Sul rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti statali e sul termine di deposito delle memorie

Redazione Scientifica Processo amministrativo
06 Giugno 2025

È tardiva, ai sensi degli artt. 73 c.p.a. e 4, comma 4, disp. att. c.p.a., la memoria di replica depositata oltre le ore 12 dell'ultimo giorno utile, anche nella vigenza del processo amministrativo telematico, poiché il deposito oltre le ore 12, pur essendo consentito, si considera effettuato il giorno successivo.

Un assistente di polizia penitenziaria dopo essere stato assolto dall'accusa di truffa ai danni dello Stato chiedeva, ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 67/1997 (conv in l. n. 135/1997), all'amministrazione penitenziaria il rimborso delle spese legali sostenute. L'amministrazione comunicava il preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241/1990, su conforme parere negativo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, e successivamente notificava all'appellante il decreto di rigetto dell'istanza di rimborso, per la sua notificazione al dipendente. Il dipendente ricorreva avverso avanti il T.a.r. per la Lombardia che respingeva in parte il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di lite. La sentenza di primo grado veniva appellata.

Innanzi tutto, il Collegio ha precisato di non considerare la seconda memoria di replica depositata dall'appellante alle ore 16,04 (oltre le ore 12 dell'ultimo giorno utile, ovverosia 20 giorni liberi prima dell'udienza e dunque 21 giorni prima), perché tardiva ai sensi degli articoli 73 c.p.a. e 4, comma 4, disp. att. c.p.a. e inammissibile, per l'assenza del presupposto della memoria difensiva di parte appellata. Ciò in quanto la facoltà di replica deriva in via diretta dall'esercizio della connessa facoltà di controparte (nella specie l'appellata) di depositare memoria difensiva nel termine di trenta giorni prima dell'udienza di merito, che non è stata esercitata (la disciplina recata nell'art. 4 disp. att. c.p.a. nell'ambito del PAT, concernente la scadenza del termine di deposito telematico degli atti oltre le ore 12 dell'ultimo giorno utile a ritroso di un'udienza, è stata approfondita con il Focus a cura del Cons. Vincenzo Rossi, pubblicato su questo Portale Ius-Giuffrè).

Quanto al merito il Collegio ha chiarito che l'art. 18 del d.l. n. 67/1997 attribuisce un peculiare potere valutativo all'amministrazione con riferimento all'an ed al quantum, visto che occorre verificare se sussistano in concreto i presupposti per rimborsare le spese di giudizio del dipendente. Tuttavia, in caso di presenza dei presupposti, l'amministrazione deve verificare la congruità delle spese oggetto della richiesta di rimborso, sulla base del parere di congruita dell'Avvocatura dello Stato, obbligatorio e vincolante, poiché può essere disatteso.

Nello specifico, il Collegio ha evidenziato che anche laddove il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l'accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi pronunciare l'amministrazione e non potendo il giudice amministrativo riconoscere direttamente una somma specificamente quantificata all'istante. Il diritto al rimborso previsto dall'art. 18, citato sussiste solo se il processo subito dal dipendente e conclusosi con l'esclusione nel merito della sua responsabilità, concerne fatti e comportamenti posti in essere per adempiere ad un obbligo di servizio e quindi teleologicamente preordinati al fine pubblico, che solo giustifica l'aggravio patrimoniale a carico della pubblica amministrazione.

A tal proposito, il Collegio ha chiarito che l'obbligo dell'amministrazione di rimborsare le spese di difesa del dipendente va riconosciuto laddove la condotta oggetto della contestazione sia espressione della volontà dell'amministrazione di appartenenza e diretta all'adempimento dei suoi scopi istituzionali, per cui sia possibile imputare gli effetti del comportamento del dipendente direttamente all'amministrazione, in quando inerente a un interesse pubblico proprio dell'amministrazione. Tale interesse deve escludersi se vi sia conflitto di interessi tra dipendente ed amministrazione, ovvero quando emergano profili disciplinari o amministrativi per mancanze al compimento dei doveri d'ufficio, oppure quando sia stata posta in essere un'attività non nell'interesse dell'amministrazione di appartenenza ma del dipendente, per fini personali. Il beneficio previsto dal citato art. 18 va riconosciuto solo se il dipendente statale sia stato coinvolto in un procedimento giudiziario per aver svolto il proprio lavoro nello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l'adempimento del dovere ed il compimento dell'atto o del comportamento, e non anche quando la condotta contestata sia stata posta in essere meramente in occasione dell'attività lavorativa e tanto meno, come nel caso di specie, se sia stata effettuata fuori dal servizio.

Quanto al caso di specie il Collegio ha escluso il diritto al rimborso delle spese legali, perché l'appellante interessato, ancorché assolto, non ha agito per il perseguimento esclusivo degli scopi istituzionali a cui è preposta l'amministrazione di appartenenza, sicché il rapporto di servizio al più ha rappresentato soltanto l'occasione della condotta che si è posta al di fuori dell'espletamento degli obblighi lavorativi. Il comportamento dell'appellante (omessa tempestiva comunicazione ai superiori della sua futura e preventivata assenza dal servizio), benché non integrante la fattispecie penale di truffa ai danni dello Stato, esclude il nesso di strumentalità tra la condotta, oggetto dell'accusa in sede penale, e l'attività istituzionale dell'amministrazione di appartenenza. L'assoluzione del giudice penale non rileva sull'accertamento del nesso a cui è subordinato il beneficio di cui al citato art. 18, dovendosi a tal fine riscontrare la corrispondenza dell'elemento oggettivo della condotta, così come emerge dalla sentenza penale, con l'espletamento degli obblighi di servizio e le finalità istituzionali. Ininfluente è peraltro la circostanza che non sia stata irrogata alcuna sanzione disciplinare per il fatto oggetto del processo penale, giacché, ai fini del diniego di rimborso, non rileva la rimproverabilità della condotta sul piano soggettivo, ma il mancato specifico perseguimento dell'interesse pubblico.

Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello

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