La dichiarazione di fallimento della c.d. supersocietà di fatto

Barbara Rovati
12 Ottobre 2015

Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui sarebbe consentita l'estensione del fallimento dichiarato nei confronti dell'imprenditore individuale risultato successivamente socio di una società di fatto, mentre un'analoga possibilità non sarebbe prevista nell'ipotesi in cui il fallimento sia originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali socia di una società di fatto, deve essere preliminarmente accertato con riferimento al disposto del comma 2 dell'art. 2361 c.c. – secondo cui nei casi di assunzione di partecipazioni comportanti la responsabilità illimitata è stabilito che essa debba essere deliberata dall'assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione della nota integrativa del bilancio – se l'assunzione di partecipazioni in società di persone sia efficace, rilevando solo sul piano interno della società ai fini della responsabilità degli amministratori oppure se tale mancanza precluda la stessa possibilità per la società per azioni di partecipare ad una società di fatto e se la conclusione valida per la società per azioni possa estendersi anche alla società a responsabilità limitata per la quale manca una previsione espressa.
Massima

Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui sarebbe consentita l'estensione del fallimento dichiarato nei confronti dell'imprenditore individuale risultato successivamente socio di una società di fatto, mentre un'analoga possibilità non sarebbe prevista nell'ipotesi in cui il fallimento sia originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali socia di una società di fatto, deve essere preliminarmente accertato con riferimento al disposto del comma 2 dell'art. 2361 c.c. – secondo cui nei casi di assunzione di partecipazioni comportanti la responsabilità illimitata è stabilito che essa debba essere deliberata dall'assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione della nota integrativa del bilancio – se l'assunzione di partecipazioni in società di persone sia efficace, rilevando solo sul piano interno della società ai fini della responsabilità degli amministratori oppure se tale mancanza precluda la stessa possibilità per la società per azioni di partecipare ad una società di fatto e se la conclusione valida per la società per azioni possa estendersi anche alla società a responsabilità limitata per la quale manca una previsione espressa.
Inoltre, pur sussistendo la possibilità per le società di capitali di partecipare a società di fatto la cui costituzione avvenga per facta concludentia e pur dovendosi prescindere da qualsiasi contratto, sicché in mancanza della prova scritta del contratto non è impedito al giudice l'accertamento aliunde, mediante ogni mezzo di prova, della esistenza di una struttura societaria, in mancanza di una specifica e rigorosa valutazione da parte del giudice di tali questioni, il difetto di legittimità costituzionale sollevato è inammissibile. (massima)

Giurisprudenza contraria

CORTE D'APPELLO DI VENEZIA, 7 MAGGIO 2014, sent.

Considerato che l'art. 2384 c.c. non trova applicazione in relazione ai limiti al potere di rappresentanza degli amministratori che abbiano la propria fonte nella legge, l'assunzione di una partecipazione comportante responsabilità illimitata che non sia preceduta dalla delibera dell'assemblea ai sensi dell'art. 2361 c.c. è atto inefficace e radicalmente inopponibile ai terzi e impedisce la configurabilità di una società di fatto tra la società di capitali e la società di persone, pur in presenza degli indici soggettivi ed oggettivi in presenza dei quali si considera esistente una società di fatto.

TRIBUNALE DI FOGGIA - SEZ. I, 3 MARZO 2015, sent.

In mancanza di preventiva delibera di autorizzazione all'assunzione di partecipazione da parte della s.r.l. in una società di fatto, l'estensione del fallimento non può essere dichiarata, dovendosi affermare l'inefficacia della costituzione - o comunque della partecipazione - "per facta concludentia" di una società di fatto, in assenza di formalità, da parte degli amministratori di una società di capitali privi dei relativi poteri legali.

TRIBUNALE DI S.M. CAPUA VETERE - SEZ. III, 15 GENNAIO 2015, decr.

Qualora una società di capitali, dichiarata fallita, sia socia di una società di persone di fatto, non risulta applicabile l'art. 147, comma 5, l. fall. L'applicazione dell'art. 147, comma 5, l. fall. ai casi di preventiva dichiarazione di fallimento di società di capitali, al fine di estendere il fallimento ai soggetti cui sia riferibile l'impresa, impone un'attività ermeneutica diretta alla ricerca della ratio della norma e alla verifica dell'esistenza delle medesime esigenze nei casi non rientranti nell'enunciato letterale della disposizione. Non appare, pertanto, giustificabile un'applicazione analogica di tale norma ai casi in cui il preteso fallimento in estensione derivi dal fallimento di una società di capitali socia e non da quello di un socio persona fisica.
Non è configurabile, quindi, la costituzione di una società di persone di fatto, partecipata da società di capitali, in assenza di preventiva deliberazione assembleare e delle formalità prescritte dall'art. 2361, comma 2, c.c. e art. 111-duodecies disp. att. c.c. L'art. 2361 c.c., infatti, fissa la competenza esclusiva dell'organo legittimato alla formazione della volontà societaria di esercitare attività di impresa secondo lo schema delle società di persone, e costituisce un presupposto necessario per la validità della partecipazione stessa. Tale norma, inoltre, stabilisce un limite legale al potere gestionale degli amministratori delle s.p.a. ed è, quindi, opponibile ai terzi. La delibera, pertanto, costituisce presupposto necessario per la validità dell'atto, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio.
Può essere dichiarato il fallimento in estensione, ex art. 147, comma 5, l. fall., di una società e di un imprenditore collettivo, di cui non sia mai stato speso il nome nell'esercizio dell'intrapresa economica e che è, quindi, occulto, cioè titolare effettivo dell'attività di impresa. Per la configurabilità dell'imprenditore occulto, nell'ambito della società di capitali, devono essere presenti gli elementi caratteristici della titolarità di impresa, afferenti il potere gestorio e la responsabilità patrimoniale. La figura dell'imprenditore va tenuta distinta dal fenomeno del controllo e coordinamento societario, nonché da quello dell'amministrazione di fatto nelle società di capitali. (massima non ufficiale)

Giurisprudenza favorevole

TRIBUNALE DI PARMA – SEZ. I, 13 MARZO 2014, ord.

In seguito alla riforma del diritto societario, in tema di "partecipazioni" delle società per azioni è previsto che "l'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa di bilancio". Ne discende, da tale sistema legislativo, da un lato, l'ammissibilità, nel nostro ordinamento, di società di persone cui partecipino società di capitali e, dall'altro, la fallibilità di tali società di capitali, ove siano socie di società di persone, e quindi socie con responsabilità illimitata. Appare quindi ingiustificata l'esclusione dell'assoggettabilità a fallimento della società di fatto cui partecipino società di capitali, quando tale fallimento debba essere dichiarato in estensione rispetto ad un fallimento che originariamente riguardi una società di capitali.

TRIBUNALE DI PALERMO - SEZ. FALL., 14 OTTOBRE 2012, sent.

È ammissibile la partecipazione di società di capitali in società di fatto, in quanto l'art. 2361, comma 2, c.c., nel subordinare a deliberazione assembleare la assunzione di partecipazioni in altre imprese comportanti responsabilità illimitata per i soci, non attribuisce all'assemblea una competenza gestoria in materia, ma costituisce mero limite al potere di rappresentanza degli amministratori, come tale inopponibile ai terzi.
L'art. 147 l. fall. prevede, al primo comma, l'estensione automatica del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, siano essi persone fisiche o giuridiche; i commi quarto e quinto della stessa disposizione, in quanto corollari del principio generale di cui al primo comma, pur facendo riferimento letteralmente al solo fallimento dell'”imprenditore individuale” poi dimostratosi socio della società occulta, sono suscettibili di interpretazione analogica con riguardo a situazioni analoghe, come quella di società di fatto partecipata da società di capitali.

I casi

I provvedimenti giurisprudenziali sopra menzionati affrontano la problematica dell'applicazione dell'art. 147, comma 5, l. fall., ovvero della c.d. pronuncia di fallimento in ripercussione o in estensione, al caso in cui, in assenza delle formalità prescritte dall'art. 2361, comma 2, c.c. e dall'art. 111-duodecies disp. att. c.c., sia dichiarato il fallimento di una società di capitali, a sua volta socia di una società di persone di fatto. Pertanto, considerati tali arresti giurisprudenziali e i principi generali del nostro ordinamento, è necessario analizzare se sia possibile, in base alla normativa vigente, dichiarare in estensione il fallimento della c.d. supersocietà di fatto.
Questo tema, da anni ampliamente dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, ha assunto nuova rilevanza a seguito della sentenza di inammissibilità della Corte Costituzionale n. 276 del 12 dicembre 2014, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., nella parte in cui non consente di estendere il fallimento della società a responsabilità limitata alla società di fatto costituita tra la società fallita e altri soci.
Tale questione giuridica, in realtà, come ha legittimamente evidenziato la Consulta, presuppone l'ulteriore problema, non risolto dall'art. 2361, comma 2, c.c., della validità e degli effetti rispetto ai terzi, nel caso in cui gli amministratori di una società di capitali provvedano all'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata, senza una preventiva delibera in tal senso da parte dell'assemblea dei soci e senza alcuna specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.
La Corte di Appello di Venezia, il Tribunale di Foggia e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere hanno ritenuto non dichiarabile il fallimento in estensione ex art. 147, comma 5, l. fall., della società di fatto partecipata da una società di capitali dichiarata fallita, in assenza di una preventiva delibera dell'assemblea dei soci ex art. 2361, comma 2, c.c., per l'assunzione di partecipazioni comportanti una responsabilità illimitata. In particolare, in tali provvedimenti giurisdizionali si afferma che non è configurabile la costituzione di una società di persone di fatto partecipata da società di capitali (c.d. supersocietà di fatto) per facta concludentiaovvero in assenza delle formalità previste dagli artt. 2361, comma 2, c.c. e 111-duodecies disp att. c.c. in materia di acquisizione di partecipazioni in altre imprese comportanti una responsabilità illimitata. Secondo questo indirizzo giurisprudenziale, infatti, l'acquisizione di tali partecipazioni, in assenza delle formalità prescritte dalla legge, è un atto inefficace e il relativo difetto di rappresentanza è opponibile ai terzi, in quanto proveniente da un soggetto privo dei relativi poteri legali.
In particolare, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere afferma che le prescrizioni di cui all'art. 2361 c.c. costituiscono un presupposto necessario per la validità della partecipazione stessa, integrando un limite legale al potere gestionale degli amministratori, come tale opponibile ai terzi. Pertanto, la delibera dell'assemblea dei soci è considerata un presupposto necessario della validità dell'atto di acquisizione delle partecipazioni, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio dal giudice. Da tale assunto, le suddette pronunce giurisprudenziali fanno derivare che non è possibile dichiarare, ai sensi dell'art. 147 l. fall., il fallimento in estensione della società di fatto partecipata da una società di capitali fallita, in assenza di preventiva delibera dell'assemblea dei soci e di specifica informazione nella nota integrativa del bilancio da parte degli amministratori.
Al contrario, un secondo indirizzo giurisprudenziale, come si evince dalle pronunce del Tribunale di Palermo e del Tribunale di Parma sopra menzionate, afferma che, ai sensi dell'art. 147, comma 5, l. fall., sia ingiustificata, nel nostro ordinamento, l'esclusione dell'assoggettabilità a fallimento in estensione della società di fatto cui partecipino società di capitali dichiarate fallite. In particolare, il Tribunale di Palermo, dopo aver rilevato che, a seguito della riforma della legge fallimentare del 2006, il primo comma dell'art. 147 l. fall. sancisce l'estensione automatica del fallimento di una società a tutti i soci illimitatamente responsabili, siano essi persone fisiche o giuridiche, mentre i commi 4 e 5 di tale disposizione prevedono l'estensione del fallimento anche nell'ipotesi di c.d. soci occulti e di società di fatto, statuisce che "è indubbio che i commi 4 e 5 rappresentino dei corollari al principio generale sancito dal primo comma della norma e che, come tali, siano suscettibili di interpretazione analogica con riguardo a situazioni analoghe, qual è quella di una società di fatto partecipata da una società e non da imprese individuali".
Mentre il Tribunale di Parma, pur mostrando di aderire a tale filone giurisprudenziale, non conclude con l'applicazione analogica dell'art. 147, comma 5, l. fall., e, con ordinanza del 13 marzo 2014, rimette gli atti alla Corte Costituzionale affermando che "appare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma quinto, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, prima comma, Cost.".
Tale diversa conclusione, ovvero della dichiarazione di fallimento in estensione della c.d. supersocietà di fatto, affermata espressamente dal Tribunale di Palermo e, invece, solo ipotizzata dal Tribunale di Parma, previa ipotetica dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., è determinata dal fatto che entrambe le Corti reputano ammissibile la partecipazione di società di capitali in società di fatto comportanti responsabilità illimitata per i soci, anche in assenza della delibera di cui all'art. 2361 c.c., in quanto tale previsione normativa non attribuisce all'assemblea dei soci alcuna competenza gestoria in materia, costituendo la preventiva emanazione della suddetta delibera un mero limite al potere di rappresentanza degli amministratori, come tale, ai sensi dell'art. 2384, comma 2, c.c., inopponibile ai terzi.
Il Tribunale di Parma, con l'ordinanza del 13 marzo 2014, ha censurato in particolare l'art. 147, comma 5, l. fall. in relazione all'art. 3 Cost., affermando che si crea, in tal modo, una disparità di trattamento – rilevante ex art. 3, primo comma, Cost. – tra società di fatto posto che, ove il fallimento venga dichiarato immediatamente nei confronti della stessa società di fatto, esso sarebbe assimilabile ex art. 147, comma primo, l. fall., mentre non sarebbe possibile ove venga richiesto in estensione, quando il fallimento originariamente dichiarato riguardi una società di capitali. Inoltre, dal momento che è certamente possibile l'estensione del fallimento di un imprenditore individuale (persona fisica) ad una società di fatto con altre persone fisiche (o anche con società di capitali), non si vede perché tale estensione debba essere esclusa, quando il fallimento originario riguardi una società di capitali, posto che è pacifico che quest'ultima possa essere socia di una società di persone con soci illimitatamente responsabili”.
Inoltre, il Tribunale di Parma censura l'art. 147, comma 5, l. fall. in relazione all'art. 24, comma 1, Cost. in quanto comporterebbe una ingiustificata compressione del diritto di difesa dei creditori, i quali sarebbero maggiormente tutelati nelle ipotesi di fallimento originariamente richiesto nei confronti di una società di fatto con partecipazione (anche esclusivamente) di società di capitali, rispetto all'ipotesi – identica dal punto di vista sostanziale – di estensione del fallimento da una società di capitali ad una società di fatto della quale la società fallita era socia […] avrebbero una maggiore tutela i creditori di società di fatto composte esclusivamente da illimitatamente responsabili e persone fisiche comunque dichiarate fallite in estensione, rispetto ad un imprenditore individuale, rispetto ai creditori di società di fatto pur esistenti, ma il cui fallimento non potrebbe essere dichiarato in estensione allorquando l'originario fallimento riguardi società di capitali che sono socie di società di fatto, il che potrebbe portare a situazioni di abuso dello schermo societario, in relazione ad attività imprenditoriali svolte insieme a soggetti che non figurano direttamente come soci della società originariamente fallita”.
Nonostante la apparente fondatezza delle censure di legittimità costituzionale, rimane dubbio, però, che la Corte Costituzionale possa accoglierle, in quanto nell'ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta manca l'esposizione analitica sulla necessità, sulla validità e sugli effetti rispetto ai terzi e alla società di capitali, in caso di mancanza di delibera assembleare di autorizzazione all'acquisizione della partecipazione in società comportanti una responsabilità illimitata di cui all'art. 2361, comma 2, c.c.
Pertanto, appare probabile una nuova pronuncia di inammissibilità della Corte Costituzione di tale ordinanza, così come già avvenuto all'ordinanza di rimessione del Tribunale di Bari del 20 novembre 2013, per difetto di motivazione.
Considerata la complessità dei temi trattati in tali pronunce e, di fatto, la mancata decisione della Corte Costituzionale nella sentenza n. 276 del 2014 sull'ordinanza di rimessione del Tribunale di Bari del 20 novembre 2013 (nel caso di specie la Consulta ha appunto dichiarato la questione di legittimità costituzionale inammissibile per difetto di specifica e rigorosa valutazione, da parte del giudice a quo, della possibilità per una società di capitali di partecipare a una società di fatto in assenza della delibera assembleare di cui all'art. 2361 c.c.), è opportuno procedere a un'analisi delle questioni giuridiche e delle problematiche connesse alle pronunce di merito citate, evidenziando le criticità sollevate dalla giurisprudenza e dalla dottrina e tuttora oggetto di dibattito per tentare, infine, di giungere a delle conclusioni.

Questioni giuridiche e osservazioni

Dai casi giurisprudenziali sopra menzionati, emerge che la prima questione da analizzare è quella relativa all'interpretazione dell'art. 2361, comma 2, c.c. e ai suoi effetti in caso di mancato rispetto delle prescrizioni in esso stabilite.
Innanzitutto, tale norma, a seguito della riforma del diritto delle società attuata con il d.lgs. 6/2003, stabilisce che l'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio”.
Il legislatore, con l'attribuzione all'assemblea dei soci di una competenza deliberativa, risponde all'esigenza di consentire ai soci di manifestare la propria volontà in relazione all'alterazione delle condizioni di rischio connesse al normale esercizio dell'attività prevista dall'oggetto sociale, in quanto tale variazione del rischio del proprio investimento in una società di capitali, nonché della correlativa possibilità di perdita di tutto il patrimonio della società stessa, è inevitabile e sicuramente accentuata in caso di acquisizione di partecipazioni in società comportanti una responsabilità illimitata (per tutti, C. Angelici, La riforma delle società di capitali, seconda edizione, Cedam, 2006, 108 e ss).
Questa disposizione di legge, permettendo la partecipazione di una società per azioni a una società di persone, determina, quindi, un'alterazione delle condizioni di rischio non solo a livello di diritto sostanziale, in quanto la società di capitali partecipante risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali della partecipata, ma anche sotto il profilo concorsuale, poiché, dall'assunzione della qualifica di socio illimitatamente responsabile di una società di persone, può derivare, ai sensi dell'art. 147, comma 1, l. fall. la dichiarazione di fallimento c.d. in estensione della stessa società di capitali, in quanto, appunto, socia illimitatamente responsabile della società di persone partecipata.
Fatta questa premessa, le maggiori difficoltà interpretative, come emerge dai provvedimenti giurisprudenziali sopra menzionati, sono incentrate sull'efficacia del negozio di acquisizione della partecipazione sociale operato dagli amministratori senza la necessaria delibera dell'assemblea dei soci e, conseguentemente, sull'effettiva possibilità di costituire società di fatto tra società di capitali per facta concludentia. Infatti, premesso pacificamente che l'acquisto di partecipazione sociali in imprese comportanti una responsabilità illimitata è un atto di natura gestionale, è controverso in dottrina e in giurisprudenza se tale delibera assembleare possa costituire semplicemente un atto autorizzativo dei soci rispetto all'operato degli amministratori finalizzato così a rimuovere un limite legale, oppure se la stessa rappresenti una vera e propria competenza deliberativa dell'organo assembleare.
Una parte della dottrina ritiene che tale atto abbia natura deliberativa in senso stretto, attribuendo così all'assemblea dei soci il potere di decidere se gli amministratori possano o meno procedere all'acquisto della partecipazione in società di persone (A. Bartalena, La partecipazione di società di capitali in società di persone, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum in onore di G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2007, 110).
Al contrario, secondo un'altra (condivisibile) corrente dottrinale, la delibera assembleare di cui all'art. 2361, comma 2, c.c. ha natura meramente autorizzatoria al compimento dell'atto da parte degli amministratori, in quanto la ratio della norma va ricercata nell'esigenza di non rimettere alla libera volontà degli stessi il compimento di un atto potenzialmente pericoloso per i soci, poiché tale negozio di acquisizione comporta, per la società di capitali, l'assunzione di una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali della partecipata e, di conseguenza, per ogni socio un'alterazione delle condizioni di rischio del proprio investimento (V. Donativi, Articolo 2361, in La riforma delle società, Società per azioni, società in accomandita per azioni, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2004, I, 227 e ss; per ulteriori riferimenti dottrinali si veda A. Audino, Commento all'art. 2361 c.c., in Commentario breve al diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, 3a edizione, Cedam, 2015, 487).
Ipotizzata la natura meramente autorizzatoria della delibera di cui all'art. 2361, comma 2, c.c., è opportuno evidenziare che l'autorizzazione assembleare appare tecnicamente configurabile come una limitazione legale al potere di rappresentanza degli amministratori.
Come emerso dai casi giurisprudenziali sopra analizzati, è tuttavia controverso se il difetto della preventiva autorizzazione dell'assemblea (comunque sanabile attraverso una successiva delibera di ratifica dell'atto compiuto dagli amministratori) comporti o meno l'inefficacia del negozio acquisitivo della partecipazione. Secondo la tesi affermativa, l'inefficacia del negozio non autorizzato deriverebbe dalla generale opponibilità ai terzi dei limiti legali che incidono sul potere rappresentativo degli amministratori. Invece, secondo la tesi negativa, forse maggiormente condivisibile, il nuovo testo dell'art. 2384, comma 1, c.c., attribuendo agli amministratori un potere di rappresentanza generale senza fare salve, come precisava il testo della norma previgente, le limitazioni che risultano dalla legge, estenderebbe il regime di inopponibilità ai terzi anche ai limiti del potere di rappresentanza che derivano dalla legge, con conseguente irrilevanza, rispetto all'acquisto della partecipazione ed all'assunzione delle obbligazioni ad essa inerenti, da parte della società per azioni, della mancata deliberazione dell'assemblea (A. Audino, Commento all'art. 2361 c.c., in Commentario breve al diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, 3a edizione, Cedam, 2015, 488).
Infatti, considerata l'esigenza di dare sicurezza ai terzi di buona fede sulla validità dei negozi conclusi dagli amministratori muniti di rappresentanza, sarebbero loro inopponibili, sulla base dell'applicazione analogica dell'art. 2384, comma 2, c.c., anche le limitazioni legali ai poteri di rappresentanza degli amministratori. Pertanto, qualora gli amministratori abbiano proceduto all'acquisto della partecipazione sociale senza la preventiva delibera assembleare di cui all'art. 2361 c.c., tale mancanza rileverebbe esclusivamente sul piano interno, comportando una responsabilità contrattuale degli stessi verso la società, per aver agito in violazione dell'art. 2361, comma 2, c.c. (Trib. Palermo, 14 ottobre 2012).
Del resto, la natura autorizzatoria della delibera assembleare, l'efficacia del negozio acquisitivo rispetto ai terzi nonostante il difetto di rappresentanza e la mera rilevanza "interna" della responsabilità degli amministratori in caso di compimento dell'atto acquisito in mancanza della suddetta delibera, risultano coerenti con l'essenza stessa della c.d. supersocietà di fatto, partecipata da società di capitali. Infatti, la mancanza della delibera di partecipazione in tale società occulta e, quindi, la partecipazione per facta concludentia, è paradossalmente funzionale all'aperto contrasto di tale impresa illecita con i principi cardine del nostro ordinamento, quali la spendita del nome e l'effettiva titolarità dell'attività di impresa. In particolare, risulta illecita non solo la celata genesi del rapporto sociale (non vi è un alcun atto costitutivo di società, nonché nessun contratto di società e/o rapporto sociale riconosciuto), ma anche la stessa continuazione dell'attività risulta illegittima, poiché non viene rispettata alcuna norma civile, tributaria, contabile e previdenziale. In sostanza, la c.d. supersocietà di fatto rappresenta uno strumento intrinsecamente illecito, funzionale alla gestione comune di più società di capitali, tramite una sorta di holding senza, tuttavia, comparire all'esterno agli occhi dei terzi e, ovviamente, delle Autorità.
Dopo aver affermato la natura meramente autorizzatoria, la non opponibilità ai terzi della delibera di cui all'art. 2361 c.c. e la natura intrinsecamente illecita della c.d. supersocietà di fatto, è opportuno analizzare i profili fallimentari per comprendere se sia legittimo o meno, secondo i principi del nostro ordinamento, dichiarare, ai sensi dell'art. 147, comma 5, l. fall., il fallimento in estensione della società di fatto partecipata da una società di capitali dichiarata fallita.
In primo luogo, l'art. 147, comma 1, l. fall. stabilisce che il fallimento della società in nome collettivo, della società in accomandita semplice e della società in accomandita per azioni "produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili". Tale norma prevede la pronuncia del fallimento in estensione anche in riferimento ai soci che non sono persone fisiche e, quindi, alle società di capitali che siano socie di società di persone, in coerenza con l'ammissibilità di tale partecipazione prevista dall'art. 2361, comma 2, c.c. per le società per azioni e dell'art. 111-duodecies, disp. att. c.c. per le società a responsabilità illimitata. Come afferma l'unanime dottrina (per tutti A. Nigro, Commento all'art. 147 L.F., in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da Alberto Jorio, Zanichelli Editore, 2007, Vol. II, 2172), la dichiarazione di fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile costituisce un'eccezione rispetto alle norme generali di cui agli artt. 1 e 5, l. fall., che stabiliscono i requisiti soggettivi e oggettivi di fallibilità, ovvero la qualità di imprenditore commerciale e lo stato di insolvenza, in quanto il socio illimitatamente responsabile fallisce automaticamente senza che vi sia alcun accertamento, da parte del giudice, dei requisiti di fallibilità nei suoi confronti. Infatti, ai sensi dell'art. 147 l. fall., il socio illimitatamente responsabile fallisce non in quanto imprenditore, ma in quanto, appunto, socio illimitatamente responsabile, in virtù del rapporto sociale in essere con la società, e, inoltre, fallisce automaticamente, indipendentemente da una sua personale insolvenza ed unicamente per effetto del fallimento della società.
Tuttavia, tale eccezione della dichiarazione del fallimento in estensione, in realtà, delinea, a sua volta, un principio generale del nostro ordinamento che afferma l'estensione automatica del fallimento a tutti i soci illimitatamente responsabili.
uesto principio generale è rafforzato dai successivi commi 4 e 5 che, come affermato dal Tribunale di Palermo nella sentenza del 14 ottobre 2012, rappresentano dei corollari al principio generale di cui al primo comma, in quanto sono finalizzati alla dichiarazione del fallimento del c.d. socio occulto. In particolare, il quinto comma dell'art. 147 l. fall. consente la dichiarazione di fallimento della c.d. società occulta "qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile".
Pertanto, l'art. 147 l. fall. va rivisto come una norma che, in realtà, ha carattere generale, in quanto finalizzata non solo alla dichiarazione di fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili, ma anche al contrasto dell'attività di impresa illecita non palesata all'esterno, tramite formale spendita del nome e titolarità di impresa, ma mascherata dietro alla società di fatto.
Questa nuova visione della norma consentirebbe l'applicazione analogica dell'art. 147, comma 5, l. fall. anche alla c.d. supersocietà di fatto, ovvero alla società di fatto partecipata da società di capitali dichiarate fallite. Risulterebbe, pertanto, legittimo dichiarare il fallimento in estensione della c.d. supersocietà di fatto che avrebbe l'effetto di porre rimedio alle situazioni di abuso dello schermo societario, in relazione ad attività imprenditoriali svolte illecitamente da soggetti tramite società di capitali, a loro volta, socie di una società di fatto occulta (i.e. supersocietà di fatto o holding di fatto).
Rimane, senza alcun dubbio, attuale il pensiero di quell'autorevole dottrina (F. Lamanna, La holding quale impresa commerciale (anche individuale) e il dogma della personalità giuridica, in Il Fallimento, 1990, 510), che, già nel lontano 1990, commentando il celebre caso Caltagirone, aderendo al recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, rilevava, in assenza di precise disposizioni normative, che la holding è un'impresa commerciale che può anche assumere la veste di imprenditore individuale. Nel diritto fallimentare contemporaneo, tale holding, come sopra rilevato, si è evoluta e può assumere anche la veste di c.d. supersocietà di fatto occulta, controllante di società di capitali palesi, e può essere dichiarata fallita tramite sentenza dichiarativa di fallimento in estensione.
In ogni caso, aderendo anche all'impostazione tradizionale che esclude l'applicazione analogica del fallimento in estensione, rimane ancora possibile una pronuncia di illegittimità costituzionale della Consulta dell'art. 147, comma 5, l. fall., a seguito dell'ordinanza di rimessione atti del Tribunale di Parma del 13 marzo 2014, nella parte in cui non consente la dichiarazione di fallimento della società di fatto partecipata da società di capitali dichiarate fallite.

Conclusioni

In definitiva, è ragionevole affermare che la delibera dell'assemblea dei soci di autorizzazione all'acquisizione di partecipazioni in imprese comportanti una responsabilità illimitata di cui all'art. 2361, comma 2, c.c. ha natura meramente autorizzatoria per gli amministratori. Essa rappresenta un limite legale al loro potere di rappresentanza degli amministratori e la sua mancanza, ai sensi dell'art. 2384, comma 2, c.c., non è opponibile ai terzi e, quindi, non comporta l'inefficacia del negozio acquisitivo. Inoltre, gli amministratori, che hanno agito in mancanza di delibera assembleare, devono rispondere solidalmente, nei confronti della società, dei danni derivanti da tale operazione contrattuale.
Considerato ciò, è possibile, affermare, tramite un'applicazione analogica dell'art. 147, comma 5, l. fall., la possibilità della dichiarazione di fallimento in estensione della c.d. supersocietà di fatto, in quanto la norma fallimentare de qua rappresenta sì un'eccezione rispetto agli artt. 1 e 5 l. fall, ma, a sua volta, delinea i principi generali di estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili di società dichiarata fallita, nonché l'estensione del fallimento al c.d. socio occulto e alla c.d. società occulta.
Infine, è opportuno evidenziare come, anche aderendo all'impostazione tradizionale di negazione dell'applicazione analogica dell'art. 147, comma 5, l. fall., la norma in questione non sarebbe immune da censure di illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nel caso in cui l'ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta evidenziasse analiticamente i profili sostanziali dell'art. 2361, comma 2, c.c. e dell'art. 147, comma 5, l. fall.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Sull'argomento si vedano Corte Cost., 12 dicembre 2014, n. 276, cit.; Cass. Civ., sentenza 26 febbraio 1990, n. 1439; App. Venezia, decreto 7 maggio 2014; Trib. Milano, Sez. Fall., sentenza 28 marzo 2013; Trib. S.M. Capua Vetere, Sez. III, decreto 15 gennaio 2015; Trib. Crotone, Sez. Fall., decreto 12 luglio 2013; Trib. Venezia, sentenza 11 ottobre 2012; Trib. Foggia, Sez. I, sentenza 3 marzo 2015; Trib. Palermo, Sez. Fall., sentenza 14 ottobre 2012; Trib. Bari, Sez. Fall., ordinanza 20 novembre 2013; Trib. Parma, Sez. I, ordinanza 13 marzo 2014.
In dottrina si segnalano A. NIGRO, Commento all'art. 147 L.F., in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. JORIO, Zanichelli Editore, 2007, Vol. II, 2168; C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, II ed., CEDAM, 2006, 108; A. AUDINO, Commento all'art. 2361 c.c., in Commentario breve al diritto delle società, a cura di A. MAFFEI ALBERTI, III ed., Cedam, 2015, p. 485; V. DONATIVI, Articolo 2361, in La riforma delle società, Società per azioni, società in accomandita per azioni, a cura di M. SANDULLI e V. SANTORO, Torino, 2004, I, 227; A. BARTALENA, La partecipazione di società di capitali in società di persone, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum in onore di G.F. Campobasso, diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2007, 110; L. JEANTET, L'art. 147, comma 5, l. fall. ed il fallimento originario di un imprenditore collettivo: incostituzionalità o possibilità di applicazione?, in IlFallimentarista, 2014; F. ANGIOLINI, “Super-società” di fatto: la Consulta non “scioglie la riserva”, in Il Fallimento, 2015, 417; A. ZORZI, Fallimento della holding società di fatto sulla base di crediti risarcitori per abusiva attività di direzione e coordinamento, in IlFallimentarista, 2013; C. S. HAMEL, Il fallimento di società di fatto tra società di capitali, in Le Società, 2013, 394; F. SIGNORELLI, Estensione del fallimento da società di capitali a società di fatto?, in Il Fallimento, 2014, 904; F. MURINO, Sulla fattispecie di società di fatto tra società di capitali, in Giurisprudenza Commerciale, 2014, 914; A. PILARSKI, Commento all'art. 2361 c.c., in Commentario al codice civile, a cura di P. CENDON, Giuffrè Editore, 2010, 728; C. BLATTI, Commento all'art. 147 L.F., in La legge fallimentare commentario teorico-pratico, a cura di M. FERRO, II ed., Cedam, 2011, 1648; R. RUSSO, Estensione di fallimento – società di fatto partecipata da società di capitali: un problema di costituzionalità?, in Giurisprudenza Italiana, 2015, 138; L. SALVATO, Rimane irrisolta la questione dell'estensione del fallimento della s.r.l. alla società di fatto costituita con altri soci, in Quotidiano Pluris, Utet-Giuridica, 2014; F. LAMANNA, La holding quale impresa commerciale (anche individuale) e il dogma della personalità giuridica, in Il Fallimento, 1990, 510.