Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci di s.r.l. ex art. 146 l. fall.

Paolo Pannella
18 Febbraio 2013

Il presente commento ha origine da un provvedimento del Tribunale di Torre Annunziata (ordinanza 14 dicembre 2011), innanzi al quale veniva presentato ricorso per sequestro conservativo con cui il curatore di una società fallita chiedeva sottoporsi al vincolo di indisponibilità i beni appartenenti a due amministratori e tre sindaci, addebitando loro le seguenti condotte: l'aver alienato in data 16.5.2006 un complesso immobiliare e l'aver conferito il 30.10.2006 un ramo d'azienda in una costituenda società a fronte di corrispettivi del tutto incongrui; il non aver riportato le intervenute dismissioni nella situazione patrimoniale redatta ex art. 2482-bis c.c. il 30.5.2007 (e posta alla base della delibera del 5.7.2007 con la quale l'assemblea si era limitata a ridurre il capitale sociale al fine di coprire le contenute, apparenti perdite fino ad allora maturate), in tal guisa occultando di fatto le effettive condizioni patrimoniali deficitarie della società; l'avere, per l'effetto, posticipato illegittimamente per oltre un anno l'assunzione delle iniziative prescritte dall'art. 2482-ter c.c., avendo esposto all'attivo solo nel bilancio del 2007 - approvato il 29.9.2008 - il valore del complesso immobiliare ceduto e del ramo d'azienda conferito e contestualmente deliberato la messa in liquidazione della società a decorrere dal successivo mese di ottobre.
Premessa

Il presente commento ha origine da un provvedimento del Tribunale di Torre Annunziata (ordinanza 14 dicembre 2011), innanzi al quale veniva presentato

ricorso per sequestro conservativo con cui il curatore di una società fallita chiedeva sottoporsi al vincolo di indisponibilità i beni appartenenti a due amministratori e tre sindaci, addebitando loro le seguenti condotte: l'aver alienato in data 16.5.2006 un complesso immobiliare e l'aver conferito il 30.10.2006 un ramo d'azienda in una costituenda società a fronte di corrispettivi del tutto incongrui; il non aver riportato le intervenute dismissioni nella situazione patrimoniale redatta

ex

art. 2482-

bis

c.c.

il 30 maggio 2007 (e posta alla base della delibera del 5 luglio 2007 con la quale l'assemblea si era limitata a ridurre il capitale sociale al fine di coprire le contenute, apparenti perdite fino ad allora maturate), in tal guisa occultando di fatto le effettive condizioni patrimoniali deficitarie della società; l'avere, per l'effetto, posticipato illegittimamente per oltre un anno l'assunzione delle iniziative prescritte dall'

art. 2482-

ter

c.c.

, avendo esposto all'attivo solo nel bilancio del 2007 - approvato il 29 settembre 2008 - il valore del complesso immobiliare ceduto e del ramo d'azienda conferito e contestualmente deliberato la messa in liquidazione della società a decorrere dal successivo mese di ottobre.

Le questioni giuridiche e la soluzione

L'ordinanza del Tribunale di Torre Annunziata ha ad oggetto un'ipotesi di responsabilità sociale degli amministratori di una s.r.l. inadempienti ai doveri loro imposti dalla legge. Esamina in particolare la violazione del “divieto di nuove operazioni” (attualmente disciplinato dall'

art. 2486 c.c.

).

Nel caso in esame il curatore aveva chiesto il sequestro conservativo dei beni appartenenti a due amministratori e tre sindaci della società fallita, a garanzia dell'azione di responsabilità da promuovere nei confronti degli stessi. La censura mossa dalla curatela all'operato degli amministratori è stata principalmente quella di aver violato il divieto dell'

art. 2486 c.c.

, proseguendo l'attività sociale e compiendo nuove operazioni, nonostante il persistere di una causa di scioglimento. Il Giudice, però, ha rigettato il ricorso, non ritenendo sufficientemente

provata la responsabilità degli amministratori, in mancanza di adeguata e precisa dimostrazione, da parte della curatela, delle operazioni poste in essere dopo il verificarsi della causa di scioglimento.

L'ordinanza in esame ha affrontato alcune tematiche strettamente correlate:

  • l'onere della prova gravante sul soggetto che promuove l'azione di responsabilità verso gli amministratori,

  • l'accertamento della responsabilità di questi ultimi, e

  • la conseguente determinazione del danno.

E' chiaro che il giudice può accertare la sussistenza di una responsabilità in capo agli amministratori solo sulla base di prove specifiche; ovvero, in mancanza di queste, potrà fare ricorso alle presunzioni, purché gravi, precise e concordanti. Alla luce di questa preliminare considerazione occorre, dunque, analizzare i presupposti per la proponibilità dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una s.r.l. da parte della curatela fallimentare, prima in generale, e poi nella specifica ipotesi in cui si verifichi una causa di scioglimento della società.

Ai sensi dell'

art. 2476, comma 1, c.c.

, gli amministratori di una S.r.l. sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Dal dettato normativo è possibile individuare, allora, i presupposti principali sui quali si fonda la responsabilità per la gestione societaria: l'esistenza di un pregiudizio patrimoniale per la società e un comportamento degli amministratori non conforme agli obblighi loro imposti dalla legge. è

necessaria l'esistenza di un nesso causale tra la violazione dei doveri di amministrazione ed il danno determinatosi (considerato, soprattutto, che alcuni comportamenti illeciti degli amministratori possono provocare addirittura un vantaggio per la società).

Per quanto riguarda, poi, la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle specifiche competenze, il legislatore, a differenza di quanto accade nell'ambito della disciplina delle società per azioni (

art 2392, comma 1, c.c.

), non fa espressamente riferimento a tale parametro per l'accertamento della responsabilità degli amministratori di una s.r.l.; ma, secondo alcuni autori, il criterio della diligenza non può non valere anche per una s.r.l. (O.CAGNASSO, La responsabilità degli amministratori di s.r.l, in La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, a cura di S.AMBROSINI, Milano, 2007, 223). Ciò significa che anche per gli amministratori di una s.r.l., accanto ad obblighi aventi un contenuto specifico (la cui violazione determina di per sé la responsabilità, in quanto valutata “a priori” dalla legge ) sussiste l'obbligo generico (o, come da taluno definito, vago. V. R. RORDORF, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla perdita del capitale, in Le Società, 2009, 277) di gestire la società con diligenza, in relazione al quale la responsabilità va valutata “a posteriori” e caso per caso (BONELLI, L'amministrazione della s.p.a. nella riforma, Gcomm, 2003, 170; nonché TOFFOLETTO, Amministrazione e contratti, AA.VV. , Diritto delle società di capitali, Milano, 2003, 142).

Per quanto riguarda gli obblighi imposti agli amministratori dalla legge, va sottolineato che il legislatore non ne ha fornito una elencazione puntuale; ma ne ha introdotti alcuni nel corpo della disciplina della s.r.l. Tra questi vi è l'obbligo di astenersi dal compiere nuove operazioni allorchè si verifichi una causa di scioglimento della società (previsto dall'

art. 2486 c.c.

, che riprende, seppure con una diversa formulazione, il previgente

art. 2449 c.c.

); nel senso che, al verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori conservano solo il potere di gestire la società ai fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale, assumendo la responsabilità personale e solidale per gli eventuali danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi in conseguenza di atti od omissioni compiuti in violazione di tale previsione.

Ma in quali casi l'attività degli amministratori oltrepassa i limiti della gestione conservativa, portando al compimento delle cosiddette nuove operazioni? La giurisprudenza, pacificamente, definisce nuove tutte quelle operazioni oggettivamente incompatibili con l'attività di liquidazione, che ha come scopo quello di definire i pregressi rapporti giuridici. Non sono, invece, tali, le attività economiche necessarie alla liquidazione, in quanto dirette a prepararla, attuarla o renderla più proficua.

Il parametro di riferimento per l'accertamento della responsabilità degli amministratori derivante dalla violazione dell'

art. 2486 c.c.

, quindi, non è più rappresentato dalla valutazione dell'operazione in sé considerata, ma dalla valutazione (da effettuare “ex ante”) della finalità verso la quale è orientata l'attività gestoria degli amministratori, i quali possono anche far correre alla società un rischio di impresa, se si tratta di valorizzare concrete opportunità già presenti nel patrimonio sociale; ma, dall'altro, non possono sfruttare nuove opportunità dirette ad incrementare il patrimonio, in quanto questo deve essere semplicemente conservato (PROTO, Le azioni di responsabilità contro gli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Fall., 2003, 1143; A.PENTA, La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità: le operazioni compiute dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, in DFSC 2006, 670; C.PROTO, L'azione dei creditori sociali nella società a responsabilità limitata e la determinazione del danno, in Fall., 2010, 738).

Ad ogni modo, in epoca sia precedente che successiva alla riforma, la dottrina e la giurisprudenza hanno affermato che per gli amministratori è possibile eseguire operazioni sociali il cui perfezionamento o la cui conclusione risalga ad un'epoca precedente la causa di scioglimento, soprattutto laddove il valore del patrimonio può essere conservato concludendo l'atto, anziché astenendosi dal compierlo.

L'accertamento della responsabilità degli amministratori

E' corretto, dunque, da parte degli amministratori, continuare a dare esecuzione ai contratti in essere, oppure continuare l'impresa con le scorte, i dipendenti o la rete di ausiliari esterni al momento dello scioglimento, anche in vista di una eventuale cessione in blocco dell'azienda; mentre l'improvvisa cessazione dell'attività di impresa potrebbe pregiudicare la conservazione dell'integrità del patrimonio, provocando anche la perdita dell'avviamento (M.M.GAETA, La responsabilità gestoria nella fase di liquidazione, in Le Società, 2009, 194; SALAFIA, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Le Società, 2003, 377 e ss; FERRI J., La gestione di società in liquidazione, in Riv. Dir. Comm., 2003, 421 e ss).

Il divieto di nuove operazioni

(o l'attuale obbligo di gestione conservativa) non impedisce, dunque, agli amministratori, di compiere gli atti necessari per la conclusione delle operazioni pendenti al momento del verificarsi della causa di scioglimento; e non impedisce nemmeno lo svolgimento dell'attività di gestione dell'impresa finalizzata concretamente alla conservazione dell'azienda (

Cass. 16 Febbraio 2007, n. 3694

;

Cass. 23 Giugno 2008, n. 17033

; RORDORF, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla perdita del capitale, in Le Società, 2009, 277; G.ZAGRA, Divieto di nuove operazioni: autonomia dell'azione

ex art. 2449 c.c.

, in Le Società, 1996, 285; M.P.FERRARI, Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell'attività sociale, in Le Società, 2012, 274).

Peraltro il sistema delineato dall'

art. 2486 c.c.

(che ha sostituito il divieto di nuove operazioni in precedenza espressamente previsto dall'

art. 2449 c.c.

) ha abbandonato il criterio attributivo di illimitata responsabilità per gli affari intrapresi per il diverso criterio della responsabilità per violazione dell'obbligo di gestione conservativa; e ciò ha trasformato la responsabilità per debito in responsabilità per colpa, nel senso che l'amministratore non risponde più quale coobbligato con la società per il debito da questa contratto suo tramite, ma per il danno arrecato al patrimonio della società. Di conseguenza, se l'operazione compiuta dall'amministratore, pure in violazione del dovere di gestione conservativa, non ha determinato un danno per la società, il curatore non potrà esercitare, per questa operazione, alcuna azione di responsabilità (A.PENTA, La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità: le operazioni compiute dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, in DFSC, 2006; C.PROTO, L'azione dei creditori sociali nella società a responsabilità limitata e la determinazione del danno, in Fallimento, 2010, 731; N.ABRIANI, Le azioni di responsabilità nei confronti degli organi della società fallita, in La riforma del diritto fallimentare, a cura di M.L. Campiani, Napoli, 2008; M.P.FERRARI, Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell'attività sociale, in Le Società, 2012, 274).

Secondo la nuova disciplina, quindi, la speciale forma di responsabilità

ex art. 2486 c.c.

si colloca sul piano della disciplina tipica della responsabilità per danni; per cui gli amministratori sono da ritenere responsabili solo se ed in quanto, con un'azione od omissione che violi la disposizione medesima, compromettano una posizione giuridica tutelata, determinando un danno causalmente collegato a tale comportamento (F.GUSSO e S.CRIVELLARI, Responsabilità degli amministratori successiva ad una causa di scioglimento della società, in Le Società, 2005, 744; R.RORDORF, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla perdita del capitale, in Le Società, 2009, 284).

Orbene, nella nuova formulazione dell'

art. 2486 c.c.

la fattispecie passa da una responsabilità oggettiva derivante dal mero compimento della nuova operazione ed indipendente dalla produzione del danno (

art. 2449 c.c.

ante riforma), ad una responsabilità per inadempimento dell'obbligo di conservare l'integrità ed il valore del patrimonio sociale, il cui elemento essenziale, però, è dato dalla produzione di un danno verso i creditori, i soci o i terzi.

La novella del 2003 (eliminando il parametro strutturale rappresentato dal divieto di nuove operazioni a favore di un più elastico criterio funzionale rappresentato dalla gestione conservativa del patrimonio sociale) ha così creato un sistema che, se da un lato si adatta meglio alla variabilità delle situazioni derivanti dallo scioglimento della società, dall'altro richiede all'interprete (cioè al giudice) un'analisi più approfondita dei singoli casi. Infatti, più le previsioni normative sono generali, maggiore è la discrezionalità e la responsabilizzazione dei giudici (.M.ZAMPERETTI, La prova del danno da gestione non conservativa nella società disciolta per perdita del capitale, in Fall., 2009, 571).

Sulla scorta di tali principi, dunque, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il curatore che voglia far valere la responsabilità degli amministratori per violazione del dovere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale (di cui al nuovo testo dell'

art. 2486 c.c.

) ha l'onere di specificare i singoli atti gestori concretamente adottati dagli amministratori in violazione di tale dovere e di provare il danno derivato da tali comportamenti, non limitandosi ad una generica deduzione dell'illegittimità dell'intera condotta (Trib. Milano, 18 gennaio 2011;

Cass. 29 ottobre 2008, n. 25977

;

Trib. Milano, 1 aprile 2011

).

Solo in quanto possa dimostrarsi che le operazioni poste in essere oltre il limite della gestione conservativa hanno prodotto conseguenze negative, e solo entro i limiti in cui ne è effettivamente derivata una perdita per il patrimonio sociale, sarà possibile chiamare gli amministratori a risponderne a titolo di risarcimento dei danni cagionati alla società (R. RORDORF, Il risarcimento del danno nell'azione di responsabilità contro gli amministratori, in Le Società, 1993; A. SEPE La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Le s.r.l., a cura di A. DI AMATO, 2011, 345).

A tale proposito è necessario analizzare i limiti dell'intervento del giudice nel sindacare le operazioni di gestione compiute dall'amministratore. In particolare, considerato l'obbligo degli amministratori ai sensi dell'

art. 2486 c.c.

di gestire con intento conservativo l'integrità ed il valore del patrimonio sociale sino alla convocazione dell'assemblea per la liquidazione della società (salvo volontà diversa dei soci), è opportuno chiarire in che modo il giudice può interpretare “a posteriori” l'operato gestorio e quali sono i limiti di sindacabilità. Ebbene, nell'ambito dell'accertamento della responsabilità degli amministratori opera il principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, la c.d. business judgement rule. Tale principio comporta che il giudice non può apprezzare il merito dei singoli atti di gestione, valutandone l'opportunità e la convenienza. La gestione della società, infatti, richiede un ampio potere discrezionale in capo all'organo amministrativo circa le operazioni da compiere; per cui ciò che può formare oggetto di sindacato da parte del giudice non è l'atto in sé considerato (ed il risultato eventualmente prodotto), ma esclusivamente le modalità di esercizio del potere discrezionale da parte degli amministratori (

Cass., 24 agosto 2004, n. 16707

; Trib. Milano, 10 febbraio 2000; Trib. Milano 10 giugno 2004).

E' opportuno chiarire, inoltre, che attendere diligentemente agli obblighi prescritti dalla legge non significa dover garantire il successo o il buon esito della iniziativa imprenditoriale. Ciò che la legge impone all'amministratore è di essere comunque prudente e avveduto nelle scelte di gestione, per cui il merito dell'attività di gestione non è suscettibile di sindacato da parte del giudice, in quanto attiene alla discrezionalità imprenditoriale; ma le scelte dell'amministratore possono essere valutate solo al fine di verificare l'omissione di quelle cautele o verifiche normalmente richieste per una scelta imprenditoriale di quel genere, tale da configurare la violazione dell'obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministratore (Trib. Milano, 20 febbraio 2003). La responsabilità dell'amministratore potrà essere accertata, dunque, soltanto qualora il giudice, valutando la condotta dell'amministratore con riferimento al momento in cui fu posta in essere, la giudichi non conforme a diligenza. La prova della non diligenza, ad ogni modo, deve essere chiesta e dimostrata dalla curatela mediante l'esame di specifici atti (in presenza di documenti e scritture contabili). Infatti, per aversi responsabilità degli amministratori è necessaria soprattutto la dimostrazione del nesso eziologico tra comportamento (atti di mala gestio) e danno; onere che incombe proprio su chi promuove l'azione di responsabilità.

Conclusioni

E' necessaria, allora, una verifica, caso per caso, dei danni patrimoniali imputabili alle singole operazioni poste in essere oltre i limiti della gestione conservativa; ed il Giudice, chiamato a giudicare quanto asserito dalla curatela, non potrà far altro che verificare se gli atti denunciati siano da considerarsi lesivi degli interessi dei soci o dei creditori sociali “iuxta alligata et probata”. Di conseguenza, per la quantificazione del danno il Giudice non potrà fare ricorso ai criteri presuntivi secondo i quali il danno risarcibile sarebbe individuato automaticamente nella differenza tra attivo e passivo fallimentare o nel saldo negativo dei patrimoni netti (da intendersi come la differenza tra il patrimonio netto al momento della perdita del capitale e il patrimonio netto al momento del fallimento), a meno che non siano riscontrabili omissioni o irregolarità contabili ascrivibili agli amministratori, tali da non permettere la ricostruzione delle vicende prefallimentari da parte degli organi della procedura (A.PENTA, La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità: le operazioni compiute dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, in DFSC, 2006). In tutti gli altri casi il danno viene definito dalle conseguenze offensive immediate e dirette delle specifiche violazioni attribuite all'organo amministrativo (

Trib. Milano, 8 marzo 2007

;

App. Milano, 6 giugno 2007

;

Trib. Napoli, 9 aprile 2008

; R.RORDORF, La responsabilità civile degli amministratori di s.p.a. sotto la lente della giurisprudenza, in Le Società, 2008, 1200).

Il criterio della differenza tra attivo e passivo patrimoniale, però, secondo la giurisprudenza, continua a trovare applicazione quando l'assenza assoluta di contabilità non consenta di ricostruire l'andamento della gestione sociale, ovvero vi sia l'impossibilità di ricostruire i dati contabili e di individuare, sulla loro scorta, le conseguenze dannose riconducibili agli amministratori. In altri termini, pur affermando la generale inapplicabilità del criterio di quantificazione del danno nella misura del deficit fallimentare, la giurisprudenza ritiene che tale criterio presuntivo possa essere adottato quando per il curatore sia impossibile ricostruire le vicende societarie, per la mancanza o la irregolare tenuta delle scritture contabili (

Cass. 15 febbraio 2005, n. 3032

;

Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538

). Insomma, al di fuori dell'ipotesi di omessa e/o irregolare tenuta delle scritture contabili (caso in cui si può ricorrere, secondo la giurisprudenza, a criteri presuntivi per la determinazione del danno), per poter addebitare agli amministratori l'intero deficit patrimoniale della società fallita occorre dimostrare che la formazione di tale deficit è conseguenza degli atti o delle omissioni illegittimi degli organi sociali.

Infatti, se è vero che il risarcimento del danno presuppone la prova dell'esistenza di un nesso causale tra il danno stesso e l'atto illecito, non si vede come possa prescindersi da tale dimostrazione e presumere il nesso di causalità (R. RORDORF , Il risarcimento del danno nell'azione di responsabilità contro gli amministratori, in Società, 1993, 622; M.P.FERRARI, Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell'attività sociale, commento a

Trib

.

Milano, 1 aprile 2011

, in Le Società, 2012, 271). La responsabilità degli amministratori, allora, va valutata caso per caso, sulla base di adeguata e precisa dimostrazione degli addebiti da parte di chi agisce in giudizio, potendo fare ricorso a criteri presuntivi solo in determinate ipotesi, quali la mancanza o irregolarità delle scritture contabili.

Nel caso di specie, dunque, l'amministratore avrebbe potuto essere considerato

responsabile se il curatore avesse fornito la prova specifica che la gestione della società, nonostante la causa di scioglimento, non era stata finalizzata alla conservazione del patrimonio; e il danno sarebbe dovuto corrispondere al risultato economico negativo della gestione a partire da quando si fosse verificata la perdita del capitale (C.PROTO, L'azione dei creditori sociali nella società a responsabilità limitata e la determinazione del danno, in Fallimento, 2010, 738).

Merita precisare, alla luce delle nuove linee interpretative giurisprudenziali, che, essendo sostanzialmente svanita per effetto del novellato

art. 67

l. fall

. l'azione revocatoria fallimentare, soprattutto nei confronti degli istituti di credito, a seguito sia della riduzione dei termini sia per le esenzioni di cui all'

art. 67,

comma

3, l. fall

., il curatore fallimentare, al fine di “far cassa” , spesso sulla base di indizi o labili presunzioni, chiede ed ottiene l'autorizzazione dal G.D. a promuovere azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Ed infatti sovente si “istruiscono” atti di citazione per diversi milioni di euro nei confronti di amministratori che, o non hanno propri beni, o qualche appartamento in città, magari la propria abitazione, il cui valore è irrisorio rispetto ai presunti danni.

Si spera, così, di intimorire l'amministratore affinchè giunga ad una transazione magari per qualche migliaia di euro che copra le spese legali e quelle della curatela. Se, invece, non si giunge ad una transazione e l'amministratore (nella maggior parte dei casi) non ha “beni da aggredire”, il giudizio si conclude in ogni caso con spese legali a carico del fallimento sia se quest'ultimo risulti vittorioso nella causa, sia se perdente.

Non voglio così scoraggiare i curatori a promuovere azioni di responsabilità, né tantomeno ad evitare di richiedere eventuali provvedimenti cautelari conservativi, ma voglio far presente, nella “rotta” della sentenza che si commenta, che il buon curatore deve provare la domanda. Ciò vuol dire che la richiesta azione di responsabilità dell'amministratore deve fondarsi su elementi di prova risultanti dalle scritture contabili, nonché dal comportamento complessivo della gestione della società.

Per quanto riguarda il Giudice, anche alla luce della introduzione delle norme che consentono ai soci delle Srl di verificare in qualsiasi momento lo svolgimento e l'andamento delle società, significando così un maggiore e continuo “interessamento” dell'attività d'impresa, il ricorrere alle presunzioni per l'accertamento delle responsabilità in mancanza di prove da parte della curatela comporta buon senso, capacità e serenità d'animo dello stesso giudice. E' il caso, poi, di chiarire che il giudicante deve accertare il nesso tra la responsabilità ed il danno scaturente, e che le scelte gestionali non sono sindacabili se estrapolate dal contesto in cui sono sorte e se non sono “enormemente dannose “ o irragionevoli.

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