Concordato con continuità aziendale e requisiti di ammissibilità

Roberto Amatore
06 Settembre 2013

Risulta applicabile la disciplina dettata dall'art. 186-bis l. fall. ed i relativi benefici anche all'ipotesi di piano concordatario che preveda la prosecuzione dell'attività di impresa tramite l'affitto d'azienda, dovendosi rintracciare la prevista “cessione dell'azienda in esercizio” allorquando, essendo stato già attuato l'affitto d'azienda, sia altresì prevista la cessione d'azienda al medesimo affittuario, che in tal senso si è impegnato sottoscrivendo la proposta d'acquisto.
Massima

Risulta applicabile la disciplina dettata dall'art. 186-bis l. fall. ed i relativi benefici anche all'ipotesi di piano concordatario che preveda la prosecuzione dell'attività di impresa tramite l'affitto d'azienda, dovendosi rintracciare la prevista “cessione dell'azienda in esercizio” allorquando, essendo stato già attuato l'affitto d'azienda, sia altresì prevista la cessione d'azienda al medesimo affittuario, che in tal senso si è impegnato sottoscrivendo la proposta d'acquisto.

Il caso

La società debitrice chiedeva l'accesso alla procedura di concordato preventivo, configurando un' ipotesi di concordato con continuità aziendale.
Il piano di edebitamento prevedeva l'acquisizione di risorse finanziarie tramite un contratto di affitto d'azienda, già stipulato nella fase precedente alla presentazione del piano concordatario, ed un successivo contratto di cessione d'azienda al medesimo affittuario.
Il tribunale, ritenendo applicabile al caso di specie la normativa speciale dettata dall'art. 186-bis ed addentrandosi in un riscontro sulla esistenza dei requisiti di ammissibilità previsti dalle lettere a) e b) del secondo comma dell'art. 186-bis l. fall., dichiarava inammissibile la proposta concordataria sulla base di una valutazione negativa di futura solvibilità dell'affittuaria e della solidità delle garanzie prestate.
Conseguentemente la società debitrice veniva dichiarata fallita.

Le questioni giuridiche

Il commento del provvedimento in esame involge l'approfondimento di istituti di nuovo conio, così come introdotti dal c.d. Decreto Sviluppo. Ed invero, occorre esaminare il perimetro applicativo del concordato con continuità aziendale (e ciò, con particolare riferimento alla ipotesi di affitto d'azienda oggetto del patto concordatario), l'oggetto del piano concordatario ed i requisiti di ammissibilità del detto concordato rispetto a quanto ora disciplinato dal novellato art. 186-bis l. fall. e, infine, le conseguenze sanzionatorie della mancata allegazione dei requisiti di ammissibilità sopra detti.
Sul punto, giova ricordare, in termini di ricostruzione dell'istituto qui in esame, che, prima dell'entrata in vigore della L. 134/2012, che ha convertito il c.d. decreto sviluppo (d.l.. 83/2012), avrebbe potuto considerarsi quale concordato con continuità aziendale (ovvero con continuità dell'attività d'impresa) quello in cui, di fatto, proseguisse l'attività d'impresa.
Tale figura, invero, non era oggetto di un'autonoma disciplina differenziatrice rispetto alle altre forme c.d. liquidatorie. Rilevare quindi che l'attività d'impresa non si era, né si sarebbe conclusa, finiva per avere, essenzialmente, una mera finalità descrittiva (così, ARATO, Il concordato con continuità aziendale, in IlFallimentarista.it).
Oggi, tuttavia, non è più così.
Ed invero, il concordato con continuità aziendale in senso proprio è divenuto, ora, una figura di concordato tipizzata e formalizzata.
Tale formalizzazione deriva dalla circostanza secondo cui solo a tale tipologia, nei termini in cui è stata consacrata dalla riforma, sono attribuiti gli speciali benefici previsti sia dall'art. 186-bis, sia, in parte, dall'art. 182-quinques l. fall., e cioè rispettivamente, da un lato, l'inefficacia di preesistenti clausole contrattuali risolutive e la possibilità di proseguire i contratti con la P.A. o di partecipare a gare per la concessione di appalti pubblici e, dall'altro, la possibilità di essere autorizzati ad effettuare pagamenti di crediti anteriori per prestazioni essenziali (per una ricostruzione dell'istituto si fa rinvio ad un lavoro di prossima pubblicazione: R. Amatore - L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Giuffrè, 2013).
Deve dirsi che - affinché sia integrata la fattispecie tipica del “concordato con continuità aziendale” - occorre che la prosecuzione dell'attività d'impresa costituisca comunque condizione fattuale necessaria, secondo la triplice esplicazione prevista in modo legalmente tipico dall'art. 186-bis.
Tale condizione è necessaria, ma non sufficiente (ARATO, ibidem).
Occorrono in realtà anche altre tre ulteriori condizioni o requisiti formali, cioè che:
I) vi sia un piano, il quale preveda per l'appunto la prosecuzione dell'attività di impresa nelle tre possibili forme previste (da parte del debitore, o con la cessione dell'azienda in esercizio ovvero con il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società);
II) tale piano contenga anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;
III) vi sia una relazione dell'esperto la quale attesti che la prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
Va aggiunto che risulta essere un dato incontrovertibile quello secondo cui, quando l'attività d'impresa non continui, non vi sarà mai - quoad naturam - un concordato con continuità aziendale, ma semmai solo un concordato liquidatorio o dismissivo (LAMANNA, La legge fallimentare dopo il decreto sviluppo, Milano, 2012, 58).
Tuttavia, deve essere precisato che non ricorrerà un concordato con continuità aziendale in senso proprio nemmeno allorquando l'attività d'impresa prosegua, ma manchi un piano contenente l'analitica indicazione dei costi e dei ricavi, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura, o manchi (o sia inidonea alla sua funzione) la relazione dell'esperto attestante la funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori.
Deve pertanto tenersi presente che, quando l'attività d'impresa prosegue, il concordato può avere la configurazione di concordato con continuità aziendale in senso proprio solo quando ricorrano anche gli altri requisiti formali indicati nell'art. 186-bis, mentre, al di fuori di tale caso, il concordato che preveda la continuazione effettuale dell'attività, senza che siano presenti anche gli altri requisiti di legge, sarà sì comunque ammissibile come “concordato” (naturalmente purché ricorrano gli altri presupposti di ammissibilità previsti dalla legge, e in particolare quando sia attestata in modo motivato dall'esperto la fattibilità del piano), ma sarà “in continuità” solo “di fatto” e non secondo la specifica qualificazione normativa, e ad esso resteranno di conseguenza estranei i benefici previsti per la figura tipizzata (così, ancora, LAMANNA, La legge fallimentare, ibidem).
In realtà, sia i concordati che gli accordi con continuità aziendale erano modalità applicative già attuabili, e di concreto anche attuate nella prassi, in ragione dell'ampio contenuto che i piani concordatari e gli accordi possono avere ai sensi, rispettivamente, degli articoli 160 e 182-bis l. fall. (LAMANNA, La legge fallimentare, 58).
Il decreto sviluppo, pur non derogando in via di principio a tale criterio di ampia libertà dell'imprenditore nella concreta conformazione della proposta concordataria ovvero degli accordi di ristrutturazione (ovviamente nei limiti in cui non si violino norme imperative), introduce norme incentivanti di speciale favore per quei concordati e per quegli accordi di ristrutturazione caratterizzati dalla prevista prosecuzione dell'attività imprenditoriale.
Deve essere incidentalmente precisato che, sebbene le nuove norme riferiscano la continuità all'azienda, quest'ultima può al più essere conservata o gestita con criteri di continuità, ma ciò che, più appropriatamente ed in effetti può proseguire, è l'attività di impresa (LAMANNA, La legge fallimentare, 58). Così chiarita questa modesta improprietà definitoria contenuta nel testo normativo, deve essere evidenziato che - a causa del forte condizionamento esercitato nella prassi dalla soverchiante frequenza statistica con cui sono stati sinora proposti concordati (con cessione dei beni) meramente liquidatori - la variante della continuità aziendale cosiddetta pura, contemplante, cioè, la prosecuzione dell'attività in capo alla stessa impresa e l'estinzione di debiti (integralmente ovvero nella percentuale indicata nella proposta) attraverso gli utili che l'impresa prevede di realizzare entro il periodo di durata dei piani concordatari, è stata finora una rara avis (LAMANNA, La legge fallimentare, 58).
Sul punto, occorre ricordare che, di solito, tale forma di concordato implica un accordo dilatorio, e cioè una moratoria, simile a quella caratterizzante l'ormai abrogata amministrazione controllata. Più spesso, la prosecuzione dell'attività aziendale si è realizzata, nella prassi, con la separazione dell'azienda dall'imprenditore che ne era prima titolare, e dunque, in una forma che può definirsi spuria, mediante la cessione (quanto meno non immediata) dell'azienda a terzi, ovvero il suo conferimento in una o più società anche di nuova costituzione (la c.d. NewCo). Analogo risultato poteva ovviamente realizzarsi anche attraverso la previa temporanea gestione dell'azienda affidata a terzi (e cioè attraverso lo strumento dell'affitto d'azienda), se correlata ad una successiva cessione dell'azienda allo stesso affittuario o a terzi ovvero ancora ad un successivo conferimento in una diversa società, rivestendo l'affitto, in tal caso, la natura di mezzo strumentale e transitorio per giungere al trasferimento o al conferimento.
Ebbene, il nuovo articolo 186-bis l. fall. chiarisce, ora, espressamente che la disciplina di favore prevista in caso di continuità aziendale vale per tutte le suddette varianti nelle quali l'attività d'impresa collegata ad un'azienda comunque prosegue o in capo allo stesso imprenditore, o in capo a terzi, anche se non risulta espressamente contemplato il caso dell'affitto che, a rigore, fuoriesce dalla definizione normativa e dall'applicazione, quanto meno quella diretta, delle norme di favore in esame.
Ed invero, la norma da ultimo menzionata considera come concordato con continuità aziendale quello il cui piano preveda la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore, o la cessione dell'azienda in esercizio o il conferimento dell'azienda in esercizio in uno o più società, anche di nuova costituzione (LAMANNA, La legge fallimentare, 58).
Si tratta, come è stato icasticamente osservato, di una sorta di “esercizio provvisorio dell'impresa” in vista del ritorno in bonis della stessa impresa ovvero del trasferimento a terzi dell'attività aziendale “in esercizio” (ARATO, Il concordato con continuità aziendale, 2 ).
Da soggiungere che il conferimento delle aziende in esercizio si prevede possa attuarsi solo in una o più società, là dove invece la cessione dell'azienda non deve necessariamente effettuarsi a favore di società, potendo assumere la veste di acquirente qualsiasi imprenditore, anche individuale. Afferma, altresì, la norma che, in tali casi, non contraddice il concetto di continuità aziendale la circostanza che il piano preveda anche la liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa.
Pertanto, l'articolo 186-bis fa rientrare nella categoria dei concordati con continuità aziendale anche quelli in cui l'attività prosegue mediante il mantenimento “in esercizio” di una parte soltanto dell'attivo (i.e. un ramo d'azienda), mentre l'altra parte dell'attivo (quello, cioè, “non funzionale all'esercizio dell'impresa”) viene liquidata atomisticamente (ARATO, ibidem).
Venendo ora a discutere della questione trattata nel provvedimento in esame, va detto che risulta più problematico far rientrare nel perimetro applicativo della norma dettata dall'art. 186-bis l. fall. anche la fattispecie dell'affitto d'azienda oggetto del patto di concordato, sia perché la lettera della norma non lo prevede, sia perché in tale ipotesi non solo non si ha trasferimento di proprietà, ma si produce la situazione per cui i risultati di gestione spettano all'affittuario ed il debitore affittante può contare solo sul canone di affitto (cfr., ancora LAMANNA, op. ult. cit., 58).
Deve anche precisarsi, sempre in termini generali, come, con la schematizzazione della continuità aziendale, il legislatore abbia inteso dettare una particolare tutela in tutti i casi in cui l'imprenditore decida di affrontare il recupero della propria azienda, disponendo taluni vantaggi di ordine patrimoniale e di gestione a suo favore.
In realtà, deve essere aggiunto che anche la continuità aziendale nel concordato preventivo non è una scelta discrezionale che il debitore può esercitare nel predisporre il piano di risanamento, giacché la sua realizzazione trova fondamento esclusivamente in una situazione di fatto e di diritto che lo consenta. In sintesi, è necessario che la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa risulti compatibile con le condizioni di mercato interne ed estere; che la produzione sia valida ad ogni effetto e possibilmente, a parità di costi, migliore rispetto a quella dei concorrenti; che si disponga di sufficienti flussi finanziari, equilibrandone in modo efficace le fonti ed evitando di eccedere nel ricorso al capitale di terzi; che possa essere immediatamente affrontata la situazione debitoria mediante un piano di ristrutturazione o liberando nuove risorse; che siano assicurati mezzi liquidi sufficienti per superare sia la situazione transitoria propedeutica al risanamento, sia per avviare l'ordinaria produzione, sia per eseguire il piano di rientro delle obbligazioni ed il recupero della normale capacità reddituale (così, ancora, LO CASCIO, Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fall., 2013, 5 ).
Ancora. Deve essere precisato che, in presenza di un concordato con continuità aziendale, risulta opportuno che il tribunale specifichi sempre se il concordato è con continuità aziendale in senso proprio ovvero no. Qualora, cioè, ne ravvisi i presupposti, il tribunale deve indicarlo chiaramente nel provvedimento di ammissione, al fine di garantire la pacifica applicazione dei benefici di legge (così, di nuovo, LAMANNA, La legge fallimentare, ibidem).
Inoltre, analoga specificazione dovrebbe fare, ma in senso e con lo scopo opposto, quando non ne ravvisi la sussistenza.
Ma il provvedimento in commento stimola un approfondimento anche in relazione alla valutazione dei requisiti di ammissibilità e delle conseguenze sanzionatorie connesse ad una valutazione negativa espressa in tal senso dal tribunale in sede di ammissione alla procedura concorsuale.
Sotto quest'ultimo profilo e volendo pertanto inquadrare la fattispecie concordataria proposta dalla società debitrice ricorrente come concordato con continuità aziendale, occorre precisare che nel caso in cui il concordato preveda la continuità dell'attività d'impresa senza gli altri anzidetti requisiti - così, quando manchi il piano di continuità ovvero manchi del tutto l'attestazione circa la funzionalità e convenienza della prosecuzione dell'attività per i creditori rispetto ad un'alternativa procedura liquidatoria ovvero, ancora, quando, pur essendo stata prodotta un'attestazione, questa esprima un giudizio negativo sulla funzionalità e convenienza, ovvero, da ultimo, quando da essa si evinca ad ogni modo la mancanza di tale requisito a dispetto dell'apparente attestazione sulla sua sussistenza - il proponente non potrà fruire dei benefici previsti dagli artt. 186-bis e 182-quinquies l. fall., seppure, beninteso, il concordato potrà considerarsi ugualmente ammissibile, come concordato “ordinario”.
Sul punto, va precisato che un concordato, che preveda che l'attività d'impresa effettivamente prosegua senza che ricorrano gli altri requisiti formali sopra esposti, può comunque essere in concreto fattibile, seppure eventualmente non conveniente per i creditori (come deve invece esserlo in ogni caso il concordato con continuità aziendale affinché ne sia integrata la fattispecie legale, alla stregua della necessaria attestazione circa la sua funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori, senza la quale non si potrebbero applicare i benefici di legge).
Tuttavia, al momento dell'ammissione il tribunale non può valutare d'ufficio se il concordato sia conveniente per i creditori (al di fuori del caso in cui, per l'appunto, tale valutazione riguardi il concordato con continuità aziendale), potendolo fare solo al momento dell'omologa, e solo su impulso di un creditore opponente.
Pertanto, in tal caso il tribunale disporrà l'ammissione al concordato, ma avendo l'accortezza di specificare che non si tratta di concordato con continuità aziendale ai sensi dell'art. 186-bis (così, di nuovo, LAMANNA, La legge fallimentare, ibidem).

Osservazioni

Il provvedimento in esame merita un approfondimento critico su questioni, peraltro, oggetto, oggi, di acceso dibattito, e ciò con particolare riferimento alla descrizione dell'ambito applicativo oggettivo dell'art. 186-bis l. fall., atteso che, a rigore, i confini di applicazione della norma in esame con il relativo regime di benefici sembrano limitati alle sole ipotesi di “prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore” ovvero di “cessione dell'azienda in esercizio” ovvero ancora di “conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”, con ciò escludendo la diversa ipotesi, qui in esame, dell'affitto di azienda.
È pur vero che nel caso in esame il piano concordatario prevede già la cessione dell'azienda al medesimo affittuario, che in tal senso si è impegnato sottoscrivendo la proposta di acquisto, tuttavia deve ritenersi che la specialità della norma dettata dall'art. 186-bis l. fall. non possa tollerare - attraverso una applicazioni analogica della stessa - una estensione dei benefici previsti da quest'ultima ad ipotesi non contemplate nel suo tessuto normativo.
Sul punto, risulta del tutto condivisibile quella autorevole dottrina (LAMANNA, La legge fallimentare, cit., 58), già sopra citata, che ha affermato, in subiecta materia, il principio secondo cui risulta problematico far rientrare nel perimetro applicativo della norma dettata dall'art. 186-bis l. fall. anche la fattispecie dell'affitto d'azienda oggetto del patto di concordato, sia perché la lettera della norma non lo prevede, sia perché in tale ipotesi non si ha trasferimento di proprietà (cfr., ancora LAMANNA, ibidem).
La lettera della norma è in realtà chiara e non contestabile.
Ed invero, la norma in esame considera come concordato con continuità aziendale quello il cui piano preveda la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore, o la cessione dell'azienda in esercizio o il conferimento dell'azienda in esercizio in uno o più società, anche di nuova costituzione.
Si deve comunque dare atto che una parte della dottrina ha ritenuto che diverso è il caso in cui il contratto d'affitto di azienda sia soltanto propedeutico ad una successiva cessione dell'azienda funzionante all'affittuario, cessione già prevista come obbligatoria per l'affittuario nella proposta concordataria, dovendosi ritenere, in tale ultima ipotesi, l'applicazione diretta dell'istituto in esame per la espressa previsione del primo comma dell'art. 186-bis l. fall., laddove si fa riferimento ad un piano che preveda la cessione dell'azienda in esercizio (MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, 2013, 1328). Ma la stessa dottrina ha avuto modo di precisare che, tuttavia, non possa rientrare nell'ambito applicativo della norma l'ipotesi in cui il debitore avesse già concesso l'azienda in affitto prima del deposito della domanda di concordato.
Ma al di là di tale controverso profilo di applicabilità della normativa dettata dall'art. 186 bis l. fall. anche al caso oggi in esame, ciò che non sembra condivisibile è che il tribunale fiorentino, dopo aver riscontrato la insussistenza dei requisiti di ammissibilità dettati dall'art. 186-bis, anziché considerare inapplicabile la disciplina di favore dettata da quest'ultimo articolo e scrutinare pertanto l'ammissibilità del concordato (se del caso, anche in relazione al profilo di giuridica fattibilità del piano) in relazione ai presupposti applicativi dettati dagli artt. 160 e 161 l. fall. per il concordato ordinario, abbia invece dichiarato definitivamente inammissibile il concordato, disponendo, poi, il consequenziale fallimento della società debitrice.
Sul punto, si è già avuto modo sopra di precisare che, in realtà, il tribunale dovrebbe in tali ipotesi qualificare il concordato come “concordato ordinario” ed eventualmente ammetterlo sotto questa diversa veste, purché ricorrano gli altri presupposti di ammissibilità previsti dalla legge, e in particolare quando sia positivamente riscontrabile la fattibilità del piano. Ed invero, in tal caso il concordato dovrebbe essere considerato “in continuità” solo “di fatto” e non secondo la specifica qualificazione normativa, con la conseguenza di restare estraneo ai benefici previsti per la figura tipizzata dall'art. 186-bis l. fall.
Peraltro, il provvedimento in commento non convince neanche sotto altro e diverso profilo, atteso che il Tribunale di Firenze, dopo aver ritenuto applicabile al caso di specie la normativa dettata dall'art. 186-bis l. fall. e dunque aver richiesto che il piano preveda una dettagliata analisi dei costi e dei ricavi relativi alla azienda affittata o ceduta, deduce da tale affermazione la possibilità per il tribunale di sindacare la futura solvibilità della società affittuaria e sopratutto la solidità delle garanzie fideiussorie offerte per l'adempimento delle obbligazioni nascenti dalla esecuzione del piano, con ciò penetrando nella valutazione di convenienza della proposta concordataria, che, anche secondo l'ultimo arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 1521/2013) deve essere rimesso alle libere determinazioni del ceto creditorio in sede di espressione del diritto di voto sulla proposta concordataria.
Sul punto, giova ricordare, ancora una volta, che, in realtà, la norma in esame prevede che il piano contenga anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura e ulteriormente che sia allegata alla proposta una relazione dell'esperto la quale attesti che la prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, con ciò non autorizzando il tribunale a scrutinare - nel giudizio di ammissibilità della proposta concordataria - la solvibilità dell'affittuario e la solidità delle sue garanzie fideiussorie questioni che, attenendo al profilo dell'eventuale futuro inadempimento del concordato, riguardano a ben intendere la convenienza della proposta concordataria ( il cui esame è rimesso, come detto, alle determinazioni dei creditori) e della cui eventuale valutazione giudiziale il tribunale dovrebbe occuparsi nella successiva fase risolutoria nella ipotesi di inadempimento delle obbligazioni del concordato ai sensi dell'art. 186 l. fall..
Va comunque precisato che la disposizione dettata dal primo comma dell'articolo 186-bis l. fall., nel fare riferimento alla prosecuzione dell'attività di impresa prevista dal piano di concordato, proietta indirettamente ed implicitamente l'analisi fino all'intera durata dell'esercizio programmato dell'attività .
La norma va, tuttavia, valutata alla luce delle due diverse forme in cui può esprimersi la “continuità aziendale”, quella, cioè, in cui l'attività sia proseguita dallo stesso debitore, e quella, invece, in cui l'azienda sia trasferita a terzi ovvero conferita in una diversa società.
In relazione alla prima forma di continuità aziendale, va detto che l'indicazione dei costi e dei ricavi non può che estendersi naturaliter fino a quando l'impresa non superi la crisi, onde poter soddisfare nei limiti proposti, e con le previste modalità, i creditori concorsuali. Ne discende che le condizioni indicate nel piano saranno giuridicamente impegnative per il debitore (LAMANNA, La legge fallimentare, cit., 60).
Quanto, poi, alla relazione professionista, essa deve attestare che la prosecuzione dell'attività di impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Tuttavia, va soggiunto che il predetto esito può apprezzarsi, in caso di continuità diretta dell'azienda in capo allo stesso debitore, solo se il professionista estenda contestualmente la propria indagine anche all'accertamento dell'effettivo ripristino delle condizioni di equilibrio finanziario dell'impresa in un tempo ragionevole, atteso che, in difetto, il debito potrebbe risultare non sostenibile, facendo emergere il perdurare dell'insolvenza se già preesistente, ovvero l'affacciarsi di quella prospettica, se è prevedibile in un orizzonte non troppo lontano. Tale tipologia di indagine penetrante ed onnicomprensiva deve ritenersi ancor più necessaria nell'ipotesi in cui le modalità di soddisfacimento prevedano in tutto ovvero in parte la conversione del debito in strumenti di equity ovvero semiequity, giacché in tal caso la stima del grado di soddisfacimento per i creditori dipende dal valore “a regime” dell'impresa (LAMANNA, La legge fallimentare, cit., 60), dovendosi intendere così il valore che l'impresa assumerà una volta attuate le azioni previste dal piano e ristabilite le condizioni di equilibrio finanziario (QUATTROCCHIO-RANALLI, Concordato in continuità e ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in IlFallimentarista.it, 7 ss.).
Quanto alla seconda ipotesi, cioè la cessione dell'azienda al terzo per il suo conferimento in una società, deve ritenersi, ad una prima sommaria disamina della normativa, che potrebbe non essere rilevante, dal punto di vista giuridico, l'interessamento da parte del tribunale o da parte del ceto creditorio alle future sorti dell'azienda, una volta che quest'ultima sia fuoriuscita dal perimetro concordatario.
Tuttavia, tale conclusione può considerarsi condivisibile solo allorquando il trasferimento e il conferimento - in contraddizione con lo stesso concetto ordinario di continuità aziendale, la cui normativa prevede che nel piano analitico vengano analiticamente indicati i costi, i ricavi e le risorse proiettate entro la distensione di un certo arco temporale - si realizzino immediatamente, con la contestuale riscossione del corrispettivo, e per di più nella ipotesi in cui la gestione successiva da parte dei terzi non sia idonea, neanche in parte, ad influire sulle sorti del concordato. Ma si tratta, ad ogni modo, di un'ipotesi statisticamente poco frequente (LAMANNA, La legge fallimentare, 60).
In realtà, in tutti gli altri casi, la previsione della gestione futura ha un rilievo che, se non giuridicamente rilevante in termini di cogenza per il terzo acquirente, potrà invece costituire, perlomeno, elemento informativo essenziale sia ai fini del giudizio di fattibilità del piano sottoposto al controllo immediato del tribunale e poi del commissario giudiziale sia ai fini della valutazione del ceto creditorio circa la convenienza del concordato stesso.
Venendo ora più specificatamente alle fattispecie di continuità come quelle contemplate nel provvedimento in esame, deve ritenersi - in termini generali - che, nell'ipotesi della continuità attuata attraverso il conferimento o trasferimento dell'azienda, il professionista può essere tenuto a svolgere per l'intero arco temporale del piano una verifica di sostenibilità economica e finanziaria della conferitaria per scongiurare fenomeni di insolvenza indotta (LAMANNA, La legge fallimentare, 60).
Ove, invece, la continuità sia attuata mediante affitto e successiva cessione dell'azienda ad una società di nuova costituzione, con previsione di pagamento del prezzo dilazionato nel tempo e non garantito, il professionista dovrebbe verificare la sostenibilità del piano aziendale in capo alla società cessionaria, in quanto esso comunque rileva, in via immediata, ai fini del soddisfacimento dei creditori, e dunque la relazione del professionista dovrebbe estendersi, insieme al piano, sino al momento in cui è previsto l'incasso del prezzo di vendita dell'azienda destinato al pagamento dei creditori.
Deve tuttavia ritenersi che, anche alla luce delle ultime considerazioni qui svolte, l'ambito di intervento riservato al tribunale in sede di giudizio di ammissibilità del concordato preventivo con continuità, sebbene maggiormente penetrante in ordine alla valutazione del “merito” della proposta rispetto al concordato “ordinario” (e ciò proprio alla luce del chiaro disposto normativo dettato dall'art. 186-bis l. fall.), non possa spingersi sino a valutare il profilo della solvibilità dell'affittuario e soprattutto della solidità delle garanzie, atteso che l' “analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa … ”, l'analisi “delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”, nonché l'attestazione del professionista circa la funzionalità della prosecuzione dell'attività di impresa “al miglior soddisfacimento dei creditori”, riguardando invero la prospettazione allegatoria del piano concordatario con continuità, abilitano il tribunale ad una valutazione circa la esistenza di tali presupposti giuridici ed economici per la prosecuzione dell'attività d'impresa, ma sicuramente non consentono al tribunale una valutazione prognostica sulla futura solvibilità dell'impresa affittuaria-cessionaria, profilo il cui accertamento deve essere eventualmente rimesso alla successiva fase di risoluzione del concordato nella diversa ipotesi di inadempimento del concordato da parte del soggetto obbligato al pagamento del prezzo.
Su quest'ultimo profilo, e dunque sulla convenienza della proposta concordataria anche in relazione alla solidità delle garanzie prestate dall'affittuario per l'adempimento delle sue obbligazioni, dovrà invece pronunciarsi il ceto creditorio in sede di adunanza, con la ulteriore conseguenza che il tribunale dovrà vigilare sulla corretta informazione dei creditori anche in ordine a questo profilo di convenienza della proposta concordataria.
Ma non si potrà tuttavia fondare un provvedimento di inammissibilità della domanda di accesso al concordato, ancorché con continuità aziendale, sulla sola prognosi negativa di solvibilità del debitore (in questo caso il terzo affittuario dell'azienda in continuità) per la non adeguata solidità delle garanzie prestate, pena il superamento dei limiti ascrivibili ai poteri inibitori concessi al tribunale nella sede ammissiva, poteri che - si ripete (sulla scorta dell'ultimo pronunciamento della S. Corte a Sez. Unite ) - consentono una valutazione approfondita del profilo di fattibilità giuridica del piano concordatario, ma giammai della convenienza della proposta concordataria (così anche Trib. Roma, 20 aprile 2010, ove è stato affermato, in modo convincente, che la nuova disciplina del concordato preventivo non prevede la necessità di garanzie di adempimento della proposta, per cui la prestazione o meno di garanzie, la specie o il contenuto di esse, la misura di copertura dell'onere concordatario che realizzano, la loro affidabilità e serietà costituiscono tutti elementi attinenti il merito della proposta e che riguardano la «convenienza» del concordato, la cui valutazione spetta esclusivamente ai creditori in sede di voto e non al tribunale).
Sul punto, deve concordarsi con la giurisprudenza di merito da ultimo citata là dove afferma che, in realtà, il tribunale, se non potrà valutare dette garanzie sotto il profilo dell'affidabilità e della convenienza, potrà tuttavia verificare d'ufficio la legittimità delle clausole che le prevedono e la loro validità sub specie di eventuali cause di inesistenza o di nullità dei negozi costitutivi delle medesime e dichiarare eventualmente inammissibile la domanda di concordato.
Sui possibili profili di interferenza tra giudizio di fattibilità e quello di convenienza occorre tutttavia un breve approfondimento.
Orbene, va precisato che una particolare versione della fattibilità del piano concordatario sia da riconoscersi, oggi, al concordato con continuità aziendale, come disciplinato dal nuovo articolo 186-bis l. fall..
Come più volte osservato, il piano, in tal caso, deve contenere, oltre ai nuovi elementi previsti dall'art. 161, comma 2, lett. e), anche “una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura” (art. 186-bis, comma 1, lett. a). Ed ancora, la relazione del professionista di cui all'art. 161, comma 3, “deve attestare che la prosecuzione dell'attività di impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” (così, art. 186-bis, comma 1, lett. b), l. fall.).
Inoltre, in una stringente prospettiva di monitoraggio costante, il sesto comma dell'articolo 186-bis prevede ora che “se nel corso della procedura l'esercizio dell'attività cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell'art. 173” (cfr. anche Trib. Vicenza, decr. 12.11.2012). Si tratta, all'evidenza, di un penetrante controllo giudiziale di merito, che sopravanza gli stessi creditori, attraverso l'attivazione officiosa del meccanismo di revoca dell'intero concordato, in una forma, dunque, di palese etero-tutela (VELLA, L'accrescimento dei controlli giudiziali di merito e degli strumenti protettivi nel nuovo concordato preventivo”, doc. n. 320/2012).
Sul punto, va aggiunto che il richiamo espresso della norma solo all'art. 173 l. fall. e non anche al nuovo art. 179, comma 2, sembra escludere dal raggio di azione di questo controllo il ceto creditorio, pur essendo esso il soggetto direttamente inciso dal dannoso protrarsi dell'esercizio dell'attività, e rimettendolo al rapporto dialettico processuale tra il commissario giudiziale e il tribunale, come avviene per tutte le forme di revoca dell'ammissione del concordato (VELLA, cit., 15).
Non può trascurarsi che la nuova disciplina legislativa dettata dall'art. 186-bis delinea un quadro normativo all'interno del quale il giudizio di fattibilità, ancorché limitato secondo i dettami provenienti dall'ultimo arresto giurisprudenziale delle Sezioni unite richiamato in precedenza, si atteggia, con particolare riferimento alla figura del concordato con continuità aziendale, in modo del tutto peculiare e differente rispetto alla figura del concordato ordinario.
Invero, deve considerarsi che i particolari obblighi contenutistici del piano concordatario in relazione, più nel dettaglio, alla necessità di indicazione analitica dei costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, nonché delle risorse finanziarie necessarie con le relative modalità di copertura, unitamente all'ulteriore necessità che la relazione del professionista di cui all'art. 161, comma 3, attesti la funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori, non possono non riflettersi sul contenuto del giudizio di fattibilità del piano concordatario rimesso al tribunale in sede di valutazione di ammissibilità della proposta di concordato con continuità aziendale. Ed invero, l'ampliamento degli obblighi contenutistici del piano concordatario e della relazione del professionista in ordine ai profili non meramente formalistici e documentali, ma al contrario attinenti a profili che attengono al merito della proposta concordataria, fa sì che la valutazione del tribunale, in sede di ammissione ai benefici del concordato preventivo con continuità, sia più penetrante e si rivolga con maggiore attenzione al contenuto della documentazione depositata dal debitore proponente.
Lo scrutinio della detta documentazione da parte del tribunale dovrà riguardare proprio la verifica dell'esistenza di quei requisiti di ammissibilità previsti dall'art. 186-bis, comma 2, lett. a) e b), con particolare riferimento ad un'attestazione di coerente fattibilità del piano in relazione ai costi, ai ricavi dell'attività di impresa e al suo necessario fabbisogno finanziario.
Detto con altre e diverse parole, il giudizio del tribunale in ordine alla fattibilità del piano concordatario con continuità aziendale non potrà limitarsi ad un riscontro “esterno” del contenuto del piano e della proposta e della relazione del professionista attestatore, ma dovrà al contrario “penetrare” quella documentazione, riscontrandone la giuridica coerenza e veridicità in relazione a tutti i riscontri probatori allegati dal proponente ed eventualmente richiesti dal tribunale ai sensi dell'art. 162.
Ciò nonostante i due profili della valutazione della fattibilità del piano e della convenienza della proposta devono essere rigorosamente distinti e non sovrapposti.
Detto altrimenti, la valutazione dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa ex art. 186-bis, comma 2, lett. a l. fall. ) che, nell'ipotesi di affitto d'azienda strumentale alla successiva cessione, deve avere ad oggetto il pagamento del canone di affitto e del successivo prezzo di cessione all'affittuario, deve arrestarsi al profilo della esistenza di tale allegazione assertiva nella proposta concordataria depositata dal debitore, ma non può sfociare nella valutazione prognostica della futura insolvibilità in relazione alla non solidità delle garanzie prestate.

Conclusioni

Da ultimo, può dirsi che il profilo maggiormente interessante e controverso affrontato nel provvedimento in commento riguarda proprio la questione della possibile estensione dell'ambito applicativo della nuova normativa dettata dall'art. 186-bis l. fall. alla ipotesi di piano concordatario che preveda il conferimento dell'azienda in affitto a terzi, giacché, stante la definizione normativa, sopra ricordata un'applicazione “estensiva” dell'istituto anche a tale ultima ipotesi sembrerebbe una strada ardua da percorrere.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

Sommario