Locazione dell’immobile pignorato del fallito: per la rinnovazione tacita non serve l’autorizzazione del tribunale

La Redazione
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31 Maggio 2013

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull'equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell'immobile e successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dal secondo comma dell'art. 560 c.p.c.

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull'equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell'immobile e successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dal secondo comma dell'art. 560 c.p.c.

È il principio espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza n. 11830 depositata il 16 maggio scorso.
Il caso. Una società intimava a una s.r.l. lo sfratto per morosità da un immobile. L'intimata si opponeva, eccependo la carenza di legittimazione attiva della società. Il Tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, ma la Corte d'Appello riformava la decisione. La società intimante proponeva ricorso per cassazione e la Terza Sezione Civile rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite.
La questione di diritto. L'ordinanza di rimessione formula una questione di diritto relativa all'ipotesi di pignoramento dell'immobile e successivo fallimento del locatore, chiedendo se operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui agli artt. 28 e 29 l. n. 392/1978 e se questa rinnovazione necessiti, o meno, dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, ex art. 560, comma 2, c.p.c.
Sul punto, infatti, vi è un contrasto giurisprudenziale: un orientamento risalente ha sempre ritenuto necessaria l'autorizzazione del giudice, ma a partire dalla sentenza n. 10498/2009, la Cassazione ha affermato il principio opposto.
Locazione e fallimento. La disciplina generale della locazione di immobili (codice civile, l. n. 392/78 e l. n. 431/98) è integrata da norme specifiche, nel caso in cui l'immobile locato sia sottoposto a pignoramento o il locatore sia fallito: in particolare, l'art. 560, comma 2, c.p.c. prevede che il debitore e il terzo nominato custode non possano dare in locazione l'immobile pignorato senza l'autorizzazione del giudice del'esecuzione; un analogo divieto vige nel fallimento per effetto dell'art. 104-bis l. fall. Allo stesso modo, anche la rinnovazione tacita delle locazioni di un immobile pignorato, per scadenze successive alla prima, deve essere sempre autorizzata dal giudice, perché in questo caso il rinnovo è frutto di una manifestazione di volontà negoziale.
Questione controversa è se, invece, la medesima conclusione valga anche per la rinnovazione alla prima scadenza.
Rinnovazione alla prima scadenza. La risposta delle Sezioni Unite è negativa: la legge sull'equo canone (l. n. 392/1978) costituisce “un microsistema autonomo rispetto al sistema generale sulle locazioni disciplinato dal codice civile”, e anche la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza costituisce una fattispecie speciale autonoma rispetto alla rinnovazione tacita di cui all'art. 1597 c.c.: l'istituto di cui all'art. 28 l. n. 392/78 si configura come mero effetto automatico in assenza di disdetta: il secondo periodo di rapporto locatizio non presuppone una manifestazione di volontà delle parti e un successivo contratto, ma deriva “dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancanza di disdetta”.
Si tratta, insomma, di un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, il che porta ad escludere l'applicabilità dell'art. 560 c.p.c., norma che fa riferimento a un atto negoziale di volontà che, nella specie, non ricorre.
L'autorizzazione del giudice non serve. L'autorizzazione, precisa la Cassazione, serve quando si tratti di adottare le misure più vantaggiose relative alla gestione temporanea del bene all'interno di una procedura esecutiva, ma è invece superflua quando la rinnovazione tacita della locazione, di cui agli artt. 28 e 29 l. n. 392/78, derivi direttamente dalla legge.