La disciplina delle videoregistrazioni in luogo pubblico e privato varia sotto molteplici profili: sia a seconda dei soggetti operanti, sia in rapporto ai tempi di esecuzione delle videoriprese e alla funzione svolta, sia in relazione ai luoghi in cui le riprese vengono effettuate, ma soprattutto in funzione dell'oggetto delle videoriprese
Inquadramento
La disciplina applicabile alle videoriprese non è uniforme, ma varia sotto molteplici profili: sia a seconda dei soggetti operanti (ad opera della polizia giudiziaria oppure di privati), sia in rapporto ai tempi di esecuzione delle videoriprese (prima o nel corso del procedimento penale) e alla funzione svolta (al di fuori oppure nel corso di indagini), sia in relazione ai luoghi in cui le riprese vengono effettuate (luoghi pubblici oppure di privata dimora, c.d. home watching), ma soprattutto in funzione dell'oggetto delle videoriprese (comportamenti di tipo comunicativo o non comunicativo).
La giurisprudenza europea
Alcuni princìpi sono stati enunciati sia dalla Corte giust. UE (Corte giust. UE, sez. IV, 11 dicembre 2014, Rynes, causa C-212/13) sia dalla Corte Edu Infatti, la Grande Camera affermò che il diritto al rispetto della vita privata si applica anche nei luoghi di lavoro ma le autorità nazionali possono procedere ad un bilanciamento dei diritti in gioco, tenendo conto delle esigenze economiche del datore di lavoro, in attuazione del principio di proporzionalità (CEDU, Grande Camera, 17 ottobre 2019, Lopez Ribalda e altri c./Spagna).
Le videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi in luogo pubblico
Le videoregistrazioni in luogo pubblico sono generalmente ammesse in quanto chi si espone in pubblico non può dolersi di essere osservato. Tuttavia, la Corte di giustizia U.E. ha precisato che, se le riprese con una telecamera fissa, decise da un privato dinanzi alla propria abitazione, riguardano anche spazi pubblici, seppure limitati, deve essere applicata la direttiva n. 95/46 (al tempo vigente e relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati, recepita in Italia con d.lgs. n. 196/2003). In questi casi non è possibile escludere l'applicazione della direttiva perché, pur trattandosi di una persona privata, la ripresa non è limitata allo spazio della propria abitazione familiare. Di conseguenza, non si tratta di un'attività a carattere esclusivamente personale o domestico, situazione che porterebbe invece alla non applicazione della direttiva. Il giudice nazionale deve tuttavia tener conto delle esigenze di sicurezza del privato che effettua la ripresa (Corte giust. UE, sez. IV, 11 dicembre 2014, causa C-212/13).
Nella giurisprudenza italiana si afferma che sono legittime le videoregistrazioni aventi ad oggetto comportamenti comunicativi e non comunicativi disposte dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio (Cass. pen., sez. VI, 13 novembre 2019, Magliacano, n. 5253, in Guida Dir., 2020, n. 25, p. 99; nella specie, le telecamere erano state allocate all'interno delle scale di un edificio ed al di fuori del pianerottolo di un appartamento (la Corte ha precisato che il pianerottolo delle scale di un fabbricato in condominio costituisce un luogo aperto al pubblico, in quanto consente l'accesso a una indistinta categoria di persone e non soltanto ai condomini, che hanno la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi su detto luogo esercita un potere di fatto o di diritto): tali attività di captazione delle immagini – se eseguite in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico per esigenze lavorative e non – sono qualificabili come prova atipica disciplinata dall'art. 189 c.p.p. e quindi utilizzabili senza alcuna necessità di autorizzazione preventiva del giudice.
La videoripresa di comportamenti non comunicativi è considerata dalla giurisprudenza prova atipica nel processo e ad essa non si applica la disciplina delle intercettazioni, per cui non necessita dell'autorizzazione del G.i.p., al pari degli appostamenti di polizia e non viola il domicilio se registra solo spazi esposti al pubblico di un edificio. Pertanto, è legittima la deposizione dell'agente di polizia giudiziaria relativa alle videoriprese. Infatti, secondo la Corte di cassazione, la videoripresa di comportamenti non comunicativi effettuata dagli investigatori equivale alle riprese delle telecamere posizionate a fini di sicurezza all'esterno di un edificio che registrano i movimenti avvenuti nel suo raggio d'azione e sono acquisibili senza essere state preventivamente autorizzate (Nella fattispecie la polizia aveva collocato una videocamera sulla sommità di un edificio prospiciente quello sotto indagine al fine di superare le barriere poste a escludere la visibilità dall'esterno) (Cass. pen., sez. III, 8 ottobre 2021, n. 43609).
Sono utilizzabili i filmati che, realizzati mediante videoriprese legittimamente effettuate, sono stati conservati per un tempo superiore a quello consentito dall'art. 11 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, atteso che la protezione accordata dalla legge alla riservatezza non è assoluta ed è subvalente rispetto all'esigenza di acquisizione probatoria propria del processo penale (fattispecie in cui sono stati ritenuti utilizzabili i filmati degli impianti di videosorveglianza posti a presidio della sicurezza di una caserma, acquisiti e conservati per diversi mesi senza l'adozione di alcun provvedimento di sequestro e senza informare la Procura (Cass. pen., sez. I, 2 dicembre 2020 (dep. 10 luglio 2021), n. 27850, C.).
Corte costituzionale 11 aprile 2002, n. 135
Sono ammesse riprese visive nel domicilio purchè si tratti di comportamenti di tipo comunicativo, non essendo altro che intercettazioni di comunicazioni, come riconosciuto dalla Corte costituzionale che ritenne costituzionalmente legittime le videoregistrazioni nel domicilio di comportamenti di tipo comunicativo, mentre quelle che non hanno carattere di intercettazione di comunicazioni potranno essere disciplinate soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali poste dall'art. 14 Cost. (C. cost., 11 aprile 2002, n. 135).
Le Sezioni unite Prisco del 28 marzo 2006
Le Sezioni unite Prisco del 2006 affermarono alcuni principi di diritto. Esse affermarono, anzitutto, che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell'ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all'art. 234 c.p.p. Le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d'iniziativa, vanno invece incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento.
Le S.U. hanno pure affermato che le riprese video di comportamenti “non comunicativi” non possono essere eseguite all'interno del “domicilio”, in quanto lesive dell'art. 14 Cost. Ne consegue che è vietata la loro acquisizione ed utilizzazione anche in sede cautelare e, in quanto prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.
Le Sezioni unite hanno infine affermato il principio che le videoregistrazioni in ambienti in cui è garantita l'intimità e la riservatezza, ma non riconducibili alla nozione di “domicilio”, sono prove atipiche, soggette ad autorizzazione motivata dell'autorità giudiziaria e alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.
In definitiva, le S.U. Prisco distinguono in relazione al luogo in cui l'attività di captazione di comportamenti non comunicativi si è svolta:
a) se le videoriprese di comportamenti non comunicativi sono eseguite in luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico, possono essere effettuate dalla polizia giudiziaria, anche d'iniziativa (senza che occorra un provvedimento motivato dell'Autorità giudiziaria) ed esse rientrano nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.;
b) se le videoriprese di comportamenti non comunicativi sono eseguite in ambienti non riconducibili alla nozione di “domicilio” ma nei quali debba essere garantita l'intimità e la riservatezza, rientrano nell'ambito delle prove atipiche, soggette perciò alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p. ma necessitano dell'autorizzazione motivata dell'autorità giudiziaria (anche con riferimento allo scopo perseguito ovvero agli elementi probatori suscettibili di essere acquisiti attraverso l'atto intrusivo) e devono essere giustificate in modo congruo rispetto alla invasività dell'atto e alle esigenze dell'indagine;
c) se le videoriprese di comportamenti non comunicativi sono eseguite all'interno del domicilio, vanno qualificate come prove illecite in quanto lesive dell'art. 14 Cost. per difetto della riserva di legge e di giurisdizione (Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2006, Prisco, in Dir. Pen. e Proc., 2006, 1347).
La giurisprudenza italiana
Si afferma in giurisprudenza l'utilizzabilità delle videoregistrazioni che, pur effettuate in ambito domiciliare, hanno ad oggetto comportamenti a carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa dell'intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora. Ciò premesso, devono tuttavia considerarsi contra legem i provvedimenti con cui si è concessa l'autorizzazione nonché la proroga delle intercettazioni di conversazioni tra presenti aventi luogo all'interno dello studio privato dell'imputato, laddove abbiano previsto anche riprese video di comportamenti non comunicativi, con conseguente inutilizzabilità degli esiti di tali ultime riprese (Cass. pen., sez. VI, 16 novembre 2012, n. 44936). La Corte di cassazione afferma, in tema di acquisizione ed utilizzazione delle videoregistrazioni effettuate dalla polizia giudiziaria all'interno del domicilio, è necessario distinguere se abbiano ad oggetto la captazione di comportamenti comunicativi o non comunicativi. Se infatti nel primo caso la disciplina applicabile è quella dettata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., nella seconda ipotesi le operazioni di videoregistrazione non possono essere eseguite, in quanto lesive dell'art. 14 Cost. Conseguentemente, essendo vietata la loro acquisizione ed utilizzazione, in quanto prova illecita, non potrà trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p. (Cass. pen., sez. V, 15 maggio 2024, n. 27507).
Secondo la suprema Corte, le videoriprese realizzate nella corsia dei garages e nella zona d'ingresso del box condominiale monitorato, nelle quali sono registrati i movimenti degli imputati che entravano ed uscivano, trattandosi di luoghi aperti al pubblico, possono essere effettuate dalla polizia giudiziaria anche d'iniziativa, senza necessità di autorizzazione (Cass. pen., sez. IV, 24 ottobre 2024, n. 41979, Bodlli e altri).
Si è ribadito che deve escludersi l'ammissibilità, come prove, delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi acquisite in ambito domiciliare, in quanto contrastanti con l'art. 14 Cost., mentre deve riconoscersi l'utilizzabilità delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenute in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico. Deve pure riconoscersi l'utilizzabilità delle videoregistrazioni, pur effettuate in ambito domiciliare, se aventi ad oggetto comportamenti a carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa dell'intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora e, in tale ultima ipotesi, deve ritenersi legittima la collocazione di telecamere all'interno di un luogo di privata dimora, costituendo ciò, come nell'analogo caso delle microspie auditive, una delle naturali modalità attuative di tale mezzo di ricerca della prova, da ritenersi implicitamente ammesso - con esclusione quindi di qualsiasi ipotesi di illecita violazione di domicilio – nel provvedimento autorizzativo delle operazioni di intercettazione, senza la necessità di una indicazione specifica (Cass. pen., sez. VI, 30 novembre 2012, Evangelisti, n. 46391, in GD 2013, n. 8, p.84; negli stessi termini Cass. pen., sez. VI, 31 gennaio 2011, Di Maggio, n. 14547, CED 250032; Cass. pen., sez. I, 2 ottobre 2007, Biondo, n.38716, CED 238108).
In tema di videoriprese in ambiente privato, il fatto che si tratti di riprese di comportamenti comunicativi ovvero non comunicativi (nel primo caso, con conseguente legittimità delle riprese alle condizioni in cui possono essere legittimamente disposte le intercettazioni ambientali; nel secondo caso, con conseguente illegittimità delle operazioni captative e inutilizzabilità dei relativi esiti, secondo il disposto delle S.U. 28 marzo 2006, Prisco), va apprezzato ex ante, avendo cioè riguardo al momento in cui l'attività viene autorizzata dall'a.g., prescindendo dagli esiti delle operazioni. Così che devono ritenersi legittimi e utilizzabili gli esiti delle videoriprese se legittimamente autorizzate (secondo una valutazione da effettuare ex ante del relativo provvedimento) per apprendere - in uno eventualmente con le intercettazioni ambientali sonore - eventuali comunicazioni gestuali di interesse a fini investigativi, pur se - ex post - rivelatesi solo rappresentative di condotte materiali non comunicative (Cass. pen., sez. IV, 20 marzo 2008, Fera Andali, Guida Dir. 2008, 18, 97). In senso contrario, dando rilievo, invece, ad una valutazione ex post dei risultati dell'intercettazione, la S.C. ha ritenuto inutilizzabili le videoriprese domiciliari nella parte in cui documentano comportamenti non comunicativi costituenti reato, a nulla rilevando la diretta natura criminosa degli stessi e la contestuale legittima attività di intercettazione ambientale ex art. 266 comma 2 (Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 2012, n. 1287, Vescovi, in Dir. Pen. e Proc., 2013, p. 1336; in senso conforme Cass. pen., sez. VI, 23 novembre 2012, n. 46391, Evangelisti; Cass. pen., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 49878, Orsi Spadoni; in senso difforme Cass. pen., sez. IV, 20 marzo 2008, n. 12362, Fera Andali; Cass. pen., sez. II, 15 maggio 2012, n. 24064, Barbera).
Si è affermato che la visione da parte del giudice di una videocassetta, ritualmente acquisita come prova documentale preesistente rispetto al procedimento penale, costituisce mera modalità di percezione di immagini, e non già attività diretta alla formazione della prova, sicchè la predetta visione non deve necessariamente essere effettuata in contraddittorio (Cass. pen., sez. V, 17 settembre 2018 (dep. 25.10.2018), n. 4882, CED 274158, in Cass.Pen., 2019, p. 3000; Cass. pen., sez. III, 14 gennaio 2016, n. 13470, CED 266778; Cass. pen., sez. VI, 16 luglio 2008, n. 36701, ivi 241402; Cass. pen., sez. II, 22 maggio 2007, n. 22184, ivi 237016). Di diverso avviso, si è ritenuto che la visione da parte del giudice in camera di consiglio di videoriprese pur ritualmente acquisite, i cui contenuti siano decisivi per la ricostruzione dei fatti, senza che la stessa abbia avuto luogo anche in dibattimento, vìola i diritti difensivi sulla formazione della prova in contraddittorio (Cass. pen., sez. I, 12 luglio 2017, n. 43917, in CED 271455).
Le videoriprese registrate in luogo di pertinenza condominiale non dalla polizia giudiziaria non possono essere assimilate alle intercettazioni (Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2020, P.E., n. 32544; Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2020, n. 32544; Cass. pen., sez. V, 21 febbraio 2020, Nardi, n. 21077, Rv.279345; Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2015, Hida. n. 6515, Rv.263432). Altre volte le videoregistrazioni condominiali sono state considerate una prova documentale, la cui acquisizione è consentita ai sensi dell'art. 234 c.p.p., essendo inoltre irrilevante siano rispettate o meno le istruzioni del Garante per la protezione dei dati personali poiché la relativa disciplina non costituisce sbarramento all'esercizio dell'azione penale (Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2013, p.m. in proc. R.V., n. 28854).
L'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, con Provvedimento n. 477 del 2023, ha ammonito una cittadina che aveva installato telecamere il cui raggio d'azione riprendeva anche aree pubbliche ed erano anche in grado di registrare le conversazioni dei passanti e di altri cittadini che si trovavano a sostare nelle zone d'accesso delle telecamere.
La S.C. ha precisato che l'art. 615-bis c.p. sussiste anche quando le riprese siano poste in essere da persona convivente, ma in sua assenza. Secondo la Corte, infatti, la ripresa di vita privata altrui, anche operata da parte di un soggetto che viva o meno stabilmente all'interno dello stesso luogo, può essere lecita soltanto nel caso in cui l'autore stesso della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata oggetto di captazione, consenso che deve emergere in forma chiara ed inequivocabile (Cass. pen., sez. V, 2 febbraio 2024, n. 4840).
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.