Poteri del G.D. in sostituzione del comitato dei creditori e cognizione del collegio in sede di reclamo. Insussistenza di un conflitto d’interessi nella votazione concordataria

Andrea Govi
11 Giugno 2012

Il provvedimento reso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 41, comma 4, l. fall., in sostituzione del comitato dei creditori, è attratto al regime proprio degli atti del magistrato e non dell'organo gestorio, pertanto soggetto al reclamo ai sensi dell'art. 26 l. fall. per ragioni sia di legittimità sia di merito, non applicandosi il limite della violazione di legge ai sensi dell'art. 36.
Massima

Il provvedimento reso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 41, comma 4, l. fall.,in sostituzione del comitato dei creditori, è attratto al regime proprio degli atti del magistrato e non dell'organo gestorio, pertanto soggetto al reclamo ai sensi dell'art. 26 l. fall. per ragioni sia di legittimità sia di merito, non applicandosi il limite della violazione di legge ai sensi dell'art. 36 l. fall.
Il significato di “violazione di legge”, di cui all'art. 36 l. fall., deve intendersi ampliato e comprensivo della verifica della diligenza professionale, di approfondimento ed impiego di mezzi adeguati da parte dell'organo gestorio (obiter).
Il cumulo, nella stessa persona, della qualità di curatore del fallimento di società fallita, e di commissario giudiziale di società ammessa alla procedura di concordato preventivo, partecipante totalitaria nella prima, non configura ipotesi di conflitto di interesse tale da impedire al curatore, munito della necessaria autorizzazione, di esprimere il voto (nel caso, favorevole) nel concordato preventivo, in ragione della funzione pubblica rivestita, e della vigilanza cui è sottoposto il medesimo curatore.

Il caso

Il curatore di società fallita, interamente partecipata da società ammessa al concordato preventivo, in assenza del comitato dei creditori, chiede al giudice delegato l'autorizzazione ad esprimere il voto favorevole nella procedura concordataria della partecipante. A fronte del diniego del giudice delegato - motivato da profili di inopportunità del voto per i legami partecipativi fra le società soggette alle procedure concorsuali e per la concorrente qualità di curatore e commissario giudiziale nella stessa persona, nonché in base a valutazioni inerenti la convenienza del concordato - il curatore propone reclamo al collegio.

Il Tribunale, esaminando il merito, accoglie il reclamo ed autorizza il curatore ad esprimere il voto favorevole.

Inquadramento giuridico e questioni

1. Per quanto riguarda l'ambito dei poteri vicari del giudice delegato ai sensi dell'art. 41, comma 4 (i riferimenti sono sempre agli articoli della legge fallimentare) e poteri del tribunale in sede di reclamo.
La decisione riassunta nella prima massima affronta il problema della funzione assegnata al giudice delegato quando sia chiamato a sostituirsi al comitato dei creditori, ai sensi dell'art. 41, comma 4, per assenza, inerzia od impossibilità di funzionamento di tale organo. La questione non si poneva nella disciplina fallimentare anteriore alla riforma, in quanto i poteri autorizzativi erano in capo al giudice delegato, pertanto sempre soggetti al vaglio sia di legittimità sia di merito del tribunale.
Attualmente le decisioni del comitato dei creditori sono sottoposte al solo vaglio di legittimità, ai sensi dell'art. 36, con il conseguente quesito se i provvedimenti emessi dal giudice delegato in supplenza al suddetto organo, vengano attratti al limite di impugnazione proprio dell'attività del comitato, ovvero debbano restare nell'ambito dei poteri assegnati al magistrato dall'art. 25, reclamabili nel più ampio spettro previsto dall'art. 26.
L'argomento - senza pretesa di esaustività - risulta oggetto di contrastanti valutazioni in dottrina (si esprimono - con motivazione succinta - nel senso del provvedimento qui commentato Penta, Tr. dir. fall. Fauceglia e Panzani, 2009, vol. I, 380; Minutoli, in Comm. Ferro, 2007, 312; contra Ceniccola, Il nuovo ruolo del giudice delegato, in Spia al diritto, 28 giugno 2006, 22, citato dallo stesso Penta, nota 68), mentre i precedenti rinvenuti in giurisprudenza (Tribunale Milano 16 dicembre 2010; Trib. Roma 20 ottobre 2010, in Fall. 2011, 722, con nota di Pellizzoni) sono di segno contrario rispetto al decreto del Tribunale di Monza, optando - con interpretazione di carattere funzionale - per la reclamabilità del provvedimento emesso ai sensi dell'art. 41, comma 4, limitatamente alla violazione di legge (ex art. 36 l.fall.).
A sostegno della parificabilità del provvedimento del giudice a quello che avrebbe dovuto rendere il comitato dei creditori (non assente od inerte), si può rilevare come una funzione svolta in supplenza non potrebbe che porre il sostituto nella stessa veste del sostituito, e che non vi sarebbe un supporto logico per affermare che la decisione del magistrato debba essere giurisdizionalmente censurabile in maniera più vasta ed incisiva della determinazione del comitato, atteso anche il “ridimensionamento” dei poteri del giudice delegato, a favore di quelli rimessi al comitato dei creditori, organo valorizzato e “galvanizzato” dalla riforma (con assunzione delle conseguenti responsabilità).
Si consideri infatti come il riformato art. 35 assegni al comitato i poteri autorizzativi in materie di particolare importanza e delicatezza, in precedenza rimessi al giudice delegato ed allo stesso tribunale se di valore indeterminabile o superiore a lire duecentomila; ancora, come nel “nuovo” art. 72, sia stata attribuita al comitato l'autorizzazione necessaria al curatore per subentrare nei contratti pendenti ineseguiti (parimenti, per l'appalto, dispone l'art. 81), e sempre sia il comitato, ai sensi dell'art. 42, ultimo comma, a dover consentire la rinunzia ad acquisire i beni che pervengano al fallito in corso della procedura; i poteri autorizzativi in capo al giudice delegato sono invece mantenuti per agire o resistere in giudizio (art. 25, comma 1, n. 6, salvo - art. 31 - si tratti di azioni in materia di stato passivo), per disporre l'esercizio provvisorio (art. 104, comma 2), per l'affitto d'azienda (art. 104-bis), in tali ultimi due casi tuttavia acquisendo il parere favorevole (pertanto vincolante) del comitato dei creditori.
Argomentando sulla soggezione del provvedimento emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 41, comma 4, al riesame nel merito da parte del tribunale, si raggiungerebbe l'effetto pratico di annullare ogni differenza fra disciplina ante e post riforma, ogni qual volta il comitato dei creditori non possa o non voglia assumere il proprio compito.
Vero è - come motiva il decreto qui commentato - che nel caso di provvedimento emesso ai sensi dell'art. 41, comma 4, viene meno necessariamente il doppio esame previsto dall'art. 36, posto che la decisione resa dal comitato dei creditori può essere reclamata in prima istanza al giudice delegato, per soli motivi di legittimità, il cui decreto è a sua volta passibile di ricorso avanti il collegio (ove non potrà essere discusso il merito della decisione del comitato, restando il potere del tribunale ancorato all'iniziale limite posto all'intervento del giudice delegato).
Tuttavia tale circostanza non appare decisiva per spostare il “decreto sostitutivo” del giudice nell'ambito di operatività dell'art. 26, dato che così facendo si altererebbe in maniera significativa la sindacabilità delle decisioni a seconda che siano emesse dal sostituto o dal soggetto titolare dell'originario potere; si noti peraltro che lo stesso giudice delegato, nel caso di impugnazione avanti a sé della decisione dell'organo gestorio, dovrebbe limitarsi all'esame di vizi di legittimità.
Un argomento afavore della soggezione del provvedimento “sostitutivo” del giudice delegato al riesame di merito, si potrebbe ravvisare nella disciplina del programma di liquidazione, ove, ai sensi dell'art. 104-ter, comma 8 (aggiunto dall'art. 7, comma 1, lett. c, D.Lgs. n. 169/07), il giudice “autorizza l'esecuzione degli atti a esso conformi”; ma, a ben vedere, la norma non è risolutiva, giacché il programma di liquidazione presentato al magistrato deve essere previamente approvato dal comitato dei creditori, e la locuzione “autorizza” non risulta tecnicamente riconducibile ad un potere proprio del giudice quanto agli atti di competenza del comitato dei creditori.
Il disposto dell'art. 35, comma 3, ove si esclude la necessità della preventiva informazione al giudice per gli atti che siano stati “già autorizzati dal medesimo ai sensi dell'art. 104-ter, comma 8”, non pare avere altro significato ed effetto diversi dall'evitare il preventivo “passaggio” informativo dal curatore al giudice, per le transazioni e gli atti di valore superiore ad euro cinquantamila, ove appunto tali atti siano stati approvati dal comitato nell'ambito del programma di liquidazione già sottoposto al giudice delegato.

2. Quanto all'ampliamento del vaglio ex art. 36, ricomprendendovi la diligenza professionale del curatore e del comitato dei creditori (come indicato dal Tribunale di Monza in via di obiter), non siamo pienamente d'accordo, poiché da tale assunto potrebbe derivare, nella pratica, la parificazione fra esame di merito ed esame di legittimità (il rischio di tale indifferenziazione appare evidente: l'inconciliabilità fra vaglio di legittimità e valutazione della diligenza dell'organo gestorio è efficacemente sottolineata da Pagni, Tr. dir. fall. Buonocore-Bassi, 2011, vol. III, 10, ove si osserva che la disposizione dell'art. 38 l. fall., secondo cui il curatore deve svolgere la sua funzione con diligenza, rinvia ad una clausola generale, “la cui ampiezza, e il fatto che operi come limite alla discrezionalità dell'organo (il superamento del quale implica cattivo esercizio del potere discrezionale)”, non consentirebbero di distinguere il confine fra sindacato di merito e controllo di legalità).
Deve essere ricordato come, secondo un'interpretazione (peraltro contrastata), la valutazione di legalità dell'atto impugnato possa giungere a ricomprendere (in analogia con i vizi degli atti amministrativi), l'eccesso di potere (Trib. Roma 20 ottobre 2010 cit.; in dottrina vedasi L. Abete, in Comm. Jorio-Fabiani, 608).
Si tratterebbe quindi di considerare rilevante, ai sensi dell'art. 36, la carenza di diligenza, approfondimento ed utilizzo dei mezzi adeguati da parte degli organi gestori, ove emerga una “colpa” professionale di rilevante entità e facilità di percezione, così da ricadere nell'eccesso di potere per manifesta illogicità o disparità di trattamento (in tal caso, a noi sembra che risulterebbero sussistenti gli estremi non solo per l'annullamento dell'atto impugnato, ma anche per la sostituzione dell'organo gestorio).
Viceversa, ove l'ambito di applicazione dell'art. 36 fosse esteso fino alla valutazione della mera diligenza, il risultato sarebbe - contro lo spirito e soprattutto la lettera della norma - quello di riportare al giudice delegato ed al tribunale, attraverso il mezzo del reclamo, le scelte di merito appartenenti al curatore ed al comitato dei creditori, riproponendosi così la “vigilanza sostitutiva” del magistrato, che il legislatore ha inteso abbandonare o comunque contenere nel suddetto ambito.

3. L'aspetto del possibile conflitto d'interesse in ragione della riunione nella medesima persona della funzione di curatore del fallimento di società partecipata, e di commissario giudiziale del concordato preventivo della partecipante, ai fini dell'espressione di voto nel concordato, è peculiare. Nel decreto qui commentato il problema viene risolto facendo leva sulla natura pubblica dell'incarico, nonché sugli iter procedimentali in base ai quali è regolato e controllato l'operato del curatore (che non è un sostituto del fallito o dei creditori, ma un incaricato di giustizia), tali da garantire l'insussistenza del pericolo di manifestazioni di volontà viziate da conflitto (come sottolinea il Tribunale di Monza, anche il commissario giudiziale non è considerato rappresentante della massa dei creditori: Cass. 12 luglio 1991 n. 7790). L'argomento, certamente corretto, consente di svolgere alcune generali considerazioni in tema di conflitto di interessi nel voto in procedura di concordato preventivo. Le parole “voto”, “adunanza”, “maggioranza”, “opposizione” riferite ai creditori di impresa ammessa al concordato preventivo, evocano immediatamente gli istituti applicabili alle deliberazioni assembleari, destinate a sfociare nell'atto collegiale in funzione dell'interesse comune sottostante il rapporto partecipativo.
Viceversa nel concordato preventivo, a differenza che nella società (o nel condominio), il voto del creditore resta una manifestazione di volontà del singolo come tale, non idonea a confluire in una maggioranza tesa all'interesse proprio dell'ente “destinatario” della volontà collegiale, o a soddisfare un interesse comune di un “centro” pur privo di soggettività giuridica; la formazione della maggioranza non riveste dunque natura di atto collegiale o collettivo, mancando una comunione di scopo attribuibile alla massa dei creditori.
Ogni creditore può valutare se votare a favore o contro il concordato, in base al proprio interesse, per i più vari motivi, anche egoistici, senza riguardo ad un interesse comune del ceto creditorio [Cass. 10 febbraio 2011 n. 3274, esaminando il caso del preteso conflitto d'interessi di un creditore votante in concordato fallimentare, osserva - in adesione alla sentenza al suo vaglio - come “l'esistenza di una posizione in conflitto d'interesse tra soggetti acquisisce giuridica rilevanza quale vizio di un atto o fonte di risarcimento del danno non in ogni caso ma solo allorquando vi sia un contrasto fra un centro autonomo di interessi (sia esso dotato o meno di personalità giuridica) e il suo rappresentante ... (omissis) ... nulla di tutto questo è ravvisabile nel rapporto fra creditori uti singuli e quali appartenenti alla massa nel momento in cui si esprimono nell'assemblea dei votanti ...”, per poi sottolineare come “Nell'ambito della tutela del proprio credito, e prescindendo dal ruolo svolto in organismi ristretti e specificamente rappresentativi dell'intero ceto quale il comitato dei creditori, ogni creditore è legittimamente (nell'ambito delle regole procedurali) homo homini lupus”. Secondo tale condivisibile pronuncia, l'impedimento al voto sussiste limitatamente alle ipotesi contemplate dalla legge, qualora il creditore si esprima non in quanto tale, ma come membro dell'organo rappresentativo dell'interesse comune (art. 37-bis, comma 2; art. 40, comma 5), o in ragione di particolari rapporti con il debitore (art. 127 commi 5 e 6; art. 177 ult. comma)].
Possiamo convenire che normalmente l'interesse dei creditori sia quello di scegliere la procedura ove risulteranno meglio e più rapidamente soddisfatti (nella fattispecie la diversa valutazione di tale interesse rispetto a quanto ritenuto dal giudice delegato, ha condotto il collegio ad accogliere il reclamo), ma un creditore potrebbe esprimere voto contrario per motivi di un proprio diverso tornaconto personale, o potrebbe privilegiare il metro della meritevolezza, e votare “contro” con intento sanzionatorio, anche se l'esito del fallimento possa rivelarsi per lui (e per gli altri creditori) economicamente più svantaggioso (il requisito della meritevolezza dell'imprenditore “onesto ma sfortunato” della tradizionale impostazione ante riforma, non è, come noto, più sindacabile dal tribunale - salvi i casi di abuso del diritto (Cass. 23 giugno 2011, n. 13817) - ma resta certamente soggetto alla valutazione dei creditori, tanto che il commissario giudiziale, nella propria relazione ex art. 172 l. fall., deve illustrare in maniera particolareggiata, oltre alle cause del dissesto ed alla proposta concordataria, anche “la condotta del debitore”).
Dunque, nella votazione concordataria non è a mio avviso configurabile un conflitto d'interesse in senso tecnico-giuridico, che veda un creditore singolo contrapposto alla “massa”, tale da inibirne il diritto di voto (infatti, nel provvedimento del giudice delegato oggetto di esame da parte del Tribunale di Monza, per quanto si legge nel decreto collegiale, si adducevano motivi di inopportunità, non di conflitto d'interesse nel senso mutuato dal diritto societario).

Conclusioni

1. Benché il problema della relazione e degli equilibri fra poteri direttivi, di controllo e di coordinamento del giudice delegato, e funzioni proprie assegnate al curatore ed al comitato dei creditori sia suscettibile di condurre a valutazioni diverse, ove si prediliga una visione tutt'ora centralistica e dirigista della figura del magistrato e dell'intervento del tribunale in sede di reclamo, a nostro avviso i meccanismi normativi sopra delineati ed il preciso ambito riservato dal legislatore al potere autorizzativo del giudice delegato, rispetto a quello assegnato al comitato dei creditori, dovrebbero condurre a preferire la tesi secondo cui, quando il giudice assume funzioni surrogandosi al comitato, opera sullo stesso piano di tale organo, con la conseguente limitazione dell'impugnazione dei suoi provvedimenti per violazione di legge di cui all'art. 36.
2. L'esame del collegio investito di reclamo ex art. 36, potrebbe investire il merito della decisione impugnata, nei più gravi casi, ove l'attività dell'organo gestorio sia sfociata nell'eccesso di potere.
3. Il principio del divieto di voto per conflitto d'interesse, proprio delle deliberazioni collegiali, non può essere applicato al creditore che vota nel concordato preventivo, restando la sua volontà distinta ed autonoma rispetto alla massa dei creditori, che non costituisce un centro d'interesse comune.