La liquidazione nel concordato preventivo in continuità alla luce del decreto correttivo ter

Luca Jeantet
Paola Vallino
Emanuele Albesano
06 Giugno 2025

Il testo esamina le novità del d.lgs. 136/2024 sul concordato preventivo in continuità aziendale, con particolare riferimento alle disposizioni di cui al nuovo art. 114-bis c.c.i.i.

Alla redazione del presente intervento ha collaborato il dott. Matteo Silicato

Introduzione

Come noto, il Consiglio dei Ministri – nell'autunno scorso – ha approvato il d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (“Decreto correttivo Ter”), entrato in vigore il successivo 28 settembre 2024. Si tratta (dopo il d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 ed il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83) del terzo intervento di modifica del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza all'interno di una finestra temporale estesasi per poco più di cinque anni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Intervento, peraltro, di non residuale momento, risultando emendato – con penetrazione gradatamente incisiva (posto che un'ampia parte della novella attiene ad emendamenti di natura terminologica o di mero chiarimento normativo) – il numero, di certo rilevante, di centosessantaquattro articoli del Codice.

In tale contesto, il presente (pur breve e schematico) intervento si pone l'obiettivo di fornire una panoramica delle novità legislative in tema di liquidazione nel concordato preventivo in continuità aziendale, con particolare riferimento alle disposizioni di cui all'art. 114-bis c.c.i.i., di nuova introduzione.

Procediamo quindi con ordine.

Le nuove disposizioni sulla liquidazione nel concordato in continuità

Come anticipato, il Decreto Correttivo-Ter innova la disciplina della liquidazione nel concordato in continuità aziendale, apportando modifiche di non indifferente impatto.

In particolare, il legislatore ha infatti introdotto il nuovo art. 114-bis c.c.i.i., che – sul tema in esame – detta, pur con un certo ritardo, una disciplina autonoma rispetto a quella già originariamente prevista per la liquidazione degli attivi in seno ad una procedura di concordato liquidatorio.

In primo luogo, il legislatore delegato ha provveduto a fornire un chiarimento su un tema ampiamente dibattuto tra gli interpreti e, soprattutto, nella prassi ristrutturativa: è infatti ora espressamente prevista la possibilità – anche nel concordato in continuità – di procedere alla nomina sia di un liquidatore, sia di un comitato dei creditori (in dettaglio, il primo comma dell'art. 114-bis c.c.i.i., nella sua vigente formulazione, così recita: «Quando il piano del concordato in continuità prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda e l'offerente non sia già individuato, nella sentenza di omologazione il tribunale può nominare uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione»). Il liquidatore così nominato (come detto, in sede di omologazione) avrà dunque la gestione delle operazioni di liquidazione secondo i principi di pubblicità, trasparenza efficienza e celerità, caratteristici delle vendite concorsuali.

Viene quindi recisamente superata l'aporia interpretativa, lasciata aperta dalla previgente formulazione della norma in esame, in merito alla possibilità di nomina di un liquidatore e di un comitato dei creditori, da molti autori condizionata alla previsione, nella procedura concordataria, della “cessione di beni”: definizione questa, con ogni evidenza, di ardua interpretazione nel caso concreto, essendo stata omessa ogni specificazione in merito a profili qualitativi e quantitativi di tale “cessione”.

Ciò chiarito, è opportuno soffermarsi sull'ambito di applicazione delle norme in parola, posto che l'art. 114-bis c.c.i.i. fa testualmente riferimento a «la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda».

Ebbene, è proprio il riferimento alla “cessione dell'azienda” a porre alcune questioni di natura ermeneutica, meritevoli di un approfondimento.

Appare anzi tutto opportuno domandarsi se il riferimento di cui si discute trovi applicazione unicamente nel caso di cessione dell'intera azienda ovvero se possa essere esteso anche al trasferimento (come spesso accade nella prassi) di uno o più rami singolarmente individuati.

Muovendo da un'interpretazione non legata ad uno stretto formalismo letterale, bensì orientata ad adeguare la norma al diritto vivente, la risposta più condivisibile non può che essere favorevole ad un'applicazione della disposizione (pur imperfetta a livello linguistico) tanto alla cessione integrale, quanto a quella parziale dell'azienda, non sussistendo alcuna ragione – testuale o sistematica – che conduca a deporre in senso opposto.

Seguendo poi la medesima ratio, il nuovo art. 114-bis c.c.i.i. dovrebbe essere ritenuto applicabile non solo alla compravendita dell'azienda (o, come detto, di un singolo ramo), ma anche ad ipotesi di diverse forme di cessione a titolo definitivo, quali, ad esempio, il conferimento in società.

Sotto altro profilo, la norma in esame esclude invece che si debba ricorrere alla nomina di un liquidatore quando l'offerente sia già stato individuato nel piano concordatario: ed infatti, a mente del primo comma della disposizione, «quando il piano del concordato in continuità prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda e l'offerente non sia già individuato, nella sentenza di omologazione il tribunale può nominare uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione. Il liquidatore, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l'efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza».

Perimetrato l'ambito di applicazione della disposizione di cui all'art. 114-bis c.c.i.i., ci si può peraltro interrogare sull'obbligatorietà o facoltatività della nomina di un liquidatore, nel caso di concordato in continuità, da parte del Tribunale investito della procedura.

Ebbene, il dato testuale appare sostanzialmente chiaro nel propendere per la seconda soluzione: la littera legis prevede infatti che «il Tribunale può nominare».

Tale conclusione sembra poi ulteriormente rafforzata dal raffronto con la disposizione di cui all'art. 114 c.c.i.i., in tema di concordato liquidatorio, laddove viene disposto, con un wording significativamente diverso, che «il Tribunale nomina» il liquidatore.

Si tratta di interpretazione peraltro coerente con l'elasticità resa necessaria dall'applicazione della norma ai singoli casi concreti: ed infatti, in caso di concordati con limitati assets da liquidare, la nomina di un soggetto ad hoc avrebbe l'unico effetto di generare un ulteriore (e potenzialmente non irrilevante) costo a carico del debitore, senza alcun concreto vantaggio per il ceto creditorio.

L'effetto cd. "purgativo" nel concordato in continuità

Ai sensi del terzo comma dell'art. 114-bis c.c.i.i., alla cessione dell'azienda – in caso di nomina del liquidatore – si applica il regime delle vendite forzate; la norma infatti così dispone: «in caso di nomina del liquidatore, alla vendita si applicano gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile e la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, è effettuata su ordine del giudice, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, salvo diversa disposizione contenuta nella sentenza di omologazione per gli atti a questa successivi».

In altre parole, la cessione comporta la cancellazione di ogni formalità pregiudizievole (con quel medesimo cd. “effetto purgativo” od “espiativo” che caratterizza, in linea generale nel nostro ordinamento, le vendite forzate).

Per quanto non espressamente previsto, deve altresì ritenersi che – in caso di nomina del liquidatore – trovi applicazione anche l'effetto cd. “purgativo” con riferimento ai debiti pregressi, di talché l'acquirente, in deroga all'art. 2560 c.c., non è responsabile per i debiti relativi all'esercizio dell'impresa relativi all'azienda ceduta sorti prima del trasferimento.

A tale conclusione si giunge sulla base di diversi ordini di ragioni.

In primo luogo, tale effetto è previsto in via generale per tutte le forme di concordato dall'art. 118 c.c.i.i.

In secondo, e non meno rilevante, luogo, tale effetto è espressamente menzionato per la liquidazione giudiziale, per il concordato liquidatorio e per la composizione negoziata della crisi. Ciò posto e di conseguenza, non si vede per quale ragione al concordato in continuità dovrebbe essere riservato un trattamento ingiustificatamente differenziato.

Da ultimo, la norma in esame pare escludere l'effetto purgativo di cui agli artt. 2919-2929 c.c. alla cessione dell'azienda nel concordato in continuità, qualora non sia stato nominato il liquidatore: e ciò in quanto la disposizione de qua, per tale ipotesi, non contiene alcuna espressa menzione di tale effetto.

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