Bancarotta riparata: la restituzione dei beni distratti “annulla” il reato solo se avviene prima della dichiarazione di fallimento

La Redazione
17 Dicembre 2014

La c.d. bancarotta riparata si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione o distrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori. È il principio ribadito dalla Cassazione Penale, nella sentenza n. 52077 depositata lo scorso 15 dicembre.

La c.d. bancarotta riparata si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione o distrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori. È il principio ribadito dalla Cassazione Penale, nella sentenza n. 52077 depositata lo scorso 15 dicembre.

La vicenda. Il promissario acquirente di un immobile di proprietà di una società fallita veniva dichiarato responsabile del reato di bancarotta distrattiva, dopo un'assoluzione in primo grado, per aver concorso nella distrazione di una somma costituente la caparra confirmatoria prevista nel preliminare di vendita dell'immobile. Il soggetto condannato proponeva, quindi, ricorso per cassazione.
Bancarotta distrattiva e condotta riparatoria. Il motivo del ricorso verte sulla circostanza che la curatela del fallimento avrebbe ritenuto l'operazione non distrattiva bensì vantaggiosa, dando così corso alla vendita dell'immobile: la società acquirente aveva versato al fallimento una somma maggiore di quanto realizzabile dalla vendita all'asta dell'immobile. Il ricorrente lamenta, quindi, l'irrilevanza penale delle condotte contestate, in assenza di un pregiudizio concreto per i creditori.
L'attività restitutoria rileva solo se avviene prima della dichiarazione di fallimento. La Cassazione ha modo di occuparsi della c.d. bancarotta riparata, sussistente nel caso in cui l'imputato realizzi un'attività restitutoria che annulli la precedente condotta distrattiva, reintegrando il patrimonio dell'impresa.
Per pacifica giurisprudenza, però, tali condotte restitutorie rilevano solo se avvenute prima della dichiarazione di fallimento dell'impresa, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche la sola potenzialità di un danno per le ragioni creditorie: in questo senso Cass. Pen. n. 28514/2013.
Nel caso di specie, al contrario, le circostanze dalle quali si vorrebbe far discendere l'irrilevanza penale della condotta distrattiva sono tutte posteriori alla dichiarazione di fallimento della società, e il fatto che, in concreto, non vi sia stato pregiudizio per i creditori, è dovuto non già a una condotta riparatoria dell'imputato ante fallimento, ma solo ad indagini investigative successive, a seguito delle quali era intervenuto il comportamento remissivo del soggetto.
Bancarotta e concreta offensività della condotta distrattiva. Di recente, peraltro, la Cassazione Penale (sentenza n. 50979/2014) ha ritenuto questi principi conformi alla natura della dichiarazione di fallimento, quale elemento della fattispecie, sia pure diverso da quelli propriamente costitutivi del reato, connotato dalla duplice finzione di qualificare l'offensività della condotta distrattiva, nella prospettiva del pericolo che il soddisfacimento delle pretese creditorie sia pregiudicato dalla pregressa ed indebita diminuzione patrimoniale, e di attualizzare tale lesività con l'effettività dell'apertura della procedura fallimentare.
In quest'ottica, se prima dell'apertura del fallimento si verifica il rientro nelle disponibilità della fallita di una somma corrispondente, o addirittura superiore al valore dei beni distratti, tale da escludere in concreto il pericolo di pregiudizio per i creditori, può ritenersi non (più) sussistente l'elemento materiale del reato di bancarotta.
Per altro verso, i giudici di legittimità (Cass. Pen. n. 50975/2014), hanno ritenuto irrilevante che un fallimento sia stato chiuso per mancanza sopravvenuta del passivo, per essere stati pagati i debiti: tale fatto non fa venir meno il reato di bancarotta documentale fraudolenta, sul quale può incidere solo la revoca del fallimento, ex art. 19 l. fall., in caso di insussistenza dello stato di insolvenza al momento della dichiarazione di fallimento.
Anche in quell'occasione la Cassazione ha, quindi, considerato il pagamento dei debiti di una società già fallita come un post factum rispetto alla dichiarazione di fallimento, come tale irrilevante ai fini dell'esclusione del reato di bancarotta.