Il principio di infrazionabilità del credito e il giudicato endofallimentare

16 Novembre 2012

L'ammissione ordinaria e quella tardiva costituiscono due fasi del medesimo accertamento giudiziale, regolate dal regime delle preclusioni processuali, dal che derivano i limiti circa l'ammissibilità della proposizione di domande di ammissione tardiva, prima fra tutti la necessità del carattere di novità, per petitum e causa petendi, della domanda oggetto dell'insinuazione tardiva, esigenza discendente dal valore di giudicato interno delle decisioni assunte in sede di verifica, giudicato che copre tanto il dedotto che il deducibile: ne deriva che è inammissibile la domanda di insinuazione tardiva avente ad oggetto il credito da TFR al lordo delle ritenute, a fronte della presentazione di tempestiva domanda di ammissione al passivo concernente lo stesso credito al netto delle ritenute.
Massima

L'ammissione ordinaria e quella tardiva costituiscono due fasi del medesimo accertamento giudiziale, regolate dal regime delle preclusioni processuali, dal che derivano i limiti circa l'ammissibilità della proposizione di domande di ammissione tardiva, prima fra tutti la necessità del carattere di novità, per petitum e causa petendi, della domanda oggetto dell'insinuazione tardiva, esigenza discendente dal valore di giudicato interno delle decisioni assunte in sede di verifica, giudicato che copre tanto il dedotto che il deducibile: ne deriva che è inammissibile la domanda di insinuazione tardiva avente ad oggetto il credito da TFR al lordo delle ritenute, a fronte della presentazione di tempestiva domanda di ammissione al passivo concernente lo stesso credito al netto delle ritenute.

Il caso

Con la pronuncia in esame il Tribunale di Venezia è stato chiamato a pronunciarsi sulla delicata questione, risolta in senso affermativo, concernente l'inammissibilità di una domanda di insinuazione tardiva del credito a fronte della proposizione tempestiva di una domanda di insinuazione fondata sul medesimo credito.

Nel caso di specie, in particolare, è stata ritenuta inammissibile la domanda di insinuazione tardiva fondata sulle ritenute fiscali del trattamento di fine rapporto, per il quale il medesimo credito era stato già ammesso tempestivamente al passivo della procedura “al netto” delle ritenute fiscali.
L'insinuazione tardiva è stata quindi ritenuta inammissibile trattandosi del medesimo credito, sotto il profilo sia della causa petendi che del petitum.

Le questioni giuridiche

Le affermazioni contenute nella pronuncia in esame (rispetto alla quale constano precedenti di merito specifici: cfr. Trib. Milano, 8 luglio 2010, n. 9054, in DeJure e Trib. Modena, 3 giugno 2003, in Fall., 2004, 111) trovano fondamento nel più generale principio di infrazionabilità del credito oggetto di insinuazione in sede fallimentare, principio ripetutamente ribadito anche dalla S.C. ed in omaggio al quale l'ammissione ordinaria e quella tardiva al passivo fallimentare sono altrettante fasi di uno stesso accertamento giurisdizionale, sicché, rispetto alla decisione concernente una insinuazione tardiva di credito, le pregresse decisioni, riguardanti la insinuazione ordinaria, hanno valore di giudicato interno, di talché un credito, per poter essere insinuato tardivamente, deve essere diverso, in base ai criteri del petitum e della causa petendi, da quello fatto valere nella insinuazione ordinaria (Cass. civ., 10 novembre 2006, n. 24049, la quale ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto inammissibile la domanda di ammissione tardiva di crediti verso la società fallita per una somma ritenuta spettante all'esito di acquisto in danno di merci alla fornitura delle quali la società in bonis si era resa inadempiente, sull'assunto che, avendo il creditore già proposto in via ordinaria domanda di ammissione dello stesso credito ed essendo stata detta domanda respinta dal giudice delegato, per la illiquidità ed eventualità del credito, con pronuncia non gravata, ne discendeva la preclusione a riproporre nello stesso processo istanze fondate sul medesimo titolo, essendo la ragione di entrambe costituita dall'allegazione, quali danni derivanti dall'inadempimento, della stessa specie di eventi - i danni da riacquisto a maggior prezzo, quantificati nella presumibile differenza tra prezzo contrattuale e maggior prezzo di riacquisto - la prima domanda prospettandoli come presumibili e futuri e la seconda come certi e verificati).
Invero, il decreto dichiarativo dell'esecutività dello stato passivo di cui alla l. fall., artt. 96 e 97, se non impugnato, preclude, nell'ambito del procedimento fallimentare, ogni questione relativa all'esistenza del credito ammesso, alla sua entità, all'efficacia del titolo da cui deriva e all'esistenza di cause di prelazione, con conseguente inammissibilità della domanda tardiva relativa agli interessi sul capitale richiesto in sede ordinaria, avendo le due pretese la medesima causa petendi e costituendo l'ammissione ordinaria e quella tardiva al passivo fallimentare altrettante fasi di uno stesso accertamento giurisdizionale, sicché, rispetto alla decisione concernente una insinuazione tardiva di credito, le pregresse decisioni, riguardanti la insinuazione ordinaria, hanno valore di giudicato interno. Pertanto un credito, per poter essere insinuato tardivamente, deve essere diverso, in base ai criteri del petitum e della causa petendi, da quello fatto valere nella insinuazione ordinaria (Cass. civ., 14 ottobre 2010, n. 21241; Cass. civ., 19 febbraio 2003, n. 2476, in Fall., 2004, 398, con nota di GUARNIERI).
Ne consegue, ai sensi e per gli effetti dell'art. 101 l. fall., che ai fini dell'ammissibilità della domanda tardiva d'insinuazione al passivo è necessario che questa abbia ad oggetto un credito del tutto diverso sia per petitum che per causa petendi da quello già ammesso (App. Roma, 6 settembre 2010, n. 3421, in DeJure; Trib. Roma 17 luglio 2001, in Dir. fall., 2002, II, 449, con nota di DI GRAVIO).
E' di interesse segnalare che, proprio in virtù del richiamato principio di infrazionabilità del credito insinuato in sede fallimentare, si è affermato, in sede di legittimità, che la domanda di insinuazione presentata senza specifica richiesta del privilegio non può essere integrata mediante ulteriore atto successivo al deposito, da parte del curatore, dello stato passivo ex art. 95, comma 2, l. fall., configurando tale richiesta, in fattispecie regolata dal D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, una mutatio e non una mera emendatio libelli e derivandone, nella fase sommaria e per la perentorietà dei termini ivi previsti, la considerazione del credito stesso come chirografo; la non sanabilità dell'omissione (o dell'assoluta incertezza) delle ragioni della prelazione implica altresì, da un lato, che lo stesso credito - con la richiesta del privilegio e senza un ritiro della domanda tempestiva - non possa essere insinuato in via tardiva e, dall'altro, il rigetto dell'opposizione allo stato passivo (Cass. civ., 15 luglio 2011, n. 15702; Cass. 5 settembre 1992, n. 10241).
Diversamente, anche nella recente giurisprudenza di legittimità si è affermato che non vi è identità di causa petendi e di petitum tra la pretesa per retribuzioni relativa ad un determinato segmento temporale del rapporto di lavoro rispetto a quella attinente ad altro segmento e quindi nessun impedimento a richiederne il riconoscimento nell'ambito del rito fallimentare in tempi diversi, salvo ovviamente il regime delle spese in caso di ingiustificato frazionamento della domanda (Cass. civ., 13 dicembre 2011, n. 26761, la quale ha di conseguenza accolto il ricorso di un lavoratore che si era visto respingere una sua domanda tardiva di insinuazione al passivo per le ultime tre mensilità in quanto preceduta da domanda tempestiva per altri crediti anche dello stesso tipo fondati sullo stesso rapporto di lavoro).
E' stato precisato, inoltre, che il principio di infrazionabilità del credito, secondo cui un credito, per poter essere insinuato in via tardiva, deve essere diverso per petitum e causa petendi da quello fatto valere in via tempestiva, non può essere interpretato in maniera formalistica, così da determinare la preclusione di qualsiasi domanda che, pur trovando la propria fonte nel medesimo fatto storico dal quale è sorto il credito già ammesso in sede di verifica, sia fondata su un titolo diverso, integrante una nuova fattispecie giuridica sostanziale, alla quale si ricolleghi un diverso tema di indagine e di decisione: in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda di ammissione tardiva di un credito vantato, verso la società appaltatrice insolvente, a titolo di risarcimento del danno conseguente alla rescissione di un contratto di appalto pubblico, riconoscendo la diversità di titolo rispetto al credito restitutorio, facente capo allo stesso appaltante e già ammesso in via tempestiva, a seguito della menzionata rescissione, operata unilateralmente dalla committente ex art. 340 della legge n. 2248 del 1865, All. F (Cass. civ., 16 settembre 2011 n. 18962).

Conclusioni

Pertanto, nel procedimento fallimentare l'ammissione di un credito, sancita poi dalla definitività dello stato passivo, una volta che questo sia stato reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 97 l. fall., acquisisce all'interno della procedura concorsuale un grado di stabilità assimilabile al giudicato, ossia un'efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi l'esistenza, l'entità del credito, le eventuali cause di prelazione che lo assistono, così come anche la validità e l'opponibilità del titolo dal quale il credito stesso deriva (Cass. civ., 16 marzo 2001, n. 3830).
Non si può trascurare, tuttavia, che la definitività dell'accertamento endofallimentare del credito non può essere assimilata al giudicato di cui all'art. 2909 c.c., spiegando un'efficacia preclusiva al solo interno della procedura concorsuale (Cass. civ., 22 febbraio 2002, n. 2573).
Quanto evidenziato, comporta, da un lato, che nell'ipotesi di ritorno in bonis del debitore, conclusa la procedura fallimentare, il credito possa essere fatto valere nei confronti dello stesso in via ordinaria e, da un altro, che la definitività dell'accertamento endofallimentare del credito non possa produrre effetti nei confronti dei coobbligati solidali, estranei al processo fallimentare, dunque nei confronti dei fideiussori del debitore fallito (Cass. civ., 28 marzo 1990, n. 2545, in Fall., 1990, 801 ed in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II, 683).