La cessione dell'azienda prima dell'omologa del concordato preventivo liquidatorio

Marco Greggio
07 Agosto 2015

Nell'ambito dei concordati preventivi si avverte sempre più pressante l'esigenza di cedere l'azienda prima del decreto di omologa del concordato. Il problema della vendita dell'azienda prima dell'omologazione, con provvedimento definitivo, del concordato di tipo liquidatorio è dovuto all'assenza di disposizioni normative che disciplinino espressamente tale operazione. L'Autore addentrandosi nelle “maglie del sistema” individua gli spazi che possono offrire la possibilità concreta per la cessione dell'azienda prima dell'omologa, con uno sguardo anche alle soluzione prospettate da dottrina e giurisprudenza.
Il problema

Nell'ambito dei concordati preventivi negli ultimi tempi si avverte sempre più pressante l'esigenza di cedere l'azienda prima del decreto di omologa del concordato.

Spesso, infatti, è nell'interesse dei creditori che avvenga

una rapida vendita dell'azienda, senza attendere i tempi tecnici dell'omologa, che spesso si dilatano nel tempo, ancor più allorchè le procedure concordatarie risultino assai complesse. D'altronde, lo stesso termine per l'omologazione di “sei mesi dalla presentazione del ricorso ai sensi dell'articolo 161” previsto dall'

art. 181, comma 2, l.

fall

. ha natura ordinatoria (

così

Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706

; nel merito cfr. Trib. Roma 24 marzo 2009; App. Bologna 27 gennaio 2006;

Trib. Padova 7 luglio 2014

, decr. Anche la dottrina maggioritaria ritiene che il termine di cui all'

art. 181 l. fall

. abbia natura ordinatoria: così

Pagni

, sub Artt. 179-180-181,

in

Commentario

alla

legge fallimentare

, Milano, 2010,

736 e ss.;

Bonfatti

e

Censoni

, La riforma della disciplina della revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, 245;

Maffei

Alberti

, in Comm. L. F., sub art. 181, 2013, 1208;

Vitiello

, in Cod. Comm. Fall. diretto da Lo Cascio, 2119

), e pertanto l'omologa potrebbe arrivare dopo un periodo di tempo di 1-2 anni dal deposito dello stesso ricorso “in bianco” di cui all'

art. 161, comma 6, l.

fall

.

Atteso che l'economia, spesso, corre più veloce del diritto, ecco la necessità – in vari concordati - di allinearsi con i (veloci) tempi economici e, così, vendere l'azienda in tempi rapidi, portando un vantaggio alla massa dei creditori sociali. Con la (rapida) vendita (ad un soggetto economicamente “sano”), infatti, da un lato si potrebbero conservare i valori organizzativi, ed in particolare l'avviamento, dall'altro si potrebbe consentire la conclusione della procedura di esecuzione del concordato e così provvedere al relativo riparto dell'attivo (

G

.

Terranova

,

Il concordato «con continuità aziendale» e i costi dell'intermediazione giuridica

, in

Dir. fall

., 2013, 7

).

Peraltro, l'ampia casistica delle vendita dell'azienda o dei rami d'azienda nell'imminenza dell'apertura della procedura dimostra come, in molti casi, ciò corrisponda al miglior interesse dei creditori. Per esempio, basti pensare al

la positiva esperienza delle procedure bancarie, che si caratterizzano - spesso - per una vendita addirittura immediata dell'azienda, anche a fini di tutela della stabilità del sistema.

Ebbene, de iure condito il problema della vendita dell'azienda prima dell'omologazione, con provvedimento definitivo, del concordato di tipo liquidatorio sussiste in quanto, non essendovi alcuna norma che disciplini espressamente tale caso - a differenza del concordato

con continuità aziendale, laddove tale ipotesi è disciplinata dall'

art.

186-

bis

l. fall

. - ci si chiede se una siffatta cessione possa essere compiuta (i) in via definitiva, ossia senza possibile sopravvenuta inefficacia della cessione in caso di mancata omologa, con conseguente “retrocessione” dell'azienda compravenduta; (ii)

con la disattivazione della responsabilità solidale (tra cedente e cessionario) per i debiti iscritti nelle scritture contabili, di cui all'

art. 2560, comma

2

, c.c.

Vi è invero, nelle maglie del sistema, come talvolta accade, una “zona grigia”, che riguarda in particolare tre periodi:

a)

quello intercorrente tra la presentazione del ricorso c.d. “in bianco” di cui all'

art. 161

,

sesto comma

,

l. fall

. e la pubblicazione del decreto di ammissione del debitore al beneficio del concordato;

b)

il periodo compreso tra l'ammissione e l'omologazione del concordato;

c)

il periodo compreso tra il deposito del decreto di omologazione del concordato e la sua definitività, ossia il suo passaggio in giudicato (per esempio perché sub judice per reclamo innanzi la Corte d'Appello ai sensi dell'

art.

ex

art. 183

l. fall

.

o perchè pende giudizio innanzi la Corte di Cassazione).

De iure condendo

, non si può non ricordare come l'esigenza sopra evidenziata sia attualmente all'esame della Commissione per la riforma della

legge fallimentare

, chiamata a riscrivere la disciplina di riferimento.

In attesa dell'auspicata introduzione di una apposita norma regolatrice della fattispecie, nel proseguo si esamineranno le soluzioni offerte dal nostro ordinamento, nonché le opzioni interpretative offerte dalla giurisprudenza e dalla dottrina, per poi trarre le conclusioni.

Le soluzioni interpretative sotto le previgente disciplina

Prima della nota riforma del 2006, sotto la previgente disciplina era controverso se nel concordato preventivo per cessione dei beni il debitore, prima dell'omologazione, potesse essere autorizzato alla vendita dell'intero complesso aziendale.

In un primo tempo la giurisprudenza di legittimità lo aveva inizialmente escluso,

sostenendo che la liquidazione dei beni ceduti dovesse avvenire soltanto dopo il giudizio di omologazione, la cui finalità era, appunto, quella di realizzare la cessio bonorum.

Invero, tale rigido orientamento pareva frutto della disciplina del 1942, secondo cui il concordato preventivo risultava inquadrato in uno schema rigido e vincolato, pervaso da una accentuata tutela giurisdizionale e da una posizione invasiva degli organi concorsuali; risultava così conforme a tale ottica concepire limitazioni che non offrissero grossi spazi alle iniziative del debitore concordatario.

Tuttavia, come spesso accade, la giurisprudenza di merito ha riconsiderato la questione, chiedendosi se, con riferimento alla vendita dell'azienda, fosse proponibile un'azione per invalidare il provvedimento di autorizzazione del giudice delegato, oppure il reclamo endofallimentare avverso i decreti del giudice delegato od ancora l'azione di nullità da proporsi in via ordinaria; per poi, infine, decidere in senso inverso rispetto alla precedente giurisprudenza di legittimità (e così ammettendo la cessione

prima dell'omologazione

) (

cfr. Trib. Verona 18 febbraio 1991, con nota di

Lo Cascio

,

La vendita dell'azienda nel concordato preventivo

, in

Giust. civ

., 1991, I,1825; e con nota di

M. Lazzera

,

Vendita d'azienda e concordato preventivo

, in

Dir. fall

., 1992, II, 818

).

Successivamente è mutato anche l'orientamento della Cassazione, indirizzato in funzione della conservazione dell'impresa. Per la Suprema Corte il giudice poteva autorizzare la cessione dell'azienda nel corso della procedura, in attuazione del piano concordatario, costituendo la conservazione dell'organismo produttivo una finalità del concordato preventivo (

Cass.

12 maggio 2004, n. 8960

).

In buona sostanza, g

ià negli anni che precedettero la riforma fallimentare v'era una forte spinta di rinnovamento delle vecchie concezioni concorsuali ed una rappresentazione di nuove prospettive nelle quali assumevano valore essenziale la tutela occupazionale dei lavoratori, la conservazione dell'azienda e di ogni altro diritto connesso all'organizzazione produttiva. In questo mutato contesto, l'azienda non era più considerata quale complesso di beni che dovessero essere liquidati unicamente nella sede propria della procedura onde garantire ai creditori il maggior soddisfacimento possibile (

cfr. G. Lo Cascio

,

La vendita dell'azienda nel nuovo concordato preventivo

, in

Fall.

, 2012, 338

).

Le soluzione interpretative dopo la riforma del 2006

Nel solco della suddetta spinta di rinnovamento, con la riforma del diritto fallimentare

si è - come noto - accentuata la natura privatistica negoziale che caratterizza l'accordo tra debitore e creditori, spostando l'interesse perseguito con la procedura dall'imprenditore all'impresa (sul punto cfr. G. Lo Cascio

,

La vendita dell'azienda nel nuovo concordato preventivo

, cit., 339

).

Sono così intervenute varie pronunzie che hanno consentito la vendita dell'azienda prima dell'omologazione della procedura di concordato preventivo.

In particolare il Tribunale di Bergamo nel 2011 ha stabilito che

durante la fase anteriore all'omologazione del concordato preventivo per cessione beni “si compiono atti volontari di disposizione dei beni rimessi alla valutazione del debitore ed al parere del commissario giudiziale in virtù del suo potere di vigilanza e, qualora si tratti di atti di straordinaria amministrazione o che incidano, comunque, sul patrimonio, è richiesta, al fine di renderli efficaci nei confronti dei creditori concorsuali, l'autorizzazione del giudice delegato” (

Trib. Bergamo 1 dicembre 2011

).

Tra le altre, vi sono state varie pronunzie che hanno autorizzato, ai sensi dell'

art. 161, comma 6,

l. fall

., la vendita di cespiti finanche prima dell'ammissione alla procedura di concordato, sulla scorta dell'urgenza e dell'esperimento di una procedura competitiva adeguatamente pubblicizzata, per meglio tutelare l'interesse dei creditori sociali (che su tale vendita ancora non avevano potuto esprimersi), in sostituzione dei quali il tribunale è chiamato ad esprimersi (

Trib. di Padova 6 marzo 2015

, preceduto dal provvedimento emanato nel corso della medesima procedura del medesimo Tribunale dell'8 gennaio 2015

). Principi che, mutatis mutandis, potrebbero valere anche per la vendita delle azienda ante ammissione.

S

i sono così avuti anche casi, analoghi per quanto riguarda gli effetti della vendita, di conferimento dell'azienda in una società di nuova costituzione, autorizzato dal tribunale immediatamente dopo il deposito del ricorso e prima ancora dell'ammissione (e, quindi, prima ancora della predisposizione del piano concordatario), laddove era stata dimostrata dal debitore la convenienza dell'atto per gli interessi dei creditori (

Trib. Arezzo 11 novembre 2010

).

In dottrina, l'opzione maggioritaria ritiene possibile la vendita dell'azienda prima dell'omologazione, sul presupposto che essa si appalesi conveniente e risulti conforme al piano ed agli interessi dei creditori, costituendo la conservazione dell'organismo produttivo una finalità del concordato (

G. Lo Cascio

,

Il concordato preventivo

, Milano, 2011, 331;

M.M. Gaeta

,

Fallimento ed altre procedure concorsuali

, a cura di

G. Fauceglia-L. Panzani

, Padova, 2009, III, 1652;

S. Pacchi-L. D'Orazio-A. Coppola

,

Le riforme della legge fallimentare

, a cura di A. Didone, Torino, 2009, 1869-1870;

A.M. Perrino

,

Fallimento e concordati

, Torino, 2008, 1126

). Nello stesso senso si sono orientati altri studiosi, ritenendo che l'azienda prima dell'omologazione possa essere non soltanto venduta, ma anche affittata (

S. Ambrosini

,

Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti

,

Trattato di diritto commerciale

, Padova, 2088, 97

) (come di fatto avviene in molte procedure concordatarie).

Una parte minoritaria della dottrina, invece, non ritiene possibile la vendita dell'azienda prima dell'omologazione, in quanto tale vendita anticipata renderebbe efficace la proposta ancor prima della pronuncia del decreto di omologazione (

B. Paternò Raddusa

,

Trattato delle procedure concorsuali

, diretto da L. Ghia-C. Piccininni-F. Severini, Torino, 2011, 389

) o, ancora, perché in tal modo sarebbe illegittimamente anticipata la fase della liquidazione (

A. Di Majo

,

Codice commentato del fallimento

, diretto da Lo Cascio,

sub

art. 167, VI, 1509

).

Tuttavia, tale ultima opzione interpretativa non risulta convincente, in quanto non sembra considerare, da un lato, che il compimento di un negozio giuridico, anche se di particolare rilevanza economica (quale, appunto, la vendita dell'azienda), conformemente al contenuto del piano, non sostituisce il giudizio di omologazione con cui si esercita il controllo di legittimità dell'intera procedura; dall'altro, che la vendita viene attuata proprio in conformità al piano (

G. Lo Cascio

,

La vendita dell'azienda nel nuovo concordato preventivo

, cit., 341

).

Tali considerazioni, evidentemente, valgono laddove vi sia un piano concordatario e quindi difficilmente possono applicarsi nella fase successiva al deposito del ricorso in bianco e precedente il decreto di ammissione (atteso che difficilmente in tale caso sarà già stato predisposto il piano). E ancor più valgono laddove non solo vi sia il piano, ma su di esso si siano già espressi i creditori sociali (attuando in tal caso la vendita dell'azienda la loro volontà), essendo intervenuta l'omologa, ancorchè con provvedimento non ancora definitivo.

La possibilità di cedere dell'azienda prima dell'omologa

Analizziamo ora i motivi per cui si ritiene - condivisibilmente - che l'azienda possa essere venduta prima dell'omologa del concordato liquidatorio.

Partiamo da un dato di fatto: nessuna norma pone un divieto di cessione dell'azienda nel corso della procedura di concordato, e non si scorge alcuna ragione per trarre un divieto del genere dai principi generali dell'ordinamento.

Atteso che il concordato liquidatorio è disciplinato dall'

art. 182

l. fall

., che non richiama la cessione dell'azienda prima dell'omologa (definitiva), la soluzione andrà cercata facendo riferimento ad altre norme contenute nella

legge fallimentare

ed in particolare:

  • l'

    art.

    186-

    bis

    l. fall

    ., che disciplina il

    concordato con continuità aziendale e prevede, al comma primo, la «cessione dell'azienda in esercizio» ovvero il «conferimento dell'azienda in esercizio» e, al comma terzo, che «il giudice delegato, all'atto della cessione o del conferimento [dell'azienda], dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni».
    Invero, pare potersi affermare che tale disposizione sarebbe sostanzialmente inutile se destinata ad applicarsi dopo l'omologazione, soccorrendo per tale ipotesi l'art. 108, comma 2, tramite il rinvio contenuto nel nell'art. 182. Lo spirito e la lettera della nuova disciplina dettata dall'

    art. 186

    -bis

    l.

    fall

    . confermano, quindi, la possibilità di cedere l'azienda prima dell'omologa e di cancellare i gravami con provvedimento ex

    art. 108

    l. fall

    . (

    Trib. Messina 8 maggio 2012

    ). La lettera della norma spinge a ritenere che tale autorizzazione del giudice abbia natura espropriativa e, quindi, purgativa dei gravami sui cespiti compravenduti. E tale impostazione implica necessariamente il controllo del tribunale sulla destinazione delle somme incassate, che hanno sì natura di corrispettivo della compravendita, ma costituiscono altresì il ricavato dell'esecuzione forzata (F. Lamanna, Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in Ilfallimentarista.it).
    A maggior ragione tale ragionamento risulta pregnante nella fase esecutiva del concordato per cessione dei beni – quale quello di cui si discute – essendo tale tipo di concordato riconducibile ad una più vasta categoria di procedimenti di esecuzione forzata (in senso lato), al pari della procedura fallimentare (si veda Cass. 14 marzo 2014 ). Al riguardo, è stato osservato che nell'ipotesi in cui il concordato consista nella cessio bonorum ex

    art. 182 l. fall

    ., l'

    art. 186

    -bis

    l. fall

    . avrebbe natura di norma speciale (cfr. Baldassarre-Pereno, Prime riflessioni in tema di concordato preventivo in continuità aziendale, in Ilfallimentarista.it; Sul punto si veda anche Arato, Il concordato con continuità aziendale, in Ilfallimentarista.it; A. Giovetti, Cessione o conferimento di azienda nel concordato in continuità, cit. 8);

  • l'

    art.

    161, settimo comma,

    l. fall

    ., che prevede la possibilità per il debitore, dopo il deposito del ricorso c.d. in bianco e “fino al decreto di cui all'

    articolo 163

    l. fall

    ., di compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato” (

    Trib. Crotone 17 luglio 2014

    ; anche

    App. Venezia 29 maggio 2014

    ).

In tal caso, qualora dimostrato il presupposto dell'urgenza (per esempio dato dalla perdita di valore dell'azienda con il passaggio del tempo) e l'interesse dei creditori, i

l tribunale, a seguito di un'analisi che dovrà essere necessariamente rigorosa - soprattutto alla luce della mancanza del piano – potrà autorizzare la vendita dell'azienda (

cfr. L.

Stanghellini

, Il concordato con continuità aziendale, in

Il Fallimento

10/2013, p. 1237

).

L'autorizzazione del Giudice Delegato e la vendita competitiva dell'azienda

Per altro verso, la tutela dei creditori in relazione alla vendita anticipata dell'azienda risulta garantita attraverso il sistema di vigilanza e di autorizzazioni del giudice delegato di cui all'

art. 167 comma 2

l. fall

. (se nella fase successiva all'ammissione) oppure ai sensi dell'

art. 161 comma 6

l. fall

. (se nella fase anteriore all'ammissione). Autorizzazione ritenuta necessaria, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione (

G. Lo Cascio

,

La vendita dell'azienda nel nuovo concordato preventivo

, cit., 341

).

Anche in tal caso si registrano opinioni differenti, sulla scorta dell'assunto che, trattandosi di operazioni attuative del piano concordatario, tali atti sono sottratti all'autorizzazione del giudice delegato, salvo subordinarne l'efficacia ed eseguibilità solo all'esito dell'omologa del concordato. In questa ottica, la vendita dell'azienda rappresenterebbe una concreta modalità di esecuzione del piano e, quindi, parte integrante dell'accordo; il quale, qualora accettato, diverrebbe insindacabile, in quanto “contrattualizzato” (

A. Giovetti

, Cessione o conferimento di azienda nel concordato in continuità: aspetti operativi, Milano 8-9.4.13, in paradigma.it.).

Al riguardo, tuttavia, sembra assai difficile fare a meno dell'autorizzazione del giudice delegato, atteso che essa attua la dovuta vigilanza dell'autorità giurisdizionale sugli atti negoziali compiuti dal debitore, a presidio della tutela dei creditori e della legittimità stessa dell'atto.

Infatti per le vendite effettuate nell'ambito di una procedura concorsuale, il compimento degli atti sotto il controllo degli organi della procedura in linea di principio assicura il presidio della legalità ed esclude il rischio di una vendita a prezzo vile (o, meglio, inferiore a quello di mercato). E ciò differenzia tali tipi di vendite da quelle effettuate all'infuori delle procedure, laddove la responsabilità concorrente dell'acquirente si giustifica con l'esigenza di proteggere i creditori aziendali contro il rischio di un pregiudizio (che può derivare, appunto, da una vendita a prezzo vile), oltre che dalle difficoltà pratiche di un'azione revocatoria ordinaria (

L. Stanghellini

, Il concordato con continuità aziendale, cit., 1238

).

Pare opportuno precisare che, secondo parte della dottrina, l'autorizzazione del giudice delegato dovrà giungere a seguito dell'esperimento di tutte le verifiche e le procedure che assicurino che la vendita “anticipata” risponda effettivamente all'interesse dei creditori ed avvenga al miglior prezzo possibile, ottenuto mediante procedure competitive (

L. Stanghellini

, ivi, 1236

).

D'altronde, tale opzione interpretativa si inserisce nel solco tracciato dalla nota giurisprudenza meneghina, che applica costantemente la “

regola della necessaria competitività delle vendite attuate ai sensi dell'

articolo 182

l. fall

.” (Ex multis si veda

Tribunale Milano 12.6.2014;

Trib. Milano 27.10.11. Lo stesso tribunale meneghino si era pronunciato in tal senso nel noto caso del concordato preventivo della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor (decreto 11.5.2011). Si veda anche:

Trib. Roma 23.7.2010

; Trib. Piacenza 3.7.2008. Sul punto si veda in dottrina:

L.

Varotti

,

Tribunale di Reggio Emilia

, cit.

).

Di contrario avviso altra

parte della dottrina e della giurisprudenza sostiene la tesi della legittimità del c.d. “pacchetto preconfezionato”

ovvero un piano concordatario che – nell'ottica della massima valorizzazione dell'autonomia privata – sia “chiuso” e determinato in tutti i suoi aspetti

, tra cui la vendita all'affittuario dell'azienda, senza necessità di alcuna procedura competitiva, sulla scorta della nuova concezione privatistica dell'istituto concordatario (

Fabiani, Concordato preventivo per cessione dei beni e predeterminazione delle modalità di liquidazione, in Fall., 2010, 5, 593; Maffei

Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare

, Padova, 2009, 1031; Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, 371;

Trib. Lodi, decr. 1.3.2010

. Per un'ampia panoramica sulle opinioni contrastanti in dottrina, cfr.

Conca

, Concordato Preventivo – Conflitto di interessi e poteri del Tribunale, in ilFallimentarista.it

).

L'opportunità della vendita competitiva, tuttavia, risulta evidente laddove i creditori non si siano ancora espressi sulla vendita dell'azienda o perché non sussiste ancora il piano concordatario o perché non si sia ancora proceduto alla votazione dello stesso.

L'esclusione della responsabilità solidale per il cessionario ex art. 2560 comma secondo c.c.

Ammessa la possibilità di cedere l'azienda prima dell'omologa, a seguito dell'autorizzazione del giudice delegato, v'è ora da chiedersi se alle vendite e ai conferimenti dell'azienda effettuati in pendenza di procedura si applichi il disposto dell'

art. 2560, comma secondo, c.c.

, che prevede la responsabilità dell'acquirente per i debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta e risultanti dalle scritture contabili.

Secondo la giurisprudenza si tratta di una responsabilità

che va ricondotta ad un accollo cumulativo

ex lege

e dà luogo ad una solidarietà in forza di legge tra l'alienante e l'acquirente dell'azienda commerciale;

solidarietà

sui generis

che non implica il diritto del primo di ripetere, neppure in parte, dal secondo quanto versato al terzo creditore (cfr.

Cass. 3.4.2002, n. 4726

).

Peraltro, secondo attenta dottrina, l'

art. 2560, comma 2 c.c.

adempie alla funzione di tutelare il creditore contro la perdita, da parte del proprio originario debitore, di quella che di solito è la componente principale del suo patrimonio: ciò alla luce della difficoltà pratica di assoggettare la cessione di un'azienda ad azione revocatoria e all'espropriazione forzata che consegue al suo vittorioso esperimento (art. 2910, comma secondo, ultima parte c.c.) (

G.E. Colombo

,

L'azienda

, in

Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia

, a cura di F. Galgano, vol. III, Padova, 1979, 150 ss.).

Ebbene, il problema è il seguente: se per le cessioni in esecuzione del concordato (definitivo) tale responsabilità certamente non opera, ai sensi dell'

art. 105, comma 4,

l. fall

., richiamato dall'

art.

182 l. fall

., per le cessioni effettuate in pendenza della procedura non sussiste alcuna espressa disposizione in tal senso.

Così, applicando la pura esegesi letterale delle norme, di cui al brocardo ubi lex voluit dixit ubi noulit tacuit (

G. Tarello, L'interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale a cura di A. Cicu-F. Messineo-L. Mengoni, Milano, 1980, 346

), non essendovi una espressa disposizione si dovrebbe escludere la disattivazione dell'

art. 2560, comma 2, c.c.

. Tuttavia tale conclusione appare ictu oculi come troppo semplicistica, in quanto:

- se operasse la suddetta responsabilità, da un lato si creerebbe una grave disparità di trattamento fra creditori, alcuni dei quali destinati ad essere soddisfatti integralmente e altri a subire il costo di tale integrale soddisfazione (essendo

evidente che l'acquirente dedurrà dal prezzo che è disposto a pagare quanto dovrà corrispondere ai creditori verso cui assuma responsabilità

ex

art. 2560, comma 2, c.c.

, con danno dei creditori residui

), dall'altro lato la stessa cessione potrebbe rivelarsi – di fatto - impossibile tutte le volte in cui l'ammontare dei debiti che l'acquirente dovrebbe accollarsi

ex lege

superi il valore dell'azienda;

- è p

roprio la disattivazione dell'

art. 2560, comma 2, c.c.

, come noto, una delle ragioni d'essere delle procedure concorsuali: le regole del diritto fallimentare servono proprio a vendere le aziende di imprenditori insolventi che abbiano ancora (un qualche) valore, disattivando le regole del diritto civile (altrimenti, non vi sarebbero compratori per aziende di debitori insolventi). E la disattivazione della norma di cui all'

art. 2560, comma 2, c.c.

poggia sulla circostanza che la vendita avviene sotto la vigilanza dell'autorità giudiziaria (sulla congruità del prezzo di vendita e sulla corretta distribuzione fra i creditori di quanto è stato ricavato).

Invero, dal punto di vista esegetico, va ricordato che il legislatore

espressamente contempla la possibilità che vi siano fattispecie non previste né risolte da norme giuridiche, ossia l'esistenza di lacune; le quali devono, tuttavia, essere colmate dal giudice, che non può rifiutarsi di risolvere un caso pratico adducendo la mancanza di norme. E l

'art. 12, comma 2, delle preleggi prevede il ricorso a d

isposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (G. Tarello, L'interpretazione della legge, cit., p. 350) ovvero, se il caso rimane ancora dubbio, ai principi generali dell'ordinamento giuridico.

Così considerazioni di carattere sistematico e di completezza del diritto portano a ritenere preferibile la disattivazione della responsabilità

ex

art. 2560, comma 2, c.c.

E ciò per un duplice ordine di motivi:

  • in primis

    , è insita nella procedura di concordato la sostituzione della tutela individuale con la tutela collettiva, sotto il controllo del giudice. Nella sede concorsuale, la responsabilità dell'acquirente dell'azienda (tipico rimedio individuale del creditore dell'azienda ceduta) porterebbe ad una alterazione delle posizioni dei creditori: egli pagherebbe per l'azienda un prezzo minore (con danno di tutti i creditori) per il fatto di dover soddisfare soltanto alcuni di essi per intero;

  • in secundis

    , va rilevato che, avendo – come visto - la responsabilità dell'acquirente natura omogenea a quella della revocatoria, in quest'ottica la pendenza di una procedura di concordato - e il relativo regime delle autorizzazioni giudiziali - si sovrappone completamente alla tutela dei creditori (preventiva e successiva) che opera in relazione a puri atti di autonomia negoziale che il debitore compia da solo (cfr.

    L. Varotti,

    Tribunale di Reggio Emilia

    , cit.

    ).

D'altronde, atteso che, nell'ambito del concordato, la tutela dei creditori è collettiva e la tutela del creditore singolo va necessariamente a scapito degli altri, così come non opera la revocatoria per gli atti autorizzati dal giudice all'interno del concordato preventivo (art. 67, comma 3, lett. d), del pari non opera neppure la responsabilità di cui all'

art. 2560, comma 2, c.c.

.

Va comunque ricordato che già prima della riforma del 2006-2007 - che ha introdotto l'

art. 105, comma 4,

l. fall

. e l'

art. 182, comma 5,

l. fall

. che vi fa rinvio - la disapplicazione dell'

art. 2560, comma 2, c.c.

nelle liquidazioni concorsuali non era prevista da alcuna norma, venendo fatta derivare, pacificamente, dai principi generali dell'ordinamento (

P. Pajardi

,

Codice del fallimento

, II ed., Milano, 1994, 473

).

A fortiori

con l'introduzione delle suddette norme la conclusione che opta per la disattivazione della solidarietà (di cui all'

art. 2560, comma 2, c.c.

) sembra rafforzata. E la già citata norma di cui all'

art. 182, comma 5,

l. fall

. pare confermare la natura non puramente privatistica degli atti autorizzati dal giudice delegato e la conseguente sostituzione della tutela individuale dei creditori di fronte a tali atti con quella collettiva. Del pari, la disattivazione appare consequenziale anche alle vendite e ai conferimenti dell'azienda autorizzati

ex

art. 161, comma 7

l. fall

.: se la vendita è legittima, essa lo è con effetto purgativo della responsabilità del cessionario (

L. Stanghellini

, Il concordato con continuità aziendale, cit., 1238

).

Ovviamente quanto sopra non vale per la responsabilità per i debiti verso i lavoratori ai sensi dell'

art. 2112 c.c.

:

la responsabilità del cessionario dell'azienda per i debiti del cedente verso il lavoratore passato alle sue dipendenze è infatti più ampia, operando anche in caso di affitto d'azienda e prescindendo dalla loro iscrizione nelle scritture contabili, e sorge anche in caso di trasferimento effettuato nell'ambito di procedure concorsuali, salvo quanto disposto dall'accordo che sia stato raggiunto nell'ambito delle consultazioni sindacali.

Per una conclusione

Sulla scorta dell'opinione della maggioranza della giurisprudenza e della dottrina, applicando per analogia norme rinvenibili all'interno del sistema (art. 186-bis, commi primo e terzo, ed

art. 161, comma 7,

l. fall

.) si ritiene possibile cedere l'azienda prima dell'omologa del concordato, con disattivazione della responsabilità solidale di cui all'

art. 2560 comma 2 c.c.

, a condizione che la cessione corrisponda ad un interesse dei creditori, sia prevista nel piano concordatario e sia autorizzata dal giudice delegato.

Conclusione ancor più condivisibile laddove i creditori si siano già espressi sul piano concordatario e la maggioranza di essi lo abbia approvato (ma l'omologa non sia divenuta ancora definitiva, per esempio perché pende il procedimento di reclamo

ex

art. 183

l. fall

.).

Qualora, invece, manchi il piano concordatario, in quanto il debitore si trovi nella fase successiva al

la presentazione della domanda con riserva,

si dovrà porre massima cautela nell'autorizzare la vendita dell'intera azienda o di rami d'azienda essenziali. In tal caso, la procedura competitiva appare necessaria, onde assicurare la tutela dei creditori sociali. Potrà, quindi, essere stipulato

un contratto di affitto con opzione d'acquisto a favore del debitore del conduttore, da esercitare dopo l'ammissione al concordato e in conformità alle relative regole.

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