Ancora sull'inesperibilità della revocatoria avverso un fallimento

Giorgio Jachia
17 Settembre 2012

Il combinato disposto degli artt. 24 e 52 l. fall. implica che il tribunale da cui è stato dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l'atto pregiudizievole ai creditori, per il quale si prospetti un'azione di revoca ex art. 67 l. fall., resta il solo competente a decidere l'inefficacia o meno dell'atto, mentre le successive e consequenziali pronunzie di restituzione competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del beneficiario del pagamento revocato, secondo le modalità stabilite per l'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi; in ogni caso, la cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo dell'azione revocatoria non ne permettono l'esperimento contro un fallimento, dopo la sua pronuncia, conseguendone l'annullamento della eventuale ammissione al passivo in cui la domanda si sia trasfusa.
Massima

Il combinato disposto degli artt. 24 e 52 l. fall. implica che il tribunale da cui è stato dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l'atto pregiudizievole ai creditori, per il quale si prospetti un'azione di revoca ex art. 67 l. fall., resta il solo competente a decidere l'inefficacia o meno dell'atto, mentre le successive e consequenziali pronunzie di restituzione competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del beneficiario del pagamento revocato, secondo le modalità stabilite per l'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi; in ogni caso, la cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo dell'azione revocatoria non ne permettono l'esperimento contro un fallimento, dopo la sua pronuncia, conseguendone l'annullamento della eventuale ammissione al passivo in cui la domanda si sia trasfusa.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il combinato disposto degli artt. 24 e 52 l. fall. implica che il tribunale da cui è stato dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l'atto pregiudizievole ai creditori, per il quale si prospetti un'azione di revoca ex art. 67 l. fall., resta il solo competente a decidere l'inefficacia o meno dell'atto, mentre le successive e consequenziali pronunzie di restituzione competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del beneficiario del pagamento revocato, secondo le modalità stabilite per l'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi; in ogni caso, la cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo dell'azione revocatoria non ne permettono l'esperimento contro un fallimento, dopo la sua pronuncia, conseguendone l'annullamento della eventuale ammissione al passivo in cui la domanda si sia trasfusa. (massima)

Si consolida il principio affermato un anno fa dalla Prima Sezione Civile della S. Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 10486/2011, con nota di Lamanna e Jachia, Inesperibilità dell'azione revocatoria verso il fallito) allorché ebbe a statuire che le azioni revocatorie (ordinarie e fallimentari) non possano essere iniziate nei confronti delle procedure fallimentari. Come già osservato nel commento alla precedente decisione, parificare il trattamento tra le revocatorie (fallimentari) e le azioni costitutive comporta in concreto l'inesperibilità dell'azione revocatoria fallimentare dopo la dichiarazione di fallimento del convenuto. L'inesperibilità delle azioni costitutive dopo la dichiarazione di fallimento dipende dal fatto che essi sono produttive di effetti restitutori o risarcitori che sarebbero lesivi della par condicio; il fallimento determina infatti, da un lato, la destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori e, dall'altro, la cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche (Cass., 24 ottobre 1967, n. 2622; 13 luglio 1971, n. 2252; 14 luglio 1971, n. 2295; 4 agosto 1977, n. 3471; 9 dicembre 1982, n. 6713; 30 maggio 1983, n. 3708; 5 gennaio 1995, n. 185; 17 gennaio 1998, n. 376).
La soluzione accolta dalla S. Corte implica poi l'inesperibilità della revocatoria anche quando: a) il fallimento del convenuto sia dichiarato prima del fallimento dell'attore, così - di fatto - sanando gli effetti economici di atti lesivi compiuti dagli amministratori del fallimento convenuto prima delle due dichiarazioni di fallimento; b) il fallimento dell'attore sia dichiarato prima del fallimento del convenuto, ma il curatore non abbia agito immediatamente.
Le azioni revocatorie possono però essere proseguite, se già tempestivamente iniziate prima, atteso che, in quest'ultimo caso, “…gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda”.
Accade ora (cfr. Cass., Ordinanza, Sez. VI, n. 3672/2012), in un caso per la verità assai singolare, che la Cassazione, decidendo la causa anche nel merito, dichiari inammissibile la domanda di revoca di pagamenti proposta dal curatore del fallimento della società fallita per prima, esperita dinnanzi al distinto Tribunale che ha dichiarato il secondo fallimento, rigettando la conseguente istanza di ammissione del primo fallimento nello stato passivo del secondo fallimento. Infatti, la Suprema Corte ha annullato - per una pluralità di motivi - la sentenza con cui il secondo Tribunale (quello che ha dichiarato il fallimento del convenuto), ignorando l'eccezione in tal senso proposta dalla curatela convenuta, ha revocato pagamenti effettuati dalla società attrice.
Il caso è così particolare che occorre subito dare atto che l'azione revocatoria fallimentare era stata esperita prima della dichiarazione di fallimento della convenuta, sicché avrebbe potuto essere proseguita atteso il principio di diritto statuito un anno fa.
In quell'occasione, tra l'altro la Suprema Corte aveva richiamato un significativo precedente (cfr. Cass., n. 6709/2009 a sua volta richiamante Cass., n. 142/2003) nel quale era stato ritenuto convenibile in giudizio di revocatoria un fallimento allorquando il curatore avesse ricevuto un pagamento.
A complicare significativamente il caso esaminato nell'ordinanza qui commentata vi sono due elementi: a seguito del fallimento della convenuta l'azione revocatoria, interrottasi, si è estinta per mancata riassunzione nei termini prescritti; il curatore del primo fallimento ha “…ritenuto, allora, di esperire in altra forma la medesima azione, mediante insinuazione al passivo” del fallimento della seconda società quando, ovviamente, la stessa era già stata dichiarata fallita, peraltro da un differente Tribunale.
In relazione alla decisione assunta, un primo cenno, processualistico, merita la circostanza che il provvedimento impugnato ed emesso dal Tribunale avesse la forma di sentenza: sul punto i Supremi Giudici procedono senza esitazioni affermando che, poiché le modalità del giudizio svoltosi avanti al Tribunale corrispondono a quelle dell'opposizione a stato passivo, destinata a concludersi con decreto del tribunale impugnabile per cassazione a norma dell'art. 99 l. fall., la proposta impugnazione per Cassazione è ammissibile.
Quanto al merito della decisione, essendosi estinta l'azione revocatoria fallimentare proposta dal primo fallimento anteriormente alla dichiarazione di fallimento della società convenuta, occorre ribadire che tale (prima) vicenda processuale non ha più alcuna rilevanza allorché si deve decidere sull'istanza di ammissione al passivo. Pertanto, esaminando solo la domanda con la quale il Curatore Fallimentare della società fallita per prima chiede di essere ammesso al passivo del secondo fallimento, senza aver prima esperito un giudizio revocatorio che avrebbe dovuto aver luogo avanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento dell'attore, la Cassazione afferma che “il combinato disposto della l. fall., artt. 24 e 52, implica che il tribunale da cui è stato dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l'atto pregiudizievole ai creditori resta il solo competente a decidere l'inefficacia (o meno) dell'atto, mentre unicamente le successive e consequenziali pronunzie di restituzione competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del beneficiario del pagamento revocato, secondo le modalità stabilite per l'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi (cfr. Cass. n. 7583/1994 e Cass. n. 2746/1963)”.
Tale principio processuale comporta che per le azioni esperite prima della dichiarazione di fallimento del convenuto vi sia una duplicazione di giudizi: da un lato va promossa l'azione revocatoria avanti al Tribunale del primo fallimento e, dall'altro, si deve poi depositare tempestivamente la domanda di ammissione con riserva al passivo del fallimento del convenuto.
L'ordinanza della Cassazione ribadisce poi che il principio di cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo dell'azione revocatoria rendono inesperibili le azioni revocatorie ancora da proporre avverso fallimenti già dichiarati. Corollario di questa impostazione è la dichiarazione di nullità (in via breve, o, verrebbe da dire, brevissima) del provvedimento che, accertata la sussistenza dei presupposti dell'azione revocatoria, ammette allo stato passivo del secondo fallimento il conseguente credito del primo fallimento. La nullità è qui dichiarata in primo luogo per violazione delle regole sulla competenza territoriale, atteso che i due Tribunali dichiaranti i fallimenti erano differenti e quindi l'azione revocatoria doveva essere conosciuta dal Tribunale che ha dichiarato il fallimento dell'attore. Inoltre la nullità è dichiarata per violazione delle regole sui riti, perché l'azione revocatoria, essendo un'azione incidente sui diritti soggettivi, deve essere proposta autonomamente e non può essere esperita “incidentalmente” (quasi fosse un'eccezione revocatoria del curatore fallimentare convenuto) attraverso una domanda di ammissione allo stato passivo, la quale ha effetti sostanziali solo endoconcorsuali.
Nel momento in cui si reitera - anche al di là della singolarità del caso concreto affrontato - e si avvia verso un consolidamento il principio giurisprudenziale dell'inesperibilità della revocatoria avverso una impresa già dichiarata fallita, pare il caso di rammentare che l'azione revocatoria non è volta a costituire un titolo giuridico nuovo, ma a dichiarare l'inopponibilità del titolo impugnato nei confronti dell'attore (e, qualora il bene non possa essere restituito, può comportare la - separabile, come ricordato nell'ordinanza qui commentata - condanna al pagamento di una somma di denaro).
Sta di fatto che tale consolidamento rende inattaccabili gli effetti economici di atti lesivi della par condicio del fallimento attore, anche in ragione della non esperibilità (“in via brevissima”) dell'azione revocatoria mediante semplice domanda di ammissione allo stato passivo.