Nuove proposte concorrenti: è configurabile un concordato con continuità aziendale del creditore competitor?

Filippo Lamanna
23 Ottobre 2015

Non è dubbio che, in virtù della nuova disciplina delle proposte concorrenti di concordato preventivo (alternative rispetto a quella formulata dal debitore) introdotta con l'art. 3 del D.L. n. 83/2015, convertito dalla legge n. 132/2015, il creditore “competitor” possa formulare una proposta non solo per ottenere un vantaggio economico-speculativo che in ipotesi dovrebbe scaturire da una fruttuosa liquidazione dei beni del debitore (quando e se sia prospettabile un “surplus” di ristrutturazione), ma anche – e anzi, direi, soprattutto – quando intenda proseguire nell'esercizio dell'azienda(-impresa) del debitore, obiettivo che potrebbe essere perseguito soprattutto dai creditori che già operino nel medesimo settore di mercato come imprese concorrenti.

Non è dubbio che, in virtù della nuova disciplina delle proposte concorrenti di concordato preventivo (alternative rispetto a quella formulata dal debitore) introdotta con l'art. 3 del D.L. n. 83/2015, convertito dalla legge n. 132/2015, il creditore “competitor possa formulare una proposta non solo per ottenere un vantaggio economico-speculativo che in ipotesi dovrebbe scaturire da una fruttuosa liquidazione dei beni del debitore (quando e se sia prospettabile un “surplus” di ristrutturazione), ma anche – e anzi, direi, soprattutto – quando intenda proseguire nell'esercizio dell'azienda (-impresa) del debitore, obiettivo che potrebbe essere perseguito soprattutto dai creditori che già operino nel medesimo settore di mercato come imprese concorrenti.
Tuttavia un conto è perseguire lo scopo di subentrare (effettualmente) nell'impresa del debitore, altro pensare di poterlo fare già da subito ed avvalendosi per di più dei benefici che la disciplina normativa fallimentare riserva al debitore nelle ipotesi in cui questi formuli una proposta di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l. fall.
Sotto il primo aspetto gioca come formidabile ostacolo la circostanza che il concordato non produce, come invece il fallimento, uno spossessamento del debitore inteso in senso proprio (ma, semmai, come suol dirsi, uno spossessamento solo “attenuato”), di talchè il debitore può continuare ad agire come “dominus” della sua impresa, restando soggetto solo ai poteri autorizzatori del Tribunale per il compimento di atti di straordinaria amministrazione (comprese le particolare tipologie di finanziamenti ex art. 182-quinquies) e per lo scioglimento/sospensione dei contratti pendenti ex art. 169-bis (oltre che, in casi eccezionali, al fine del pagamento di crediti anteriori per prestazioni essenziali ex art. 182-quinquies). Pertanto è arduo immaginare che il creditore proponente “competitor” possa chiedere ed ottenere di poter da subito (già dopo aver depositato la proposta o quantomeno dopo la votazione dei creditori) subentrare nell'esercizio dell'impresa al posto del debitore, anche per potere eventualmente parare il rischio che il debitore, nelle more del procedimento (ante-omologa), eserciti la sua attività d'impresa in modo da ostacolare in vario modo, anche con atti di boicottaggio indiretti, o finanche con atti di autolesionismo economico, il successo della proposta concorrente.
Proprio per tale motivo ho in altra sede ipotizzato (F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la riforma del D.L. n. 83/2015, in Il civilista, 2015, 25 ss.) che un tale subentro potrebbe realizzarsi solo se lo consentisse una nuova norma ad hoc.
Certo non è escluso che la lacuna normativa (chè tale deve considerarsi il non aver calcolato il rischio cui va incontro in tal caso il “competitor”, e il non aver previsto un modo per cautelarlo) possa colmarsi, in qualche modo, anche in via interpretativa (ad es. con l'espediente della nomina di un amministratore giudiziario in via cautelare ex art. 15 l. fall., se penda contemporaneamente una procedura prefallimentare, in modo da sostituire il debitore nella gestione diretta dell'impresa; o forse anche attivando un procedimento urgente ex art. 700 c.p.c. per ottenere provvedimenti protettivi da parte del Giudice delegato, “et similia”). Peraltro in nessun caso, mi pare, le finalità cautelari potrebbero ex se giustificare una sostituzione del debitore nella conduzione dell'impresa immettendovi al suo posto il “competitor”, ma solo consentire una sostituzione provvisoria/urgente/cautelare con un terzo professionista estraneo ed imparziale.
La questione, dunque, come appunto dicevo, è tutt'altro che di agevole soluzione, e per tale motivo non è difficile profetizzare che resteranno ampi i margini d'incertezza in sede applicativa.
Ma altrettanto spinosa è a ben vedere anche la questione circa il se il “competitor” possa in concreto formulare una proposta concorrente di concordato con continuità aziendale, intesa come tale in senso stretto, anche per fruire degli speciali benefici che l'art. 186-bis, insieme all'art. 182-quinquies l. fall., attribuiscono in tal caso al debitore.
Di primo acchito la risposta sembrerebbe dover essere necessariamente negativa, poiché, come si evince dal tenore dell'art. 186-bis, quando si tratti di continuità diretta, la norma espressamente presuppone che sin dall'inizio del procedimento, oltre che nella fase post-omologa, l'impresa sia gestita dal debitore proponente, laddove il creditore competitor non può, come appena detto, gestire sin da subito l'impresa del debitore al posto di costui.
Quanto alla continuità indiretta, in cui l'impresa in esercizio può essere oggetto di cessione a terzi o di conferimento in una diversa società, anche in tal caso l'orientamento prevalente è nel senso di considerare configurabile la fattispecie solo quando e se, durante la fase ante cessione, ante-conferimento, o ante-omologa, l'impresa sia comunque interinalmente gestita dal debitore. Su tale aspetto è del resto assai nota la querelle sorta a proposito dell'affitto d'azienda interinale, in presenza del quale, appunto, secondo l'orientamento maggioritario, non è configurabile un concordato con continuità aziendale (mentre lo sarebbe secondo una quota minoritaria degli interpreti della giurisprudenza di merito). Sta di fatto che, nel caso del proponente “competitor”, costui né in proprio, né per interposta persona gestisce o può gestire l'impresa in fase ante-omologa, ed anzi le norme che disciplinano l'attuazione coattiva della proposta concorrente vittoriosa (nomina di un amministratore giudiziario, nomina del commissario giudiziale come commissario ad acta ai fini dell'“ottemperanza”, possibilità di aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione) sembrano necessariamente presupporre che la proposta concorrente (vittoriosa in sede di voto) possa avere attuazione solo dopo la sua omologazione.
Sembra dunque di poterne concludere che il creditore “competitor” mai possa proporre un concordato con continuità aziendale in senso stretto, e che quindi non possa fruire dei relativi benefici, a partire da quello afferente la possibilità di pagare con dilazione di un anno i creditori privilegiati.
Questo certamente non impedisce, come già anticipavo, che perduri l'interesse a concorrere del creditore “competitor” quando egli voglia proseguire nell'attività d'impresa, ma per lui tale interesse resterà un interesse di mero fatto, inidoneo a colorare la forma tipologica del concordato con continuità aziendale, potendo l'impresa essere condotta in esercizio direttamente dal “competitor” vittorioso solo dopo l'omologa.
Si tratta in definitiva di una forte limitazione della posizione (anche troppo asimmetrica e penalizzata per più versi) del creditore “competitor”, che va ad aggiungersi a quegli altri limiti connaturati al fatto di inserirsi, la proposta concorrente, in un procedimento già radicato prima dal debitore (ma che non è escluso che si riproporrebbero, quanto meno in parte, anche se fosse ammessa la possibilità per il creditore di proporre un concordato prima del debitore): come ad es. il fatto che solo il debitore possa influire con atti - anche di straordinaria amministrazione - sull'integrità del patrimonio e dell'azienda nelle more del procedimento, solo lui potendo ottenere autorizzazioni del Tribunale o del Giudice delegato ex artt. 161, comma 7, e 167 l. fall., in tal modo anche eventualmente erodendo l'integrità del patrimonio aziendale verso cui si muove l'intento acquisitivo del concorrente; del pari solo lui potendo proporre concordati con offerte preconfezionate d'acquisto suscettibili di dar luogo a gare competitive prima della votazione (e quindi dell'omologa) con il rischio di sottrarre al “competitor” quell'azienda che dovrebbe essere appunto l'oggetto principe del suo interesse acquisitivo; solo lui potendo concordare prima con dipendenti ed organizzazioni sindacali le modalità di reimpiego a seguito di cessioni aziendali, e così via.
Tali limiti, uniti alle varie incertezze circa la sorte delle proposte concorrenti in caso di revoca della proposta del debitore e circa gli effetti di eventuali successive risoluzioni, unitamente al tempo assai breve per formulare in concreto una proposta concorrente (di norma, tra 30 e 15 gg. prima dell'adunanza, troppo poco, evidentemente, per svolgere un' adeguata due diligence, formulare la proposta e munirsi dell'eventuale attestazione dell'esperto su profili di fattibilità non considerati dal commissario giudiziale), fanno presagire una seria difficoltà di decollo e di successo della nuova disciplina competitiva.