La disciplina dei rapporti in corso di esecuzione si applica anche ai contratti di finanziamento

Danilo Galletti
18 Febbraio 2015

Nel concordato preventivo, sia con continuità che liquidatorio, sono sottoposti alla disciplina di cui all'art. 169-bis l. fall. anche i contratti di finanziamento che non prevedano ulteriori prestazioni in capo al finanziatore, non essendo coestensiva la fattispecie dei rapporti “pendenti” fallimentare.

Nel concordato preventivo, sia con continuità che liquidatorio, sono sottoposti alla disciplina di cui all'art. 169-bis l. fall. anche i contratti di finanziamento che non prevedano ulteriori prestazioni in capo al finanziatore, non essendo coestensiva la fattispecie dei rapporti “pendenti” fallimentare.

Il mutuo ed altri contratti di finanziamento “tipici” (come l'apertura di credito) non prevedono obbligazioni del finanziatore (troppo labile, e fondata sulla confusione fra oggetto ed effetti del contratto, la prospettazione di un obbligo di lasciar godere il finanziato della somma, ciò che sostanzierebbe il concetto di “differimento”), ma soltanto del finanziato. Il rapporto è sinallagmatico, posto che l'obbligo di restituzione è da porre in rapporto all'attribuzione iniziale, ma il contratto resta “unilaterale”.
Secondo la vulgata tradizionale al mutuo si applicherebbe nel fallimento l'art. 55 l. fall., sicché l'obbligazione del mutuatario diverrebbe scaduta per effetto dell'apertura del concorso, ed immediatamente esigibile.
Il campo applicativo degli artt. 72 ss. l. fall., in cui le obbligazioni di entrambe le parti non devono essere completamente esaurite (eccezion fatta per le obbligazioni meramente accessorie), sarebbe infatti estraneo ai contratti “unilaterali”.
Prima della Riforma del 2012 non si dubitava che analoga conclusione dovesse essere predicata per il concordato preventivo, in forza del rinvio all'art. 55 di cui all'art. 169.l. fall.
L'entrata in vigore del concordato ”con riserva”, che può sfociare in un concordato con continuità aziendale (art. 186-bis l. fall.), ove la prosecuzione dei rapporti finanziari può costituire un valore fondamentale, ed una condizione di riuscita della ristrutturazione, ha determinato ampie aree di insoddisfazione rispetto alla conferma della tesi tradizionale.
Anche la rinegoziazione con il finanziatore, eventualmente disponibile alla riattivazione del rapporto per favorire la riuscita del piano, può non risultare efficiente, perché spesso tali rapporti sono garantiti da ipoteche o altre prelazioni speciali, e la modifica sostanziale del rapporto può far temere al finanziatore di aderire in realtà ad una convenzione novativa, che gli faccia perdere la garanzia in caso di fallimento.
Il mutamento della situazione normativa deve condurre a riflettere sull'esattezza in generale di quell'assunto dogmatico.
Nella prassi moderna di taluni contratti di finanziamento in realtà la natura “unilaterale” è perlomeno discutibile: in particolare quando il finanziato può avvalersi di più linee di credito concesse nell'ambito di accordi quadro, ponendo in essere i c.d. tiraggi.
Anche nell'applicazione degli artt. 2558 e 2560 c.c. si è soliti distinguere fra passività “contenute” in contratti oggetto di trasferimento, accollate al solo cessionario dell'azienda a prescindere dalla loro ostensione nelle scritture contabili obbligatorie, e meri debiti, anche aventi la loro matrice genetica in rapporti contrattuali oramai “esauriti”. Ai mutui, però, secondo l'orientamento che sembra prevalente, non si applicherebbe l'art. 2560, bensì l'art. 2558 c.c., dovendosi distinguere fra contratti corrispettivi, o sinallagmatici, e contratti non completamente eseguiti da entrambe le parti.
Così anche il contratto completamente eseguito da una delle parti è cedibile ai sensi dell'art. 1406 c.c., come “posizione contrattuale attiva”, e non già come mero credito ex art. 1265 c.c.
Dunque l'applicabilità al mutuo dei principi sui crediti, e non già sui contratti, deve considerarsi il portato di ragioni intranee al diritto concorsuale, non già al diritto civile.
Ma se non esistesse l'art. 72 l. fall., al finanziamento si applicherebbe davvero l'art. 55 l. fall.?
L'asserto è quantomeno dubitabile: i rapporti contrattuali che la procedura trova “pendenti” al momento della sua apertura dovrebbero semmai essere proseguiti, così come avveniva nel concordato preventivo prima dell'introduzione dell'art. 169-bis.
La tutela del contraente in bonis sarebbe racchiusa negli artt. 1460 e 1461 c.c., applicabili anche in costanza di procedura, per quei rapporti “ereditati” da quest'ultima (conclusione valida anche per la successione di cui all'art. 2558 c.c.).
E' solo l'”espulsione” esplicita dei rapporti contrattuali “unilaterali” dal campo applicativo dell'art. 72 l. fall., allora, a decretare la “vittoria” dell'art. 55. nel fallimento.
Nel regime del nuovo art. 169-bis l. fall., invece, nulla autorizza a credere che un'analoga scelta sia stata compiuta: nessuna “espulsione” dei contratti unilaterali, ma soltanto dei meri rapporti obbligatori, cioè dei meri crediti.
D'altro canto il piano concordatario può essere redatto “con continuità aziendale”, anche nella prospettiva di una cessione dell'azienda, e non si vede perché in tali casi il Legislatore dovrebbe imporre un effetto risolutivo del contratto di finanziamento dissonante rispetto al diritto civile (art. 2558 c.c.), laddove il solo trasferimento dei debiti (art. 2560 c.c.) è testualmente escluso (arg. ex artt. 105 - 182 l. fall.).
Si potrebbe essere tentati di dubitare che la conclusione debba valere solo per i concordati in continuità, con esclusione di quelli liquidatori, con differimento dell'effetto risolutivo al momento in cui cessi la fase “con riserva”, con scelta piena per il tipo di piano adottato, oppure al successivo momento in cui il piano con continuità sia mutato in liquidatorio (arg. ex art. 186-bis, ult. cpv., l fall.).
Ma in realtà non esistono due concordati, uno in continuità ed uno liquidatorio, con discipline radicalmente differenti; l'art. 169 l. fall. rinvia all'art. 55 tanto nel concordato con riserva, quanto in quello liquidatorio o con continuità. Ed anche l'art. 169-bis trova applicazione in ogni contesto concordatario.
D'altro canto anche nel fallimento la tentazione di rifiutare la conclusione dominante circa lo scioglimento del mutuo in caso di esercizio provvisorio, quando l'impresa prosegue, è stata disattesa dall'orientamento maggioritario, poiché l'art. 55 l. fall. si applica subito, al momento dell'apertura del concorso, sicché nessuna “sospensione” del suo effetto è possibile quanto al solo mutuo.
La prosecuzione del finanziamento, d'altro canto, così come di qualsiasi altro rapporto, può essere concretamente strumentale anche ad un piano concordatario liquidatorio, e non solo ad un piano ristrutturativo.
Dunque all'ombra di qualsiasi piano concordatario il debitore potrà sciogliere il contratto di finanziamento soltanto ricorrendo all'art. 169-bis l. fall., laddove il finanziatore potrà sempre ricorrere agli ordinari strumenti di tutela contrattuali tipici del finanziamento, fra i quali, oltre agli artt. 1460 e 1461 c.c., il principio generale, intraneo alla materia, per il quale l'obbligazione restitutoria diviene attuale se le condizioni del finanziato sono divenute tali da rendere notevolmente più difficile la restituzione (arg. ex artt. 1956, 1959, 1822 c.c..).
Il mero accesso al concordato non giustifica di per sé tale condizione, che non coincide nemmeno con l'inadempimento, ma intercetta uno stato obiettivo del debitore, che il finanziatore deve dimostrare positivamente per ottenere la “accelerazione” del suo credito.