrarietà a ragionevolezza imprenditoriale in concreto della distribuzione delle riserve ai soci, in quanto la stessa avrebbe generato uno squilibrio fra attività e passività pericoloso per l'integrità del patrimonio di garanzia, poiché sussistevano all'epoca delle distribuzioni sintomi di difficoltà economiche delle società del gruppo, alfine fallite, così  facendo proprie le conclusioni cui era giunta la Corte territoriale. Sul punto la Corte di Appello aveva escluso, sulla base di quanto ricostruito dal perito nominato dal Gup ed all'esito del confronto tra i consulenti tecnici, che la distribuzione delle riserve ai soci nei tre anni in contestazione avesse sottratto risorse alla garanzia dei creditori. Invero, sotto il profilo finanziario la distribuzione delle riserve era finalizzata al pagamento del debito che i soci avevano verso la società, cosicché il flusso in uscita per la distribuzione era stato compensato dal flusso in entrata per l'estinzione dei debiti in essere.

Non poteva perciò essere contestata la regolarità civilistica e contabile degli atti di distribuzione.

La Corte di Cassazione, poi, verificava se tale distribuzione avesse avuto influenze concretamente negative sulle garanzie per i creditori rispetto all'epoca di insorgenza dell'insolvenza e della successiva dichiarazione di fallimento. Per risolvere la questione la Suprema Corte osservava che, in linea generale, anche l'esercizio di facoltà legittime, comprese nei diritti riconosciuti dall'ordinamento possono costituire uno strumento di frode in danno ai creditori, qualora sia accertata in concreto la loro illiceità rispetto alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio (Cass. Sez. V, n. 15803 del 27 novembre 2019; Cass. Sez. V, n. 30830 del 5 giugno 2014).  Nel caso in esame, la Corte osservava che al momento della distribuzione progressiva degli utili erano assenti indici di fraudolenza tali da dare sostanza ad una prognosi postuma di concreta messa in pericolo, mediante tali operazioni, dell'integrità del patrimonio funzionale alla garanzia creditoria. Invero, l'equilibrio finanziario del gruppo non era mutato, poiché i soci avevano saldato i debiti nei confronti della società con gli utili che la società aveva generato e che erano stati legittimamente loro attribuiti.

La Corte territoriale non aveva, inoltre, condiviso l'ulteriore rilievo del Procuratore Generale, che riteneva che una via alternativa da percorrere fosse quella di non effettuare la distribuzione tra i soci, così da determinare gli stessi ad eseguire il pagamento dell'acquisto delle quote del Fondo con altre risorse; tanto da immettere nel circuito economico del gruppo finanza fresca, apportando un incremento del patrimonio netto, mediante un finanziamento soci. Ciò in quanto tale scelta, seppur commendevole dal punto di vista imprenditoriale, non era necessaria in quel momento storico, essendo assenti esigenze di ricapitalizzazione; manifestatesi invero nell'anno 2013. In particolare, veniva precisato che le diverse conclusioni cui era giunto il Gup circa l'individuazione, nell'anno 2009, del momento di insorgenza della crisi, erano sorrette unicamente dalle dichiarazioni di un manager della società e dal ricorso della società nell'anno 2010 a contratti di solidarietà e di ristrutturazione del debito bancario. Tali elementi, correttamente valutati anche alla luce della perizia espletata, non erano indicativi dell'insorgenza di una crisi di impresa, né tantomeno dell'affioramento di un ipotetico dissesto con riferimento al triennio 2010 – 2012.

La Corte si soffermava, poi, sull'esame del concetto di crisi, per come definita dall'art. 2 del Codice della Crisi di impresa e dell'insolvenza, quale stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi. Quivi precisava che nell'ambito processuale in esame, il concetto di crisi non era stato utilizzato nel senso indicato, ma in maniera più fluida, sicchè per apprezzare la condizione economico – finanziaria del gruppo nelle annualità rilevanti si era fatto riferimento al concetto di continuità aziendale, la quale viene meno quando lo stato dell'impresa dovrebbe imporre una diversa valutazione delle poste in bilancio, tale da comportare l'obbligo di ricapitalizzazione o il passaggio alla liquidazione.

Analizzate in quest'ottica le difficoltà gestionali, che avevano condotto alla richiesta di contratti di solidarietà e ristrutturazione del debito, la Corte rilevava che esse non coincidevano con segnali di crisi del gruppo, ma si esaurivano in meri segnali di riduzione della marginalità, ciò anche alla luce del patrimonio netto della società rimasto positivo fino al 2012.

Osservazioni e conclusioni

La Corte di Cassazione si era già interrogata sul tema configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale nell'ipotesi di distribuzione di riserve allocate a forma libera nella sentenza pronunciata dalla Sezione V, n. 24071 del 11 marzo 2022, affermando che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione a carico dei soci amministratori della società fallita, pacificamente, può essere integrato anche dalla tenuta di una condotta, in sé lecita, quale è la distribuzione delle riserve da conferimento ai soci.

In particolare, la distribuzione delle riserve appare un'operazione del tutto legittima sul piano civilistico e contabile. Quest'ultima non altera, infatti, gli equilibri della società, laddove al momento in cui viene compiuta la condizione dell'impresa non risulta tale da ritenere che le condotte possano mettere in pericolo l'integrità del patrimonio, quale garanzia per i creditori.

Con riguardo a quest'ultimo profilo, i giudici di legittimità hanno specificato come, ai fini dell'accertamento della concreta pericolosità del fatto distrattivo, sia necessario ricercare i c.d. "indici di fraudolenza". Questi possono essere rinvenuti, ad esempio, nell'analisi della condotta alla luce delle condizioni patrimoniali e finanziarie dell'azienda, del contesto in cui l'impresa ha operato, nonché dell'eventuale estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale.

In definitiva, in mancanza di specifiche prove in ordine alla sussistenza di indici di fraudolenza – trovandosi, quindi, di fronte a condotte realizzate per perseguire finalità imprenditoriali lecite non suscettibili di creare pregiudizio per i creditori – i giudici di legittimità hanno confermato che non è configurabile il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

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