26 Luglio 2019

L'art. 128 del D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha introdotto nel nostro sistema l'istituto del c.d. discharge, prima sconosciuto come fattispecie disciplinata autonomamente. L'espressione «esdebitazione» si riferiva prima di tale provvedimento all'effetto conseguente all'avvenuta esecuzione da parte del debitore degli obblighi assunti con il concordato preventivo o fallimentare.

Inquadramento

L'art. 128 del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha introdotto nel nostro sistema l'istituto del c.d. discharge, prima sconosciuto come fattispecie disciplinata autonomamente.

L'espressione «esdebitazione» si riferiva prima di tale provvedimento all'effetto conseguente all'avvenuta esecuzione da parte del debitore degli obblighi assunti con il concordato preventivo o fallimentare.

Come si legge nella Relazione al citato decreto, la scelta del legislatore ha voluto contribuire allo sviluppo di nuove attività imprenditoriali: da un lato, incoraggiando un maggior numero di soggetti ad intraprendere un'attività di impresa; dall'altro, incentivando gli imprenditori dichiarati falliti a cominciare una nuova attività in nome proprio.

Come si legge sempre nella Relazione governativa, l'istituto della esdebitazione, omologo a quello già presente in altre legislazioni europee e in quella americana, ha costituito nel momento della sua introduzione una assoluta novità nel nostro sistema concorsuale.

In sintonia con i principi elencati nella legge delega 14 maggio 2005, n. 80 – prosegue la Relazione – l'istituto è stato strutturato in modo tale da evitare che, nell' applicazione pratica, possa incentivare distorsioni nei comportamenti del debitore insolvente.

Si è voluto liberare il fallito dai vincoli connessi al mancato pagamento dei creditori nella consapevolezza che ben difficilmente, una volta chiuso il fallimento, possa altrimenti liberarsi dei debiti residui. In questo modo si consente al fallito il c.d. fresh start (to make a fresh start in life), la possibilità cioè di ripartire da zero iniziando una nuova attività commerciale senza costringerlo ad operare di nascosto tramite familiari o prestanome compiacenti (sul rapporto tra l'abrogato istituto della riabilitazione e l'esdebitazione: M. Spiotta, L'esdebitazione fallimentare, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato preventivo, Utet, Torino, 2016, 2604 ss.; sul passaggio dal vecchio al nuovo regime e sulla disciplina transitoria che con il trascorrere del tempo perde via via di importanza, R. Guidotti, L'esdebitazione del fallito: profili sostanziali, in Contr. e impr., 2015, 1097 ss.).

In evidenza: Cass. 13 novembre 2009, n. 24121; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24727

La sentenza ha statuito che l'istituto dell'esdebitazione trova applicazione alle procedure aperte anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, purché ancora pendenti a quella data (16 luglio 2006), e, tra queste, a quelle chiuse nel periodo intermedio, vale a dire sino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007 (1° gennaio 2008), purché, in quest'ultimo caso, la relativa domanda sia stata presentata entro un anno dall'entrata in vigore di detto ultimo decreto; ne consegue che non è ammissibile l'esdebitazione per i fallimenti chiusi in epoca antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006.

Come si legge nella Relazione di accompagnamento all testo della legge delega della c.d. “Riforma Rordorf” in data 29 dicembre 2015 «l'istituto dell'esdebitazione è andato assumendo, negli ultimi anni, un'importanza crescente. Ne fa fede il confronto internazionale e la particolare attenzione che vi dedica la Raccomandazione 2014/135/UE, in cui si ricorda come sia dimostrato che “gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo una seconda volta” e se ne deduce l'opportunità di “adoperarsi per ridurre gli effetti negativi del fallimento sugli imprenditori, prevedendo la completa liberazione dei debito dopo un lasso di tempo massimo” (20° Considerando)». Com'è noto la legge delega è poi stata approvanta (l. 19 ottobre 2017, n. 155) e si vedrà anche nel seguito come all'istituto siano dedicate disposizioni nella c.d. “Riforma Rordorf” che potrebbero, in parte, modificarne sia il contenuto procendimentale sia il contenuto sostanziale (e v. il § 11).

I soggetti ai quali si applica l'esdebitazione

Allo stato attuale può godere del beneficio della liberazione dai debiti residui il «fallito persona fisica» e così l'imprenditore commerciale individuale non piccolo (e quindi anche la holding persona fisica); il socio illimitatamente responsabile di società di persone dichiarato fallito in estensione; gode del beneficio anche il socio accomandatario di s.a.p.a. dichiarato fallito in estensione; l'istituto non trova, per contro, attuazione con riguardo alle persone giuridiche socie di società di persone ex art. 2361, comma 2, c.c.. Le norme sull'esdebitazione sono applicabili anche all'erede dell'imprenditore fallito anche se, in questo caso, lo scopo principale che la norma si prefigge viene meno.

Nel nostro sistema non può ricorrere all'esdebitazione di cui all'art. 142 ss. l. fall., allo stato della legislazione, chi non è imprenditore, l'imprenditore agricolo ed il piccolo imprenditore ai sensi dell'art. 1 l. fall. Altro è, però, il problema se possa godere del beneficio l'imprenditore nel caso in cui abbia volontariamente rinunciato a far valere l'assenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento di cui all'art. 1 l. fall., non eccependo, nel procedimento fallimentare, le circostanze che potrebbero impedire la sua dichiarazione di fallimento.

È da ritenere che non possa godere del beneficio dell'esdebitazione il socio che sia divenuto illimitatamente responsabile per aver violato disposizioni di legge (come, ad esempio, l'accomandante che ha compiuto atti di gestione) e quindi per il quale la responsabilità illimitata sia prevista dall'ordinamento come sanzione. Parimenti va esclusa la possibilità di accedere al beneficio dell'esdebitazione da parte del titolare di un'impresa illegale o di un'impresa immorale fallite (R. Guidotti, L'esdebitazione: profili sostanziali, cit., 1079 ss.; M. Spiotta, L'esdebitazione fallimentare, 2614 ss.).

In evidenza: Corte Cost. 30 novembre 2007, n. 411 (ord.)

Il Tribunale aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, con riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 cost., dell'art. 142 l. fall. nella parte in cui, in modo «irrazionale», sarebbe stato introdotto l'istituto dell'esdebitazione con riferimento alla limitazione al solo soggetto imprenditore fallito, scelta sentita dal rimettente come una «ingiustizia giuridica e morale». La Consulta ha però dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale.

I debiti compresi nell'esdebitazione

Il beneficio dell'esdebitazione riguarda i «debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti».

Rientrano in questa categoria, innanzitutto (dal lato attivo): (a) i crediti insinuati al passivo dai creditori anteriori alla dichiarazione di fallimento; (b) i crediti anteriori alla dichiarazione di fallimento che avrebbero potuto partecipare al concorso e tuttavia non vi hanno partecipato o per decisione propria dei creditori (non insinuati), o perché ne sono stati esclusi (non ammessi); (c) i crediti, successivi alla dichiarazione di fallimento, che siano ammessi al passivo per effetto della restituzione di beni oggetto di atti revocati. Essi non sono concorsuali in senso stretto, ma ai sensi dell'art. 70, comma 2, l. fall. partecipano al concorso come i crediti anteriori e quindi sono equiparati a questi ultimi anche ai fini dell'esdebitazione.

Non rientrano, per contro, nel perimetro dell'esdebitazione (art. 142, comma 3°, l. fall.) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa; i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

L'esdebitazione non riguarda le somme accantonate a seguito del riparto finale (art. 117, comma 5°, l. fall.); il giudice, infatti, anche se è intervenuta l'esdebitazione del fallito, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, dispone la distribuzione delle somme non riscosse fra i soli richiedenti; tali somme rimangono quindi prima a disposizione dei creditori e successivamente «sono versate a cura del depositario all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, ad apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia»; non tornano quindi, in nessun caso, nella disponibilità del fallito che ha avuto accesso al beneficio dell'esdebitazione.

In evidenza: Cass. 1 luglio 2015, n. 13542; Corte di Giustizia UE, 16 marzo 2017, causa C 493/15; Cass., 11 marzo 2016, n. 4844

Con la prima decisione la Corte ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione interpretativa dell'art. 4, § 3, del Trattato UE e degli artt. 2 e 22 della dir. UE n. 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, per verificare se debbano, o meno, essere intesi come ostativi all'applicazione di una disposizione nazionale che preveda l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore di soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dagli artt. 142 e 143 l. fall.

Con la seconda decisione la Corte di Giustizia ha affermato che il diritto dell'Unione, in particolare l'art. 4, paragrafo 3, T.U.E. e gli artt. 2 e 22 della Sesta Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, nonche´ le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona e` stata sottoposta.

Con la terza decisione la Corte ha affermato che i debiti previdenziali, pur sorgendo al di fuori di ogni scelta imprenditoriale e comunque volontaristica del datore di lavoro, sono strettamente collegati all'esercizio dell'impresa di quest'ultimo, costituendone una necessaria conseguenza, sicché non sono esclusi dal beneficio dell'esdebitazione previsto dall'art. 142 l. fall.

I requisiti di meritevolezza

Ai sensi dell'art. 142, comma 1, nn. 1), 2) e 3), l. fall. il fallito, per poter godere del beneficio della esdebitazione, deve aver collaborato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utili all'accertamento del passivo, oltre ad essersi adoperato per il proficuo svolgimento delle operazioni.

Il fallito non deve quindi in alcun modo aver ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura ed aver violato l'obbligo di consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento.

La cooperazione con gli organi della procedura di cui al n. 1) della norma sopra citata impone al fallito di mettere in grado gli organi fallimentari di avere un quadro dettagliato e veritiero della sua situazione debitoria, in modo da garantire un accertamento del passivo rapido e fedele, anche, se necessario, attivandosi per comunicare al curatore ogni elemento utile.

Non è indispensabile invece che la contabilità sia stata tenuta in modo regolare, ma è necessario che dalla documentazione e dalle informazioni fornite sia possibile ricostruire la reale situazione debitoria. Se richiesto, il fallito deve presenziare alle udienze di verifica per fornire chiarimenti.

La lettera della legge non dispone che il fallito fornisca informazioni anche sull'accertamento dell'attivo fallimentare; il requisito di adoperarsi per il proficuo svolgimento delle operazioni comporta, però, che il fallito collabori sia nell'attività di conservazione dei beni acquisiti all'attivo, sia nella ricerca di compratori; un comportamento semplicemente disinteressato può quindi costituire causa ostativa ove risulti dimostrato che ha inciso negativamente sulle possibilità di realizzo; ovviamente, perché venga soddisfatto il requisito in esame, è necessario che il fallito abbia messo a disposizione del curatore i beni compresi nel fallimento e che abbia fornito una puntuale, tempestiva ed esaustiva informazione circa le attività da recuperare e le azioni giudiziarie da intraprendere o proseguire.

Sotto il profilo sistematico è da evidenziare che è previsto con riferimento all'istituto in esame il requisito della meritevolezza, mentre l'effetto esdebitatorio si ricollega al concordato preventivo, dopo le riforme degli ultimi anni, indipendentemente dalla meritevolezza; detto requisito è estraneo altresì alla disciplina del concordato fallimentare.

In evidenza: Cass. 23 maggio 2011, n. 11279

La sentenza ha rilevato come il termine «ritardare» di cui all'art. 142, comma 1, n. 2), l. fall. è sinonimo di «ostacolare» e quindi indicativo di un comportamento da ritenersi antigiuridico, perché in contrasto con il principio di durata ragionevole del processo di cui all'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dell'art. 111, comma 2, Cost.; nel comportamento antigiuridico rivolto a ritardare lo svolgimento della procedura si deve far rientrare tanto l'aver promosso qualsiasi iniziativa giudiziaria che si sia rilevata infondata e/o pretestuosa, quanto gli atti di disposizione del proprio patrimonio, anche posti in essere prima del fallimento, già nella consapevolezza della irreversibilità del dissesto ed alternativi alla tempestiva domanda di fallimento in proprio.

Le condizioni per accedere al beneficio dell'esdebitazione

Le condizioni per accedere al beneficio dell'esdebitazione sono descritte ai nn. 4), 5), e 6) dell'art. 142, comma 1, l. fall. e devono considerarsi tassative. Consistono nel non aver beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta, nel non aver distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto o, da ultimo, fatto ricorso abusivo al credito.

Il fallito che ambisce al beneficio non deve aver avuto accesso ad altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta (n. 4).

La norma vuole evitare che il fallimento sia ripetutamente utilizzato come mezzo per liberarsi delle proprie obbligazioni.

Il dies a quo è indicato dalla norma come quello del conseguimento della precedente esdebitazione che non coincide con la data in cui il provvedimento è stato emesso, ma con quella in cui lo stesso ha acquistato efficacia ovvero quando sono decorsi i termini per proporre reclamo.

Il dies ad quem è indicato in quello della data dell'istanza rivolta al tribunale: è però da ritenere che l'esdebitazione debba essere concessa anche qualora il decennio venga a maturare prima della decisione, anche se non era decorso al momento del deposito della domanda.

Il fallito che ambisce all'esdebitazione non deve aver «distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito» (n. 5).

L'espressione «rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari» pone il problema di verificare se i comportamenti indicati nella norma siano rilevanti di per sé stessi o solo in quanto siano stati di ostacolo alla ricostruzione delle vicende dell'impresa e all'accertamento della sua effettiva consistenza patrimoniale, come la lettera della norma sembra lasciar intendere. Il problema non si pone per il ricorso abusivo al credito, per il quale la limitazione non è prevista.

L'espressione «distrazione dell'attivo» non si esaurisce nel concetto penalistico, ma risulta comprensiva di ogni atto o comportamento che abbia determinato, senza giustificazione, la distrazione di uno o più beni del fallito dalla garanzia generica dei creditori o la violazione della par condicio creditorum.

La norma non delimita temporalmente gli atti distrattivi rilevanti, cosicché è da ritenere che il legislatore si riferisca agli atti compiuti sia prima che dopo l'apertura della procedura.

Anche l'esposizione di passività inesistenti deve ritenersi svincolata dalla norma penale, cosicché detta condotta, posta in essere sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, integra di per sé condizione ostativa all'esdebitazione, senza che occorra l'intento specifico di «recare pregiudizio ai creditori» di cui all'art. 216, comma 1, n. 1), l. fall.

Il fallito che ambisce all'esdebitazione non deve «essere stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività di impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione (...)» (n. 6).

A differenza di quanto avviene per la distrazione dell'attivo, nel caso in esame acquista rilevanza decisiva quale fattore impeditivo dell'esdebitazione l'intervenuta condanna con sentenza passata in giudicato per i reati indicati.

La menzione specifica della bancarotta fraudolenta, che rientrerebbe comunque negli altri delitti compiuti «in connessione con l'esercizio dell'attività di impresa», è meramente rafforzativa.

La soddisfazione dei creditori sociali

Il pagamento parziale dei creditori costituisce un presupposto oggettivo dell'esdebitazione: si tratta del c.d. presupposto di risultato.

In linea di principio sembra che la legge non contempli l'ipotesi in cui il fallito sia onesto, sfortunato, ma privo di beni e/o di crediti esigibili; dall'assenza di beni e/o di crediti esigibili nel patrimonio del fallito la legge sembra far discendere, senza possibilità di prova contraria, che lo stesso abbia ritardato colpevolmente l'apertura della procedura; e quindi non meriti di accedere al beneficio dell'esdebitazione.

La disposizione di cui all'art. 142, comma 2, l. fall. nella parte che prevede che «[l']esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori sociali» deve essere interpretata nel senso che debbono essere pagati per intero i crediti prededucibili e le spese di procedura, in quanto i crediti concorsuali sono quelli sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento.

Secondo un primo orientamento la condizione, secondo la quale i creditori concorsuali devono essere soddisfatti almeno in parte, si verifica anche se risultano parzialmente soddisfatti solo i creditori privilegiati, essendo del tutto indifferente se siano rimasti insoddisfatti i creditori chirografari (E. Frascaroli Santi, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Cedam, Padova, 2016, 676) e in questo senso si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità (Cass., s.u., 18 novembre 2014, nn. 24214 e 24215; Cass., 1 settembre 2015, n. 1736).

Una diversa conclusione volta ad assicurare il pagamento parziale di tutti i creditori introdurrebbe – secondo questa tesi - una distinzione irragionevole tra fallimenti con creditori privilegiati di modesta entità ed altri, e non terrebbe conto del fatto che il meccanismo esdebitatorio, pur derogando all'art. 2740 c.c., è già previsto nell'ordinamento concorsuale all'esito del concordato preventivo e fallimentare e, nel fallimento, opera verso la società con la cancellazione dal Registro delle Imprese chiesta dal curatore. Non manca però chi invece osserva che la condizione di cui si riferisce, ovvero che siano soddisfatti almeno in parte i creditori concorsuali, può ritenersi integrata solamente ove tutti i creditori concorsuali, compresi quelli chirografari, risultino parzialmente soddisfatti.

In evidenza: Cass. S.U., 18 novembre 2011, nn. 24214 e 24215; Trib. Como, 27 febbraio 2018

Le sezioni unite hanno affermato che la disposizione secondo la quale i creditori concorsuali devono essere soddisfatti almeno in parte non presuppone che tutti i creditori concorsuali siano soddisfatti almeno parzialmente, bensì è sufficiente che almeno una parte dei creditori sia stata soddisfatta, essendo rimesso al prudente apprezzamento del Tribunale accertare quando la consistenza dei riparti parziali consenta di affermare che l'entità dei versamenti effettuati costituisca la parzialità richiesta dalla legge.

(Segue) La soddisfazione pro forma dei creditori sociali

Diverso è il problema se si debba ritenere equivalente alla completa insoddisfazione dei creditori un loro soddisfacimento irrilevante o pro forma, come appare preferibile anche in considerazione dell'opportunità che l'istituto non trovi applicazione in situazioni marginali.

I coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso

Nei confronti dei coobbligati, del fideiussore del fallito e degli obbligati in via di regresso l'esdebitazione del fallito non comporta alcun effetto liberatorio.

Accade nell'esdebitazione quanto già previsto nel concordato fallimentare e nel concordato preventivo: sono pretese che si indirizzano verso patrimoni di altri soggetti a favore dei quali non v'è ragione di fare operare il meccanismo liberatorio, che sarebbe iniquo frustrasse l'affidamento dei creditori che confidavano per il loro soddisfacimento anche su un patrimonio diverso da quello del fallito. Essi peraltro non possono rivalersi nei confronti del garantito o del coobbligato fallito esdebitato.

La ratio della norma va individuata in ragioni di ordine pubblico, che hanno spinto il legislatore a non estendere gli effetti liberatori dell'esdebitazione ai coobbligati; questi ultimi non possono giovarsi del beneficio, poiché, in ragione della loro vicinanza con il fallito, hanno le maggiori informazioni circa il patrimonio di quest'ultimo.

L'esdebitazione dei crediti concorsuali non concorrenti

L'art. 144 l. fall. prevede che il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produca i suoi effetti anche nei confronti dei creditori concorsuali non concorrenti, ovvero di quei creditori che, pur essendo creditori concorsuali, non abbiano però presentato la domanda di insinuazione al passivo; tali creditori possono agire quindi nei confronti del fallito esdebitato solo per il recupero di quella parte del credito che avrebbero percepito in sede di riparto fallimentare.

La ratio della norma è indicata nella Relazione al d.lgs. n. 5/2006 dove si dice che la soluzione evita che i creditori possano essere disincentivati ad insinuarsi nella procedura concorsuale, in presenza di una possibile esdebitazione del fallito.

Dunque, dopo la chiusura del fallimento e l'intervenuta esdebitazione, i creditori concorsuali non concorrenti possono agire nei confronti del fallito tornato in bonis per quella parte del credito che avrebbero percepito in sede di riparto. L'art. 144 l. fall. – che prevede che il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce gli effetti anche nei confronti dei creditori anteriori all'apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda e, in tal caso, l'esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado − si presta a consentire accordi tra i creditori a danno del fallito.

Alcuni creditori potrebbero infatti assumere il rischio di non insinuarsi nel passivo per far lievitare la percentuale attribuita sia ai crediti insinuati, sia a quelli non insinuati. La percentuale attribuita secondo il meccanismo pensato dalla legge varia solo in relazione ai crediti insinuati ed è ovviamente inversamente proporzionale all'ammontare degli stessi.

Esdebitazione e chiusura del fallimento

Ai sensi dell'art. 120, comma 3°, l. fall. la chiusura del fallimento, di regola, non comporta la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte (in tutto o in parte); la norma dispone infatti che i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo appunto quanto previsto dagli artt. 142 ss.. La chiusura del fallimento di per sé sola, allo stato della legislazione, non produce mai, quindi, effetti analoghi a quelli dell'istituto in esame.

L'esdebitazione trova applicazione con riferimento alla chiusura del fallimento per ripartizione finale dell'attivo [art. 118, comma 1°, n. 3), l. fall.]. Non sembra invece poter trovare applicazione nel caso di: chiusura per mancanza di tempestive domande di ammissione al passivo [art. 118, comma 1°, n. 1), l. fall.], perché non possono essere stati soddisfatti creditori concorsuali concorrenti che non hanno fatto valere il loro credito; nel caso di pagamento di tutti i crediti ammessi (o di estinzione degli stessi in altro modo) e pagamento di tutti i debiti e di tutte le spese da soddisfare in prededuzione [art. 118, comma 2, n. 2), l. fall.], dato che non vi sarebbe più nulla da dichiarare inesigibile; nel caso in cui nel corso della procedura si accerti che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura [art. 118, comma 1, n. 4), l. fall.], difettando in questo caso il requisito che impone il pagamento parziale dei creditori concorsuali concorrenti.

Allo stato della legislazione l'esdebitazione è l'effetto di un provvedimento giurisdizionale alla cui definizione i creditori restano estranei: l'impostazione secondo la quale l'esdebitazione deve essere l'effetto di un provvedimento giurisdizionale non è però conforme alla Raccomandazione 2014/135/UE dedicata ad un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza, che nelle previsioni destinate alla liberazione dai debiti pregressi suggerisce, tra l'altro, la concessione automatica del beneficio, senza un ulteriore ricorso al giudice, in casi di meritevolezza (sul punto v. il § 11 con riferimento alle insolvenze di minor portata).

Altri aspetti procedimentali

L'art. 143 l. fall. disciplina in modo sintetico il procedimento di esdebitazione lasciando aperti vari problemi interpretativi (sui quali si rimanda a R. Guidotti, L'esdebitazione del fallito, in R. Borsari (a cura di), Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza, Padova University Press, 2015, 117 ss.).

La norma prevede che il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, verificate le condizioni di cui alla norma precedente e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.

Dispone poi che contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque altro interessato possono proporre reclamo a norma dell'art. 26 l. fall.

Dalla lettera della norma si evince in primo luogo che il procedimento di esdebitazione può svolgersi contestualmente al procedimento fallimentare; la pronuncia di esdebitazione è resa, in questo caso, «con il decreto di chiusura del fallimento»; il procedimento in questione resta comunque sul piano giuridico formale distinto da quello che porta alla cessazione della procedura fallimentare. Il tribunale che ha pronunciato il fallimento è in ogni caso l'unico giudice competente a pronunciare l'esdebitazione.

Legittimati alla presentazione dell'istanza sono, oltre il fallito, anche i suoi eredi, venendo in questione diritti di natura patrimoniale sicuramente trasmissibili a questi ultimi.

La legittimazione spetta in via esclusiva al fallito (e ai suoi eredi) in forza del principio generale secondo il quale un provvedimento giurisdizionale può essere pronunciato solo su istanza della parte interessata.

Il procedimento ha natura contenziosa e richiede pertanto l'assistenza tecnica di un difensore.

La domanda di esdebitazione deve essere corredata dalle prove e quindi, è ipotizzabile, anche dalla prova circa la collaborazione prestata dal fallito .

L'attività istruttoria deve infatti consentire al tribunale di verificare l'esistenza delle «condizioni di cui all'art. 142» l. fall. e di valutare i comportamenti collaborativi del debitore fallito.

L'audizione del curatore e del comitato dei creditori è obbligatoria, ma non vincolante; la mancata audizione dell'uno o dell'altro organo comporta la nullità del procedimento, che potrà però essere fatta valere solo con il reclamo senza peraltro che possa conseguire la rimessione al primo giudice.

Se effettuata dopo la chiusura della procedura, detta audizione costituisce un caso di ultrattività degli organi medesimi in deroga al disposto dell'art. 120 l. fall.

L'art. 143 l. fall. prevede espressamente che il collegio debba tener conto anche «dei comportamenti collaborativi» tenuti dal fallito, ma la previsione è solo rafforzativa, in quanto l'obbligo è già previsto nella norma precedente.

Il provvedimento, in caso di pronuncia contestuale alla chiusura del fallimento, può essere sia separato, sia contenuto in un capo autonomo del decreto di chiusura del fallimento stesso.

In linea generale, l'esdebitazione ha l'effetto di precludere definitivamente la riapertura del fallimento perché con essa i debiti residui diventano inesigibili, cosicché viene meno la condizione cui è subordinata la riapertura.

Il decreto di esdebitazione, tanto se contestuale a quello di chiusura del fallimento, quanto se reso successivamente, è impugnabile davanti alla Corte d'appello.

Il reclamo deve essere proposto entro il termine perentorio di dieci giorni, che decorre dalla comunicazione o notificazione del provvedimento al fallito; regola analoga vale – ove si ammetta la loro legittimazione – per il curatore ed il comitato dei creditori.

L'art. 26, comma 4°, l. fall. prevede poi che in ogni caso il reclamo non possa più proporsi decorso il termine perentorio di novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria.

A sua volta il provvedimento della Corte d'Appello è impugnabile in Cassazione ex art. 111 Cost.

In evidenza: Corte Cost. 30 maggio 2008, n. 181.

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 143 l. fall., per contrasto con l'art. 24 Cost., limitatamente alla parte in cui, in caso di procedimento di esdebitazione attivato ad istanza del debitore dichiarato fallito nell'anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione a cura del ricorrente ai creditori concorrenti, non integralmente soddisfatti, del ricorso con il quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui, nonché del decreto con il quale il giudice fissa l'udienza in camera di consiglio.

Il D.L. 27 giugno 2015, n. 83, conv. in L. n. 132/2015

Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. in L. 6 agosto 2015, n. 132, ha parzialmente integrato la disciplina dell'esdebitazione del fallito.

In forza dell'art. 7 del citato d.l. è oggi possibile la chiusura del fallimento ai sensi dell'art. 118, comma 1, n. 3), l. fall., ovvero per ripartizione finale dell'attivo, anche in pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore mantiene la legittimazione processuale (F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il Civilista, 2015, 90; D. Galletti, La chiusura del fallimento con prosecuzione dei giudizi in corso: uno strumento da incentivare o da osteggiare, in Ilfallimentarista, 2015, 1 ss.).

La stessa norma prevede poi che, qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti successivi alla chiusura del fallimento, il venir meno dell'impedimento all'esdebitazione di cui all'art. 142, comma 2, l. fall., il debitore possa chiedere di accedere al beneficio anche nell'anno successivo al riparto che ha fatto venir meno l'impedimento stesso (art. 118, comma 2°, l. fall.). Il legislatore dell'estate del 2015 non ha però coordinato la disposizione contenuta nel novellato art. 120, comma 5, l. fall. con l'art. 143, comma 1, l. fall. (M. Spadaro, sub art. 118 l. fall ., in Aa. Vv., La nuova riforma del diritto concorsuale, Torino, 2015, 89 ss.). La prima delle due norme sopra citate prevede infatti che, una volta chiuso il fallimento nonostante la pendenza delle liti, il giudice delegato ed il curatore restino in carica solo ai fini di quanto previsto dall'art. 118, comma 2, terzo periodo e ss., l. fall. e quindi, per quanto qui interessa, per chiedere, il curatore, e autorizzare, il giudice delegato, le rinunzie alle liti e le transazioni.

La seconda delle due disposizioni, l'art. 143, comma 1, l. fall., per contro, prevede che il Tribunale debba decidere sull'esdebitazione sentito sia il curatore, sia il comitato dei creditori.

Al proposito si è ipotizzato che l'audizione del comitato dei creditori non sia più necessaria in tutte le ipotesi di esdebitazione post fallimentare indipendentemente dai presupposti che l'hanno resa possibile (M. Montanari, La recente riforma della normativa in materia di chiusura del fallimento: primi rilievi, in Il Caso.it, 2015, II, 14 s.); e quindi anche per quelle esdebitazioni che non derivano dalla pendenza di giudizi, ma semplicemente dalla circostanza che il fallito chieda di accedere al beneficio successivamente alla chiusura del fallimento.

L'opinione non convince, perché comporta una, quantomeno parziale, disapplicazione dell'art. 143, comma 1°, l. fall. che, per contro, non è stato modificato. Si deve ritenere che, a tutt'oggi, esistano due regimi espressamente disciplinati di ultrattività degli organi della procedura: il primo, destinato, in deroga all'art. 35 l. fall., ad operare per il caso di rinunzia o transazione delle liti, quando il fallimento sia stato chiuso nonostante la pendenza di giudizi; il secondo, destinato ad operare per il caso di esdebitazione in conformità a quanto dispone l'art. 143, comma 1°, l. fall. Solo in quest'ultimo caso l'ultrattività riguarda anche il comitato dei creditori (R. Guidotti, Esdebitazione del fallito: il requisito della soddifazione dei creditori (e note sulle possibili modifiche), in Ilfallimentarista, 2016, 4 ).

La c.d. “Riforma Rordorf”

La legge delega per la riforma della crisi d'impresa (l. 19 ottobre 2017, n. 155) ha previsto che nell'esercizio della delega, per la disciplina della procedura di esdebitazione all'esito della procedura di liquidazione giudiziale, il Governo si attenga ai seguenti principi e criteri direttivi:

(a) prevedere per il debitore la possibilità di presentare domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura e, in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura, al di fuori dei casi di frode o di malafede e purchè abbia collaborato con gli organi della procedura;

(b) introdurre particolari forme di esdebitazione di diritto riservate alle insolvenze minori, fatta salva per i creditori la possibilità di proporre opposizione dinanzi al tribunale;

(c) prevedere anche per le societa' l'ammissione al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso di società' di persone, in capo ai soci.

Anche in considerazione di quanto previsto dalla Raccomandazione 2014/135/UE il legislatore ha quindi ritenuto di prevedere, per le insolvenze di minor portata, la possibilità di un'esdebitazione di diritto – che dunque non richiede la pronuncia di un apposito provvedimento del giudice – conseguente alla chiusura della procedura di liquidazione giudiziale, salva la possibilità di eventuale opposizione da parte dei creditori i quali contestino la sussistenza delle prescritte condizioni, che il giudice sarà chiamato in tal caso a verificare; sotto questo profilo v'è quindi una condivisibile “inversione dell'onere” dell'attività processuale tra il debitore e i suoi creditori nel caso delle insolvenze di minore importanza.

Per le insolvenze maggiori, invece, l'esdebitazione presupporrà ancora che l'interessato presenti una domanda, e che il giudice provveda positivamente su di essa. In considerazione del fatto che tali procedure maggiori potrebbero non avere durata breve, si è ipotizzato che la domanda possa essere avanzata non solo dopo la chiusura della procedura medesima, ma anche dopo il decorso di un triennio dalla sua apertura; tanto ovviamente perché – nel caso di “meritevolezza” del debitore – lo stesso non subisca pregiudizio, sotto il profilo dei tempi per accedere al beneficio, da circostanze a lui estranee.

Entrambe le possibili innovazioni, di cui si è appena detto, riguardano, a ben vedere, profili procedimentali dell'istituto; sostanziale è la terza modifica che il legislatore delegante propone / impone ai decreti legislativi delegati ovvero che al beneficio possano accedere anche le società e non solo, come accade oggi, solo il fallito persona fisica (v. supra §. 1). Ovviamente si doveva prevedere di chi fossero i comportamenti da sottoporre ad esame per poter godere del beneficio.

Naturale era, in linea di principio con riferimento alle società di capitali, la soluzione di analizzare i c.d. “requisiti di meritevolezza” (e v., per la disciplina attuale, il § 3) e le c.d. “condizioni per accedere all'esdebitazione” (e v., per la disciplina attuale, il § 4) in capo agli amministratori delle s.p.a. e delle s.a.p.a.; distinzioni sarebbero state opportune con riferimento alla s.r.l. dove la separazione delle competenze tra i soci e gli amministratori non è netta (si confrontino l'art. 2479, comma 1°, c.c. e l'art. 2380 bis c.c.) e dove esiste la responsabilità dei soci che hanno deciso o autorizzato determinate operazioni (art. 2476, comma 7°, c.c.).

Meno comprensibile è invece, sempre in linea di principio e con riferimento alle società di persone, la scelta di riferire i “requisiti” e le “condizioni” di cui sopra ai soci di società di persone e quindi anche ai soci che, da quanto è dato capire, non si occupano dell'amministrazione della società di persone, condizione nella quali si trova sicuramente l'accomandante ma nella quale si possono fisiologicamente trovare anche soci di s.s. o di s.n.c.; né convince, per ragioni parzialmente diverse, la soluzione (e v. il combinato disposto dell'art. 282, comma 4°, e 284 della bozza del Codice della Crisi e dell'Insolvenza del febbraio 2018) che riferisce detti requisiti ai legali rappresentanti (il riferimento non è ai poteri di gestione, ma a quelli di rappresentanza) e ai soci illimitatamente responsabili dato che nelle società di persone possono ben esserci soci illimitatamente responsabili che non partecipano in alcun modo all'amministrazione i cui comportamenti - e le cui “condizioni” - sembra corretto debbano rimanere ininfluenti ai fini della disciplina in esame che riguarda, sotto il profilo qui esaminato, l'esdebitazione dell'ente.

De iure condendo è quindi auspicabile una soluzione, compatibile con la legge delega, che abbia come riferimento – ai fini dell'analisi dei c.d. “requisiti di meritevolezza” e delle “condizioni per accedere all'esdebitazione” - sia per le società di capitali sia per le società di persone, i soggetti che hanno / hanno avuto reali poteri di gestione dell'ente (di diritto e / o di fatto).

In linea generale si può ancora osservare che l'attuale art. 142, comma 2°, l. fall. prevede che l'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Sarebbe opportuno che i decreti delegati prevedessero anche la necessità di individuare quali debbano essere i criteri oggettivi per ottenere l'esdebitazione (fuori ovviamente dal caso previsto dall'art. 287 della bozza del Codice della Crisi e dell'Insolvenza del febbraio 2018). Lasciando margini di discrezionalità al giudice si rischia infatti, tra l'altro, di ridurre le fattispecie con riferimento alle quali l'istituto potrà continuare a trovare applicazione.

La consapevolezza della possibilità dell'estinzione delle proprie esposizioni debitorie (sotto il profilo dell'inesigibilità), può favorire la tempestiva apertura di procedure concorsuali (Cass., 18 novembre 2011, n. 24214) ed indurre comunque il debitore, una volta fallito, a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche.

Ne segue che l'incertezza – anche con riferimento alla discrezionalità del giudice – dell'interpretazione della norma che permettere di accedere al beneficio in esame rischia di incentivare comportamenti patologici e di essere, anche nell'ottica della futura riforma, asistematica.

E tanto, a maggior ragione, ove si consideri che fra gli obiettivi perseguiti in via dichiaratamente prioritaria dal legislatore della c.d. “Commissione Rordorf” vi è quello di introdurre misure idonee a provocare l'emergere tempestivo della crisi (e v. in questo senso già R. Guidotti, Alcune ulteriori brevi note in tema di esdebitazione del fallito, in Il Caso.it, 2016, 4 ss.).

Riferimenti

Riferimenti normativi:

  • art. 118 l. fall.
  • art. 120 l. fall.
  • artt. 142-144 l. fall.
  • art. 150 d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5
  • art. 19, comma 1°, d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169
  • d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in l. 6 agosto 2015, n. 132
  • art. 8, l. 19 ottobre 2017, n. 155

Giurisprudenza:

  • Corte Cost. 30 maggio 2008, n. 181
  • Cass. s.u., 18 novembre 2011, n. 24214
Sommario