Esclusione dell’applicazione retroattiva del D.L. Salva Casa (n. 69/2024) e sulla natura della pergotenda

Redazione Scientifica Processo amministrativo
22 Maggio 2025

Il d.l. n. 69/2024, conv in l. n. 19/ 2024, in difetto di diversa previsione di diritto transitorio, soggiace agli ordinari principi di diritto intertemporale, sub specie del principio tempus regit actum per cui non può che disporre per il futuro.

Un privato impugnava la determinazione dirigenziale di Roma Capitale recante l'ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 19, c.1, L.R. n. 15/2008 per aver realizzato un gazebo abusivo in violazione dell'art. 22, commi 1 e 2, del d.p.r. n. 380/2001, e chiedeva la condanna del Comune alla restituzione delle somme medio tempore versate a titolo di sanzione.

In primo luogo, il Collegio ha respinto la prospettazione del ricorrente secondo la quale dovrebbero essere applicate le modifiche apportate al d.p.r. n. 380/2001 dal c.d. decreto Salva Casa (d.l. n. 69/2024, conv in l. n. 19/ 2024) aventi portata retroattiva per cui, in ogni caso, avrebbe dovuto essere caducata la sanzione amministrativa irrogata per il principio della lex mitior tale per cui l'attività sanzionata prima della novella sarebbe divenuta lecita.

Il Collegio ha ritenuto che il d.l. n. 69/2024, in assenza di diversa disposizione transitoria, soggiace agli ordinari principi di diritto intertemporale e, dunque, del principio tempus regit actum, in base al quale il citato decreto-legge si applica ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore (28.7.2024). Né, a conclusioni opposte, può addivenirsi secondo le argomentazioni del ricorrente per cui il d.l. n. 69/2001 ha codificato solo principi giurisprudenziali senza introdurre nuove norme. Il Collegio ha precisato che la legge primaria, salvo diversa disposizione che abbia natura di interpretazione autentica a efficacia retroattiva, non può che disporre per il futuro. Inoltre, non potrebbe essere invocato il principio della lex mitior poiché è applicabile solo per le sanzioni formalmente amministrative, ma sostanzialmente penalistiche e non invece, come nel caso di specie, per le mere sanzioni amministrative.

D'altra parte, ad avviso del Collegio, le innovazioni di cui al d.l. n. 69/2024 (art. 6, comma 1, b-ter), del d.pr  n. 380720 del 0 1) che hanno ricondotto all'edilizia libera le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola, anche bioclimatiche, escludono, come nel caso di specie, le opere che determinano la creazione di uno spazio stabilmente chiuso, con variazione di volumi e di superfici, dovendo avere caratteristiche tali da ridurre al minimo l'impatto visivo e l'ingombro apparente e armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche.

Nel merito del ricorso il Collegio, tra l'altro, ha osservato che le opere sanzionate non rientrano nell'attività di edilizia libera, di cui all'art. 6 TUE e, come tali, necessitano del titolo edilizio. La giurisprudenza amministrativa  richiamata e condivisa dal Collegio, ha precisato che una struttura rientra nell'ambito dell'edilizia libera se qualificabile quale "struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore e aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili". Quindi nell'ambito dell'edilizia libera rientrano esclusivamente tende o gazebo che non abbiano autonomia funzionale e non realizzino uno spazio chiuso stabile.

In particolare il Collegio, sulla base della giurisprudenza in materia, ha precisato che il titolo edilizio è necessario quando l'opera realizzata, per le sue dimensioni e caratteristiche strutturali altera la sagoma dell'edificio, stante il carattere di stabilità, derivante dall'ancoraggio con piastre bullonate su un terreno pavimentato e il posizionamento rispetto al fabbricato principale, che ne consente l'autonoma utilizzazione. Diversamente, un'opera edilizia costituisce attività libera se la struttura ha "natura ornamentale, è stata realizzata in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, è facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni" (C.d.s., n. 8475/2023). In particolare la giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., n. 39596/2024) ha chiarito che non possono considerarsi "manufatti leggeri, quelli che implicano uno spazio chiuso al servizio di esigenze non temporanee di attività commerciale", in quanto costituiscono una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e.5), d.P.R. citato, soggetta come tale, a regime autorizzatorio".

In applicazione di tali principi il Collegio ha ritenuto che l'opera nel caso di specie non avesse carattere ornamentale, per le sue ampie dimensioni, cui si aggiunge la copertura in vetro plastificato e plexiglass, di altezza variabile, con chiusura su tutti i lati, seppure con teli PVC, determinando un aumento del carico urbanistico, e la trasformazione urbanistico-edilizia del territorio. Di qui la necessità del regime autorizzatorio, ovvero della SCIA. Peraltro la struttura realizzata non è facilmente amovibile, pur se priva di fondamenta, presenta due porte d'accesso ed è dotata di impianto elettrico, per cui non presenta carattere "leggero" e "ornamentale" e non è un'opera temporanea. L'art. 6, comma 1, e bis), d.p.r. n. 380/2001 prevede che "le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee" sono tali "purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale". Nel caso di specie, il gazebo costituisce un'estensione perpetua del locale bar, anche per la presenza di sedie e tavolino, che può essere utilizzata in tutte le stagioni, per cui è presente un fungo riscaldante e, perciò, soddisfa esigenze non temporanee di attività commerciale, per cui necessita del titolo edilizio.

Infine, il Collegio ha precisato che, l'attività di vigilanza svolta dall'Ente locale ai sensi dell'art. 27 TUE è un'attività vincolata, priva di discrezionalità. Pertanto, il vizio procedimentale lamentato dal ricorrente relativo alla presunta violazione dell'art. 10 bis l. n. 241 del 1990, a causa della mancata considerazione delle memorie presentate dal ricorrente in sede procedimentale, è irrilevante, ai fini dell'invalidità del provvedimento impugnato, ove risulti palese che non avrebbe potuto avere un contenuto diverso (art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990), visto, altresì, che l'onere della prova grava sul privato. Infatti, il Collegio ha ritenuto che gli elementi difensivi presentati dal ricorrente, per evidenziare la non necessità del titolo edilizio, non avrebbero condotto il Comune a conclusioni diverse rispetto a quelle a cui è giunto. Affinché la violazione dell'art. 10 bis comporti l'illegittimità del provvedimento impugnato, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie garanzie partecipative, ma deve indicare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (C.d.s., n.2676/2020). Il Collegio ha ritenuto che il ricorrente non abbia allegato gli stessi elementi posti alla base del ricorso introduttivo che non hanno né indotto la PA ad agire in autotutela nelle more della decisione giudiziale, né il Tribunale a censurare l'agere amministrativo, risultando palese il contenuto vincolato dell'atto nei termini in cui è stato adottato da Roma Capitale.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione II bis, ha respinto il ricorso.

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