Concordato in continuità: alcune riflessioni operative (dalla parte dell'advisor)

Fabio Maria Venegoni
28 Marzo 2013

Nella elaborazione dei Piani di Risanamento, da depositare presso il Tribunale competente in allegato ai ricorsi per l'omologazione di concordati preventivi con continuità aziendale, sono emersi sul tavolo degli advisor e degli attestatori numerosi interrogativi, alcuni dei quali si ripetono pressoché in ogni procedura.
Premessa

Nella elaborazione dei Piani di Risanamento, da depositare presso il Tribunale competente in allegato ai ricorsi per l'omologazione di concordati preventivi con continuità aziendale, sono emersi sul tavolo degli advisor e degli attestatori numerosi interrogativi, alcuni dei quali si ripetono pressoché in ogni procedura.

Qui, a titolo esemplificativo, vengono esaminate quattro fattispecie:

  • richiesta di pagamento dei crediti “anteriori

    ”;

  • trattamento dei debiti verso il personale dipendente;

  • presenza di rilevanti attività immateriali nel compendio aziendale;

  • moratoria di un anno sui debiti

    .

A parte forse il primo caso, negli altri sembra che si prefiguri un indissolubile conflitto di interessi tra i creditori e il soggetto debitore, che non può essere certamente sottaciuto o ignorato.

Richiesta di pagamento dei crediti “anteriori”

A partire dalla presentazione del pre-ricorso, il debitore non può provvedere al pagamento dei debiti sorti per titolo o causa anteriore alla data del suo deposito presso il Tribunale competente.

Il soggetto debitore, infatti, può effettuare solo operazioni di carattere ordinario e, subordinatamente alla autorizzazione del giudice, operazioni di carattere straordinario (Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del Tribunale, ivi)

.

Tuttavia, spesso alcuni fornitori si trovano in una situazione di particolarissima forza contrattuale.

Si pensi, ad esempio, al caso dei soggetti che somministrano servizi essenziali quali l'energia: essi possono in ogni momento assumere un atteggiamento molto severo nei confronti dell'impresa debitrice, minacciando l'interruzione dell'erogazione dell'energia in assenza dell'immediato pagamento del debito per i servizi resi prima del deposito del pre-ricorso, che l'impresa debitrice non può effettuare, per espresso divieto di legge.

Peraltro, il cambio del soggetto somministrante richiede tempo, secondo le modalità attuative in vigore, per cui l'eventuale comunicazione al soggetto erogante l'energia della volontà di cambiare il fornitore non avrebbe altra conseguenza che provocare l'interruzione della fornitura, con effetti che potrebbero rendere del tutto inattuabile il piano di risanamento aziendale, vanificando ogni azione nel frattempo compiuta.

Si pensi anche al caso in cui l'impresa debitrice sia, ad esempio, una società commerciale con punti vendita aperti al pubblico, che realizza gli incassi anche attraverso il servizio delle carte di credito, prepagate e Bancomat. L'interruzione del servizio di telecomunicazione impedirebbe, di fatto, la vendita di prodotti e servizi tramite sistemi elettronici di pagamento, così vanificando, immediatamente e direttamente, molti ricavi.

Allo scopo di scongiurare l'interruzione dei servizi essenziali, l'art. 182-quinquies, comma 4, ha previsto che “il debitore … può richiedere al tribunale di essere autorizzato … a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, se un professionista … attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”.

A tale riguardo, mentre risulta agevole all'Attestatore affermare che la fornitura di energia elettrica risulta essenziale per la prosecuzione della attività, risulta per contro più complesso confermare che essa si presenta “funzionale ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”, se non sul presupposto che il percorso di risanamento possa proseguire e completarsi, quindi sulla base di numerose ipotesi e congetture.

Peraltro, trattandosi di pagamenti di crediti anteriori, e quindi potenzialmente idonei a determinare una alterazione della par condicio creditorum, i giudici sono molto prudenti ad autorizzare detti pagamenti, senza una contemporanea maggiore visibilità del piano di risanamento.

In tali casi, sarebbe utile che la dottrina e l'orientamento dei giudici identificasse una prassi per superare la criticità, così da evitare che percorsi di risanamento siano stroncati sul nascere per un'evidente inconciliabilità tra l'impossibilità, da parte dell'impresa debitrice, di pagare i debiti pregressi (o anteriori) e l'atteggiamento di quei fornitori strategici che, sentendosi particolarmente forti sul piano negoziale, subordinano la continuazione dell'erogazione dei propri servizi al pagamento dei debiti scaduti.

Trattamento dei debiti verso il personale

Nella predisposizione dei piani di risanamento nell'ambito di progetti di concordato in continuità, l'advisor si trova sempre nelle condizioni si svolgere un'analisi comparata della convenienza (per i creditori, non per il soggetto debitore) della continuità aziendale rispetto all'immediata liquidazione dei beni dell'impresa in stato di crisi.

In tali circostanze, l'analisi comparata deve produrre un predeterminato risultato, caratterizzato dalla misura della soddisfazione dei creditori nelle due ipotesi (continuità e liquidazione). Vi è discussione sul fatto se il giudizio di comparazione debba fondarsi anche su altri elementi, oltre alla percentuale di soddisfazione delle ragioni creditorie, quali i tempi e le modalità secondo cui avverrebbe la soddisfazione dei creditori (

Vitiello, Brevi (e scettiche) considerazioni sul concordato preventivo con continuità aziendale, in ilFallimentarista.it

).

In ogni caso, senza addentrarsi nel merito del problema, spesso l'analisi comparata rileva una serie di situazioni delicate, che devono essere vagliate con assoluta prudenza e con la massima attenzione.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui un'impresa abbia accumulato, nel corso degli anni, considerevoli debiti nei confronti del personale dipendente, per TFR, ferie non godute, indennità di vario genere.

In tal caso, mentre lo scenario del concordato in liquidazione comporta l'integrale pagamento dei debiti verso il personale, caratterizzato - tra l'altro - da un generale privilegio, lo scenario del concordato in continuità potrebbe eliminare completamente la manifestazione finanziaria del pagamento, sul presupposto e nell'eventualità in cui la prosecuzione dell'attività dell'impresa non determini alcuna riduzione del personale in forza e quindi tutti i dipendenti rimangano pienamente occupati.

Quindi, venendo meno la necessità di liquidare i debiti accumulati nei confronti del personale, l'impresa potrebbe destinare le medesime risorse finanziarie per aumentare la percentuale di soddisfazione degli altri creditori. Con ciò, indirettamente, esponendo il personale dipendente al rischio che, nel caso in cui il piano di risanamento non abbia buon fine, gli altri creditori siano stati “maggiormente” soddisfatti e i dipendenti rimangano senza riscontro del loro credito vantato nei confronti dell'impresa, peraltro privilegiato.

È evidente che, nella elaborazione dell'analisi comparata, la semplice rimozione del debito nei confronti del personale dal novero della massa passiva da liquidare ai creditori non può essere una soluzione giustificabile: nella predisposizione del piano di risanamento, l'impresa debitrice non può dimenticarsi che deve rispettare il grado del privilegio dei propri creditori, per cui il debito nei confronti del personale va mantenuto iscritto anche nell'ipotesi di continuità, ancorché non immediatamente liquidato, al fine di rappresentare uno scenario di maggiore prudenza, non violare il grado di privilegio di creditori, ottenere un confronto di scenario (liquidazione/continuità) fondato su elementi coerenti, omogenei, confrontabili.

Se poi, dall'analisi del confronto, risultasse che il concordato in continuità si presenta migliore per i creditori (esclusi i dipendenti) per il solo fatto che i debiti nei confronti del personale non vengono liquidati sul presupposto della continuazione dell'attività, allora significa che la convenienza risulta soltanto apparente e circoscritta a quei creditori (chirografari) che giuridicamente hanno un titolo di credito di valore inferiore rispetto al personale.

Peraltro, non va dimenticato che, secondo quanto previsto dall'art. 186-bis, comma 2, lett. b), l'attestatore deve assicurare che “la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista nel piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”. Non può certo condividersi l'approccio metodologico di chi offre ai creditori (esclusi i dipendenti dell'impresa) una maggiore percentuale di soddisfazione delle loro ragioni creditorie per il solo fatto che la continuità aziendale comporta la non liquidazione del debito nei confronti del personale.

Sarebbe auspicabile, sul punto, che la dottrina e l'orientamento dei giudici si manifestassero rapidamente.

Attività immateriali

La liquidazione delle attività aziendali comporta spesso la vendita atomistica delle componenti dell'azienda. Nella generalità dei casi, tuttavia, la cessione “in blocco” delle attività alimenta il realizzo di corrispettivi maggiori nella misura in cui i complessi aziendali posti in vendita incorporino attività immateriali (ad esempio avviamento), in considerazione dell'idoneità del complesso aziendale compravenduto a generare stabili redditi futuri.

Si pensi sempre al caso dell'impresa titolare di diversi esercizi commerciali (negozi). La liquidazione delle attività comporta la chiusura dei negozi, la risoluzione spesso onerosa dei contratti di locazione che assicurano la disponibilità dei locali, la vendita in blocco degli arredi, spesso di elevata qualità, se non la loro rottamazione.

Per contro, la cessione sul mercato dei negozi potrebbe avere l'esito di rinvenire un soggetto terzo disposto a riconoscere un valore agli arredi, a subentrare nel contratto di locazione, a formulare una proposta di prezzo per l'avviamento commerciale.

Ciò significa che, salvo casi particolari, la prosecuzione dell'attività con la vendita dei negozi in esercizio comporta generalmente il realizzo di corrispettivi maggiori, con conseguente maggiore soddisfazione dei creditori. Tuttavia, l'affermazione non è certamente condivisibile laddove si ipotizzi che l'impresa debitrice ricorra alla procedura del concordato in continuità, peraltro essenziale per assicurare il mantenimento in attività dei negozi, presupposto per il migliore realizzo.

Infatti, nel concordato con liquidazione dei beni, tutte le attività dell'impresa vengono cedute e liquidate, e quanto ricavato da tale attività viene devoluto ai creditori.

Lo stesso non può dirsi nei concordati con continuità, che di norma prevedono una proposta ai creditori che contempla un pagamento predefinito (con falcidia per i debiti non assistiti da privilegio o cause di prelazione) sulla base di un piano, di solito della durata di qualche anno. Con il voto favorevole espresso dai creditori nell'apposita adunanza e l'omologazione da parte del Tribunale, il concordato con continuità riceve gli opportuni sigilli formali e l'impresa debitrice si trova nelle condizioni di “liberarsi” dell'impegno assunto attraverso la liquidazione dei debiti secondo le modalità e i tempi approvati nel Piano di liquidazione approvato dai creditori.

Ipotizziamo, allora, il caso dell'impresa che al termine di 5 anni abbia integralmente soddisfatto gli impegni del piano di liquidazione e che si trovi ancora in possesso di alcuni (se non tutti) i negozi di cui disponeva al momento dell'avvio della procedura. Siamo di fronte ad un caso in cui i valori immateriali (avviamento) dei negozi non sono

minimamente serviti al ristoro dei creditori. Detti valori, infatti, stante l'esecuzione del piano di risanamento contemplato dal piano di concordato, sono rimasti nella disponibilità dell'impresa debitrice, che così preserva importanti valori economici, a proprio esclusivo beneficio, contemporaneamente ad una richiesta di sacrificio ai creditori rappresentata dalla percentuale di falcidia richiesta nella proposta.

È di evidenza che in tale situazione, del tutto normale in ipotesi di concordato in continuità, i creditori al termine del periodo quinquennale di piano si troverebbero soddisfatti solo in misura parziale e vedrebbero l'impresa debitrice giovarsi degli avviamenti preservati nel tempo, con la continuità aziendale.

Anche in questo caso, l'attestatore potrebbe trovarsi in un particolare imbarazzo laddove si trovasse a dover assicurare che “la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista nel piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”.

Soprattutto se la prosecuzione dell'attività dovesse comportare la preservazione di significativi valori (avviamenti) in capo all'impresa debitrice, dopo la definitiva esecuzione del Piano, con evidente e contemporaneo sacrificio dei creditori.

D'altra parte, non è per sua natura confrontabile un piano di liquidazione che prevede, senza limiti di tempo, l'intera devoluzione del patrimonio aziendale a beneficio dei creditori, con percentuali di falcidia che si stimano ex ante ma si consolidano ex post, con un piano di continuità che prevede prefissate ed immodificabili percentuali di falcidia a danno dei creditori, indipendentemente dal valore finale dell'impresa debitrice al termine del periodo di piano.

La diversa finalità dei due processi (concordato in continuità e con liquidazione dei beni) non può non prefigurare la legittimità di tali situazioni: la “convenienza” per i creditori derivante dalla continuità aziendale deve essere commisurata al periodo di piano, indipendentemente dalla circostanza che all'impresa debitrice, alla fine del periodo di piano, possano rimanere valori, anche importanti, non trasferiti ai creditori.

Moratoria sui debiti

L'ultimo tema tecnico e pratico meritevole di riflessione riguarda la disposizione contenuta nell'

art

.

186-

bis

, comma

2

, lett.

c), l.

f

all

.

Detta disposizione stabilisce che “il piano può prevedere … una moratoria fino a un anno dall'omologazione per i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca …”.

Si pensi al caso in cui un'impresa debitrice abbia stipulato un contratto di mutuo ipotecario con un istituto bancario. Nella domanda di concordato in continuità si prefigura la possibilità di prevedere la moratoria di un anno dall'omologazione. Ci si chiede se decorsi 12 mesi debba ritenersi che l'intero debito debba essere estinto (sia per capitale che interessi) o se sia possibile ipotizzare che per moratoria si intenda la semplice “traslazione in avanti” dei termini del piano di ammortamento iniziale, strumento del tutto tipico in progetti di risanamento aziendale, anche nell'ambito di piani attestati ex art. 67 o di accordi di ristrutturazione del debito

ex

art. 182-

bis

l.

f

all

.

Peraltro, nella grande maggioranza dei casi, non vi è dubbio che il debito ipotecario, in genere di rilevante ammontare, possa essere estinto solo se viene venduta l'attività

immobiliare che ne costituisce la garanzia, per cui laddove la previsione della moratoria sia da considerarsi come una sorta di dilazione di un anno concessa all'impresa per onorare il debito, essa sarebbe generalmente inefficace e spesso comporterebbe la mancata esecuzione del Piano di concordato, qualora il bene posto a garanzia non fosse facilmente liquidabile.

Sul piano pratico, secondo un approccio aziendalistico, è evidente come non sia prefigurabile la stesura di un piano di risanamento fondato su ipotesi difficilmente verificabili a posteriori: per superare l'impasse non si può che approcciarsi al problema sul piano pragmatico, ipotizzando già nel Piano di concordato l'eventualità che sia necessario rivedere le condizioni di rimborso del debito, in dipendenza del mancato realizzo del cespite, in accordo con il creditore.

Conclusioni

Le riflessioni che precedono, tratte da esemplificazioni e casi operativi, non hanno alcuna pretesa di essere esaustive. Tuttavia, pongono in luce criticità rilevanti sia nella fase di elaborazione di piani di risanamento, sia nel rilascio dell'attestazione.

La particolare novità dello strumento del concordato in continuità e l'assenza di tale istituto nel nostro ordinamento fino allo scorso mese di settembre 2012, non permettono di avere chiari punti di riferimento e risposte univoche o quanto meno maggioritarie, alimentando così il rischio di elaborare piani di risanamento non supportati dall'indispensabile requisito della coerenza interna (G. Savioli,

La redazione e l'attestazione del piano di risanamento nelle procedure di soluzione negoziale delle crisi d'impresa

, ivi).

In ogni caso, le caratteristiche soggettive dell'attività delle imprese in crisi determinano l'insorgenza di particolari problematiche che ovviamente non sono compiutamente disciplinate dalla legislazione. Pertanto, accanto all'interpretazione giuridica, l'approccio aziendalistico e pragmatico alla situazione può essere un utile mezzo per affrontare situazioni imprevedibili e urgenti, come tipicamente accade in situazioni di criticità finanziaria.

Il supporto all'attività del giudice delegato, oltre che del commissario giudiziale, da parte di un professionista dotato di adeguate competenze aziendalistiche e non solo tecnico-giuridiche, può costituire un importante e determinante punto di forza nella consapevole assunzione di decisioni tanto importanti quanto critiche.

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