Liquidazione del compenso del curatore in prededuzione

Gennaro Panzarino
31 Ottobre 2014

Il compenso spettante al curatore deve essere qualificato non già come semplice debito della massa, bensì come costo necessario e ineliminabile della procedura fallimentare, in quanto condicio sine qua non della procedura stessa, che senza il curatore non potrebbe aver corso.
Massima

Il compenso spettante al curatore deve essere qualificato non già come semplice debito della massa, bensì come costo necessario e ineliminabile della procedura fallimentare, in quanto condicio sine qua non della procedura stessa, che senza il curatore non potrebbe aver corso.
Di conseguenza, il compenso del curatore deve essere pagato comunque prima dei debiti della massa, non nell'ambito di un progetto di riparto, ma sulla base della sola liquidazione operata dal Tribunale, ed immediatamente, trattandosi di liquidazione giudiziale di un ausiliario di giustizia, esecutiva ex lege. (massima)

Il caso

Con reclamo ex art. 26 l. fall. un professionista impugnava avanti al Tribunale di Milano il decreto con cui il Giudice delegato aveva autorizzato il curatore fallimentare ad effettuare i pagamenti ai professionisti (della cui opera si era avvalso) ciascuno in misura pari al 21,06% dell'ammontare del proprio credito, distribuendo il residuo alla "chiusura" del fallimento.
Premetteva che:

  • il Giudice delegato aveva liquidato, in favore del reclamante, a titolo di compenso per la propria attività professionale prestata in favore del fallimento, complessivi € 11.187,46;
  • il Fallimento disponeva di una liquidità pari ad € 13.204,31;
  • in data 12.12.2012 il curatore, detratto dall'importo liquido il suo compenso più le spese necessarie alla chiusura del fallimento, aveva chiesto al Giudice delegato di essere autorizzato a distribuire il residuo tra i quattro professionisti di cui si era avvalso nella procedura, ciascuno in misura pari al 21,06% dell'ammontare del proprio credito;
  • il Giudice delegato aveva autorizzato la distribuzione dell'importo residuo, nella misura determinata dal Curatore, tra i quattro professionisti tra cui il reclamante, in favore del quale veniva pertanto autorizzato il pagamento di € 2.356,89

Il reclamante adduceva la violazione degli artt. 110 e 111 l. fall. e 146 d.P.R. n. 115/2002.
In particolare, contestava il provvedimento impugnato in quanto autorizzava il pagamento integrale del compenso spettante al curatore, con conseguente falcidia dei crediti degli altri professionisti, ritenendo invece che il credito del curatore dovesse essere equiparato a quello degli altri professionisti che avevano prestato la propria attività nella procedura concorsuale, sicché sarebbero dovuti essere soddisfatti tutti in egual misura.
Si costituiva il curatore eccependo la tardività e l'improcedibilità del reclamo, oltre che la sua infondatezza nel merito.
Il Tribunale rigettava il reclamo e dichiarava integralmente compensate le spese di lite.

I crediti prededucibili

Si definiscono prededucibili, ai sensi dell'art. 111, comma 2, l. fall., quei crediti "così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge". Come appare evidente dalla norma richiamata, la prededucibilità di un credito è strettamente legata alla procedura fallimentare e deriva da una mera qualificazione processuale (M. FERRO, La Legge Fallimentare. Commentario teorico-pratico, 2011, 1318): essa, dunque, si pone su un piano diverso rispetto alle prelazioni; d'altra parte un credito prededucibile, sotto il profilo sostanziale, potrà essere anch'esso privilegiato o chirografario. La ratio del soddisfacimento prioritario dei crediti prededucibili è pertanto intimamente ed indissolubilmente legata alla loro funzione, volta ad assicurare il corretto svolgimento del processo concorsuale ed altresì l'integrale pagamento a coloro che abbiano prestato la propria opera in favore del fallimento (A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, 2013, 772 ss.).
Naturalmente non pone alcun problema l'ipotesi in cui sia lo stesso legislatore a qualificare un credito come “prededucibile”: si vedano le disposizioni di cui all'art. 79 (equo indennizzo per scioglimento del contratto di affitto di azienda), art. 80 (equo indennizzo per recesso dal contratto di locazione), art. 182-quater (crediti concessi da banche ed intermediari finanziari in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato).
Maggiori incertezze si pongono, invece, qualora debba farsi ricorso al secondo criterio delineato dalla norma.
Vigente la precedente disciplina – che non utilizzava il concetto di prededuzione, ma che comunque prevedeva il pagamento anticipato “delle spese…e dei debiti contratti per l'amministrazione del fallimento e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa” – la dottrina (G. BOZZA – G. SCHIAVON, L'accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, 467; A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, 666) aveva elaborato alcuni criteri per meglio qualificare la categoria di quelli che venivano definiti come “debiti di massa”: quello cronologico (U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 839 ss.), per il quale doveva trattarsi di crediti insorti successivamente alla dichiarazione di fallimento; quello soggettivo (F. DEL VECCHIO, Le spese e gli interessi nel fallimento, 153), dovendosi trattare di crediti sorti esclusivamente a seguito di una attività posta in essere da un organo della procedura; ed infine quello strumentale o funzionale (M. VASSALLI, I debiti della massa nel processo di fallimento, 18), nel senso che doveva trattarsi di crediti destinati all'amministrazione fallimentare.
Tutti gli esposti criteri, tuttavia, se considerati singolarmente, non risultavano pienamente soddisfacenti al fine di delimitare la categoria in esame; laddove invece, combinando principalmente il criterio soggettivo e quello funzionale si riusciva a fornire all'interprete un canone individualizzante ed appagante (A. CAIAFA, Le procedure concorsuali, Padova, II, 2011, 1029).
Nel tentativo di dare una risposta alle pressanti esigenze della dottrina e della pratica, il legislatore ha dunque riformulato nel senso sopra precisato l'art. 111 l. fall. Anche in tal caso, tuttavia, non si è mancato di rimarcare come il rinvio ai crediti sorti "in occasione o in funzione del procedimento fallimentare" rischi di risultare, per la sua genericità, scarsamente selettivo (M. FERRO, cit., 1319; A. SILVESTRINI, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1551).
Occorre stabilire se il canone interpretativo che caratterizza l'individuazione dei crediti sorti “in funzione” della procedura si sovrapponga a quello cronologico cui fa invece riferimento la locuzione “in occasione”, ovvero in pendenza della procedura stessa. In effetti appare evidente come il concetto funzionale non coincida necessariamente con quello cronologico. Al fine di una corretta interpretazione della norma in commento, le due espressioni "in occasione" ed "in funzione", sebbene poste in chiave antitetica tra loro, non possono che leggersi congiuntamente, a voler significare che non tutti i crediti sorti durante la procedura possano assumere il carattere di prededucibilità, bensì unicamente quelli destinati – secondo un nesso teleologico - all'amministrazione della procedura stessa. D'altro lato, tuttavia, non può non considerarsi che il carattere di strumentalità del credito rispetto alla procedura potrebbe connotare di prededucibilità anche crediti sorti anteriormente, quali in particolar modo i crediti per un'attività professionale svolta prima dell'apertura della procedura (CNDCEC, Commissione Nazionale di Studio “Il diritto fallimentare dopo la riforma”, La prededucibilità nel fallimento dei crediti professionali sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare).
Tra gli altri, sono da considerarsi crediti prededucibili: le spese vive per attività dovute (quali apposizioni di sigilli, inventari, comunicazioni, spese di pubblicità e di documentazione), quelle per la conservazione e custodia dei beni del fallito e per l'acquisizione dei beni che pervengono al fallito successivamente rispetto all'apertura della procedura, gli oneri derivanti dai contratti in corso e dall'attività negoziale svolta dal curatore, le spese di lite nei giudizi di cui il fallimento sia stato soccombente e i reclami avverso i provvedimenti endofallimentari, nonché le obbligazioni tributarie. Con la riforma del diritto fallimentare, il legislatore ha ritenuto di dover dedicare uno specifico articolo al trattamento riservato ai crediti prededucibili. In particolare, l'art. 111-bis l. fall. detta una disciplina specifica in merito agli stessi, tentando così di risolvere delle questioni ampiamente discusse in passato in dottrina. Con riferimento alle modalità di accertamento dei crediti in esame, il primo comma della norma richiamata rinvia al capo V, cioè a quanto previsto per l'accertamento dello stato passivo: appare dunque necessario che anche il creditore che vanti un credito in prededuzione debba, secondo le regole ordinarie, presentare un'apposita istanza d'insinuazione al passivo. Quindi, sembra che il legislatore abbia recepito un orientamento giurisprudenziale largamente diffuso, secondo cui la verifica dei crediti della massa deve essere condotta secondo le regole proprie dell'accertamento del passivo concorsuale (Cass. S.U. 21 novembre 2002, n. 16429; Cass. 29 gennaio 2002 n. 1065; Cass. 17 gennaio 2001 n. 553).
Tuttavia, l'ordinario metodo di accertamento è escluso allorquando i crediti non siano stati contestati né per il loro carattere di prededucibilità né tantomeno per il loro ammontare, ovvero si tratti di crediti rinvenienti da liquidazione dei compensi ai soggetti nominati ex art. 25 l. fall., la cui disciplina in caso di contestazione è retta dalle regole proprie del reclamo ex art. 26 l. fall.
Laddove il credito non sia contestato e sia liquido ed esigibile, è dunque ammesso il pagamento diretto da parte del curatore, su autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato, anche al di fuori e prima del piano di riparto, purché in tal caso, secondo un giudizio prognostico, l'attivo sia presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i creditori in prededuzione.
Il legislatore, inoltre, disciplina la situazione, non certo infrequente nella pratica, in cui l'attivo non sia sufficiente a coprire tutte le spese della massa fallimentare, risolvendo il rapporto tra gli stessi crediti prededucibili sulla base dei criteri di graduazione (ex multis Cass. 29 gennaio 1982, n. 569; Trib. Catania 7.7.1988, in Dir. fall. 1989, 246) e proporzionalità. Dispone infatti l'ultimo comma dell'art. 111-bis l. fall. che ”se l'attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge”. Ciò significa che, ben potendo sussistere anche all'interno della categoria dei crediti prededucibili delle legittime cause di prelazione, debbano innanzitutto essere soddisfatti detti crediti muniti di privilegio. Laddove, invece, essi siano tutti chirografari (ovvero, dopo il soddisfacimento dei crediti privilegiati, residui un attivo), i crediti saranno soddisfatti proporzionalmente tra essi. Nell'ipotesi di insufficienza dell'attivo, secondo la prassi osservata dai tribunali e la dottrina prevalente (G. LO CASCIO, cit. , 1440; F. DEL VECCHIO, Le spese e gli interessi nel fallimento, 1988, 173 ss.), risulterà necessario ricorrere ad un piano di riparto con conseguente provvedimento del giudice delegato, reclamabile ex art. 26 l. fall.

Il compenso del curatore

Dispone il primo comma dell'art. 39 l. fall. che “il compenso e le spese dovuti al curatore, anche se il fallimento si chiude con concordato, sono liquidati ad istanza del curatore con decreto del tribunale non soggetto a reclamo, su relazione del giudice delegato, secondo le norme stabilite con decreto del Ministero della Giustizia”.
La norma in commento pone implicitamente il principio dell'onerosità della prestazione svolta dal curatore (G. D'ATTORRE, La legge fallimentare dopo la riforma, A. Nigro – M. Sandulli – V. Santoro (a cura di), Torino, 2010, sub art. 39): sebbene la sua funzione all'interno della procedura fallimentare, a maggior ragione dopo la riforma del diritto fallimentare, sia da ricondurre ad un munus publicum, l'attività svolta dallo stesso non riveste carattere gratuito. La legge, pertanto, riconosce in suo favore un diritto soggettivo a percepire un compenso siccome determinato con decreto del Tribunale presso cui è incardinata la procedura: diritto, peraltro, di natura evidentemente patrimoniale, che legittima un suo esercizio in via surrogatoria da parte del creditore del curatore stesso (così Cass. 2 marzo 1990, n. 1650). Il contenuto di tale diritto si sostanzia nel compenso per l'opera prestata e per le spese sostenute in occasione della procedura, nell'ammontare stabilito dal tribunale, con esclusione del diritto di pretendere ulteriori somme o comunque a percepire altri compensi. Nella scansione cronologica della procedura fallimentare, la liquidazione del compenso al curatore si colloca dopo l'approvazione del rendiconto presentato dal curatore medesimo, in quanto solo attraverso tale operazione risulta possibile valutare adeguatamente l'efficacia dell'attività prestata (così A. MAFFEI ALBERTI, cit. , 241).
Particolare rilevanza riveste l'ipotesi di fallimento c.d. negativo, id est di fallimento privo di attivo o comunque insufficiente a coprire le spese della procedura stessa. La prevalente dottrina (M. BOSCO – F. CESARIS – G. PAJARDI – P. PAJARDI, Il curatore del fallimento, Milano, 2000; D. Mazzocca, Gli organi: il giudice delegato, il curatore ed il comitato dei creditori, in Il fallimento, Trattato diretto da Ragusa Maggiore-Costa, I, Torino, 1997) aveva ritenuto possibile, in tale evenienza, applicare estensivamente il previgente art. 91 l. fall., che prevedeva l'anticipazione delle spese della procedura da parte dell'Erario. La Corte Costituzionale, chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità della disposizione richiamata, nella parte in cui non estendeva l'applicazione della norma al compenso del curatore, aveva più volte giudicato manifestamente infondata la questione (Corte Cost. 27 luglio 1994, n 368, ord.; Corte Cost. 30 dicembre 1993, n. 488, ord.; Corte Cost. 22 novembre 1985 n. 302). Tuttavia, con una netta inversione di tendenza rispetto al passato, accogliendo le istanze della dottrina, il medesimo Giudice delle leggi aveva successivamente dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 146, comma 3, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevedeva che sono anticipate dall'Erario anche "e spese ed onorari" spettanti al curatore della procedura fallimentare (Corte Cost. 28 aprile 2006, n. 174). Si era, infatti, ritenuto che fosse manifestamente irragionevole che solo il curatore restasse escluso dal trattamento riservato agli ausiliari del magistrato. Nella fattispecie considerata di fallimento c.d. negativo, si ritiene per lo più che la misura del compenso da corrispondere al curatore sia quella minima stabilita dalla legge (in dottrina: P. PAJARDI, cit., 474. In giurisprudenza: Trib. Monza 22 marzo 2006, in Fall. 2006, 1266).

La qualificazione del compenso del curatore

La controversia esaminata dal Tribunale di Milano concerne specificamente la qualifica da attribuirsi al compenso del curatore, in particolare nel rapporto con altri crediti aventi il carattere della prededucibilità. Nella fattispecie in commento, infatti, a fronte di un attivo fallimentare incapiente, il Giudice Delegato aveva stabilito (su proposta del curatore) il pagamento integrale del compenso del curatore medesimo, con falcidia dei crediti degli altri professionisti di cui si era avvalso il curatore nell'espletamento della sua attività all'interno della procedura. Il reclamo avverso il detto provvedimento da parte di uno di tali professionisti fonda le proprie doglianze sulla considerazione che il compenso spettante al curatore sarebbe in tutto e per tutto da parificarsi a quello degli altri professionisti che abbiano prestato la propria attività all'interno ed in favore del fallimento. Non sarebbe stata quindi giustificabile la disparità di trattamento riconosciuta dal Giudice Delegato, trattandosi in entrambi i casi di crediti prededucibili assistiti dal medesimo grado di privilegio. Alla fattispecie, dunque, si sarebbe dovuto applicare il suesposto principio di proporzionalità cui fa riferimento, in caso di attivo insufficiente, l'ultimo comma dell'art. 111-bis l. fall., non sussistendo legittime cause di privilegio che potessero legittimare l'integrale soddisfo del compenso del curatore in via prioritaria rispetto a quello riconosciuto agli altri professionisti.
Il reclamante fondava dunque le proprie ragioni sulla asserita “ordinaria” prededucibilità del compenso spettante al curatore, quale debito della massa, al pari delle altre spese sostenute per i professionisti intervenuti.
In particolare, con riferimento a questi ultimi, non può dubitarsi che si tratti di crediti prededucibili.
Per quanto concerne il compenso spettante al curatore, anch'esso sembrerebbe avere i requisiti di legge per essere considerato prededucibile trattandosi di un credito sorto in pendenza della procedura concorsuale ed in funzione della stessa, giacché l'attività del curatore costituisce momento essenziale e centrale di tutta la procedura. Anche parte della dottrina (A. MAFFEI ALBERTI, cit., 774; G. LO CASCIO, cit., 1426; M. VASELLI, I debiti della massa nel processo di fallimento, Padova, 1951, 39 ss.) e della giurisprudenza di merito antecedente alla pronuncia in commento (Trib. Catania 29 marzo 1984, in Fall. 1985, 574) si era espressa nel senso della prededucibilità del compenso del curatore.
Il Tribunale, nella sentenza in commento, senza rinnegare questa ricostruzione, la specifica in modo peculiare, attribuendo al compenso del curatore un rango ancora maggiore rispetto a quello della “ordinaria” prededucibilità, qualificando lo stesso “non già come debito della massa, bensì come costo necessario ed ineliminabile della procedura, in quanto “condicio sine qua non” della procedura stessa, che, senza il curatore, non potrebbe aver corso”.
Appare infatti evidente che il ruolo e la funzione svolti dal curatore siano di primaria importanza, al pari di quello del Giudice Delegato, essendo essi gli organi propulsivi della procedura stessa, senza dei quali il fallimento non potrebbe svolgersi. Ciò – si consideri – a maggior ragione oggi dopo la riforma del diritto fallimentare, che ha visto aumentare sensibilmente i poteri e l'autonomia del curatore, il quale, ai sensi dell'art. 31, comma 1, l. fall. “ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite”: egli, dunque, è il vero e proprio organo motore della procedura fallimentare; ruolo che invece, nella previgente disciplina, era assegnato al Giudice delegato sotto la cui direzione il curatore era tenuto ad operare (S. AMBROSINI (a cura di), Le nuove procedure concorsuali, VIII, Bologna, 2008, 73). A riprova di ciò, da un'analisi sistematica delle norme della legge fallimentare come riformate, emerge un generale rafforzamento dei poteri del curatore in relazione a siffatta valorizzazione delle funzioni di gestione della procedura (F. ABATE, I nuovi rapporti tra gli organi; F. ALLEGRETTI – A.C. MARROLLO, Gli organi preposti al fallimento; F. BONFATTI – L. PANZANI (a cura di), La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2008, 200).
Ciò detto, non può tacersi che la pronuncia in commento ha ancor di più rafforzato la posizione riconosciuta al curatore, consentendo allo stesso di giovarsi di una prerogativa nel soddisfacimento del proprio credito che, secondo l'interpretazione del Tribunale di Milano, è in re ipsa, nella stessa natura delle funzioni allo stesso attribuite all'interno della procedura fallimentare. Il compenso del curatore, dunque, più che un vero e proprio debito della massa (come sono quelli degli altri professionisti intervenuti), andrebbe qualificato come “spesa di giustizia” e quindi “deve essere pagato prima dei debiti della massa e non già nell'ambito di un progetto di riparto, ma sulla base della sola liquidazione operata dal tribunale ed immediatamente, trattandosi di liquidazione giudiziale di un ausiliario di giustizia, esecutiva per legge”. D'altra parte non è un caso che il compenso per il curatore sia liquidato dopo l'approvazione del rendiconto e prima del riparto finale, il quale prevederà la distribuzione dell'attivo ai creditori (tutti, anche i prededucibili) al netto di tale compenso, che finisce quindi per essere, si potrebbe dire, il credito più prededucibile di tutti.
Né a tal riguardo potrebbe ritenersi, secondo il Tribunale, che il curatore sia soddisfatto nel suo credito non già dalla procedura stessa – laddove questa sia incapiente – bensì dall'Erario, stante la disposizione in precedenza analizzata dell' art. 146, comma 3, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, così come modificato dall'intervento della Consulta. La norma, infatti, prevede che tali spese siano “anticipate” dall'Erario e non già poste a suo integrale carico: ne offre conferma proprio l'art. 146, il quale dispone al quarto comma che “le spese prenotate a debito o anticipate sono recuperate, appena vi sono disponibilità liquide, sulle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo”. Ed in effetti, in caso di attivo fallimentare parzialmente insufficiente, laddove venissero prioritariamente soddisfatti i crediti prededucibili rispetto alle “spese di giustizia”, “si arrecherebbe all'Erario un danno ingiusto, ponendo dette spese a carico della collettività pur in presenza di risorse sufficienti a farvi fronte”.
La pronuncia del Tribunale di Milano, dunque, appare estremamente innovativa, ponendosi nel solco di quell'indirizzo giurisprudenziale, consolidatosi post riforma legge fallimentare, diretto a rafforzare la posizione del curatore all'interno della procedura concorsuale, ma restando ancorata a solidi parametri normativi.
Resta da osservare, non dimeno, che se da un lato appare chiara ed evidente la primaria importanza del ruolo riconosciuto al curatore all'interno della procedura, riconosciuta anche da tale trattamento satisfattivo, al contempo non può tacersi l'estrema penalizzazione per quei professionisti della cui opera il curatore stesso si avvalga, proprio nell'espletamento di quelle funzioni che gli sono proprie.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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