Requisiti del concordato in continuità e nomina di un liquidatore per la dismissione dei beni non strumentali
23 Giugno 2025
Massime Nel concordato in continuità, la prosecuzione dell'attività di impresa deve riguardare una porzione significativa del nucleo aziendale, ossia un'articolazione funzionalmente autonoma dell'attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali. L'art. 182 l. fall. trova applicazione anche con riferimento alla liquidazione dei beni non strumentali alla continuità e, nel prevedere un intervento suppletivo del tribunale nel caso in cui il concordato non disponga diversamente, prescrive una puntuale indicazione delle modalità di liquidazione dei beni con la conseguenza che, ove tale indicazione manchi o sia generica, il tribunale deve procedere alla nomina di un liquidatore. Il caso La società Alfa propone domanda di concordato fondata sulla prosecuzione diretta dell'attività di impresa, sull'incasso dei crediti commerciali e dei flussi liquidatori rivenienti da una sua controllata e, in parte, sulla liquidazione di beni non funzionali alla continuità. La proposta concordataria esclude, per la cessione di tali beni, la nomina di un liquidatore (prevedendo di affidare le attività di dismissione al legale rappresentante) e, tuttavia, il tribunale, rilevato che l'art. 186-bis l. fall. non disciplina le modalità con cui deve avvenire la liquidazione dei beni non funzionali alla continuità e che soltanto laddove la vendita si svolga secondo le forme a evidenza pubblica di cui agli artt. 105 l. fall. ss. può produrre l'effetto purgativo ex art. 108 l. fall., in sede di omologazione, provvede alla nomina un liquidatore (diverso da quello indicato dalla società proponente). La società ha proposto ricorso per cassazione denunciando (principalmente) la non legittima sovrapposizione, da parte del tribunale, della disciplina del concordato in continuità con quello liquidatorio e la violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere il tribunale nominato un liquidatore nonostante tale organo non fosse previsto dalla proposta di concordato. La questione, per la sua particolare rilevanza, è stata ex art. 375 c.p.c. rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza (cfr. Cass. 19 giugno 2024, n. 16868). Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio per cui, quand'anche sia prevista la liquidazione di parte dei beni ma, in qualsiasi misura, il piano contempli la prosecuzione dell'attività aziendale, si applica la disciplina del concordato in continuità. Tale principio, precisa la sentenza, (i) trova un limite nell'abuso dello strumento concordatario e (ii) presuppone una valutazione diretta a verificare che la prosecuzione dell'attività di impresa sia realizzata tramite una porzione significativa del nucleo aziendale, ossia di (a) un'«articolazione funzionalmente autonoma», (b) «precedentemente organizzata» che (c) «conservi la propria identità» e per la quale (d) i beni sottratti alla liquidazione siano «effettivamente strumentali». Al ricorrere di tali requisiti segue l'applicazione della disciplina del concordato in continuità senza che sia dato ingresso a giudizi di prevalenza tra i due flussi, liquidatorio e in continuità, o a combinazioni tra le due discipline.» Tuttavia, rileva la Corte, la disciplina del concordato in continuità non contiene alcuna disposizione dedicata alle modalità con cui la liquidazione dei beni deve avvenire sicché trova applicazione la norma generale che regola la cessione dei beni in materia di concordati, ossia l'art. 182 l. fall. Ne consegue che, nel caso in cui, nel piano o nella proposta, il debitore non abbia dettagliato le attività di liquidazione, il tribunale può esercitare il potere suppletivo previsto dall'art. 182 l. fall. («se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori») provvedendo d'ufficio alla nomina di un liquidatore. Questioni giuridiche La fattispecie del c.d. concordato misto, in cui il piano prevede la continuazione dell'attività di impresa nonché – come previsto dall'inciso contenuto nel primo comma dell'art. 186-bis («il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa») – la dismissione di beni ad essa non funzionali, come è noto, ha per lungo tempo impegnato giurisprudenza e dottrina nel delicato compito di individuare la disciplina concretamente applicabile e definire le ricadute di tale operazione ermeneutica. Le due principali tesi che si sono divise il terreno di confronto sono state quella della prevalenza (o dell'assorbimento) - secondo cui la disciplina del concordato in continuità troverebbe applicazione solo laddove le risorse generate dalla prosecuzione dell'attività di impresa siano quantitativamente superiori a quelle ricavate dalla porzione liquidatoria del piano (Trib. Milano, 13 febbraio 2020, in Fall., 2020, 713; App. Firenze, 23 dicembre 2019, in Fall., 2020, 4, 572; Trib. Chieti, 2 dicembre 2019, n. 1246; Tribunale Ravenna, 15 gennaio 2018; Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016, in Fall., 2016, 4, 491; Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015; Trib. Mantova, 19 settembre 2015; Trib. Roma, 22 aprile 2015; Trib. Mantova, 19 settembre 2013; Trib. Treviso, 26 luglio 2016; per un approccio più articolato che applica un criterio sia quantitativo che qualitativo, cfr. Trib. Como, 27 febbraio 2018) – e quella della combinazione, secondo cui, invece, è irrilevante il raffronto algebrico tra i due flussi generati dalla liquidazione o dalla continuità in quanto alle attività liquidatorie contemplate dal piano si applica sempre la disciplina concordataria in materia di cessione dei beni del debitore (App. Trieste, 20 aprile 2017, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista; Trib. Firenze, 2 novembre 2016; Trib. Torre Annunziata, 29 luglio 2016; Trib. Ravenna, 28 aprile 2015, in Fall., 2016, 77; Trib. Arezzo, 13 febbraio 2015, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, con nota di A. Di Iulio, Il concordato preventivo misto tra cessione dei beni e continuità aziendale diretta, 10 febbraio 2016; sul tema, cfr., per un'attenta analisi delle diverse tesi, S. Sisia, C'era il c.d. “concordato misto”, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) – ilfallimentarista, 4 maggio 2020; L. Campione, Concordato misto (l. fall.), in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista , 20 settembre 2019; F. Cesare, V. Peduto, Concordato misto e disciplina applicabile, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 12 agosto 2020). Prendendo posizione su tali diverse opzioni interpretative, con la sentenza n. 734 del 15 gennaio 2020 (in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, con note di D. Fico, La disciplina applicabile al concordato preventivo “misto”, 4 agosto 2020 e G. Minniti, L. Russo, F. Garofoli, Qualificazione del concordato c.d. misto quale concordato in continuità aziendale, 19 novembre 2020 e in Fall., 2020, 4, 477 con nota di R. Brogi, Concordato con continuità e liquidazione dei beni: prevalenza qualitativa, prevalenza quantitativa o combinazione?), la Corte di Cassazione ha ricostruito l'assetto normativo concordatario attribuendo all'art. 186-bis l. fall. - nel contesto della generale disciplina contenuta nell'art. 160 – natura di norma speciale con la conseguenza che, poiché tale disposizione contempla la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, entrambe le attività (continuità e liquidatoria) trovano in essa la loro esaustiva disciplina senza che sia necessario ricorrere a sovrapposizioni di norme o a valutazioni circa la prevalenza quantitativa tra flussi finanziari generati dalle diverse porzioni di piano. La nozione di concordato misto assume, dunque, una funzione meramente descrittiva di uno strumento di regolazione della crisi cui si applica integralmente la disciplina del concordato in continuità e in cui la componente liquidatoria non assume alcuna rilevanza a fini qualificatori (questo approdo, può oggi dirsi pacifico, cfr. M. Arato, Il concordato preventivo, in Crisi di impresa e procedure concorsuali, dir. O. Cagnasso, L. Panzani, I, Milano, 2025, 1582; A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 380; M. Spiotta, Evoluzione del diritto concorsuale e modello concordatario: unitarietà o pluralità?, in Fall., 2023, 872. S. Sisia, C'era il c.d. “concordato misto”, cit.; G. Bozza, Il concordato liquidatorio, in Fall., 2020, 1224; F. Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 16 settembre 2015; S. Ambrosini, Concordato preventivo con continuità aziendale: problemi aperti in tema di perimetro applicativo e di miglior soddisfacimento dei creditori, in ilcaso.it, 2018; cfr. anche D. Galletti, L'insostenibile leggerezza dell'essere “concordato con continuità aziendale”, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 15 dicembre 2015. Un approccio più articolato è quello che, rifiutando la stretta dicotomia liquidazione-continuità, rivolge l'attenzione alle diverse modalità di soddisfacimento dei creditori individuando le molteplici opportunità, oggi consentite dalla lettera dell'art. 84 c.c.i.i., di confezionare concordati ‘transtipici'; così, M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d'impresa, Piacenza, 2023, 210; Id, Un affresco sulle nuove «milestones» del concordato preventivo, in dirittodellacrisi.it, 6 ottobre 2022; cfr. anche L. Panzani, Le finalità del concordato preventivo, in Ristrutturazioni aziendali, 10 ottobre 2022; S. Ambrosini, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale, in Dir. fall., 2024, 3-4). Tuttavia, muovendo dal concetto di funzionalità dei beni rispetto a una continuità che prevede la loro conservazione in contrapposizione a quelli non funzionali che, dunque, nel corso del piano concordatario, vengono liquidati, la Corte (sempre con la sentenza 734/2020) ha trasferito la verifica del tribunale sul terreno della verifica (più complessa rispetto alla comparazione algebrica tra flussi finanziari) della effettiva strumentalità-funzionalità alla continuità dei beni ad essa destinati. Nella prospettiva (non accolta) del confronto quantitativo tra flussi, si è, dunque, fatto strada un parametro strettamente qualitativo che colloca nel novero delle verifiche affidate al tribunale il controllo «dell'effettivo persistere di una continuità d'impresa che, sia pur in misura limitata o ridotta a taluni rami o sedi, assuma una sua autonoma rilevanza in termini economici ed a cui i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali» e che da esso fa dipendere l'applicazione della disciplina del concordato in continuità o, laddove non si ravvisi la non genuina prosecuzione dell'attività di impresa, delle soglie di ammissibilità del concordato liquidatorio e della verifica dell'esistenza dei necessari apporti incrementali (oggi previsti dall'art. 84,4 comma, c.c.i.i.). L'area delle verifiche di cui è investito il tribunale si è, dunque, esteso comprendendo (oltre ai diversi accertamenti previsti in sede di ammissibilità e di omologazione) l'accertamento del collegamento funzionale tra l'attività imprenditoriale che il piano concordatario prevede sia proseguita e la struttura aziendale a ciò destinata. La sentenza n. 734/2020 ha, dunque, chiarito che l'art. 186-bis non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una «valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una siffatta organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori». In questa direzione, ad esempio, si è ritenuta irrilevante la riduzione del numero dipendenti o le modifiche dei cicli produttivi, come, ad esempio, l'esternalizzazione delle attività, purché, de minimis, al momento dell'accesso alla procedura concorsuale, l'azienda fosse in esercizio (Cass., Sez. I, 15 giugno 2023, n. 17902; cfr. a commento di tale sentenza, G. Minutoli, La continuità indiretta nel concordato preventivo: prosecuzione e riavvio dell'attività tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Procedure concorsuali e crisi di impresa, 2024, 3, 361, il quale esamina la pronuncia anche nell'alveo dell'art. 84 c.c.i.i. che contempla la possibilità che il piano preveda la ripresa dell'attività) o, in altra fattispecie, si è rilevato come la sola gestione di una partecipazione minoritaria in una società controllata non sia sufficiente a integrare la nozione di continuità (Cass., sez. I, 21 luglio 2023, n. 21864; cfr. App. Bologna, 18 novembre 2021, n. 2902 e Trib. Bologna, 5 luglio 2021, n. 72 che hanno escluso che la mera gestione di una holding potesse ricadere nell'area della continuità in quanto il piano prevedeva la progressiva dismissione delle partecipazioni da essa detenute non contemplando, al contrario, alcuna acquisizione, in uno scenario che, dunque, non appariva dissimile da quello fallimentare). La pronuncia in commento si inscrive, dunque, in questo solco aggiungendo una serie di parametri per la verifica della permanenza di un nucleo aziendale che confermi la natura di concordato in continuità ed escluda la dissimulazione di un progetto di risanamento nella sostanza liquidatorio. In particolare, esclusa, come detto, la rilevanza, a fini qualificatori, del giudizio di prevalenza di un flusso finanziario sull'altro (ossia, dei ricavi rivenienti dalla liquidazione dei beni non strumentali rispetto a quelli prodotti dalla continuità), la sentenza ha ribadito come sia necessario accertare che il piano concordatario si regga su un piano industriale incentrato sul mantenimento di una porzione significativa del nucleo aziendale originario i cui requisiti vengono mutuati dall'art. 2112, comma 5, c.c., ossia di un'articolazione funzionalmente autonoma dell'attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali. Ancor più nello specifico, la pronuncia ritiene che, perché vi sia continuità, non è decisivo il ridimensionamento quantitativo dell'attività di impresa quanto la sua prosecuzione con le peculiari caratteristiche già in essere e il mantenimento della sua identità sotto un profilo qualitativo, caratteristica quest'ultima che viene meno in caso di completa destrutturazione e sostituzione con un'attività di impresa altra e differente da quella precedentemente svolta. La verifica, che la Corte, opportunamente, precisa, varia caso per caso, deve avvenire rispettando le caratteristiche di ogni singolo piano e può basarsi (i) sull'individuazione del tipo di impresa e sull'identità dell'attività produttiva, (ii) sull'utilizzo, almeno parziale, della medesima forza lavoro, (iii) sul tendenziale mantenimento della stessa clientela, (iv) sulla destinazione, almeno parziale, dei beni materiali già precedentemente utilizzati per lo svolgimento dell'attività. La Corte ha cura di chiarire che l'elenco appena riportato è da ritenere meramente esemplificativo di un percorso di valutazione che deve necessariamente mantenersi aderente al piano concordatario in stretta coerenza col piano industriale [così, ad esempio, Cass. 17902/23, in quello che costituisce comunque un obiter dictum, non ha ritenuto di per sé insussistente la continuità in caso di assenza di contratti in corso con clienti strategici o in presenza di una diversità tra l'attività imprenditoriale prevista dal piano sebbene divenuta un segmento minimale di quella originaria; già Trib. Firenze, 12 febbraio 2018 (in Fall., 2018, 7, 889, con nota di G. P. Macagno, Continuità aziendale effettiva verso apparente: i confini mobili del concordato preventivo hanno trovato un argine?) aveva ritenuto apparente e non genuino un piano concordatario in continuità rilevando che, sul piano economico-finanziario, la prosecuzione dell'attività di impresa avrebbe richiesto una ristrutturazione delle dinamiche dei costi e l'apporto di significativi investimenti]. La pronuncia in esame affronta poi una diversa questione (per la trattazione della quale è stata disposta la discussione in pubblica udienza ex art. 375 c.p.c.) ossia la compatibilità, nel contesto della generale applicazione della disciplina in materia di concordato in continuità, della nomina di un liquidatore giudiziale cui affidare la dismissione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell'attività di impresa. Anche questo tema ha lungamente impegnato la dottrina e la giurisprudenza e, nel tempo, è stato oggetto di soluzioni discordanti. Argomentando dalla lettera dell'art. 182 l. fall., un primo iniziale indirizzo, ha ritenuto che la nomina del liquidatore potesse intervenire solo in caso di concordato con cessio bonorum (Cass., sez. I, 18 gennaio 2013, n. 1237 che si richiama a Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15699; su questa linea, Trib. Chieti, 15 ottobre 2013 con nota A. M. Leozappa, Concordato preventivo senza liquidatore e comitato dei creditori, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 7 gennaio 2014). Altro argomento a favore della tesi che esclude la possibilità di nomina di un liquidatore è quello per cui la principale ricaduta della qualificazione in termini di prevalenza della componente concordataria in continuità consiste nella sterilizzazione della disciplina in materia di liquidazione (App. Roma, I sez., 23 maggio 2016, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista con nota di L. Campione, La nomina del liquidatore nel concordato misto, 20 settembre 2016; F. Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, cit.; cfr. anche Trib. Nola, 23 settembre 2014, n. 106). Secondo un'opposta interpretazione, tuttavia, l'argomento che fa leva sull'applicazione in via esclusiva della disciplina prevalente non sarebbe sufficiente ad escludere la combinazione delle due normative ogni qual volta vi sia una porzione di beni non funzionali alla continuità di cui sia prevista la dismissione (Trib. Firenze 2 novembre 2016, in Fall. 2017, 1, 118; Trib. Roma, 22 aprile 2015, n. 17 - che muove dalla prospettiva di un'applicazione congiunta delle diverse discipline della continuità e della liquidazione, salva l'individuazione, all'esito di un giudizio di prevalenza, di ragioni di incompatibilità - con nota di C. Ravina, Concordato preventivo misto e nomina del liquidatore giudiziale, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 15 settembre 2015; cfr. anche Trib. Roma 31 luglio 2015, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista con nota di L. Campione, Concordato in continuità con cessione dei beni: è necessario nominare un liquidatore giudiziale?, 6 novembre 2015; D. Galletti, La nomina del liquidatore giudiziale nei concordati preventivi “con continuità”, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 1 luglio 2014; G.P. Macagno, Il concordato con continuità aziendale: il confine ultimo di un istituto sotto accusa, in Fall., 2016, 1, 77). Da altra parte della giurisprudenza, poi, la possibile coesistenza di un organo di nomina giudiziale, il liquidatore, con l'amministratore della società in concordato è stata ritenuta percorribile in ragione della separazione, sia su un piano pratico che su un piano giuridico, delle porzioni di piano, liquidatoria e in continuità, cui i due diversi soggetti sarebbero autonomamente chiamati a presiedere (Trib. Perugia 1° aprile 2021; Trib. Ravenna 28 aprile 2015, in Fall., 2016, 1, 77). In questo articolato scenario, la Corte di Cassazione è inizialmente intervenuta con due pronunce (Cass., Sez. I, 10 agosto 2017, n. 19925 e Cass. 13 settembre 2016, n. 17949, la prima con nota critica di G. La Croce, La liquidazione di beni nel concordato in continuità e la nomina del liquidatore giudiziale, in Fall., 2018, 1, 35) secondo cui la nomina di un liquidatore, intervenuta in sede di omologazione, attiene alle modalità meramente organizzative e gestorie del concordato e non si traduce in una eterointegrazione giudiziale della proposta concordataria. Questo orientamento è stato poi sottoposto a revisione riconoscendo al debitore in concordato il potere in via esclusiva di designare il liquidatore e riservando al tribunale esclusivamente il compito di verificare la sussistenza in capo al soggetto designato dei requisiti ex art. 28 l. fall. e, solo all'esito di tale disamina, di procedere a una nomina autonoma (Cass., sez. I, 29 luglio 2021, 21815). La pronuncia in commento interviene sulla questione affermando la tesi della combinazione muovendo tuttavia da una ricostruzione in via di stretta interpretazione delle norme della legge fallimentare. In particolare, la pronuncia attribuisce all'art. 182 l. fall. una portata generale in tema di cessioni di beni nell'ambito concordatario e, dunque, ne riafferma l'applicabilità al concordato in continuità e, più in dettaglio, alla porzione di piano che preveda la dismissione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell'attività di impresa a meno che il debitore non renda noto come intenda provvedere alla stessa indicando la strutturazione delle attività di liquidazione che ha programmato di effettuare. Secondo la pronuncia in commento l'inciso contenuto nell'art. 182 l. fall. che prevede che se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente il tribunale nomina un liquidatore deve essere interpretato nel senso di prescrivere una puntuale indicazione delle modalità di liquidazione dei beni non funzionali alla continuità con la conseguenza che, laddove questa indicazione manchi o sia offerta in maniera del tutto generica, tale da impedire la verifica della legittimità delle forme di cessione programmate, il tribunale deve sopperire nominando un liquidatore. Osservazioni La sentenza in commento affronta i temi del concordato in continuità e della disciplina ad essa applicabile in presenza di una componente mista-liquidatoria del piano nonché della nomina del liquidatore per la parte di dismissione dei beni non funzionali e tale disamina è condotta sotto l'alveo degli artt. 186-bis e 182 l. fall. La sua portata interpretativa può, dunque, dirsi integrale per le procedure che, in conformità all'art. 390 c.c.i.i. versano in uno stadio antecedente all'omologazione e sono sottoposte alla disciplina della legge fallimentare. Più complesso è, invece, stabilire la rilevanza della pronuncia nel mutato tessuto normativo del codice della crisi e ciò anche tenuto conto che in essa non vi è alcun richiamo o rinvio alle corrispondenti norme come, diversamente, a fini di corredo dell'impianto interpretativo di volta in volta offerto, accade in altri precedenti. Abbastanza agevole è escludere che, nel nuovo contesto normativo, possa rilevare la ricostruzione dei rapporti tra la disciplina in materia di continuità e quella in materia di liquidazione (attribuendo rilevanza alla tesi della prevalenza piuttosto che a quella della combinazione) atteso che l'attuale formulazione dell'art. 84, comma 3, c.c.i.i. ha definitivamente abbandonato entrambi i criteri per stabilire che, in presenza di una porzione anche minimale di attività di impresa in continuità, si applica la corrispondente disciplina (come è noto, l'art. 84 è stato integralmente riscritto con abbandono della precedente formulazione che, secondo le prime pronunce edite, aveva introdotto un criterio di prevalenza quantitativa attenuata (Trib. Milano, 28.11.2019, n. 10953, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, con nota di Cesare-Peduto, cit. e di A. Petrosillo, Il concordato “misto” e il criterio della “prevalenza quantitativa attenuata”, 27 gennaio 2020 e di V. Palladino, Prime riflessioni sull'applicazione del criterio della “prevalenza quantitativa attenuata” nel concordato “misto” alla luce della disciplina del c.c.i., 25 maggio 2020; cfr. anche D. Corrado, Aspetti critici della disciplina del concordato in continuità nel Codice della crisi, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 16 agosto 2019). Proprio in questa nuova prospettiva, tuttavia, assume, invece, rilevanza centrale nell'ambito delle verifiche che il tribunale deve necessariamente condurre, l'accertamento che la continuità sia effettiva e che sia realizzata attraverso un nucleo aziendale significativo che si ponga in linea di prosecuzione con quello originario. Nella prospettiva normativa per la quale i benefici della disciplina in materia di continuità presuppongono una scrupolosa valutazione dell'effettiva prosecuzione dell'attività imprenditoriale, onde evitare abusi ed aggiramenti della più rigorosa disciplina dell'accesso al concordato liquidatorio, dunque, tale verifica diviene essenziale e si aggiunge a quelle che ex art. 47 e 112 c.c.i.i. il tribunale è chiamato a condurre. In questa direzione assume un ruolo decisivo l'allegazione di un analitico e dettagliato piano industriale che lungi dal limitarsi, secondo il paradigma minimale di cui alla lettera e) dell'art. 87 c.c.i.i., a illustrare gli effetti da esso prodotti sul piano finanziario, deve spingersi fino a offrire una chiara rappresentazione dei cicli produttivi e commerciali che si intendono proseguire, di quale forza lavoro già in forza prima dell'insorgenza della crisi ci si intende avvalere e su quali flussi e contratti si incentra il piano di risanamento. Tutto ciò nella duplice prospettiva di comprovare, da un lato, l'identità dell'attività di impresa proseguita dal piano (ancorché eventualmente con ridimensionamento del volume) e, dall'altro lato, di rappresentare chiaramente la distinzione tra beni funzionali e beni non utili alla continuità. Come si è già detto, la Corte ha indicato una serie di elementi da cui trarre o meno conferma dell'effettiva prosecuzione dell'attività di impresa ma ha avuto cura di riconoscere all'elenco offerto funzione meramente esemplificativa dovendo, di volta in volta, assumersi punti di indagine diversi a seconda della tipologia di piano concretamente proposto (può dubitarsi, ad esempio, della rilevanza della prosecuzione dei contratti con i precedenti clienti ove il piano industriale persegua un progetto di riconversione industriale o una fusione con assorbimento dei beni strumentali all'ingresso in un nuovo mercato). L'allegazione, a corredo di una proposta di concordato in continuità, di un piano industriale quanto più dettagliato possibile assume, pertanto, rilevanza decisiva al fine di consentire al tribunale la verifica che la continuità sia effettiva e non apparente. In questo senso, dunque, il principio affermato dalla sentenza in commento mantiene la sua piena vitalità ed anzi, nel nuovo contesto del codice della crisi, in cui, per inciso, fin dalle prime verifiche ex art. 47 c.c.i.i., il tribunale è chiamato a valutare se il piano sia idoneo alla conservazione dei valori aziendali, assume un peso estremamente rilevante. Anche per ciò che attiene alla soluzione offerta con riferimento alla nomina del liquidatore, la pronuncia in commento non ha apparente rilevanza ai fini dell'interpretazione delle norme del codice della crisi. L'art. 114-bis c.c.i.i., infatti, disciplina la nomina di un liquidatore nel concordato in continuità che prevede la liquidazione di una parte del patrimonio e, dunque, per giungere alla nomina non è necessaria più alcuna particolare operazione ermeneutica e, in particolare, quella della combinazione applicata dalla pronuncia in commento. Ma, a una più attenta lettura, in realtà, anche su questo tema, la pronuncia in commento può assumere un non trascurabile peso interpretativo. L'art. 114-bis, infatti, prevede che il tribunale può procedere alla nomina ma non indica quali siano i parametri di valutazione che presiedono all'esercizio di tale potere. In questo cono interpretativo, la sentenza in commento può, dunque, trovare una rilevante collocazione. L'assenza di una puntuale indicazione delle modalità di liquidazione dei beni non funzionali alla continuità o la genericità del programma di dismissione – presupposti richiamati dalla sentenza in commento - possono sicuramente costituire la premessa per l'esercizio dei poteri di nomina ufficiosi previsti dall'art. 114-bis c.c.i.i.. Tale conclusione trae ulteriore conforto dalla considerazione dell'importanza che nelle attività liquidatorie assume oggi il programma di dismissione (la centralità nella liquidazione giudiziale del programma di liquidazione ex art. 213 è di tale evidenza da non richiedere più del presente accenno). Pertanto, in un piano di concordato in continuità in cui manchi o sia lacunoso o generico il programma di liquidazione dei beni non funzionali alla continuità, il tribunale, può, dunque, procedere alla nomina del liquidatore ex art. 114-bis a tutela di un'ordinata e trasparente dismissione di detti beni. L'accento posto dalla pronuncia in commento sulla possibilità di cancellazione dei gravami, garantita solo da un procedimento che possa concludersi con il decreto ex art. 108 l. fall., con la conseguenza di rendere in tal caso inevitabile la nomina d'ufficio di un liquidatore, costituisce un secondo piano su cui la sentenza può rilevare nell'interpretazione dell'art. 114-bis c.c.i.i. Il comma 3 di tale norma prevede infatti che «in caso di nomina del liquidatore alla vendita si applicano gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile e la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi» sollevando l'interrogativo (che, alla luce della pronuncia in commento sembra trovare soluzione affermativa) se, laddove le dismissioni debbano avvalersi degli effetti purgativi ex art. 108 l. fall. (art. 114-bis, comma 3,c.c.i.i.), la nomina del liquidatore da parte del tribunale sia ineludibile e si imponga alle determinazioni del debitore in concordato. In questa duplice direzione, dunque, la pronuncia in commento trova collocazione anche nel tessuto del codice della crisi individuando due possibili fattispecie in cui l'esercizio del potere di nomina ufficiosa del liquidatore ex art. 114-bis diviene necessario che si aggiungono a quelle già evidenziate dai primi studi in materia (si è ritenuto, in particolare, che l'emersione, all'esito delle verifiche del commissario giudiziale, di possibili azioni di responsabilità – che come è noto, ex art. 115, 2° comma, il liquidatore è tenuto a esercitare nonostante qualsiasi clausola concordataria – condurrebbe a un'incompatibilità con il liquidatore designato dal debitore per cui sarebbe ineludibile la nomina officiosa da parte del tribunale: cfr. P. Beltrami, Omologazione e disposizioni sulla liquidazione nel concordato liquidatorio e in continuità, in Crisi di impresa e procedure concorsuali, dir. O. Cagnasso-L. Panzani, I, Milano, 2025, 1901; ma, sul tema, cfr. anche M. Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: la transizione dalla legge fallimentare al codice della crisi, in Procedure concorsuali e crisi d'impresa, 2019, 12, 1533 a commento critico di. Trib. Firenze Sez. spec. in materia di imprese, 3 ottobre 2019). Conclusioni La pronuncia in esame, sebbene riferita alla legge fallimentare (e, in particolare, agli artt. 186-bis e 182), assume rilevanza anche nel nuovo contesto del codice della crisi in cui, proprio per il diverso impianto normativo nel quale, come è noto, la disciplina della continuità comporta significativi benefici rispetto alla prospettiva meramente liquidatoria, tra le verifiche che il tribunale è chiamato a condurre si colloca quella diretta ad accertare che il piano concordatario si basi su una prosecuzione delle attività di impresa che, secondo il piano industriale, sia effettiva e reale e, pertanto, muova da un nucleo aziendale che mantenga un rapporto di identità con quello precedente. Questa prospettiva consente di attribuire al piano industriale un rilievo maggiore rispetto a quello di cui all'art. 87, lett. d) c.c.i.i. non dovendosi limitare a funzioni illustrative del piano finanziario, ma dovendo rappresentare l'esistenza di una relazione di funzionalità-strumentalità dell'azienda rispetto al progetto di continuità. Sul diverso piano dell'interpretazione dell'art. 114-bis c.c.i.i., poi, la pronuncia in commento conduce a ritenere che, anche nell'alveo di tale disposizione, diviene fondamentale integrare i piani di concordato misti – che prevedano, per la parte liquidatoria, l'affidamento delle attività di dismissione a un liquidatore designato dal debitore – con un programma di dismissione analitico e che sia tale da garantire piena trasparenza ed efficienza in quanto ove manchi del tutto o sia generico, il tribunale può procedere alla nomina di un liquidatore d'ufficio; nomina che, nel caso in cui sia necessario ottenere gli effetti purgativi ex art. 114-bis, comma 3, c.c.i.i., la lettera della disposizione sembra imporre in ogni caso. |