Il ruolo del PM nella composizione negoziata, nel concordato semplificato e nelle procedure di sovraindebitamento (3/3)

Ciro Santoriello
25 Giugno 2025

Lo scritto conclude l’approfondimento sul ruolo del PM nelle procedure concorsuali, concentrandosi questa volta sulla composizione negoziata, il concordato semplificato e le procedure di sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore e liquidazione controllata).

Per le considerazioni generali sul tema si veda C. Santoriello, Il ruolo del PM nelle procedure concorsuali regolate dal c.c.i.i.: considerazioni generali (1/3)

Per l'approfondimento sul ruolo del PM nella liquidazione giudiziale e nel concordato preventivo si veda C: Santoriello, Il ruolo del PM nelle procedure concorsuali: liquidazione giudiziale e concordato preventivo (2/3).

Il ruolo del PM nella composizione negoziata e nel concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Come è noto, la composizione negoziata della crisi è una procedura introdotta con il decreto-legge n. 118 del 2021, convertito in legge 21 ottobre 2021 n. 147 ed è di fatto andata a sostituire le procedure di allerta e composizione della crisi in precedenza previste.

La relativa disciplina si presenta fortemente carente con riferimento alle modalità di possibile coinvolgimento del pubblico ministero, per il quale – non solo non è prevista alcuna forma di partecipazione al procedimento – non sono individuate forme di coinvolgimento, stante il fatto che sull'esperto non grava alcun onere di segnalazione al titolare della pubblica accusa – come invece disposto per l'O.C.R.I. – ed alla luce della circostanza che è espressamente esclusa l'operatività del disposto di cui all'art. 38 d.lgs. n. 14 del 2019.

Unica eccezione a tale previsione sono le segnalazioni che al pubblico ministero potranno pervenire dall'autorità giudiziaria, a sua volta chiamata ad intervenire e portata a conoscenza dello stato di difficoltà economica del debitore solo quando questi si rivolga al tribunale fallimentare onde richiedere l'emissione di provvedimenti funzionali al buon esito della composizione negoziale – le cd. misure protettive -, ovvero se l'imprenditore intende ottenere finanziamenti prededucibili o cedere l'azienda nel corso della procedura ovvero rideterminare il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nel caso in cui non sia stato possibile raggiungere un accordo con i creditori per la loro modifica. In tutte queste occasioni, ove l'autorità giudiziaria accerti che il debitore si trova in uno stato d'insolvenza, sarà tenuta a segnalarlo al pubblico ministero. A tale conclusione si giunge in considerazione del fatto che l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 18 del 2021, nell'indicare i requisiti oggettivi d'accesso alla procedura, richiama le «condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza», evidenziando quindi come sia ben possibile che a tale rito possano ricorrere anche imprese per le quali si debba valutare una potenziale apertura della procedura di liquidazione giudiziale – ovviamente, in caso di esito negativo della composizione. In ogni caso una tale soluzione non pare idonea ad assicurare una partecipazione significativa del pubblico ministero alla procedura in parola, posto che in caso di archiviazione della procedura per insolvenza irreversibile, l'assenza di un meccanismo di segnalazione autonomo, endogeno al procedimento, rappresenta sicuramente un profilo di grande criticità, che rende evidente come l'istituto non rappresenti una compensazione integrale dell'accantonamento delle procedure di allerta e composizione della crisi del c.c.i.i. con riferimento alla tempestiva emersione dell'insolvenza.

Le menzionate criticità in ordine al coinvolgimento del pubblico ministero ed al suo intervento nella procedura non si riscontrano in caso di ricorso al cd. concordato semplificato, istituto cui l'imprenditore può far ricorso quando, nel corso della composizione negoziata, l'esperto nella sua relazione finale dichiari che le trattative non hanno avuto esito positivo. Tale ricorso – funzionale a consentire al debitore di procedere alla cessione dei beni in un'ottica appunto esclusivamente liquidatoria – va infatti comunicato al Pubblico ministero, il quale può intervenire ed esercitare i poteri, i controlli e le facoltà che gli sono riconosciuti per la procedura di concordato preventivo; è da ritenere, dunque, che in tali ipotesi l'ufficio inquirente possa anche formulare istanza di liquidazione giudiziale in vista della definizione negativa dell'omologa – anche se, in proposito, i requisiti per l'omologa in parola sono decisamente minori rispetto a quelli richiamati per il concordato preventivo.

Il pubblico ministero nelle procedure da sovraindebitamento

Come è noto, il “sovraindebitamento” è lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell'imprenditore minore, dell'imprenditore agricolo, delle start-up innovative di cui al d.l. n. 179 del 2012, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono tre: a) la ristrutturazione dei debiti del consumatore; b) il concordato minore; c) la liquidazione controllata dei beni del debitore. Come si vedrà, la disciplina dettata per le procedure in esame denota l'assenza di previsioni appositamente dedicate all'intervento del Pubblico ministero, ciò presumibilmente in ragione del minor interesse pubblico che le caratterizza, essendo esse applicabili solo a chi, per struttura e/o natura, non è suscettibile di essere assoggettato alle altre procedure concorsuali (liquidazione giudiziale e concordato preventivo, in primis), così assimilandosi il trattamento dell'imprenditore che dimostri di rivestire un profilo dimensionale inferiore a parametri predeterminati a quello riservato ai debitori civili, ai professionisti e consumatori. Al Pubblico ministero, dunque, non è attribuito alcun potere di iniziativa per l'apertura delle procedure di ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore, mentre sono previsti i poteri di “intervento” da esercitare a procedura aperta, ed in particolare quelli di revoca e di iniziativa per l'apertura della liquidazione controllata.

       Proprio per consentire alla Procura di esercitare tali poteri occorre che al Pubblico ministero sia comunque data notizia dell'avvio di una delle procedure da sovraindebitamento ai sensi dell'art. 40, comma 3, c.c.i.i. Questa disposizione, infatti, non solo non appare incompatibile con le procedure in esame, ma deve ritenersi applicabile in virtù del generico rinvio alle disposizioni di cui al titolo III contenuto nella disposizione di carattere generale di cui all'art. 65, comma 2, c.c.i.i. Il Pubblico ministero, quindi, ricevuta la notizia della domanda, potrà avviare un fascicolo per fatti che ancora non costituiscono una notizia di reato e svolgere le necessarie indagini, in relazione ai fatti che integrano le specifiche ipotesi di reato previste dagli artt. 344 e 345 c.c.i.i., oltre a farvi confluire tutti gli atti della procedura di sovraindebitamento.

A) La ristrutturazione dei debiti del consumatore

Con riferimento alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, il ruolo del pubblico ministero emerge in caso di diniego di omologazione da parte del giudice, il quale ritenga il piano inammissibile o non fattibile. In questo caso, infatti, se si riscontrano casi di frode del debitore, l'apertura della procedura liquidatoria può essere chiesta - in caso di insolvenza del debitore (e sempre che lo stesso sia un debitore) – dal pubblico ministero (comma 11); in sostanza, il pubblico ministero potrà richiedere l'apertura della liquidazione giudiziale in presenza di quattro condizioni e cioè il diniego della omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti, la qualifica di imprenditore del debitore, la frode del debitore, lo stato di insolvenza.

Va detto, tuttavia, che tale ipotesi di intervento da parte del pubblico ministero può essere resa difficoltosa (o meglio improbabile) dalla circostanza che, se da un lato si prevede che a tale soggetto sia data la notizia del deposito della domanda di accesso alla ristrutturazione dei debiti, dall'altro nella normativa non è presente alcuna previsione intesa a consentire al pubblico ministero di venire a conoscenza degli sviluppi della procedura una volta che stessa si è avviata. È presumibile, dunque, che sarà lo stesso giudice investito dell'omologazione a dover segnalare al Pubblico ministero (ai sensi dell'art. 38, comma 2, c.c.i.i.) lo stato di insolvenza del debitore, onde metterlo in condizione di effettuare le sue discrezionali valutazioni in merito, da svolgere anzitutto in base alla relazione particolareggiata che l'OCC è tenuto a redigere ai sensi dell'art. 68, comma 2, c.c.i.i. ed anche prendendo in considerazione la documentazione che il debitore deve allegare alla proposta, ai sensi dell'art. 67, comma 2, c.c.i.i.

Altra facoltà di particolare rilievo attribuita al pubblico ministero nel caso della procedura di ristrutturazione dei debiti è l'istanza di revoca dell'omologazione con conversione in procedura liquidatoria. L'istanza - che deve essere formulata entro sei mesi dalla presentazione della relazione finale da parte dell'OCC - può essere formulata in caso di a) di diminuzione o aumento del passivo con dolo o colpa grave; b) di sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante di attivo; c) di simulazione dolosa di attività inesistenti; d) di commissione di atti volti a frodare i creditori; e) di inadempimento degli obblighi previsti nel piano o qualora questo sia divenuto inattuabile e non sia possibile modificarlo. Peraltro, se la revoca dell'omologazione consegue all'accertamento di atti di frode - non quindi nelle altre ipotesi -, il pubblico ministero può anche formulare istanza di apertura della procedura di liquidazione giudiziale (sempre che evidentemente in capo al debitore possa rinvenirsi la qualifica di imprenditore commerciale).

Si ricorda che si configurano come atti di frode tutte le condotte del debitore idonee ad occultare situazioni di fatto suscettibili di influire sul giudizio dei creditori, ossia tali che, qualora conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta, ovvero tutti i fatti taciuti nella loro materialità ovvero esposti in maniera non adeguata e compiuta, aventi valenza anche solo potenzialmente decettiva nei

confronti dei creditori, a prescindere dal concreto pregiudizio loro arrecato.

Gli atti in frode, dunque, hanno la duplice caratteristica di violare immediatamente la regola che impone correttezza alle parti di un rapporto contrattuale e di creare un potenziale ostacolo alla formazione del consenso informato dei creditori in sede di votazione. Si deve perciò riconoscere all'accertamento di tale fattispecie una funzione general preventiva, nel senso di anticipare la tutela alla soglia della potenzialità decettiva, in modo da rendere irrilevante sia l'effettiva consumazione della lesione del consenso informato, sia la volontaria preordinazione dell'omissione al conseguimento dell'effetto decettivo essendo all'opposto sufficiente anche la mera consapevolezza di aver taciuto il fatto. Ne consegue l'irrilevanza di eventuali ravvedimenti successivi del debitore, che tramite disclosure abbia posto rimedio all'asimmetria informativa e posto rimedio all'iniziale condotta scorretta.

B) Il concordato minore

Il concordato minore è una ulteriore procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento alla quale possono ricorrere i professionisti, i piccoli imprenditori ed imprenditori agricoli e le start-up innovative, ad esclusione del consumatore, al fine di poter continuare a svolgere la propria attività imprenditoriale o professionale. Condizioni per l'accesso a tale rito sono la presentazione di un piano che evidenzi la possibilità di proseguire l'attività imprenditoriale o professionale ed il previsto intervento di risorse esterne che forniscano la garanzia della continuazione dell'attività ed il soddisfacimento dei creditori, in misura maggiore rispetto a quanto questi potrebbero ottenere mediante la liquidazione, che aumentino in modo apprezzabile la soddisfazione dei creditori. 

       Nell'ambito di tale procedura, il ruolo e le funzioni del pubblico ministero sono pressoché analoghi a quanto si è descritto in precedenza con riferimento alla ristrutturazione dei debiti.

       In primo luogo, secondo alcune voci dottrinali, il pubblico ministero può agire anche in una fase antecedente all'omologazione, onde ottenere la dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato. L'ufficio di Procura, infatti, potrebbe attivarsi in questo senso in caso di accertamenti di atti in frode di creditori che sia emersa in un momento successivo all'apertura della procedura ma antecedente al giudizio di omologazione. Ad ogni modo la declaratoria di inammissibilità è possibile solo previa instaurazione del contraddittorio con il debitore e l'OCC, cui deve essere data la possibilità di offrire tutti i chiarimenti necessari e le eventuali integrazioni.

       Inoltre, il Pubblico ministero, ogniqualvolta è dichiarata l'inammissibilità del concordato minore, può richiedere – se il debitore è un imprenditore – la liquidazione controllata, senza che sia necessario che ricorra la frode del debitore. Va detto, tuttavia, che – al pari di quanto riscontrato nella procedura di ristrutturazione dei debiti - è prevedibile che al Pubblico ministero, ai sensi dell'art. 40, comma 3, sia stata data solo la notizia del deposito della domanda di accesso al concordato minore. Anche in questo caso, sarà, dunque, estremamente difficile che il Pubblico ministero sia a conoscenza degli sviluppi della procedura. Si deve pensare allora che debba essere lo stesso giudice investito dell'omologazione a dover segnalare (ai sensi dell'art. 38, comma 2, c.c.i.i.) al Pubblico ministero lo stato di insolvenza del debitore, onde metterlo in condizioni di effettuare le sue discrezionali valutazioni in merito in base alla relazione dell'OCC e alla documentazione che il debitore è tenuto ad allegare alla domanda.

       Potenzialmente rilevante è anche il ruolo del pubblico ministero in caso di revoca dell'omologazione del concordato minore. Infatti, il titolare dell'ufficio inquirente può avanzare tale istanza al giudice, entro sei mesi dalla presentazione della relazione finale dell'OCC. La revoca è disposta quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo ovvero quando è stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero quando sono state dolosamente simulate attività inesistenti – queste ipotesi configurano, peraltro, il reato previsto dall'art. 344, comma 1, lett. a), c.c.i.i. - o quando risultano commessi altri atti diretti a frodare le ragioni dei creditori o infine in caso di mancata esecuzione integrale del piano o qualora il piano sia divenuto inattuabile e non sia possibile modificarlo.

Si noti che, per le ipotesi di sottrazione o dissimulazione dell'attivo, è necessario che la condotta abbia riguardato una parte «rilevante»: il metro di giudizio, dunque, non può che essere quantitativo, ovvero fondato sull'entità della differenza tra promesso e realizzabile, anche se si tratta sempre di verificare se questa differenza abbia alterato le valutazioni dei creditori, incidendo positivamente sull'espressione di voto. Quanto alle ipotesi di mancata esecuzione integrale del piano o qualora il piano sia divenuto inattuabile e non sia possibile modificarlo, occorre che si riscontri il venir meno della funzione svolta dal concordato minore; deve dunque ritenersi che la revoca è impedita solo dalla integrale esecuzione del piano, con la conseguenza che può essere pronunciata anche quando solo alcune parti sono rimaste ineseguite. Nel caso, invece, di inattuabilità iniziale, si tratterebbe della diversa ipotesi della infattibilità del piano coperta dal giudicato rebus sic stantibus formatosi a seguito dell'omologazione del concordato, salvo il caso in cui sia stata determinata dalla frode del debitore, che come visto legittima la proposizione dell'istanza di revoca.

C) La liquidazione controllata

Nella procedura di liquidazione controllata, terza ed ultima delle procedure esperibili in caso di sovraindebitamento, il ruolo del pubblico ministero emerge con riferimento alla sua legittimazione ad avanzare la relativa istanza, ma nel solo caso in cui l'insolvenza riguardi l'imprenditore minore ed in caso di revoca dell'omologazione in ragione dell'accertamento di atti di frode o inadempimento, e sempre che l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria sia inferiore a euro ventimila.

Ciò significa che, con riferimento a questa procedura, la legittimazione del pubblico ministero non è connessa ad eventuali procedimenti penali, come luogo “naturale” di acquisizione di tale notizia. L'unico presupposto è quindi, come nell'art. 38 c.c.i.i., che la notitia decoctionis sia stata acquisita nell'ambito della attività istituzionale dell'ufficio inquirente e non attraverso una mera ricerca di iniziativa ex novo dell'insolvenza. Inoltre, l'assenza di elementi indicativi sulle fonti di conoscenza da cui apprendere la notitia decoctionis, fa ritenere che alla liquidazione controllata possano essere applicate le norme dettate per la liquidazione giudiziale, stante la sostanziale omogeneità tra i due istituti, con la conseguenza che la legittimazione del pubblico ministero sussisterà anche in caso di segnalazioni di terzi, diverse ed ulteriori rispetto a quelle dell'autorità giudiziaria.

In questo caso la valutazione del PM dovrà essere particolarmente attenta perché la

liquidazione controllata può riguardare sia imprenditori minori, sottosoglia, e quindi situazioni nelle quali ben difficilmente sarà rinvenibile un interesse che giustifichi l'azione della parte pubblica, sia realtà economiche che possono assumere anche dimensioni rilevanti (imprese agricole e start up) e quindi giustificare la richiesta di apertura della procedura.

Da quanto detto, peraltro, segue che la questione procedurale più rilevante per il pubblico ministero istante è quella relativa alla possibile incertezza dell'assoggettabilità del debitore insolvente alla procedura di liquidazione giudiziale o controllata. Questione che riguarda naturalmente il solo imprenditore commerciale minore, sottosoglia, dato che per quanto riguarda le imprese agricole e le start-up (queste ultime solo per un periodo di tempo determinato, a partire dalla loro costituzione) vi è una esclusione dalla liquidazione giudiziale a prescindere dai requisiti dimensionali. In ogni caso, a fronte della ricordata omogeneità tra le procedure di liquidazione giudiziale e controllata e dell'identità del requisito oggettivo, rappresentato per entrambe dall'insolvenza, si deve ammettere la possibilità della proposizione, con lo stesso ricorso, di domande (non già cumulative, ma) subordinate aventi ad oggetto le diverse procedure di liquidazione, di modo che , una volta eventualmente respinto il ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale per insussistenza dei requisiti dimensionali, l'apertura della liquidazione controllata possa essere immediatamente disposta o, almeno, si possa immediatamente addivenire all'esame del merito della relativa domanda.

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