La “crisi” nel gruppo d'imprese: breve report sull'attuale stato dell'arte

Filippo Lamanna
31 Luglio 2012

L'Autore introduce sinteticamente, per grandi linee, l'attuale stato dell'arte (legislativo e giurisprudenziale) in materia di “crisi” nei gruppi d'imprese, con qualche utile riferimento anche ad alcune proposte de jure condendo. Non mancano i riferimenti ad alcuni casi pratici in cui la giurisprudenza ha cercato di estendere in via analogica alle procedure di fallimento, di concordato preventivo e di omologa degli accordi di ristrutturazione alcune norme speciali dettate in altre sedi per regolare il fenomeno dei gruppi o ha cercato di apprestare soluzioni di carattere sistematico.
Il fenomeno dei “gruppi” alla luce della nozione di “crisi” e non più soltanto di “insolvenza”

L'opportuna recente apertura del legislatore, a partire dalla prima mini-riforma concorsuale del 2005, alla nozione di “crisi” dell'impresa (v. l'originario richiamo contenuto nell'

art.

160 l

. fall

., poi ripreso nell'

art. 182-

bis

l. fall

. come modificato dal

d.l

gs. n. 169/2007

, e successivamente inserito anche nel titolo e nel preambolo del

D.L. 28 agosto 2008 n. 134

, cd. Decreto Alitalia

, convertito, con modificazioni, in

legge 27 ottobre 2008, n. 166

- Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi

-), che, per quanto indefinita, ma al contempo proprio a ragione della sua ampiezza, ricomprende in sé, in un rapporto di genus a species, la classica nozione di “insolvenza”, induce a riesaminare il fenomeno e la disciplina dei gruppi di società - peraltro sinora ed ancora regolata solo a macchia di leopardo - rapportandolo non più soltanto alle procedure concorsuali finalizzate a regolare (solo) l'insolvenza, ma anche a quelle - comunque caratterizzate da un maggior tasso di “privatismo” - che possono intervenire al cospetto della meno grave situazione definibile appunto come crisi, quindi in particolare al concordato preventivo e all'omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis.

Entrambe queste ultime procedure sono disciplinate dalla

legge fallimentare

, che, però, in nessuna disposizione contempla espressamente il fenomeno dei gruppi, né relativamente ad esse, nè con riguardo alle procedure liquidative classiche come il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa (quella cd. “ordinaria” ivi disciplinata), benchè il fenomeno della crisi dei gruppi, come variante del fenomeno dell'insolvenza societaria, sia all'evidenza sempre più pervasivo.

Al riguardo può forse essere utile segnalare come, nel Rapporto Assonime sull'attuazione della riforma della

legge fallimentare

e sulle sue più recenti modifiche, edito nello scorso mese di aprile 2012, si sia rilevato che fallimenti e concordati preventivi interessano prevalentemente le società e solo in minima parte riguardano altre forme di gestione dell'impresa; che in particolare nei fallimenti il 75% riguarda società di capitali, il 13% società di persone, solo il 10% imprese individuali e addirittura soltanto l'1% cooperative/consorzi; che nei concordati preventivi il 96% riguarda società di capitali e solo il 4% società di persone. Infine, che il 6% delle società fallite dichiara di far parte di un gruppo e che nel 27% dei casi in cui la società appartiene a un gruppo è la holding ad essere sottoposta alla procedura. L'appartenenza a un gruppo è invece più frequente in caso di concordato preventivo (20%) e sono maggiori i casi in cui ad accedere al concordato è la holding (40%).

Si tratta dunque di dati oggettivi che ben dovrebbero giustificare più che mai ora uno specifico intervento regolatore di riforma, in parte de qua, della

legge fallimentare

.

Di converso solo alcune leggi speciali vedono già predisposta una minimale disciplina concorsuale ad hoc per i gruppi d'imprese, ma solo con riferimento alle procedure che hanno una forte caratterizzazione amministrativistica: quindi in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese [sia per le procedure - di applicabilità “generale” - Prodi (

l

. n. 95/1979

) e Prodi-bis (

D

.Lgs. n. 270/1999

), che per quelle - di applicabilità settoriale e ristretta - regolate nel

T.U. bancario

(

d.l

gs. n. 385/1993, art. 98

e ss.), e in materia di liquidazione coatta amministrativa “speciale” (

D.L. n. 233/1986

conv. in

l

. n. 430/1986

in tema di liquidazione coatta amministrativa di società fiduciarie e di revisione; v. anche in materia di “gruppo assicurativo” il

d.l

gs. n. 209/2005

).

È chiaro che, dinanzi a tale divaricata situazione normativa, è inevitabilmente altrettanto asimmetrico il manifestarsi dell'interesse ad esaminarla sul piano interpretativo.

Nel caso delle procedure che già disciplinano - sia pure solo in parte - il fenomeno dei gruppi, l'interesse dell'interprete, dopo qualche lustro di approfondimenti, si muove ormai soprattutto verso alcuni profili problematici di particolare ed elettivo rilievo suscitati dalla pratica forense, come quello - che ha visto impegnati a risolverlo sia il Tribunale di Milano che quello di Roma (si pensi in particolare alle procedure del gruppo CIT - Compagnia Italiana Turismo, ben noto alla riviste di giurisprudenza) - della conversione del fallimento in amministrazione straordinaria di gruppo.

L'interesse dell'interprete è invece più intenso quanto al rapporto sussistente tra il fenomeno dei gruppi e le altre procedure che di esso non forniscono ancora alcuna particolare disciplina (fallimento, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione), in mancanza della quale sembra aver senso valutare, da un lato, l'impatto che su queste procedure hanno le norme e gli istituti, sia del codice civile che delle leggi speciali, che più si prestano ad un'applicazione generalizzata, e, dall'altro, se, ed in che misura, sia possibile ricorrere all'interpretazione sistematica o all'applicazione analogica delle norme che disciplinano particolari aspetti dei gruppi in ambito specificamente concorsuale.

La lacunosa disciplina dei gruppi in ambito concorsuale. Applicabilità di alcune norme “generali” sui gruppi

Sotto il primo aspetto, vengono in esame soprattutto alcune norme che possono avere riflessi interessanti per le procedure concorsuali in termini di potenzialità recuperatorie attraverso azioni di risarcimento dei danni verso organi amministrativi e di controllo.

Merita a questo riguardo un cenno, in primo luogo, l'

art. 2391 c.c.

in tema di obblighi informativi e di astensione degli amministratori che potrebbero agire in conflitto d'interessi, trattandosi di una situazione assai probabile quando si verta in situazioni di gruppo.

Il fenomeno di contesto è quello dei cd. interlocking directorates (consigli di amministrazione asserviti).

A questo proposito, una recentissima indagine conoscitiva dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli assetti di corporate governance di banche, imprese assicurative e società di gestione del risparmio, ha rivelato che, nell'80% delle società quotate nella borsa italiana, sono presenti amministratori titolari di incarichi in imprese concorrenti (appunto: interlocking directorates), situazione da cui può generarsi un'esplosione massiva di possibili conflitti d'interesse. L'Autorità Garante ha inoltre confrontato tale dato con la struttura degli organi amministrativi di società quotate in altri paesi dell'Unione europea, scoprendo l'esistenza di una duplice anomalia del nostro sistema: perché non soltanto si registra in Italia il tasso più elevato di società emittenti quotate con interlocking directorates, ma si registra anche il maggior numero di amministratori titolari di incarichi multipli per società. Se ne deduce che, in buona sostanza, sono sempre le stesse persone a ricoprire fondamentali mansioni di gestione esecutiva nelle imprese di dimensione rilevante ed operanti in settori nevralgici della nostra economia e, in particolare, nel comparto bancario e finanziario. Il che, si è osservato, soprattutto in una sfavorevole congiuntura economica, può anche destare fondati timori di dissesti a catena (c.d. "effetto-domino

").

Da ciò il rilievo che tale fenomeno ha sia in termini complessivi di sistema, sia sul piano della responsabilità azionabile quando il dissesto si traduca nell'apertura di procedure concorsuali.

La mia opinione è che, in caso di fallimento, questi profili di responsabilità dovrebbero essere sempre adeguatamente approfonditi dai curatori, non potendo ragionevolmente ravvisarsi alcun limite alla loro legittimazione ad agire.

Infatti la suddetta norma va correlata con altre due disposizioni: gli

artt. 2634

e

2497 c.c.

.

L'art. 2634 è disposizione dettata nell'ambito del reato di infedeltà patrimoniale, con cui s'intende sanzionare la condotta di amministratori, direttori generali e liquidatori. La sua potenzialità applicativa si estende dunque anche alla costituzione di parte civile nel processo penale.

V'è da aggiungere che alla domanda circa il se, il terzo comma, che dà rilievo ai cd. vantaggi compensativi (disponendo che ''In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo''

), sia esportabile con analoghi effetti scriminanti anche nell'ambito di altri reati come la bancarotta per distrazione, sembra darsi generalmente risposta negativa da parte della giurisprudenza per una ritenuta diversità di ratio normativa. Di conseguenza l'ambito della responsabilità penale è in tal caso idoneo a fare da ampio supporto anche alle azioni civili di danno.

Quanto all'

art. 2497 c.c.,

si tratta di norma-base volta a disciplinare la responsabilità da direzione e coordinamento di società. Essa a sua volta pone - tra l'altro - come criterio di valutazione ai fini dell'esclusione del danno e della responsabilità quello dell'esistenza o meno di vantaggi compensativi. La previsione ha comunque contenuto più restrittivo dell'altra, perché limita il proprio operare all'effettivo conseguimento del risultato complessivo di gruppo, o al fatto che il danno sia stato integralmente eliminato ex post, mentre la prima attribuisce rilevanza anche ai vantaggi meramente prevedibili ex ante, anche se poi non realizzati.

Per la verità la giurisprudenza penale sembra aver ridimensionato questa differenza, perché esige anche per la fattispecie di esonero penale una quasi-certezza del conseguimento dei vantaggi compensativi, tendendo a spostare ex post il momento di rilevanza dell'accertamento.

La norma ha comunque una sua specifica attinenza alla materia concorsuale, poichè l'ultimo comma è rivolto particolarmente a precisare che, appunto, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria delle società soggette ad altrui direzione o coordinamento, l'azione spettante ai creditori è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario, escludendo così ogni dubbio in materia di legittimazione attiva.

È opportuno anche segnalare che tale norma fa seguito ad un'analoga norma che già le preesisteva in materia di amministrazione straordinaria: l'

art. 90

d.l

gs. n. 270/99

. Quest'ultima, tuttavia, aveva ed ha una portata ancor più limitata, poiché prevede la responsabilità solidale solo degli amministratori delle società che, svolgendo la direzione unitaria, ne hanno abusato e di quelli della società sottoposta a controllo. Tale norma era stata a sua volta preceduta dall'

art. 2, undicesimo comma, del D.L. 233/1986

conv. in

l

. n. 430/1986

in tema di liquidazione coatta amministrativa di società fiduciarie e di revisione.

Analoga estensione/esportazione normativa non si è avuta invece in altri casi, per quanto consimili.

Mi riferisco ad esempio alla disciplina della cd. revocatoria aggravata infragruppo prevista nella Prodi-bis con l'art. 91, che porta a 5 anni il periodo sospetto per gli atti previsti ai nn. 1, 2 e 3 dell'art. 67, primo comma, e a 3 anni il periodo sospetto per gli atti previsti al n. 4 stesso comma e al secondo comma. Tale norma, a sua volta, era stata preceduta dall'

art. 2, quarto comma, del D.L. 233/1986

conv. in

l.

n.

430/1986

in tema di liquidazione coatta amministrativa di società fiduciarie e di revisione, che è stata successivamente inserita anche nel

T.U. bancario

per la liquidazione coatta amministrativa dei gruppi bancari (art. 99, quinto comma). Ma nessuna simile estensione vi è stata nell'ambito della disciplina del fallimento, rispetto alla quale ancora oggi non è prevista una revocatoria aggravata di gruppo, ed anzi il gruppo - come si è detto - non è fenomeno contemplato neppure a seguito della riforma novellatrice.

In tale ambito, pertanto, le possibilità di agire in revocatoria sono obiettivamente limitate.

Quanto alla disciplina dei bilanci nei gruppi, il riferimento ad essa è d'obbligo quando si esamina il profilo della responsabilità degli amministratori azionabile dalle curatele.

Mi limito solo a ricordare che il bilancio consolidato viene disciplinato dal

d.l

gs. 9 aprile 1991 n. 127

, come documento redatto dalla capogruppo in aggiunta al suo bilancio di esercizio per rappresentare con gli stessi criteri i risultati di esercizio dell'intero gruppo. Altre indicazioni normative si hanno poi negli

artt.

2621

e

2622

c.c.

, che individuano la fattispecie delle false comunicazioni sociali riguardanti la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo (cd. falso in bilancio consolidato) (Ianniello, Gruppi d'imprese. Disciplina civilistica, contabile e profili penali, 187). Anche in questo caso i curatori devono porre speciale attenzione alla disamina di tali documenti, specie quando occorra ricostruire le situazioni patrimoniali nette ai fini dell'esercizio delle azioni di responsabilità di amministratori operanti nei gruppi (quantificazione del danno in base ai “netti patrimoniali

”).

Come si vede, le norme generali o speciali di più agevole applicazione in ambito concorsuale lambiscono solo profili particolari, confluendo quasi esclusivamente nella materia della responsabilità risarcitoria di amministratori ed organi di controllo.

Non vi è alcuna liaison, invece, con le problematiche attinenti alla struttura processuale degli istituti di soluzione concorsuale della crisi d'impresa.

Estensioni interpretative sistematiche ed analogiche da parte della giurisprudenza

Quanto al problema del se, ed in che misura, sia possibile ricorrere all'interpretazione sistematica o a quella analogica delle norme che disciplinano particolari aspetti dei gruppi in ambito specificamente concorsuale, deve rammentarsi, in premessa, che nell'ambito dell'amministrazione straordinaria è prevista dall'art. 4 bis, quarto comma, della legge MARZANO-Parmalat

(

D.L. 347/2003

conv. in

l.

39/2004

) la specifica possibilità di formulare un'unica proposta di concordato per le diverse società di un gruppo, ferma restando l'autonomia delle rispettive masse attive e passive, situazione che consente finanche trattamenti differenziati all'interno della stessa classe di creditori a seconda delle condizioni economiche di ogni singola società.

Una norma analoga non è stata estesa né nel concordato preventivo ordinario, né nel concordato fallimentare ordinario, ma credo che in tal caso non vi siano particolari ostacoli ad un'applicazione analogica (salvo che per la succitata disposizione, ancor oggi di dubbia interpretazione, che consente trattamenti differenziati all'interno della stessa classe di creditori a seconda delle condizioni economiche di ogni singola società).

Il problema del ricorso all'interpretazione analogica è, però, più generale, e presenta aspetti di una certa complessità.

Non agevole è stabilire, infatti, in primo luogo, se la stessa circostanza per cui nella disciplina dettata per il fallimento, per il concordato preventivo e per gli accordi di ristrutturazione non vi siano norme ad hoc volte a disciplinare, sia pure solo in parte, il fenomeno dei gruppi, vada riguardata o meno come rivelatrice di una vera e propria lacuna.

Se la risposta fosse positiva, vi sarebbe poi da chiedersi ulteriormente: è possibile, e fino a che punto, applicare analogicamente le norme dettate in tema di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa ?

E poi, in concreto: come si comporta nella prassi la giurisprudenza di merito dinanzi a proposte di concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione che prevedono espressamente soluzioni di gruppo?

A tale riguardo, dati i limiti di questo scritto, mi limiterò ad esporre per cenni solo qualche considerazione di carattere generale, alla luce di alcuni aspetti più ricorrenti della prassi conosciuta.

Credo non sia un caso che uno dei primi interventi giurisprudenziali in materia di gruppi riguardò l'amministrazione controllata, che era la procedura per la quale era previsto un presupposto oggettivo (la temporanea difficoltà di adempiere) che più si avvicinava all'attuale nozione di crisi.

Il fenomeno dei gruppi ha una rilevanza elettiva, infatti, proprio e soprattutto (anche se non soltanto) quando si tratti di gestire imprese (di gruppo) che operino in continuità, che, cioè, mirino a proseguire l'attività d'impresa, fruendo delle potenzialità e della sinergia con le altre imprese collegate.

Eliminata dal panorama normativo l'amministrazione controllata, ora le procedure che più si prestano a queste chances sono il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione.

Il fallimento, invece, è la procedura ove più risulta difficile bypassare l'assenza di una espressa disciplina dei gruppi, a partire dalla stessa possibilità di aprire procedure di fallimento di singole società in forza di semplice connessione/attrazione al fallimento di società appartenenti al medesimo gruppo. Il massimo che in questi casi si riesce a fare è trovare ex post sistemi extra ordinem di coordinamento delle procedure connesse eventualmente aperte in ragione dell'autonoma situazione di insolvenza in cui ciascuna versi. Nella prassi milanese, ad esempio, si reputa opportuno provvedere ad un'autonoma e separata nomina di curatori e Giudici Delegati per ciascuna società del gruppo, ma il Presidente della Sezione fallimentare nomina poi un G.D. coordinatore dei vari fallimenti, con l'incarico di operare da trait d'union tra gli altri organi riferendo poi periodicamente al medesimo Presidente.

Né la situazione cambia se poi ci si sposta da piano della normativa interna a quello della normativa internazionalistica, giacché la difficoltà di valorizzare il fenomeno gruppi semmai in tal caso si aggrava.

Lo stesso

regolamento CE n. 1346/2000

sull'insolvenza transfrontaliera, come interpretato dalla Corte di giustizia, sembra spingere infatti in direzione contraria, come dimostra l'esito del noto caso Eurofood

in cui la Corte svalutò il rilievo dei rapporti di gruppo per dare rilevanza, ai fini della competenza giurisdizionale in sede di apertura delle procedura, al COMI, ossia alla sede principale di ciascuna società separatamente considerata.

Qualche tentativo di espansione in ambito fallimentare dall'atomismo dell'imprenditore singolo alla sfera aggregativa dei gruppi si segnala invece nella giurisprudenza italiana con riferimento a pochi casi, per quanto assai noti, di fallimenti in cui si è ritenuto particolarmente evidente il rapporto assai forte esistente tra la figura soggettiva dell'imprenditore dominante e alcune società-strumento.

La giurisprudenza ha tentato infatti di far emergere il fenomeno dei gruppi in sede fallimentare superando lo schermo della personalità giuridica di ciascuna società con una ricostruzione del rapporto imprenditore/impresa volta ad evidenziare la connessione tra unicità dell'impresa e pluralità formale degli imprenditori (individuando ora una holding individuale/personale tirannica, ora un fallimento dipendente del socio unico azionista o quotista, ora il fallimento della super-società di fatto fra il socio tiranno e società tiranneggiata).

Fatto sta che il fallimento è procedura fortemente strutturata secondo l'idea atomistica del legislatore del 1942, ed è quindi difficile, obiettivamente, trovare grandi spazi per dare rilievo al fenomeno dei gruppi.

Man mano però che le procedure concorsuali o para-concorsuali appaiono meno strutturate, anche in tal senso, si apre qualche spazio in più, e peraltro con conseguenze opposte. Intendo dire che se nel fallimento un'apertura al fenomeno dei gruppi avrebbe inevitabilmente un effetto - per così dire - quasi sempre sanzionatorio potenziato (giacché si tenderebbe a far fallire tutte le società del gruppo), al contrario nelle procedure alternative essa giocherebbe come moltiplicatore di benefici per le società proponenti.

È infatti evidente che dare più spazio al fenomeno dei gruppi nel concordato preventivo significa consentire, ad esempio, di concentrare le procedure delle varie società presso un unico Tribunale o affidarle ai medesimi organi giudiziali o potenziare le possibilità di effettuare piani finanziari e industriali riguardanti l'intero gruppo.

Significa poi eliminare, o magari ridurre, la necessità che alcuni dei requisiti di ammissibilità-fattibilità riguardino ogni singola società del gruppo, per valutarli invece nel loro insieme.

Certo, vi sono casi (

Trib. Milano 11 maggio 2012

, con nota di Ivone e Macario, Concordato preventivo della fondazione esercente attività d'impresa e poteri del Tribunale nella disciplina della liquidazione, in ilfallimentarista.it) in cui le situazioni di gruppo sono semplificate, poiché le vicende e le sorti delle società controllate si risolvono in meri riflessi liquidativi della procedura cui sia ammessa la società controllante (è prevista cioè la semplice dismissione delle partecipazioni facenti capo alla controllante).

Ma vi possono essere situazioni ben più complesse.

Ad esempio, quando gli stessi creditori siano tali verso due o più società del gruppo, e queste siano quindi solidalmente obbligate, sarebbe di grande aiuto per le suddette società programmare in modo unitario i pagamenti, fatta salva la propria autonomia patrimoniale, perché magari, siano o meno esistenti vincoli di sussidiarietà, raffrontando l'attivo globalmente disponibile con le passività sarebbe possibile ridurre ad unità le obbligazioni solidali evitando i conflitti che sorgerebbero laddove si dovesse stabilire chi deve pagare prima e chi dopo, a chi, e con quali conseguenze anche in termini di capienza rispetto ai privilegi in relazione a ciascun attivo, sì da poter considerare integrati alcuni requisiti di ammissibilità (come quello costituito dalla necessità di pagare per intero i privilegiati prima di soddisfare i chirografi) che altrimenti potrebbero risultare insussistenti alla stregua di una visione atomistica di ciascuna società e di ciascuna proposta.

Ricordo un caso a titolo di esempio, tratto dalla prassi milanese.

È stato proposto un concordato preventivo riguardante due società collegate; la controllante aveva trasferito un ramo d'azienda alla controllata. Entrambe, quindi, rispondevano in via solidale dei debiti registrati nei libri contabili obbligatori verso i creditori dell'azienda ceduta (

art. 2560 c.c.

). Entrambe erano però incapienti già rispetto ai creditori privilegiati generali, e quindi, teoricamente, nessuna delle due avrebbe potuto essere ammessa al concordato preventivo se i ricorsi e i requisiti di ammissibilità al concordato fossero stati esaminati separatamente. Ma, proponendo un concordato preventivo congiuntamente, esse hanno potuto formulare la proposta articolandola in modo da conteggiare una sola volta tutti i creditori privilegiati comuni, con il risultato di poter pagare per intero tutto il passivo privilegiato e per di più anche una parte consistente dei chirografari. Questo è avvenuto attraverso l'offerta di nuova finanza (ossia di una parte del proprio attivo) dalla cedente alla cessionaria d'azienda, di modo che quest'ultima potesse soddisfare già da sola per intero tutti i creditori privilegiati (che erano comuni) oltre che una percentuale dei chirografari (sia comuni alle due società che i propri personali), mentre la cedente a sua volta ha potuto con il suo attivo residuo soddisfare i chirografari (sia comuni alle due società che i propri personali), senza nulla dovere ai privilegiati (perché già soggetti a integrale soddisfazione da parte della cessionaria).

La domanda di concordato preventivo poteva considerarsi quindi ammissibile sotto questo profilo proprio ed in quanto proposta unitariamente, sì da conglobare le proposte (e in parte gli attivi, attraverso il meccanismo dell'apporto finanziari dall'una società all'altra) delle due società da valutare nel loro insieme, ma pur sempre nel rispetto sostanziale delle regole sulla autonomia patrimoniale.

La proposta congiunta ed unitaria è stata quindi considerata ammissibile perché rispettosa delle posizioni di partenza di ciascun creditore e perchè, separatamente considerate le società, nessun creditore avrebbe ricevuto altrettale soddisfazione. Ancor meno strutturati processualmente sono poi gli accordi di ristrutturazione dei debiti

ex

art. 182-

bis

l. fall

., in cui può dunque trovare massima espansione la formulazione di piani di gruppo.

A Milano questo è già avvenuto per gruppi molto importanti, come il gruppo Gabetti, il gruppo Risanamento (Trib. Milano, 15 ottobre - 10 novembre 2009; Trib. Milano, 11-17 giugno 2009 ) ed altri.

Risulta che anche i tribunali di Roma (Trib. Roma, 5 novembre 2009 ) e di

Monza

(

Trib. Monza, 24 aprile 2012

) abbiano talora adottato interpretazioni estensive.

Come che sia, è ragionevole credere che sarà sempre la giurisprudenza a cercare di adattare il sistema ai problemi posti dai gruppi, da un lato perché il legislatore è tradizionalmente alquanto inerte in quest'ambito, e, dall'altro, considerato che un'interpretazione integrativa della giurisprudenza sembra favorita dalla tendenza a ravvedere nella mancata disciplina dei gruppi nella

legge fallimentare

una vera e propria lacuna da colmare in via interpretativa.

Qualche avvisaglia di norme ad hoc in recenti proposte de jure condendo

Ciò è stato riscontrato anche in occasione della recente discussione in sede tecnica di alcune proposte di riforma.

Mi riferisco in particolare al tavolo tecnico convocato quest'ultima primavera dal Ministero della Giustizia, ove non soltanto sono state partorite la gran parte delle norme in tema di concordato in continuità, di concordato con riserva, di rapporti pendenti nel concordato preventivo poi trasfuse in un disegno di decreto legge recante “Misure urgenti per la crescita sostenibile

”, ma è stato anche proposto l'inserimento di una disciplina minimale ad hoc in materia di gruppi d'imprese nella

legge fallimentare

(sebbene per il momento stralciate dal detto disegno di decreto legge).

In quella sede si è osservato che il diritto della crisi d'impresa, nonostante le recenti riforme legislative, continua ad essere prevalentemente strutturato in funzione di un'impresa non societaria, e per di più riguardata come entità autonoma. Ciò farebbe emergere una vera e propria lacuna normativa nel caso in cui un'impresa facente parte di un gruppo si avvicini allo stato di crisi. Pertanto, traendo spunto soprattutto dalle indicazioni contenute nel disegno di legge predisposto qualche anno fa dalla Commissione Trevisanato (artt. 189-196), si è ritenuto che, pur sempre nel rispetto del principio dell'autonomia giuridica e patrimoniale delle singole società, sarebbe opportuno introdurre strumenti volti ad assicurare almeno il coordinamento tra le diverse procedure, sia in sede di avvio che di gestione delle stesse, sotto il primo aspetto quanto meno consentendo ricorsi congiunti da parte di più imprese del gruppo, e fissando criteri di competenza volti ad attrarre le singole procedure dinnanzi allo stesso tribunale.

Allo stesso modo - si è detto - sarebbe necessario prevedere, nel corso della gestione, la possibilità di nomina di un unico curatore (che potrebbe attuare modalità di liquidazione unitaria se ritenute più vantaggiose, ferma restando l'autonomia delle rispettive masse attive e passive) o comunque forme di cooperazione in caso di nomina di soggetti diversi e stabilire anche regole di coordinamento fra i diversi comitati dei creditori.

Infine, è stata considerata positivamente la possibilità di redigere accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati di risanamento

ex

art. 67, comma 3, lett. d), l. fall

., unici per tutte le imprese del gruppo ed è stata anche rimarcata la necessità di regole atte ad agevolare la concessione di nuova finanza e ad assicurare stabilità alle operazioni infra-gruppo non fraudolente. Da questo punto di vista non è parso superfluo prevedere un regime di favore per i finanziamenti infragruppo, con norme che, ad esempio, stabiliscano che le disposizioni in materia di inefficacia dei pagamenti ai soci per finanziamenti o di post-ergazione dei finanziamenti soci non si applicano ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti sottoposti alla medesima attività di direzione e coordinamento.

Come contrappeso a tali norme di favore, si è suggerito però di prevedere anche un rafforzamento della responsabilità degli organi di amministrazione e controllo nel caso di abuso della direzione unitaria, mediante un inasprimento dei termini per l'esercizio dell'azione revocatoria oppure prevedendo l'inefficacia automatica degli atti compiuti nel periodo sospetto dai destinatari delle azioni di responsabilità, oppure mediante la previsione di una presunzione di responsabilità quando l'attività di direzione e coordinamento si evidenzi - come più spesso accade - solo a ridosso della crisi. Non si è mancato di proporre anche di ampliare la revocatoria ordinaria estendendola ai pagamenti di debiti scaduti, se effettuati da una società a soddisfazione di crediti vantati dai soci a titolo di finanziamento, ovvero di regresso o surroga per aver pagato in qualità di garanti un debito finanziario della società.

Nel medesimo contesto di elaborazione tecnica, si è segnalato come uno strumento di efficienza nella gestione delle procedure concorsuali possa essere rappresentato dallo scambio d'informazioni e di atti tra Tribunali e organi delle procedure, nel rispetto dei diritti delle parti coinvolte, scambio utile sia a livello nazionale che nel caso di insolvenze transfrontaliere (al riguardo si è fatto riferimento alla c.d. Court to Court communication), evidenziandosi come anche i lavori svolti dall' UNCITRAL - si pensi alla Model Law - sembrano indicare la strada del coordinamento delle procedure. Da ciò l'opportunità di introdurre norme in materia di udienze congiunte tra tribunali di diversi Paesi, rapporti diretti tra curatele o altri rappresentanti delle procedure aperte per consentire scambi di informazioni (a tal fine prevedendosi anche procedure semplificate di rimborso o pagamento a carico dello Stato per i costi sostenuti per le trasferte all'estero), di stipulazione di protocolli contenenti accordi tra procedure aperte in diversi ordinamenti con i quali regolare - tra gli altri - il libero accesso a determinate informazioni della procedura.

Sommario