Sì al privilegio dell’avvocato membro dell’associazione professionale

Andrea Paganini
18 Maggio 2015

Ciò che occorre accertare ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 2 c.c. non è se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma se il cliente abbia conferito l'incarico dal quale deriva il credito a lui personalmente ovvero all'entità collettiva (associazione, studio professionale) nella quale, eventualmente, egli è organicamente inserito quale prestatore d'opera qualificato: nel primo caso il credito ha natura privilegiata, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa, ancorché necessariamente (ossia a prescindere dal fatto che lo studio sia nella titolarità di un singolo o di più professionisti) comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento, mentre nel secondo ha natura chirografaria, perché ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un'attività che è essenzialmente imprenditoriale.
Massima

Ciò che occorre accertare ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 2 c.c. non è se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma se il cliente abbia conferito l'incarico dal quale deriva il credito a lui personalmente ovvero all'entità collettiva (associazione, studio professionale) nella quale, eventualmente, egli è organicamente inserito quale prestatore d'opera qualificato: nel primo caso il credito ha natura privilegiata, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa, ancorché necessariamente (ossia a prescindere dal fatto che lo studio sia nella titolarità di un singolo o di più professionisti) comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento, mentre nel secondo ha natura chirografaria, perché ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un'attività che è essenzialmente imprenditoriale.

Il caso

Le sentenze gemelle del 5 marzo 2015 della prima sezione della Corte di Cassazione (n. 4485 e n. 4486) trattano e risolvono in modo speculare la questione del privilegio del credito dell'avvocato, membro di una associazione professionale o socio di uno studio professionale, che aveva svolto attività in favore della società fallita.
Il Tribunale di Modena e il Tribunale di Milano in sede di opposizione allo stato passivo avevano confermato l'esclusione del privilegio al credito dell'avvocato.
Secondo il Tribunale emiliano il fatto che il legale facesse parte di un'associazione professionale portava a considerare che il compenso a lui spettante fosse remunerativo anche di una quota di capitale investito per l'organizzazione dell'associazione e da ripartire tra i vari associati estranei alla prestazione resa.
Il Tribunale meneghino aveva concluso in modo analogo sulla domanda di ammissione al passivo presentata da due avvocati in proprio e in qualità di soci dello studio legale ritenendo che il profilo organizzativo e strutturale del creditore prevalesse su quello qualitativo della prestazione resa.

La questione

In passato sul tema del privilegio per il credito del professionista si era diffuso un orientamento restrittivo in base al quale le disposizioni di cui all'art. 2751-bis n. 2 c.c. (da considerare tassative e non oggetto di interpretazioni analogiche) assicuravano il privilegio solo alla retribuzione individuale del singolo professionista (o prestatore d'opera intellettuale) considerando che il compenso previsto è volto in tale ipotesi a remunerare il lavoro personale del soggetto singolo (si veda Cass. 14 aprile 1992 n. 4549).
Si equiparava allora la prestazione del lavoratore dipendente a quella del professionista e in ciò si giustificava l'estensione del privilegio (sia pure in secondo ordine in concorso con gli agenti, vedi art. 2777, comma 2, lett. b, c.c.) anche a tale seconda categoria, accordando la “corsia preferenziale” dell'art. 2751-bis c.c. ai crediti che costituiscono il sostentamento di chi lavora, sia in via subordinata (n. 1), sia autonoma (n. 2).
Il privilegio non era però esteso a chi svolgeva attività professionali o intellettuali in forma di impresa, poiché in tale circostanza il credito relativo avrebbe remunerato non solo l'attività lavorativa del professionista, ma anche il capitale investito nell'organizzazione (così Trib. Torino, 29 agosto 2007, in Fall. 6/1998, 620, con particolare riferimento ad un'ipotesi in cui il professionista era organizzato in una società semplice).
Si osservava infatti che l'art. 2751-bis c.c. tutela in primo luogo determinate categorie di creditori e non semplicemente determinate categorie di prestazioni, considerando preponderanti le qualità soggettive del rapporto in esame e solo in subordine le sue caratteristiche oggettive (così Pollio, Privilegio del credito per prestazioni professionali, in Fall. 6/1998, 620).
Poiché quindi solo la causa del credito determina il privilegio, essa, per l'applicazione dell'art. 2751-bis c.c., “deve essere individuata nel lavoro intellettuale personalmente svolto in forma autonoma e nel suo aspetto retributivo” (così Cass. 14 aprile 1992, n. 4549).
Da questi presupposti la giurisprudenza di legittimità e di merito era arrivata ad escludere il privilegio anche nel caso di crediti del professionista avvocato inserito in un'associazione professionale.
Il Tribunale di Milano già in passato (11 giugno 2007, in Fall. 1/2008, 63 e seguenti) aveva sottolineato che se l'attività è prestata dal professionista all'interno di uno studio associato non si può non valorizzare tale dato nell'ambito di un contesto economico specifico diverso da quello che l'art. 2751-bis n. 2 c.c. impone.
La presenza di una simile entità soggettiva impedisce di ricondurre l'attività espletata nello schema previsto dall'articolo citato e ciò esclude la natura privilegiata del credito relativo.
In altre parole, il legislatore con l'art. 2751-bis n. 2 c.c. “predilige” l'attività individuale del singolo professionista perché in essa è assente quell'insieme di risorse personali e di beni strumentali che sono invece caratteristiche dell'associazione professionale, dotata certo di maggiore stabilità, efficienza e redditività, ma inevitabilmente diversa dall'archetipo configurato dall'articolo in commento (così sempre Trib. Milano, 4 giugno 2007, in Fall. 1/2008, 64).
Secondo tale interpretazione, fondamentali per l'applicazione dell'art. 2751-bis n. 2 c.c. sono, quindi, la personalità e l'individualità delle prestazioni svolte da professionista, le quali, per il solo fatto dell'inserimento in un'associazione professionale, si “spersonalizzerebbero” facendo venir meno il fondamento giuridico del privilegio e tramutando il credito insinuato in un credito “di impresa” (negli stessi termini anche Cass. 23 maggio 1997, n. 4628 e Cass. 18 aprile 2000, n. 5002).
Semplificando, è come se l'esistenza dell'associazione costituisse una presunzione iuris et de iure della “spersonalizzazione” della prestazione e della natura lucrativa e non meramente retributiva del credito professionale insinuato.
Uno “spiraglio” iniziava però ad aprirsi nell'ipotesi di associazioni professionali di “ridotte dimensioni”.
Ad esempio, in un caso di studio professionale composto da due professionisti con una collaboratrice co.co.co. che ricopriva mansioni da segretaria, il Tribunale di Milano aveva accordato il privilegio ritenendo che “quando il fenomeno associativo ha una dimensione così ridotta deve ritenersi che la finalità perseguita dagli associati sia esclusivamente quella della condivisione delle spese, senza che l'aspetto remunerativo del lavoro professionale perda rilevanza primaria rispetto all'organizzazione insita nella struttura associativa” (Trib. Milano, 10 aprile 2007, in Fall. 1/2008, 67 con nota di Zonzi, L'impervio cammino del credito dell'associazione professionale verso il riconoscimento del privilegio legale). Il credito insinuato al passivo per la prestazione professionale svolta dall'avvocato (pure componente dell'associazione) aveva allora natura strettamente retributiva e non meramente lucrativa, giustificando così il privilegio richiesto.
Tale pronuncia tuttavia non poteva rappresentare una vera “innovazione”, poiché non mutava i fondamenti dell'orientamento rigoroso sopra ricordati, inserendosi nel medesimo solco e accordando il privilegio non tanto per una diversa interpretazione dell'art. 2751- bis n. 2 c.c., ma semplicemente perché considerava il dato associativo, in quello specifico caso concreto, “trascurabile” a causa delle dimensioni estremamente ridotte che lo caratterizzavano.

Le questioni giuridiche

Il “salto di qualità” si è avuto con successive pronunce di merito e di legittimità, che hanno sottolineato come il semplice inserimento del professionista in un'associazione (indipendentemente dalle sue dimensioni) non possa essere considerato di per sé elemento decisivo e sufficiente per escludere il privilegio (ex multis Trib. Milano 25 aprile 2008; Trib. Terni, 13 giugno 2011, in Fall. 2011, 1248; Trib. Udine 6 dicembre 2009, in unijuris.it).
Questa tesi è stata condivisa e recepita anche dalla Suprema Corte a partire da un fondamentale arresto del 2009 (Cass. 22 ottobre 2009, n. 22439).
In tale pronuncia è stato precisato che è “necessario accertare se il rapporto professionale si instauri tra un singolo professionista e il suo cliente ovvero tra costui e un'entità collettiva nella quale il professionista risulti organicamente inserito quale prestatore d'opera qualificato”.
Quindi, indipendentemente dal fatto che il professionista sia inserito o meno in un'associazione professionale e a prescindere dall'ipotesi che l'incarico sia stato ricevuto dall'associazione o dal professionista, il credito insinuato al passivo può essere privilegiato ex art. 2751-bis n. 2 c.c.: a) se è frutto di una prestazione svolta dal singolo avvocato; b) se deriva da lavoro pressoché esclusivo o prevalente di tale professionista; c) se è di pertinenza di tale professionista (così riepiloga M. Giuliano, La scure della Cassazione sul riconoscimento del privilegio al credito delle associazioni professionali, in NGCC, 2012, 345).
In altre parole, l'esistenza dell'associazione non esclude più automaticamente la personalità e individualità della prestazione resa; al contrario è fondamentale capire se il rapporto professionale si è in concreto instaurato e svolto tra cliente e associazione professionale “impersonalmente” intesa o tra cliente e singolo avvocato.
Solo in questo secondo caso al credito insinuato può essere comunque riconosciuta la natura di remunerazione della prestazione lavorativa del legale (ancorché necessariamente comprensiva delle spese organizzative relative all'associazione) con conseguente ammissibilità del privilegio.
Nella prima ipotesi invece il credito avrebbe natura chirografaria, poiché sarebbe una voce del costo complessivo di un'attività essenzialmente imprenditoriale.
In questi stessi termini si esprime la Cassazione con le pronunce in commento, ravvisando la natura privilegiata del credito dell'avvocato (anche eventualmente ceduto in un secondo momento all'associazione) sul presupposto che la somma richiesta era relativa alla sola attività giudiziale svolta dal singolo legale al quale la società fallita aveva conferito specifico mandato a rappresentarla e difenderla con inevitabile personalità della prestazione resa e responsabilità diretta e individuale del professionista.
La Corte in altre parole censura (in particolare nella sentenza 4486) la decisione di merito poiché ha “erroneamente ritenuto che l'art. 2751-bis n. 2 c.c. accordi il privilegio unicamente alla retribuzione spettante al professionista titolare di un proprio studio, omettendo di considerare che il credito è tutelato dalla norma in quanto nascente da una prestazione d'opera intellettuale, la cui titolarità e il cui oggetto non mutano per il solo fatto che colui che la rende ha inteso organizzare il proprio lavoro in forma associativa”.

Conclusioni

La decisione della Suprema Corte in tema di privilegio è sicuramente condivisibile sotto due profili.
Da un punto di vista “pratico” è più aderente all'attuale realtà economico-professionale in cui è opportuno (per non dire fondamentale) che il professionista si organizzi con altri colleghi dotandosi di una struttura più completa, sicura ed efficiente nell'interesse proprio (per la “sopravvivenza” professionale) e del cliente stesso (per fornire risposte fondate alle svariate questioni sottoposte).
Da un punto di vista sistematico, la soluzione proposta è conforme alle norme codicistiche che, si è ricordato, in realtà non fanno alcuna distinzione né sotto il profilo reddituale, né sotto quello organizzativo per la concessione del privilegio.
Anzi, (osserva Leozappa, Sull'ammissibilità del privilegio dei crediti degli studi professionali, in Fall. 3/2011, 287) lo stesso art. 2751-bis c.c. accorda il privilegio anche a crediti di operatori che sono soliti agire e lavorare in forma “organizzata” (si veda il privilegio per i crediti dell'impresa artigiana, art. 2751-bis n. 5; per le società cooperative, art. 2751-bis n. 5 bis e per le imprese di cui alla legge 196/1997, come indicato nell'art. 2751-bis n. 5 ter c.c.)

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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