La risoluzione del concordato preventivo: violazione dei termini della proposta o anche del piano?

Danilo Galletti
01 Settembre 2014

L'evidenza della inattuazione del piano concordatario, in fase esecutiva, legittima il creditore a instare per la risoluzione, incombendo sul debitore l'onere di provare che l'attuazione della proposta è ancora possibile.

L'evidenza della inattuazione del piano concordatario, in fase esecutiva, legittima il creditore a instare per la risoluzione, incombendo sul debitore l'onere di provare che l'attuazione della proposta è ancora possibile.

Dopo l'omologazione del concordato preventivo, in fase di esecuzione, quali sono i motivi per cui il creditore può realmente chiedere la risoluzione? E' possibile, in particolare, instare in tal senso prima che sia scaduto il termine per l'adempimento contenuto nella proposta, se il debitore non sta attuando il piano concordatario, oppure se lo stesso è divenuto addirittura impossibile?
Il problema ha portata generale e trasversale, rispetto alla dicotomia piano liquidativo / piano ristrutturativo in continuità.
L'oggetto dell'impegno concordatario è costituito dalla sola proposta, od anche dal piano, il cui percorso innerva la stessa fattibilità, e dunque la convenienza della prima?
Il debitore e l'attestatore devono illustrare ai creditori ed al Tribunale tanto l'una quanto l'altro; ogni modifica dell'una o dell'altro richiede un supplemento di attestazione. Al momento della votazione l'enfasi é posta sulla proposta (art. 175 l. fall.), ma ciò non implica che i creditori non valutino ed accettino anche il piano, la cui fattibilità ha rilevanza centrale; senza un piano fattibile non vi può essere infatti una proposta che possa dirsi conveniente.
Apparentemente il creditore non potrebbe essere privato della tutela data dall'obbligo per il debitore (e dell'eventuale liquidatore giudiziale) di agire conformandosi al piano, solo perché la procedura con l'omologazione si é ormai chiusa.
E purtuttavia la risoluzione è oramai solo uno strumento di tutela dell'obbligazione, e dunque è strumentale all'attuazione di un rapporto bilaterale fra il creditore ed il debitore.
In astratto è possibile che il debitore si vincoli espressamente ad attuare un ben determinato piano, sí che l'esecuzione di quest'ultimo realizzi direttamente un interesse del creditore, e dunque appartenga al contenuto obbligatorio della proposta. Anche il diritto civile conosce situazioni ove il quomodo dell'adempimento é essenziale, al pari del quid (si pensi all'adempimento che non può provenire dal terzo, ma solo dal debitore: art. 1180 c.c.).
Ma dove ciò non sia espressamente formulato come patto concordatario, la stessa sopravvenuta impossibilità di realizzare il piano omologato potrebbe non rendere impossibile la proposta, se il debitore é in condizioni di ripianificare l'esecuzione in termini efficienti.
Si pensi al piano liquidativo in cui il promissario acquirente sia fallito o si sia liberato del contratto, ma il liquidatore giudiziale sia in grado di collocare utilmente gli assets presso altri compratori.
Non pare possibile alcun concorso approvativo dei creditori, nè degli Organi della Procedura rimasti a sorvegliare l'adempimento, perché la Procedura é ormai chiusa.
Questa é sempre stata la debolezza del concordato preventivo, ed il motivo per cui lo stesso difficilmente può ereditare con successo l'anima della amministrazione controllata, perché la ristrutturazione avviene fuori dalla procedura, anziché al suo interno, e dunque ogni modifica "istituzionale" del piano (come nell'amministrazione straordinaria) è oramai fuori luogo.
Perciò la mera deviazione dal piano, o addirittura la constatazione della sua sopravvenuta impossibilità, non possono di per sè giustificare la risoluzione del concordato.
Ciononostante non pare nemmeno appagante una soluzione per cui il creditore debba attendere la scadenza del termine di adempimento per tutelarsi ai sensi dell'art. 186 l.fall.
La disciplina del concordato fallimentare, qui richiamata (art. 137 l.fall.), prevede la mancata prestazione delle garanzie come causa di risoluzione, ciò che pure costituisce attività soltanto prodromica alla attuazione della proposta.
Parimenti, se il debitore civile non presta le garanzie promesse, o diviene insolvente, la sua obbligazione sottoposta a termine scade immediatamente (art. 1186 c.c.).
Sempre nel diritto civile l'obbligazione si arricchisce di doveri strumentali aventi come contenuto attività preparatorie, idonee a far salvo l'interesse del creditore, che provengono dal principio generale di buona fede.
Nelle obbligazioni di mezzi il debitore non garantisce il risultato sperato dal creditore (così come nel concordato con cessione dei beni ai creditori, secondo l'orientamento della S.C.), ma è tenuto pur sempre a porre in essere un'attività esecutiva astrattamente idonea a produrre tale risultato, altrimenti è sin da subito inadempiente.
Nell'appalto il committente può chiedere la risoluzione del contratto se prova che l'appaltatore non é in grado di portare a termine l'opus, anche se il termine non è ancora scaduto.
La soluzione sembra da trovare nell'onere della prova: se il debitore sta attuando il piano concordatario, dovrà essere il creditore che agisca per la risoluzione prima della scadenza del termine a dimostrare che il piano é divenuto impossibile, e che dunque la proposta con quasi certezza non sarà adempiuta.
Ma se il debitore non sta conformando la sua attività esecutiva al piano, vero benchmark dell'adempimento concordatario, incomberà sullo stesso l'onere di dimostrare che é comunque possibile l'adempimento della proposta, attraverso una riprogrammazione dei fattori economici che hanno condotto i creditori ad approvarla.