Effetti delle modifiche della proposta concordataria sull'attestazione e sul sindacato giurisdizionale di ammissibilità

Marco Terenghi
03 Agosto 2012

Deve ritenersi quale “nuova” proposta di concordato, e non quale semplice modifica di quella originaria, quella che implichi un mutamento qualitativo dell'offerta rivolta ai creditori, incidendo sensibilmente sulla natura di quest'ultima. Essa, pertanto, va corredata da una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, ai sensi dell'art. 161, lett. a), l. fall., da un recentissimo stato analitico ed estimativo delle attività con un elenco nominativo dei creditori, nonché da una nuova relazione che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, come previsto dall'art. 161, comma 3, l. fall.. In questo caso, il precedente provvedimento di ammissione alla procedura dev'essere revocato, l'adunanza dei creditori già fissata va sospesa (previa concessione al proponente di esercitare, nell'adunanza stessa, il proprio diritto di difesa) e la proposta “nuova” dev'essere sottoposta ancora una volta al giudizio di ammissibilità da parte del Tribunale ex artt. 160 e ss. l. fall.
Massima

Deve ritenersi quale “nuova” proposta di concordato, e non quale semplice modifica di quella originaria, quella che implichi un mutamento qualitativo dell'offerta rivolta ai creditori, incidendo sensibilmente sulla natura di quest'ultima. Essa, pertanto, va corredata da una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, ai sensi dell'art. 161, lett. a), l. fall., da un recentissimo stato analitico ed estimativo delle attività con un elenco nominativo dei creditori, nonché da una nuova relazione che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, come previsto dall'art. 161, comma 3, l. fall.. In questo caso, il precedente provvedimento di ammissione alla procedura dev'essere revocato, l'adunanza dei creditori già fissata va sospesa (previa concessione al proponente di esercitare, nell'adunanza stessa, il proprio diritto di difesa) e la proposta “nuova” dev'essere sottoposta ancora una volta al giudizio di ammissibilità da parte del Tribunale ex artt. 160 e ss. l. fall.

La relazione del professionista, il quale è soggetto terzo rispetto alla società ricorrente a salvaguardia dell'indipendenza ed imparzialità di giudizio, è il perno del nuovo istituto del concordato preventivo disegnato dal legislatore, tanto da poter giustificare, se ritenuta inadeguata, un eventuale giudizio di responsabilità nei confronti del suo redattore. Pertanto, al suo interno, il professionista non può limitarsi ad attestare genericamente la veridicità dei dati aziendali e prendere in considerazione elementi meramente formali o utilizzare formule di stile richiamanti valutazioni e ragionamenti svolti nel piano, ma deve (sotto la propria responsabilità) esporre in modo specifico ed approfondito le proprie valutazioni, supportate da verifiche concrete, motivando in relazione alle specifiche ragioni per cui ritiene che il piano predisposto dal debitore abbia fondate possibilità di riuscita attraverso la formulazione di un giudizio prognostico.

I crediti sorti “in occasione o in funzione” di una procedura concorsuale, che l'art. 111, comma 2, l. fall. considera prededucibili, sono esclusivamente quelli nati sotto il controllo del Giudice dopo l'apertura della relativa procedura, e non già quelli che a detto controllo si siano sottratti. Pertanto, non può riconoscersi la prededuzione al credito del professionista attestatore per la relazione che accompagna la “nuova” proposta di concordato, in quanto il relativo incarico gli è stato conferito dal debitore senza una previa autorizzazione del Giudice Delegato.

Il caso

Deve ritenersi quale “nuova” proposta di concordato, e non quale semplice modifica di quella originaria, quella che implichi un mutamento qualitativo dell'offerta rivolta ai creditori, incidendo sensibilmente sulla natura di quest'ultima. Essa, pertanto, va corredata da una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, ai sensi dell'art. 161, lett. a), l. fall., da un recentissimo stato analitico ed estimativo delle attività con un elenco nominativo dei creditori, nonché da una nuova relazione che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, come previsto dall'art. 161, comma 3, l. fall.. In questo caso, il precedente provvedimento di ammissione alla procedura dev'essere revocato, l'adunanza dei creditori già fissata va sospesa (previa concessione al proponente di esercitare, nell'adunanza stessa, il proprio diritto di difesa) e la proposta “nuova” dev'essere sottoposta ancora una volta al giudizio di ammissibilità da parte del Tribunale ex artt. 160 e ss. l. fall. (massima)

La relazione del professionista, il quale è soggetto terzo rispetto alla società ricorrente a salvaguardia dell'indipendenza ed imparzialità di giudizio, è il perno del nuovo istituto del concordato preventivo disegnato dal legislatore, tanto da poter giustificare, se ritenuta inadeguata, un eventuale giudizio di responsabilità nei confronti del suo redattore. Pertanto, al suo interno, il professionista non può limitarsi ad attestare genericamente la veridicità dei dati aziendali e prendere in considerazione elementi meramente formali o utilizzare formule di stile richiamanti valutazioni e ragionamenti svolti nel piano, ma deve (sotto la propria responsabilità) esporre in modo specifico ed approfondito le proprie valutazioni, supportate da verifiche concrete, motivando in relazione alle specifiche ragioni per cui ritiene che il piano predisposto dal debitore abbia fondate possibilità di riuscita attraverso la formulazione di un giudizio prognostico. (massima)

I crediti sorti “in occasione o in funzione” di una procedura concorsuale, che l'art. 111, comma 2, l. fall. considera prededucibili, sono esclusivamente quelli nati sotto il controllo del Giudice dopo l'apertura della relativa procedura, e non già quelli che a detto controllo si siano sottratti. Pertanto, non può riconoscersi la prededuzione al credito del professionista attestatore per la relazione che accompagna la “nuova” proposta di concordato, in quanto il relativo incarico gli è stato conferito dal debitore senza una previa autorizzazione del Giudice Delegato. (massima)

Il Tribunale di Siracusa, dopo varie vicissitudini, ammette al concordato preventivo una storica società di cantieristica navale. Quest'ultima, dopo essere passata indenne attraverso un procedimento di revoca ex art. 173 l. fall., in sede di adunanza dei creditori, e prima che costoro abbiano dato inizio alle operazioni di voto, riformula in modo significativo l'originaria proposta concordataria con cessione dei beni, prevedendo in particolare: a) un aumento del numero delle classi dei creditori chirografari (da quattro a sei); b) una diminuzione della percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari e di quelli privilegiati “retrocessi”; c) una cospicua dilatazione del termine di adempimento da parte del soggetto cessionario del complesso aziendale, con conseguente ripercussione sui tempi di pagamento dei creditori; d) una non meglio specificata variazione dei modi di liquidazione del compendio; e) una transazione fiscale inizialmente non prevista.
In questa situazione, il Tribunale qualifica come vera e propria “nuova proposta” la modificazione apportata dalla debitrice a quella originaria, ed afferma quindi la necessità di un nuovo esame di ammissibilità ai sensi degli artt. 160 ss., previa sospensione dell'adunanza dei creditori ad opera del Giudice Delegato e nuova sottoposizione al vaglio collegiale, all'esito del quale dichiara il fallimento, osservando come il diritto di difesa del debitore si sia già adeguatamente esplicato sia nel corso delle varie udienze endoconcordatarie, sia in occasione del sub-procedimento di revoca dell'ammissione ex art. 173, precedentemente insorto e definito favorevolmente per la debitrice.
Tra le principali motivazioni addotte a sostegno della declaratoria di fallimento, il Tribunale ravvisa la mancata presentazione di una relazione aggiornata ai sensi dell'art. 161, lett. a), la presenza di un'attestazione ai sensi del comma 3 affetta da grave deficit motivazionale sulla prognosi di fattibilità del piano, l'inesistenza di un aggiornato stato analitico ed estimativo ai sensi della lett. b) e di un elenco nominativo aggiornato ai sensi della lett. c), la formazione di classi di creditori chirografari caratterizzate, al loro interno, da posizioni giuridiche ed interessi economici tra loro non omogenei.

Osservazioni

L'articolata pronuncia del Tribunale siciliano fornisce lo spunto per una serie di brevi riflessioni su alcuni aspetti di un certo interesse pratico.
a) Modificabilità della proposta e/o del piano. Benché siano le stesse disposizioni normative a non apparire sempre rigorose, quantomeno da un punto di vista terminologico, è bene ricordare che, se non altro concettualmente, i termini “proposta”, “domanda” e “piano” non possono essere posti sul medesimo piano, né tantomeno venire considerati come sinonimi.
I naturali beneficiari della “proposta” sono i creditori, che vengono interpellati dal debitore sulla sua convenienza attraverso una manifestazione di volontà a carattere negoziale, contenente gli elementi essenziali per la conclusione di un accordo avente ad oggetto il soddisfacimento delle loro pretese in una forma alternativa e diversa rispetto all'esatto adempimento, ma pur sempre finalizzata all'estinzione delle varie obbligazioni ed all'esdebitazione del debitore stesso.
La “domanda”, o “ricorso”, a rigore, ha invece quale destinatario il Tribunale, e rappresenta lo strumento processuale attraverso il quale l'imprenditore in crisi si accosta all'iter procedimentale previsto per il concordato preventivo. Non si tratta, evidentemente, della semplice richiesta di ratifica di un accordo privatistico già concluso tra le parti, ma della domanda proveniente dal debitore di vedere composta la propria crisi non secondo il modello del concorso fallimentare, bensì di quello concordatario, giungendo fino all'omologazione conclusiva.
Al di sotto di entrambi (la proposta ed il ricorso) sta il “piano”, vale a dire l'enunciazione programmatica e funzionale dei propositi dell'imprenditore in crisi, contenente la specifica indicazione degli obiettivi prefissati e delle correlative modalità, economiche e giuridiche, di raggiungimento ed attuazione.
La proposta non coincide quindi con il piano, ma lo presuppone e ne recepisce il contenuto, articolandolo in un'offerta a carattere negoziale giuridicamente vincolante; ciò significa, tra l'altro, che in linea di principio una modifica della proposta non richiede quale antecedente logico necessario il mutamento del piano, mentre assai difficilmente una variazione di quest'ultimo potrà non riverberarsi sul contenuto dell'offerta presentata ai creditori.
Nella disciplina previgente all'introduzione del D.Lgs. n. 169/2007, ferma restando la pacifica ammissibilità di una modificazione in melius dell'originaria proposta concordataria (anche attraverso il passaggio da un concordato con garanzia ad uno con cessio bonorum), e registrato, per converso, il generale sfavore degli interpreti verso una sua modificabilità in pejus (pericolosamente idonea a vanificare il giudizio di ammissibilità rilasciato dal Tribunale con il decreto di apertura), rimaneva controversa l'individuazione del termine finale entro il quale poteva avere luogo la modifica della proposta (ed anche la sua revoca). La soluzione del problema variava, in linea generale, a seconda che si volessero privilegiare gli aspetti privatistico-contrattuali o pubblicistici del concordato preventivo. Nel primo caso, la proposta (alla stregua di una qualunque proposta negoziale) veniva ritenuta modificabile o revocabile fino a quando i suoi destinatari (i creditori) non avessero manifestato la loro accettazione o comunque il loro assenso, attraverso l'espressione del voto favorevole nel corso dell'adunanza. Nell'accezione “pubblicistica”, invece, il limite temporale per la rinuncia o la variazione veniva individuato nel giudizio di omologazione, instaurato il quale non poteva più avere luogo alcuna modificazione, nemmeno migliorativa, della proposta originaria.
Con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 169/2007, la questione del dies ad quem è stata risolta dalla nuova formulazione dell'art. 175, il quale, nell'esordire affermando che in adunanza il commissario giudiziale illustra le “proposte definitive” del debitore, prosegue stabilendo che la proposta non può più essere modificata dopo l'inizio delle operazioni di voto (intese come votazioni nel corso dell'adunanza, con esclusione quindi di ogni riferimento cronologico ai voti favorevoli eventualmente pervenuti per corrispondenza prima di tale momento).
La generica dizione del testo novellato, nel rendere palese, da un lato, che la proposta può essere modificata sia in senso migliorativo, sia in senso peggiorativo, dall'altro non consente però di individuare con esattezza l'iter procedimentale da seguire dopo la modifica della proposta, ed in particolare non precisa se quest'ultima implichi una nuova verifica delle condizioni di ammissibilità da parte del Tribunale, oppure addirittura un'ulteriore attestazione di fattibilità da parte del professionista, o se invece siano sufficienti un'integrazione della relazione del commissario giudiziale ed un rinvio dell'adunanza.
La risposta più appropriata, in questo senso, è probabilmente quella che distingue la modifica della proposta tout court (intesa come la variazione di elementi pur essenziali quali, ad esempio, la misura e la tempistica di soddisfacimento dei creditori, tanto in melius quanto in pejus) dalla modifica, parziale o totale, del piano che sorregge la proposta stessa, e che si riverbera necessariamente sul contenuto di quest'ultima.
Nel primo caso, sono da escludersi sia la reiterazione delle attività di verifica dei dati e di valutazione del piano ad opera dell'attestatore, sia, a fortiori, la replica del giudizio di ammissibilità da parte del Tribunale. Competerà infatti al commissario giudiziale, previa rifissazione dell'adunanza dei creditori ed annullamento degli eventuali voti favorevoli giunti per corrispondenza prima di quest'ultima, dare adeguato conto dei motivi che hanno condotto all'introduzione delle modifiche, della realizzabilità di queste ultime e del loro effettivo impatto sulle aspettative di soddisfacimento dei creditori.
In presenza, per contro, di variazioni tali da implicare un significativo mutamento del piano (perché non limitate, ad esempio, alla percentuale di riparto per il ceto creditorio o alla tempistica dei relativi pagamenti, ma estese alle modalità di articolazione delle dismissioni patrimoniali e di concreto soddisfacimento dei crediti), non pare possibile esimersi da una nuova attestazione di fattibilità del piano ad opera dell'esperto e da un rinnovato sindacato di ammissibilità da parte del giudice fallimentare. Per di più, laddove sia trascorso un significativo lasso di tempo dal deposito dell'originaria domanda di concordato, andrà posta attenzione anche agli altri allegati previsti dall'art. 161, poiché la “aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa” potrebbe non essere più così “aggiornata”, richiedendo a sua volta un'opportuna “rinfrescata”, e lo stesso potrebbe accadere per lo stato analitico ed estimativo o l'elenco nominativo dei creditori (circostanze, queste, debitamente evidenziate dalla pronuncia in commento).
Volendo applicare dei canoni processualcivilistici, in giurisprudenza è stata ritenuta una mutatio della proposta concordataria (e non una semplice emendatio), tale da comportare un nuovo giudizio di ammissibilità da parte del Tribunale, la modifica che abbia ad oggetto una sostituzione dell'assuntore concordatario (la cui solvibilità potrebbe non essere equivalente a quella del soggetto originario), la conformazione delle classi e la percentuale di soddisfazione dei creditori, l'accrescimento dell'alea derivante da una diversa modalità di realizzazione dei crediti e di liquidazione dei beni, il passaggio dalla cessione dei beni alla prosecuzione dell'attività o viceversa, oppure il passaggio da cessione dei beni all'assegnazione di quote o di azioni.
Una conferma delle conclusioni brevemente riassunte in precedenza sembra derivare dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, in materia di “Misure urgenti per la crescita sostenibile”, che prevede l'aggiunta, al comma 3 dell'art. 161, della frase “analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano”. L'utilizzo del termine “sostanziale”, necessariamente generico, ma sufficientemente evocativo (alla stregua delle espressioni perifrastiche talora simpaticamente utilizzate dalla pronuncia in commento), sta ad indicare che solo variazioni non secondarie o non meramente formali della proposta sono idonee ad attivare una reiterazione del momento attestativo e del sindacato giurisdizionale di ammissibilità, peraltro sempre nell'ambito della medesima procedura concorsuale già pendente, e senza dunque darne origine ad un'altra distinta.
Per contro, come il Giudice siciliano ha correttamente rimarcato, non possono porsi problemi di “novità” della domanda allorquando le modifiche apportate a quest'ultima recepiscono le eventuali richieste di integrazione del piano formulate dal Tribunale ai sensi dell'art. 162, comma 1, né tantomeno laddove esse siano finalizzate a superare le eventuali criticità segnalate dal Commissario Giudiziale nella propria relazione ex art. 172, variando anche in pejus il risultato utile dei creditori.
b) L'importanza dell'attestazione, l'indipendenza dell'attestatore e la sua responsabilità. L'essenzialità della relazione prevista dall'art. 161, comma 3, è già stata abbondantemente evidenziata da tutti gli interpreti, soprattutto in un nuovo assetto normativo della procedura concordataria dove, in mancanza di attività istruttoria, essa costituisce l'unico riferimento su cui il Tribunale possa fondare il giudizio di ammissibilità della proposta concordataria. La sua importanza esce ulteriormente rafforzata dal nuovo art. 182-quater, che, come meglio vedremo in seguito, in presenza di specifico riconoscimento giudiziale attribuisce al compenso dell'attestatore natura di credito prededucibile, assimilandolo in qualche modo a quello del commissario giudiziale in un contesto ove il professionista non è solo “di fiducia” del debitore, ma altresì “di garanzia” del ceto creditorio nella sua opera di valutazione di veridicità dei dati e di fattibilità del piano.
Sotto un profilo squisitamente pratico sembra opportuno ricordare come le guidelines della procedura di attestazione siano state codificate, da ultimo, dal CNDCEC nel proprio “Documento 19 febbraio 2009”, il quale da un lato suggerisce una specifica articolazione della Relazione in diverse parti (introduttiva, illustrativa e conclusiva), e dall'altro enuncia una serie di principi ed adempimenti cui il professionista si deve attenere sia nel controllo di veridicità dei dati aziendali, sia nel giudizio di fattibilità del piano.
L'importanza della figura professionale del c.d. “attestatore” è stata sottolineata, in particolar modo, da alcuni degli interventi della Cassazione finora registrati in materia di sindacato sulla fattibilità del piano concordatario, che la Corte (salvi rari casi dissonanti) ha riservato in via esclusiva ai creditori, e non al Tribunale, cui competerebbe invece una sorta di “controllo indiretto” sulla coerenza, logicità, completezza ed esaustività dell'iter analitico attraverso il quale il professionista è giunto a rilasciare la propria attestazione. In sostanza, muovendo dal presupposto per cui il concordato preventivo post-riforma è contrassegnato da una spiccata natura contrattuale e da una netta centralizzazione della volontà dei creditori, la prevalente giurisprudenza della Cassazione ha così sostanzialmente dedotto: a) la fattibilità del piano va ricondotta, così come la convenienza, al merito della proposta concordataria; b) l'organo giurisdizionale è sprovvisto del potere di sindacare il merito della proposta, in quanto esso appartiene solo al ceto creditorio; c) il Tribunale non può valutare la fattibilità del piano, ma solo presidiare il corretto e completo scambio di informazioni tra debitore e creditori, che si esplica appunto attraverso la relazione del professionista, del quale è valorizzato il ruolo di indipendenza e terzietà.
Per quanto gli interventi della Corte non abbiano finora rivelato particolare incisività, non suscitando eccessivo plauso nemmeno tra i fautori più convinti delle contrapposte tesi, ma rendendo nel contempo necessario l'ormai imminente intervento delle Sezioni Unite per comporre il contrasto interpretativo insorto, rimane il fondamentale rilievo per cui l'attuale sistema normativo, contrariamente a quanto adombrato dalla Cassazione (e sostanzialmente avallato dalla pronuncia in commento), non offre in realtà serie garanzie a tutela dei creditori e dei terzi in genere con riferimento all'indipendenza dell'attestatore. Per dirla con le parole di una (dissonante) pronuncia di legittimità, quest'ultimo, in realtà, è “soltanto un privato che effettua una prestazione professionale per conto di un imprenditore non ancora sottoposto ad alcuna procedura concorsuale”, prescelto fiduciariamente dal debitore stesso, cui è richiesto il possesso dei soli requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), vale a dire essere iscritto nel registro dei revisori contabili nonché vantare i titoli di cui all'art. 28, lett. a) e b) (cioè rivestire la qualifica di avvocato, dottore commercialista, ragioniere e ragioniere commercialista, o fare parte di uno studio professionale associato o di una società di professionisti composta da soci provvisti delle medesime abilitazioni). Tuttavia, in forza del mancato richiamo anche all'ultimo comma dell'art. 28, ed alle specifiche cause di incompatibilità da questo previste, finisce per poter teoricamente rivestire la qualifica di attestatore anche un soggetto che, fino a poco tempo prima del conferimento dell'incarico, prestava la propria opera professionale in favore dell'imprenditore in crisi. Quindi, per quanto in concreto si siano sviluppate prassi assolutamente virtuose ed opportune forme di autoregolamentazione dei vari ordini ed associazioni professionali volte a scongiurare situazioni di scarsa trasparenza o di conflitto d'interesse, ancorché larvato, l'assenza di una precisa responsabilizzazione ex lege o comunque di specifiche sanzioni, a carico dell'attestatore, ha finora rappresentato un punto di sostanziale disequilibrio nel panorama concordatario così come risultante dalle varie modifiche degli ultimi anni, poiché un sistema espressione di una logica “privatistica” nella regolamentazione della crisi d'impresa presuppone necessariamente che il terzo garante verso la massa dei creditori circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano debba essere realmente indipendente, e che tale suo status venga di fatto garantito attraverso strumenti di controllo e di sanzioni.
Non a caso, il già citato D.L. 22 giugno 2012, n. 83, recante “Misure urgenti per la crescita sostenibile” prevede una serie di specifici interventi sul punto, vale a dire:
- la sostituzione della lettera d) dell'art. 67, comma 3, attraverso l'inserimento dell'aggettivo “indipendente” in relazione al professionista, e la spiegazione che questi va ritenuto “indipendente” “quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo”;
- l'introduzione dell'art. 236-bis, il quale prevede una nuova e specifica figura di reato a carico del professionista che, nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3, lett. d), 161, comma 3, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, sanzionando pesantemente simili condotte (reclusione da due a cinque anni e multa da 50.000 a 100.000 Euro, con specifiche circostanze aggravanti).
Ferma restando l'imminente configurazione di una responsabilità penale a carico dell'attestatore, dunque, nei confronti di quest'ultimo poteva comunque finora già configurarsi una duplice responsabilità di natura civilistica: verso l'imprenditore debitore, e verso i creditori (o la massa di questi).
Nel primo caso, si tratta ovviamente di responsabilità contrattuale nascente dal mandato professionale a suo tempo rilasciato, inquadrabile nella prestazione d'opera intellettuale di cui agli artt. 2230 e segg. c.c. e regolata, sotto il profilo del regime probatorio, dall'art. 1218 c.c.. Ad essa si applicherà, in particolare, la mitigazione prevista dall'art. 2236 c.c. (trattandosi per definizione di materia tecnica “di speciale difficoltà”), e non sembrerebbe incongruo ipotizzare altresì il possibile ricorso, da parte del committente, allo strumento della actio quanti minoris di cui all'art. 2226, ultimo comma, c.c., laddove l'opera del professionista si rivelasse, a posteriori, di minor pregio o utilità rispetto a quella consacrata nel compenso pattuito (situazione, questa, che potrebbe presentarsi anche al Giudice Delegato dell'eventuale successivo fallimento in sede di verifica del passivo, laddove l'attestatore insinuasse il proprio credito ex contractu ed il curatore ravvisasse elementi tali da ridiscuterne la quantificazione proprio alla luce di carenze o manchevolezze nella relazione).
Per quanto invece concerne la responsabilità verso i creditori, si tende a ricostruirla come aquiliana ex art. 2043 c.c. in quanto lesiva del diritto alla corretta informazione, con le sottostanti comprensibili difficoltà sotto il profilo probatorio ed in termini di nesso causale, oltreché di delimitazione del danno risarcibile (per quanto concerne la prescrizione, ovviamente quinquennale, l'imminente introduzione del reato ex art. 236-bis dovrebbe comportare l'applicazione dell'art. 2947, ultimo comma, c.c., e del correlativo termine più lungo). Merita peraltro attenzione il tentativo di inquadrare tale responsabilità, anche nell'ambito negoziale, sulla falsariga di quella ravvisabile nei confronti di soggetti privati tenuti a svolgere attività informativa e lato sensu certificativa (ad esempio lo sponsor ed il revisore nelle procedure di sollecitazione all'investimento e di collocamento di azioni sul mercato). Non a caso, la c.d. “responsabilità da prospetto informativo” è stata ritenuta collocabile all'interno di quella pre-contrattuale ex art. 1337 c.c., poiché le informazioni omesse, non veritiere o inattendibili vanno ad incidere sul procedimento di formazione di una precisa volontà contrattuale del terzo (investire o non investire); situazione non dissimile, in linea di principio, può ravvisarsi nel creditore di un soggetto ammesso al concordato, chiamato a votare (e quindi ad esprimere comunque un consenso negozialmente rilevante) sulla base di un piano attestato sulla cui veridicità ed attendibilità egli necessariamente confida.
Nel caso di successivo fallimento, la legittimazione all'azione non potrà spettare al curatore, bensì ai terzi danneggiati, portatori di un pregiudizio ravvisabile altresì nella salvezza, dalla revocatoria fallimentare, degli atti posti in essere in esecuzione del concordato preventivo ex art. 67, lett. e), nonché nell'impossibilità di esercitare la revocatoria stessa ogniqualvolta, per intervenuta risoluzione del concordato, non possa trovare applicazione il principio della consecuzione delle procedure. Il curatore, per contro, può ritenersi legittimato a far valere il danno patito dal fallito per il deterioramento patrimoniale occorso a seguito dell'indebita prosecuzione dell'attività in ambito concordatario, inaugurato sulla base di un'attestazione mendace, inesatta o in veritiera.
c) Il credito dell'attestatore e degli altri professionisti. Altra interessante questione affrontata (e risolta in modo non del tutto corretto) dalla decisione in commento è costituita dalla natura del credito vantato dai professionisti che, a vario titolo, hanno prestato la propria opera in favore del debitore con riferimento alla presentazione della domanda di concordato: in particolare, l'esperto attestatore, l'advisor, i periti stimatori delle attività aziendali.
Dopo la riforma dell'art. 111, la nozione di “crediti prededucibili” ha finito per ricomprendere non solo quelli definiti come tali da una specifica disposizione di legge, bensì anche quelli “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali” previste nella Legge Fallimentare. La portata innovativa della riforma è stata adeguatamente posta in rilievo dagli interpreti soprattutto nell'utilizzo della disgiuntiva “o” in luogo della disgiuntiva “e”, in forza della quale può ormai costituire condizione necessaria e sufficiente, per il riconoscimento della prededuzione, la sola strumentalità/funzionalità alla procedura concorsuale della prestazione da cui trae origine il credito, e non solo la collocazione cronologica di quest'ultima successivamente all'apertura del concorso. Pertanto, con specifico riferimento al concordato, ed all'evidente favore che il legislatore ha in più occasioni recentemente dimostrato verso quest'ultimo quale strumento preferibile rispetto al fallimento per la risoluzione della crisi, è indubbio che la prededucibilità possa oggi essere riconosciuta non solo ai crediti nascenti da attività direttamente ascrivibili agli organi della procedura (il compenso del commissario giudiziale o del liquidatore, ad esempio, così come altre tipiche spese di procedura), ma anche ai debiti contratti dall'imprenditore prima dell'emissione del decreto di apertura, laddove questi ultimi gli abbiano assicurato servizi necessari per ottenere l'ammissione al concordato, in conformità al contenuto del piano che sorregge la proposta.
Alla luce di ciò, i crediti maturati dall'esperto attestatore, dall'advisor e dai periti stimatori sembrano porsi sul medesimo piano di evidente “funzionalità”, ex art. 111, ultimo comma, rispetto al conseguimento dell'ammissione alla procedura concordataria, che per definizione ha inizio pur in un momento successivo all'esaurimento delle relative prestazioni professionali. In questa situazione di tendenziale armonia sistematica, che aveva condotto anche di recente numerosi Giudici a riconoscere natura prededucibile, anziché semplicemente privilegiata ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., al credito vantato in relazione a compensi per l'assistenza prestata all'imprenditore per la presentazione della domanda di concordato, è però intervenuto l'art. 182-quater, introdotto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 48, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, il cui penultimo comma prevede: “Sono altresì prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione di cui agli articoli 161, comma 3, 182-bis, primo comma, purché ciò sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l'accordo sia omologato”. La nuova norma, se da un lato conferma il principio ormai innervato nel sistema dal comma 2 dell'art. 111, dall'altro vincola però espressamente il riconoscimento della prededuzione alla specifica attribuzione giudiziale contenuta nel decreto di ammissione al concordato, e dall'altro ancora riserva esplicitamente una simile prerogativa al solo professionista attestatore della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, e non anche, ad esempio, all'advisor o ad un altro prestatore d'opera intellettuale che abbia operato ante concordato.
L'art. 182-quater, per quanto piuttosto chiaro nella sua incontrovertibile espressione letterale, è norma che non convince appieno sotto il profilo sistematico, poiché sotto il cappello della prededucibilità accosta fattispecie tra loro assai diverse, quali la “nuova finanza” (cui sono dedicati i tre quarti della disciplina normativa) e la prestazione dell'attestatore, quasi a voler indurre a pensare (forse malignamente) che la prioritaria preoccupazione del legislatore fosse quella di fornire ulteriori strumenti di tutela al mondo bancario-finanziario, e che il riferimento al professionista abbia costituito un mero espediente per attribuire al provvedimento un'apparente (ed illusoria) “ecumenicità” di intenti.
Peraltro, come detto, il dato normativo è a tal punto perspicuo da porre l'interprete nella necessità di ricercare un senso alla distinzione così introdotta tra l'attestatore, da un lato, e l'advisor ed il perito stimatore, dall'altro. Per quanto più specificamente attiene alla figura del consulente, il suo trattamento deteriore rispetto all'attestatore può trovare spiegazione nel fatto per cui l'intervento di quest'ultimo è considerato dal legislatore come indispensabile, tanto che la sua relazione va obbligatoriamente allegata alla domanda di ammissione come richiede l'art. 161, terzo comma, mentre nulla viene detto con riferimento all'operato dell'advisor, evidentemente reputato come “non-imprescindibile”. Per meglio dire, mentre la funzione del consulente può essere ricollegata all'esclusivo interesse del debitore (a cui unico beneficio il professionista riversa la propria esperienza e le proprie conoscenze tecniche), quella dell'attestatore si esplica anche a favore del ceto creditorio, poiché ha specificamente ad oggetto una verifica di natura “parapubblicistica” (quella di veridicità e di fattibilità) che, nell'ottica di arretramento del controllo statuale cui è ispirata la nuova disciplina del concordato, va appunto a surrogare il sindacato giudiziale, addossando oggi all'autore le conseguenti (e rilevanti) responsabilità anche penali. Si tratta, quindi, di un'attività contrassegnata da un nesso di funzionalità così immediato e diretto con l'attivazione della procedura concordataria, da avvicinarla in qualche modo a quella dello stesso commissario giudiziale, con cui spartisce più di un aspetto in comune.
D'altro canto, laddove si volesse cercare di coordinare l'art. 111, ultimo comma, e l'art. 182-quater, sarebbe arduo sostenere che l'advisor (così come qualunque altra figura che ha prestato all'imprenditore servizi funzionali all'ammissione al concordato), in forza della prima disposizione, gode di un trattamento addirittura più benevolo rispetto al perito attestatore, proprio perché l'intento del legislatore risulta essere quello, opposto, di sottoporre a puntuale sindacato giurisdizionale tutti gli esborsi di denaro che possono depauperare il patrimonio del debitore e depotenziare le aspettative di soddisfacimento dei creditori.
Un'indiretta conferma della natura esclusivamente privilegiata, e non prededucibile, del credito dell'advisor, può altresì desumersi dal comma 3, lett. g), dell'art. 67, che esime dalla revocatoria fallimentare i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili nascenti da prestazioni di servizi strumentali all'accesso al concordato preventivo. Difficilmente, infatti, un credito in prededuzione avrebbe necessità di una specifica esenzione quale quella in oggetto, che per contro sembra assai più compatibile con un credito concorsuale, ancorché di rango privilegiato.
Rimane da osservare che se la ratio giustificatrice della prededucibilità del credito dell'attestatore ex art. 182-quater riviene, come si è visto, dalla sostanziale imprescindibilità della prestazione di quest'ultimo nell'accesso al concordato preventivo (mentre, per converso, analoga essenzialità non viene ravvisata nell'operato dell'advisor), esistono peraltro altre figure professionali non ricomprese nello specifico disposto dell'art. 182-quater, i cui servizi appaiono però altrettanto indispensabili al medesimo fine quanto quelli dell'attestatore medesimo: si pensi, ad esempio, ai periti stimatori di fiducia di un compendio mobiliare gravato da privilegi, relativamente al quale la proposta concordataria preveda la falcidia anche dei creditori privilegiati. In questo caso, la loro relazione giurata ex art. 160, comma 2, viene chiaramente considerata quale antecedente logico necessario del giudizio di ammissibilità, esattamente alla stregua dell'attestazione, ma non trova una specifica causa di attribuzione della prededuzione; circostanza, questa, che potrebbe prima o poi attivare una questione di legittimità costituzionale, a meno che non si voglia ipotizzare un'applicazione analogica dell'art. 182-quater, peraltro sempre da valutare con estrema cautela in un ambito così specifico e tendenzialmente “eccezionale” come quello dei crediti prededucibili, per di più in ambito concorsuale.

Questioni aperte

La conversione in legge del Decreto Legge “Sviluppo” avrà un tale impatto sulla disciplina del concordato preventivo da assicurare dibattiti, convegni e pubblicazioni almeno per i prossimi due anni. Ai limitati fini delle presenti osservazioni, peraltro, sarà interessante verificare:
- la concreta applicazione, da parte della giurisprudenza, della nozione di “modifiche sostanziali” apportate alla proposta concordataria;
- le eventuali obiezioni degli interpreti al testo del nuovo reato introdotto dall'art. 236-bis, laddove nella sua configurazione il legislatore si esprime in termini di “informazioni rilevanti”: aggettivazione, questa, che sembra porsi non perfettamente in linea con il necessario principio di tassatività della fattispecie penalistica.

Minimi riferimenti normativi e giurisprudenziali

Per quanto concerne la modificabilità della proposta concordataria, le norme di riferimento sono l'art. 162, comma 1 (il quale, peraltro, si esprime forse impropriamente in termini di “integrazioni al piano”) e l'art. 175, comma 2 (che individua l'ultimo momento utile per la modifica della proposta nell'inizio delle operazioni di vota in adunanza). Andrà necessariamente tenuto in considerazione, poi, il “nuovo” comma 3 previsto dal D.L. in materia di crescita sostenibile, nella parte in cui richiede un'ulteriore relazione laddove siano state introdotte “modifiche sostanziali della proposta o del piano”. In giurisprudenza, validi contributi all'individuazione del concetto di “nuova” proposta concordataria sono rintracciabili in Trib. La Spezia 8 febbraio 2011, in Fall., 2012, 731 (secondo cui va considerata come “nuova” la proposta che contempli un diverso assuntore, una differente conformazione delle classi ed una modifica della percentuale di soddisfacimento dei creditori); in Trib. Milano 20 ottobre 2005, ivi, 2006, 578 (è sufficiente che la modifica si traduca in un'offerta peggiorativa con riferimento all'ammontare della percentuale promessa ai chirografari rispetto all'originaria domanda, per imporre al Tribunale una verifica circa il permanere delle condizioni di ammissibilità, con fissazione di nuova adunanza dei creditori ma senza necessità di un'ulteriore relazione del professionista accertatore, spettando al commissario giudiziale valutare le nuove modalità in cui si articola il piano).
Secondo Trib. Palermo 18 maggio 2007, ivi, 2008, 75, e Trib. Ancona 23 maggio 2007, ivi, 2008, 231, la modifica in peius antecedente l'adunanza dei creditori non richiede né una nuova relazione del professionista, né un ulteriore sindacato di ammissibilità del Tribunale, soprattutto in presenza di un parere prognostico favorevole da parte del commissario giudiziale, imponendo al limite un rinvio dell'adunanza già fissata. Trib. Monza 5 agosto 2010, invece, ha definito come nuova la proposta che trasformi radicalmente il genus concordatario, passando dalla cessio bonorum alla continuità, o muti radicalmente le modalità attuative pur all'interno del medesimo genere (assegnazione di quote o di azioni in luogo di beni).
Perplessità suscita invece Trib. Mantova 9.12.2010, che da un lato ha ritenuto ammissibile una modificazione della proposta concordataria dopo l'adunanza dei creditori ed il voto favorevole dei medesimi, e dall'altro non ha ravvisato in ciò un elemento ostativo all'omologa, in ragione “dell'equivalenza in termini economici e finanziari dei nuovi contratti conclusi rispetto a quelli inizialmente previsti, e quindi in ragione della sostanziale equipollenza dei flussi di entrata previsti rispetto a quelli originari” (in questo caso, la proposta iniziale prevedeva la stipulazione di un contratto di affitto d'azienda con la società X; posta in liquidazione volontaria quest'ultima, il piano è stato riconvertito in un differente accordo negoziale di licenza d'uso dei marchi con l'impresa Y). Preferibile appare l'opposta soluzione adottata da Trib. Monza 28 settembre 2005 (vale a dire ancor prima dell'introduzione del “nuovo” comma 2 dell'art. 175), in Fall., 2005, 1406, secondo cui la modifica in senso peggiorativo dell'iniziale proposta, se avanzata nel lasso di tempo intercorso tra la votazione e l'omologazione, determina il rigetto di quest'ultima sotto il profilo dell'inidoneità del consenso dei creditori, formatosi su presupposti di fatto ben diversi.
Secondo App. Torino 27 gennaio 2010, ivi, 2010, 497, qualora la revisione in peius della proposta derivi dal recepimento delle osservazioni critiche del commissario giudiziale, va esclusa in radice la sussistenza del concetto stesso di “modifica”.
La Cassazione si è espressa in più di un'occasione sul sindacato di fattibilità del piano concordatario, a partire dalla pronuncia 25 ottobre 2010, n. 21860 fino a quelle 14 febbraio 2011, n. 3585, 23 giugno 2011, n. 13817, e 16 settembre 2011, n. 18987; in senso contrario, la quasi contemporanea Cass. 15 settembre 2011, n. 18864. Il virgolettato nel testo è tratto invece da Cass. 29 ottobre 2009, n. 22927.
Circa la responsabilità dell'attestatore nei confronti del committente, la normativa di riferimento è costituita dagli artt. 2230 ss. c.c., mentre quella verso i creditori riviene principalmente, come detto, dall'art. 2043, non senza dimenticare l'art. 1337 laddove si ritenga di inquadrarla come pre-contrattuale. In giurisprudenza non constano precedenti, quantomeno sul secondo versante; per l'accostamento con la “responsabilità da prospetto informativo”, si vedano i principi enucleati da Trib. Milano 25 luglio 2008, riportato integralmente in ilcaso.it.
Il riconoscimento della prededucibilità al credito dell'esperto attestatore si rinviene nell'art. 182-quater, comma 4, mentre la disciplina concorsuale dei crediti prededucibili è contenuta negli artt. 111 (in particolare l'ultimo comma) e 111-bis, non senza dimenticare l'art. 67, comma 3, lett. g) in tema di esenzione dalla revocatoria dei pagamenti di debiti eseguiti per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'ammissione al concordato preventivo. In giurisprudenza, una ricostruzione dei profili di diversità tra la prestazione dell'attestatore e dell'advisor (e quindi del differente trattamento a livello di fruizione del corrispettivo), in termini sostanzialmente simili a quelli ipotizzati supra, si deve a Trib. Terni, 13 giugno 2011, in ilcaso.it, 2011.