Esercizio provvisorio dell’impresa (l. fall.)

Federica Pasquariello
27 Aprile 2016

L'esercizio provvisorio dell'impresa nel fallimento comporta la prosecuzione pro tempore dell'attività d'impresa in corso di procedura. L'istituto ha recentemente conosciuto una crescente applicazione pratica, sulla scorta di una nuova e diffusa sensibilità che non riduce più necessariamente la procedura fallimentare ad una liquidazione immediata ed atomistica dei valori aziendali; ma, viceversa, è tesa a consentire le soluzioni che siano funzionali alla conservazione dei valori dell'organizzazione e dell'avviamento, nella prospettiva di una più efficiente e proficua riallocazione degli assets.

Inquadramento

L'esercizio provvisorio dell'impresa nel fallimento comporta la prosecuzione pro tempore dell'attività d'impresa in corso di procedura.

L'istituto ha recentemente conosciuto una crescente applicazione pratica, sulla scorta di una nuova e diffusa sensibilità che non riduce più necessariamente la procedura fallimentare ad una liquidazione immediata ed atomistica dei valori aziendali; ma, viceversa, è tesa a consentire le soluzioni che siano funzionali alla conservazione dei valori dell'organizzazione e dell'avviamento, nella prospettiva di una più efficiente e proficua riallocazione degli assets.

In tale logica, la gestione endofallimentare dell'impresa, condotta dal curatore, permette, al pari della diversa modalità conservativa rappresentata dall'affitto endoconcorsuale dell'azienda, di traghettare l'azienda verso cessioni in blocco ovvero aggregate. E può riguardare, per espressa previsione normativa, l'intera azienda ovvero singoli rami, preesistenti o di nuova costituzione, in una con la contemporanea liquidazione di rami da dismettere immediatamente. Un percorso di liquidazione in senso tradizionale, vale a dire, strettamente disgregativo, si lascia preferire solo qualora lo stato di decozione sia stato così grave da far perdere ogni plusvalore dell'organismo imprenditoriale: anche per questo assume rilevanza lo studio delle cause della crisi e della storia dell'impresa, nonché la tempestività dell'intervento della procedura.

E' chiaro infatti che la strategia della continuità (anche nel concordato preventivo) va collocata nella moderna visione tesa a favorire ed anzi, incoraggiare, la tempestiva emersione della crisi d'impresa, risultando evidente che una soluzione di continuità possa risultare in fatto praticabile in tanto in quanto la decozione non abbia condotto l'impresa ad uno stadio terminale senza lasciare alcuna possibilità di recupero.

Va segnalato che l'imminente riforma dell'intera disciplina concorsuale non sembra riguardare espressamente e direttamente questo istituto.

L'esercizio provvisorio disposto in via di urgenza

A mente dell'art. 104, comma 1, l. fall., è nella stessa sentenza dichiarativa di fallimento che il tribunale può in primo luogo ravvisare la necessità della prosecuzione temporanea dell'attività. Si suppone, all'evidenza, che l'istanza relativa sia emersa nel corso dell'istruttoria prefallimentare, che ne rappresenta l'adeguata sede processuale.

La norma non fa alcun riferimento ad un'istanza di parte, e dunque non la impone; ciò non toglie, evidentemente, che il debitore che richieda il fallimento in proprio, il creditore instante o il PM prospettino utilmente nella rispettiva istanza le ragioni di opportunità e convenienza che suggeriscono la necessità, in fatto, di evitare la brusca interruzione dell'attività di impresa; o la sua immediata ripresa.

Il presupposto per l'adozione di questo provvedimento si compone di un elemento positivo e di uno negativo o ostativo.

  • In primo luogo si richiede l'indagine sul possibile prodursi di un “danno grave” come effetto della cessazione dell'attività (A. Rossi, Il valore dell'organizzazione nell'esercizio provvisorio dell'impresa, Milano, 2013, 7). La valutazione di questo danno è aperta all'apprezzamento di istanze ulteriori rispetto all'immediata realizzazione del credito, quali la tutela occupazionale o il mantenimento di un servizio essenziale (Trib. Siracusa, 25 novembre 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di Angeli), ovvero evitare il deprezzamento di un marchio o del magazzino. Il pericolo di danno potrebbe essere percepito come talmente incombente, oltre che grave, da consigliare l'adozione, nell'ambito dell'istruttoria prefallimentare, di un provvedimento cautelare ex art. 15, comma 8, l. fall., volto a consentire la temporanea prosecuzione dell'attività, su istanza preventiva del richiedente il fallimento (Ferro, I poteri del giudice delegato nell'istruttoria sull'insolvenza, in Fall, 2008, 1037). Nella parentesi cautelare, la gestione dell'impresa potrebbe provvisoriamente essere affidata agli amministratori della società fallita o al debitore medesimo, eventualmente affiancato o sostituito da uno o più professionisti individuati dal giudice; in questa sede il tribunale può ulteriormente connotare il provvedimento con l'indicazione di modalità, condizioni o limiti ai poteri del gestore provvisorio. Il provvedimento in discorso ha natura cautelare e provvisoria, essendo inevitabilmente destinato, per espressa previsione di legge, ad essere confermato o revocato dalla sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero revocato dal decreto di rigetto.

  • Occorre poi verificare che la continuazione dell'attività non arrechi pregiudizio ai creditori. Il riconoscimento di un ruolo così nevralgico ai creditori assume anche il significato di collocare in posizione secondaria posizioni soggettive altre e diverse, con accentuazione della vocazione per così dire privatistica dell'esercizio provvisorio (L. Stanghellini, Le crisi d'impresa tra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, 74). L'uso del termine plurale “creditori” non vale ad individuare tipicamente l'intera categoria (che peraltro è priva di una unitaria identità), ma ha significato generico, equivalente a “qualcuno appartenente alla categoria dei creditori”: pertanto anche il pregiudizio per uno solo o alcuni dei creditori, e non necessariamente della totalità degli stessi, giustifica l'esclusione dell'esercizio provvisorio, o legittima la scelta di destinare alla prosecuzione dell'attività un solo ramo dell'azienda.

L'esercizio provvisorio disposto in corso di procedura

L'esercizio provvisorio dell'impresa fallita (o di un suo ramo) può essere altresì disposto ai sensi dell'art. 104, comma 2, l. fall., indipendentemente dalle decisioni assunte in sentenza dichiarativa, e quindi anche dopo la temporanea interruzione dell'attività (Maffei Alberti, Comm. breve alla l. fall., Padova, 2013, 706).

Questa seconda ipotesi si presenta come una fattispecie a formazione complessa che coinvolge tutti gli organi della procedura nella valutazione di convenienza o non manifesta antieconomicità della prosecuzione dell'attività, considerato il quantum, ma anche la modalità e la tempistica, del soddisfacimento dei creditori: la decisione è assunta dal giudice delegato con decreto motivato, su proposta del curatore, acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori, reso a seguito di decisione collegiale (art. 41 l. fall.).

Quindi: se il parere è contrario, non si dà luogo all'esercizio provvisorio; se il parere è positivo non può ritenersi senz'altro vincolante, e la proposta del curatore, ancorché accettata dal comitato, va accolta con decreto motivato del giudice delegato, nel quale saranno quindi, per quanto sommariamente, indicate le ragioni della decisione poste a fondamento del convincimento del giudice. Tale decreto è soggetto ai rimedi di portata generale di cui all'art. 26 l. fall.; la pronuncia di secondo grado è poi ricorribile per Cassazione.

Il provvedimento del giudice che autorizza l'esercizio provvisorio deve fissarne la durata, nel contesto di un'attività gestionale liquidatoria che la legge non lascia all'improvvisazione. Tecnicamente, però, gli effetti della previsione sfuggono, se è vero che il termine previsto può essere disatteso, sia nel caso in cui dell'esercizio provvisorio già disposto sia legittimamente decisa la cessazione (v. infra), sia nel caso in cui sia prorogato, come sembra giocoforza ammettere che sia consentito fare, ove sussistano le medesime considerazioni di opportunità e convenienza che ne avevano suggerito l'avvio, e secondo le medesime regole di competenza.

In evidenza: Trib. Bologna, 14 agosto 2009, in Fall., 2009, 1355

Secondo un orientamento giurisprudenziale, che resta però isolato, il tribunale non “consuma” il potere di disporre l'esercizio provvisorio al momento della dichiarazione di fallimento, e conserverebbe anche in costanza di procedura la facoltà di autorizzarlo in via di urgenza, a prescindere dal parere del comitato e al di fuori delle modalità della decretazione del giudice delegato.

L' esercizio provvisorio nel programma di liquidazione

La continuazione dell'attività di impresa si presenta, nell'attuazione del programma di liquidazione, in un rapporto di strumentalità (Bertacchini, in Aa.Vv., Dir. fallimentare, Milano, 2007, 326) con i fini dello stesso: al secondo comma, lett. a), dell'art. 104-ter l. fall., infatti, è previsto che il curatore deve illustrare l' opportunità di disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa o di singoli rami. Si sottintende che in tale sede si possa provvedere ex novo in tema di esercizio provvisorio, per quanto il trascorrere del tempo renda improbabile l'utilità della scelta (Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 594).

Si tratta, peraltro, di contenuto meramente eventuale del programma, nel senso che il curatore non è tenuto sempre e necessariamente a prendere posizione sul punto, giustificando e motivando l'apprezzamento della insussistenza delle condizioni per procedere all'esercizio provvisorio. Altro è, ovviamente, il caso in cui l'attività fosse stata temporaneamente proseguita per provvedimento del tribunale in sede di sentenza dichiarativa del fallimento ed il curatore ritenga di non dare ulteriore seguito all'attività, sostenendo l'opportunità che sia interrotto l'esercizio provvisorio già in atto.

In una logica che comprende non solo la sistemazione del debito, ma anche la riorganizzazione del soggetto fallito, possono risultare utili e strumentali anche operazioni societarie straordinarie, come trasformazioni, fusioni, scissioni o interventi sul capitale sociale (F. Pasquariello, Gestione e riorganizzazione dell'impresa nel fallimento, Milano, 2010, 152).

Lo svolgimento della gestione provvisoria: poteri e responsabilità del curatore

Le gestioni temporanee sono caratterizzate da un “liquidare esercendo” (Niccolini, Gestione dell'impresa nelle società in liquidazione: prime riflessioni sulla riforma, in Riv. soc. 2003, I, 898), che non è lecito percepire come una contraddizione in termini. In quest'ottica, al confronto delle opportunità di cui si avvale l'imprenditore in bonis, il curatore fruisce di strumenti vantaggiosi e aggiuntivi, quali la possibilità di sciogliersi da contratti che valuta non conveniente conservare; di proseguire nell'attività di un solo ramo d'azienda, cessando contemporaneamente altre attività per alienare i relativi beni strumentali; di licenziare i dipendenti in esubero afferenti ai rami dismessi, poiché l'effettiva cessazione dell'attività a seguito del fallimento rappresenta giusta causa di licenziamento.

La prosecuzione dell'impresa da parte del curatore realizza una sostituzione nell'amministrazione attiva del patrimonio (Rivolta, L'esercizio dell'impresa nel fallimento, Milano, 1969, 160); alla gestione provvisoria del curatore si applicano gli stessi principi che governano in generale l'amministrazione fallimentare del patrimonio del fallito, seppure in chiave dinamica e non meramente conservativa.

La circostanza che la procedura si trovi nella particolare condizione dell'esercizio provvisorio incide, in fatto ed in diritto, nel concreto apprezzamento dell'area della straordinaria amministrazione, cioè, modifica i parametri di valutazione degli ambiti della gestione ordinaria, trasferendo entro i confini della stessa tutte quelle attività non strettamente conservative – quali una nuova operazione o l'accensione di finanziamenti - che, in mancanza dell'apertura di una fase di gestione attiva, assumerebbero portata straordinaria.

Esiste a questo proposito un dubbio interpretativo che divide gli interpreti: se al di là di questi dilatati ambiti della gestione ordinaria siano comunque individuabili atti di gestione straordinaria, così da doversi fare ricorso al regime autorizzatorio degli atti straordinari nominati e ricostruibili per via interpretativa secondo l'art. 35 l. fall. (questa norma peraltro non contiene la salvezza del caso di esercizio provvisorio; cfr. Mandrioli, in La riforma della l. fall. a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2006,1358); o se l'art. 35 l. fall. riguardi invece la sola conduzione corrente della procedura, ma non si presti ad un'applicazione diretta in caso di esercizio provvisorio dell'impresa, così che una volta autorizzato l'esercizio provvisorio nessuna operazione gestionale avrebbe bisogno di autorizzazione giudiziaria ad hoc (Zanichelli, La nuova disciplina del fall. e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2008, 234).

Per quanto attiene ai peculiari profili di responsabilità che possono scaturire dalla provvisoria prosecuzione dell'attività, ogni violazione dei doveri del curatore (quale l'irregolare tenuta della separata contabilità aziendale) e ogni inadempimento colpevole del curatore (il quale, ad esempio, non provveda per inerzia ad un pagamento autorizzato o comunque consentito, pur avendone la disponibilità) è fonte, oltre che di eventuale responsabilità per danni a carico della massa, anche di una responsabilità risarcitoria del curatore, personalmente nei confronti della procedura,ex art. 38 l. fall. Il sistema va poi completato con le previsioni sulla revoca del curatore (art. 37 l. fall.); sulla sua sostituzione (art. 37-bis l. fall. ); e sulla facoltà di proporre reclamo avanti il giudice delegato contro gli atti di amministrazione del curatore, invocando particolari motivi di violazione di legge (art. 36 l. fall.).

Anche gli adempimenti fiscali relativi all'impresa proseguita gravano sul curatore (Fico, Adempimenti fiscali della s.r.l. fallita con esercizio provvisorio e revoca del curatore, in questo portale, 16 dicembre 2014).

Effetti: nuovi debiti e contratti in corso

I principali effetti dell'esercizio provvisorio, il cui apprezzamento pesa sulla valutazione di opportunità della sua autorizzazione sono:

  • il trattamento in prededuzione per i crediti dei terzi sorti in occasione della gestione endofallimentare (art. 104, comma 8, l. fall.), previsto non solo in nome di intuitive ragioni di giustizia ed opportunità, legate all'esigenza di agevolare i nuovi rapporti negoziali intervenuti tra la procedura ed i terzi, ma anche per più puntuali considerazioni di ordine sistematico: le nuove obbligazioni sorte per previsione di legge a causa del fallimento sono tecnicamente debiti della massa, al pari delle spese della procedura, e danno luogo necessariamente a crediti ricompresi tra quelli di cui all'art. 111, l. fall., soggetti al trattamento disciplinato dall'art. 111-bis l. fall. e quindi, in mancanza di contestazione per collocazione ed ammontare, possono essere sottratti all'accertamento concorsuale e, ove risultino liquidi ed esigibili, venire senz'altro pagati dal curatore al di fuori del piano di riparto, previa autorizzazione del giudice o del comitato dei creditori;
  • la prosecuzione automatica dei contratti in corso di esecuzione (art. 104, comma 7, l. fall.), con la conseguenza che il curatore diviene ad ogni effetto parte contrattuale ed è tenuto all'adempimento nei modi e nei tempi che già impegnavano il fallito; ma è consentito, nell'interesse della procedura, che il curatore manifesti la volontà di sospendere l'esecuzione del contratto in modo da prendere una decisione meglio ponderata o di sciogliersene senz'altro, ove l'impegno contrattuale possa impedire o intralciare l'attività. Non è qui richiesto il parere del comitato dei creditori (Trib. Nocera Inf., 13 febbraio 2012). Sono attratti dalla disciplina in commento sia i cosiddetti contratti aziendali, sia quelli d'impresa, intesi globalmente, in caso di prosecuzione dell'intera attività; intesi limitatamente allo specifico settore interessato, invece, quando l'esercizio provvisorio è circoscritto ad un solo ramo d'azienda.

Sussiste incertezza quanto al trattamento, se in prededuzione o no, degli insoluti pregressi, in caso di subentro in un contratto di durata, secondo il principio dell'art. 74 l. fall.

Orientamenti a confronto

Contrario alla prededuzione

Favorevole alla prededuzione (ex art. 74 l. fall.)

Trib. Busto Arsizio, 18 gennaio 2012

Cass. 19 marzo 2012, n. 4303

(ma in relazione al periodo successivo alla cessazione dell'esercizio provvisorio, con riapplicazione diretta del sistema degli artt. 72 e ss. l. fall. in relazione ai contratti ancora pendenti)

Concretamente, i margini di operatività della disposizione di cui all'art. 104, comma 7, l. fall. vanno coordinati con il sistema di cui agli artt. 72 e ss. l. fall. (Genovese, Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione. Prime considerazioni sulle novità della riforma, in Dir. fall., 2006, I, 1134). Questo coordinamento si rende necessario:

  • se è apprezzabile un intervallo temporale tra la dichiarazione di fallimento e l'autorizzazione all'esercizio provvisorio, intervallo durante il quale spiegano momentaneamente effetto le disposizioni generali sulle conseguenze del fallimento sui rapporti pendenti: in relazione ai contratti per i quali la legge commina l'automatico scioglimento, se l'intervenuta dichiarazione di fallimento ha già prodotto l'effetto dissolutivo sul vincolo negoziale, questi effetti restano definitivi (Terranova e altri, La nuova legge fallimentare annotata, Napoli, 2006, 201);
  • se l'apertura della gestione sostitutiva del curatore era consentita già in sentenza dichiarativa e vi sia dunque concomitanza sul piano temporale nell'applicazione delle due discipline: allora va ritenuto che tendenzialmente tutti contratti pendenti, ancorché oggetto di previsione specifica nella disciplina di cui agli artt. 72 e ss. l. fall., siano destinati a proseguire, salva la facoltà del curatore di sospenderli o sciogliersi, per effetto della prevalenza della disciplina specifica dell'art. 104 l. fall.. Un utile argomento sistematico a sostegno di tale interpretazione è offerto dalla previsione specifica in tema di contratto di leasing, il solo per il quale è prevista espressamente una disciplina ad hoc in caso di esercizio provvisorio (art. 72-quater l. fall.): a parte il merito della norma, a livello ermeneutico la stessa potrebbe essere intesa come sintomatica della applicabilità - a tutti i contratti in corso nell'esercizio provvisorio, ancorché nominati nel sistema degli artt. 72 e ss. l. fall. - della regola generale dell'art. 104, comma 7, l. fall, tanto che a quella regola è stato necessario espressamente derogare, sebbene lievemente, ai sensi del citato art. 72-quater l. fall.

La circostanza che al momento dell'apertura della procedura sussistano rapporti negoziali pendenti incide sulla possibilità di configurare i margini di un utile esercizio provvisorio, sulla sua convenienza economica e sulle previsioni del relativo esito.

Reciprocamente, il subentro del curatore in taluni preesistenti contratti di durata (quali un appalto) presuppone in sostanza una prosecuzione dell'attività, o almeno di un suo ramo, in via surrogata, e presenta gli stessi delicati aspetti rilevanti anche in caso di esercizio provvisorio, in considerazione dell'impegno economico richiesto, del profilo temporale della durata, dell'impatto sull'organizzazione aziendale, e delle ricadute sulla massa attiva conseguenti all'assunzione di obblighi che danno vita a crediti prededucibili.

Tuttavia i temi sono trattati dalla legge in modo autonomo e le rispettive decisioni, sulla gestione dei contratti e sull'esercizio provvisorio, sono soggette ad una disciplina differenziata.

In evidenza: i contratti di lavoro subordinato

L'esercizio provvisorio rappresenta il margine di persistente possibilità materiale e giuridica della prestazione lavorativa, o, in altri termini, influisce negativamente sull'esistenza di un “giustificato motivo” oggettivo di licenziamento, rappresentato dalla cessazione dell'impresa (Nardo, Fallimento e rapporto di lavoro subordinato, in Dir. fall., 1992, I, 740): si rinviene effettivamente la giusta causa di licenziamento non già alla data di dichiarazione di fallimento, ma allorché sia negato o comunque non disposto l'esercizio provvisorio dell'impresa, al più tardi, nel programma di liquidazione approvato.

Il sistema dei controlli e la cessazione dell'esercizio provvisorio

L'impresa in esercizio provvisorio è sottoposta ad un continuo ed attento monitoraggio, finalizzato al controllo sulla gestione, alla verifica della perdurante convenienza ed opportunità della stessa e della persistenza degli interessi la cui tutela è posta a fondamento dell'autorizzazione .

In particolare, occorre che:

  • almeno ogni tre mesi il curatore informi il comitato dei creditori sull'andamento dell'attività; destinatario dell'informativa in parola risulta il solo comitato dei creditori, ma sembra opportuno che la stessa sia indirizzata anche al giudice (M. Sandulli, in La riforma della l. fall. a cura di Nigro e Sandulli, cit., 608), anche considerando che lo stesso può in ogni momento e di propria iniziativa revocare l'esercizio provvisorio;
  • ogni semestre (rectius: entro 60 gg dalla fine di ogni semestre, per applicazione analogica della previsione di cui all'art. 33 l. fall.) lo stesso curatore stenda un rendiconto dell'attività, che sarà redatto con criteri speciali, poiché occorre non solo illustrare le operazioni compiute, coi relativi effetti, ma anche tentare la previsione per il futuro; sembra altresì opportuna la predisposizione di una nota illustrativa che descriva la situazione dell'impresa, nonché di un rendiconto finale, che rechi i risultati complessivi della continuazione (Fimmanò, Prove tecniche di esercizio provvisorio, in Giur. comm., 2007, I, 780.);
  • in ogni caso e senza indugio il curatore deve informare giudice delegato e comitato delle circostanze sopravvenute che influenzino (negativamente) l'andamento dell'attività.

La cessazione dell'esercizio provvisorio si verifica, a mente dell'art. 104, comma 4, l. fall., per provvedimento del giudice delegato, su richiesta del comitato dei creditori. In secondo luogo, a mente dell'art. 104, comma 6, l. fall., la cessazione dell'attività provvisoriamente proseguita, laddove se ne ravvisi l'opportunità, può essere disposta dal tribunale in camera di consiglio con decreto non soggetto a gravame, sentito il curatore ed il comitato del creditori. La decisione può essere adottata in ogni momento, a prescindere sia dall'opinione del comitato dei creditori, sia da un impulso di parte, e pertanto, anche d'ufficio.

La cessazione dell'esercizio provvisorio lascia impregiudicati gli atti legalmente compiuti dalla procedura, e quindi: i debiti assunti dal curatore nell'esercizio dell'impresa gravano in prededuzione sulla massa e, quanto ai rapporti negoziali lasciati pendenti, l'ultimo comma dell'art. 104 l. fall. prevede l'applicazione della disciplina dei contratti pendenti nel fallimento (artt. 72 e ss. l. fall.).

Esercizio provvisorio versus affitto endo-fallimentare

L'affitto endo-fallimentare dell'azienda del fallito rappresenta la soluzione interlocutoria che già la prassi conosceva e che poi la legge ha disciplinato (art.104-bis l. fall.) per realizzare risultati per certi versi assimilabili alla gestione provvisoria, cioè: conservare integra e attiva l'organizzazione avviata, temporeggiando sino all'individuazione della più proficua soluzione riallocativa (Galletti e altri, Esercizio provvisorio e strumenti alternativi per la continuità aziendale, Milano, 2013).

In una logica di non immediato realizzo, le due soluzioni, dell'affitto e dell'esercizio provvisorio, potrebbero, in fatto, non escludersi a vicenda, ma coesistere (Fimmanò, op. cit., 758), come nel caso di affitto e di esercizio provvisorio relativi rispettivamente a diversi rami d'azienda o nell'eventualità di momentanea prosecuzione dell'attività in vista dell'individuazione di un possibile affittuario, o viceversa, come nel caso in cui il contratto valga a conservare in vita l'organizzazione nelle more dell'approvazione del programma di liquidazione, che a sua volta disponga dell'esercizio provvisorio.

Il curatore potrebbe altresì perseguire volutamente la strategia di scartare l'esercizio provvisorio, in modo da rimanere pienamente libero di sciogliersi (exartt. 72 e ss. l. fall., ed evitando gli effetti di prosecuzione automatica di cui all'art. 104 l. fall.) da impegni contrattuali troppo onerosi, per poi optare immediatamente per una cessione in affitto ad un terzo, il quale a sua volta si avvantaggerebbe dalla sopravvivenza di minori vincoli contrattuali.

La competitività dell'opzione per l'affitto versus la gestione diretta da parte della procedura si apprezza ove si consideri che

Affitto endoconcorsuale:

● consente alla procedura di fruire di un'entrata certa, il canone, senza accollo del rischio di impresa;

● al momento della retrocessione dell'azienda al proprietario non sussiste alcuna responsabilità della procedura o del fallito per i debiti dell'azienda (ri)ceduta, in deroga ai principi generali civilistici;

● il grado di cogenza dell'affitto endo-fallimentare risulta attenuato dalla disposizione di cui all'art. 104-bis, comma 3, l. fall., che garantisce sempre al curatore il diritto di recesso, salvo indennizzo.

Esercizio provvisorio:

● la decisione sull'esercizio provvisorio, per tempistica e modalità, presenta un certo grado di flessibilità, potendo essere adottata già in sentenza dichiarativa di fallimento o anche disposta in via cautelare, pendente l'istruttoria prefallimentare;

● la sottoscrizione di un impegno contrattuale nuovo da parte della procedura, oltre a richiedere i costi, anche sindacali, di una negoziazione, ed imporre lo sforzo di reperimento dell'affittuario, vincola a tempi ed adempimenti che l'esercizio diretto dell'attività non richiede: si consideri che l'esercizio provvisorio può essere in ogni momento repentinamente interrotto per volontà dei creditori e conseguente provvedimento del Giudice o per disposizione del Tribunale, così da poter risultare, sì, maggiormente aleatorio, ma per certi versi meno vincolante ed impegnativo per il fallimento;

● in caso di revoca del fallimento, l'esercizio dell'impresa già provvisoriamente disposto verrebbe automaticamente meno (o meglio, confluirebbe nella fisiologica prosecuzione dell'attività dell'imprenditore in bonis), mentre l'affitto, come atto legalmente compiuto, resterebbe pienamente valido ed opponibile all'imprenditore stesso.

Infine, in ambo i casi, per i rapporti pendenti al momento della cessazione vuoi dell'affitto, vuoi dell'esercizio provvisorio, si rende applicabile la disciplina di cui agli artt. 72 e ss. l. fall., che consente alla procedura di selezionare, nell'ambito dei rapporti negoziali ancora in essere, gli impegni contrattuali che conviene mantenere rispetto a quelli da sciogliere.

Riferimenti

Normativi

  • art. 104 l. fall.
  • art. 104-bis l. fall.
  • art. 104-ter l. fall.
  • art. 72 l. fall.
  • art. 35 l. fall.

Giurisprudenza

  • Cass. 27 settembre 2013, n. 22209;
  • Trib. Piacenza, 10 agosto 2012;
  • Trib. Napoli, 21 novembre 2011, in Dir. merc. lav., 2011, 703;
  • Trib. Bologna, 1 luglio 1993, in Dir. fall., 1994, II, 549;
  • Trib. Lecce, 1 ottobre 2008, in Fall, 2009, 175.

Sommario