Confisca (misura di prevenzione)

Francesco Menditto
03 Settembre 2015

Il “salto di qualità”del sistema della prevenzione avviene quando la l. 646/1982 (c.d. legge Rognoni-La Torre) introduce nell'ordinamento il sequestro e la confisca dei beni indiziariamente di provenienza illecita nella disponibilità, diretta o indiretta, degli indiziati di appartenenza alla mafia, soggetti cui si applicano le misure di prevenzione personali in forza della l. 575/1965.
Inquadramento

Il “salto di qualità” del sistema della prevenzione avviene quando la l. 646/1982 (c.d. legge Rognoni-La Torre) introduce nell'ordinamento il sequestro e la confisca dei beni indiziariamente di provenienza illecita nella disponibilità, diretta o indiretta, degli indiziati di appartenenza alla mafia, soggetti cui si applicano le misure di prevenzione personali in forza della l. 575/1965. Si prevede, dunque, una forma di confisca che prescinde dalla condanna e che consente di acquisire allo Stato beni (di illecita provenienza) in assenza di un nesso strumentale con un reato, come previsto fino a quel momento dall'unica forma di confisca disciplinata dal codice penale (art. 240 c.p.) e dalle leggi speciali.

I positivi risultati dell'azione di contrasto patrimoniale inducono il legislatore ad estendere la confisca (di prevenzione) nei confronti degli indiziati di commissione di gravi delitti e di ogni forma di pericolosità.

L'accertamento relativo alla pericolosità – che prescinde dalla condanna –, il carattere indiziario della provenienza illecita dei beni e il più agile procedimento pur pienamente giurisdizionalizzato, fanno divenire la confisca di prevenzione un istituto di ampia applicazionenell'azione di sottrazione dei beni illecitamente acquisiti e di recupero alla collettività.

È questo l'approdo delle misure di prevenzione che le rende moderne e consente di collocarle a pieno titolo nell'area del diritto.

Evoluzione normativa

Le misure di prevenzione, nate come mera forma di controllo di polizia di aree del disagio sociale (oziosi, vagabondi, etc.) e rese conformi alla Costituzione dalla l. 1423/1956 che ne conserva la finalità di prevenire condotte delittuose di soggetti pericolosi (c.d. pericolosità comune), sono estese dalla l. 575/1965 (c.d. legge antimafia) ai meri indiziati di appartenenza alla mafia (c.d. pericolosità qualificata). L'applicazione a questi nuovi soggetti pericolosi avviene attraverso l'accertamento di una condotta che “evoca” il reato associativo previsto dall'art. 416 c.p. (all'epoca non era tipizzato l'art. 416-bis c.p.), pur se è sufficiente l'indizio (e non la prova) della partecipazione.

La necessità di intervenire nei confronti del fenomeno mafioso con strumenti innovativi rispetto a quelli regolati dal diritto penale classico è alla base della l. 646/1982 che (oltre ad introdurre il delitto di cui all'art. 416-bis c.p.) prevede la confisca dei beni illecitamente accumulati dalle persone indiziate di mafia quale misura accessoria a coloro cui è applicata la misura personale.

Nel tempo la confisca viene resa più efficace, da un lato col progressivo ampliamento (dal 1988 al 2009) ad ulteriori categorie di pericolosità, dall'altro rimuovendo i limiti derivanti dal principio di accessorietà con l'introduzione (nel 2008) dell'applicazione disgiunta delle misure patrimoniali, indipendentemente da quelle personali.

Il d.lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia, procede alla ricognizione organica della materia prevedendo (art. 16) l'applicabilità della confisca a tutti i destinatari delle misure personali elencati all'art. 4.

Nell'evoluzione sinteticamente descritta si collocano le recenti applicazioni giurisprudenziali delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali) nei confronti di persone pericolose appartenenti all'area dei c.d. colletti bianchi che, al pari delle figure tradizionalmente destinatarie delle misure, vivono, anche in parte, di traffici delittuosi o del provento di delitti: l'evasore fiscale abituale, il corruttore o il corrotto abituale (si rinvia a F. Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, La confisca ex art. 12 sexies l. n. 356/92, Milano, 2012, 71 ss).

Compatibilità con la Costituzione

Pur se la dottrina esprime ampie riserve sulla “costituzionalità” delle misure di prevenzione patrimoniali, il giudice delle leggi ha più volte riconosciuto la conformità a Costituzione della confisca di prevenzione.

Il sacrificio del diritto d'impresa e della proprietà privata, giustificato dall'utilità generale e dalle esigenze di sicurezza (art. 41, comma 2, Cost.) ovvero dalla funzione sociale (art. 42, comma 2, Cost.) è bilanciato dal diritto di difesa (Corte cost. 22 giugno 1988, n. 722; Corte cost. 30 luglio 2012, n. 216).

La particolarità della materia, per le origini storiche e per le continue innovazioni introdotte sotto la spinta di esigenze di politica criminale, richiede, comunque, interpretazioni costituzionalmente orientate dirette a prevenire lo scrutinio di costituzionalità.

Il contesto internazionale e la compatibilità con la Cedu

Diversamente dall'esperienza italiana, in cui il procedimento di prevenzione si affianca al processo penale, in altri ordinamenti il contrasto ai patrimoni illeciti avviene solo con la confisca penale. Alcune legislazioni di paesi anglosassoni prevedono actiones in rem che si sviluppano attraverso meccanismi probatori più assimilabili al diritto civile che al diritto penale, legati o meno all'accertamento della responsabilità penale.

L'interesse dell'ordinamento internazionale per il sistema italiano emerge, tra l'altro, da alcune risoluzioni del Parlamento europeo (del 25 ottobre 2011 e del 23 ottobre 2013) in cui, nell'affrontare il tema del contrasto alla criminalità organizzata, si richiamano «le misure di prevenzione patrimoniale adottate dalle autorità giudiziarie italiane».

La direttiva del Parlamento e della Commissione approvata il 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea, non fa alcun riferimento a forme di confisca diverse da quelle penali benché nel corso delle prime proposte vi fosse un riferimento alle misure di prevenzione e alle actiones in rem.

La Corte Edu riconosce la “confisca antimafia” come misura di prevenzione e non sanzione penale, disciplinata dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1. Non trova ingresso l'art. 7 della Convenzione che imporrebbe l'applicazione di principi propri del sistema penale. La misura presenta funzione e natura ben distinte rispetto alla sanzione penale; mentre quest'ultima tende a sanzionare la violazione di una norma penale ed è subordinata all'accertamento di un reato e della colpevolezza dell'imputato, la misura di prevenzione non presuppone un reato e tende a prevenirne la commissione da parte di soggetti ritenuti pericolosi (Corte europea diritti dell'uomo 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; 15 giugno 1999, Prisco c. Italia). La confisca in esame rientra tra quelle misure (non inevitabilmente a carattere penale) necessarie e adeguate alla protezione dell'interesse pubblico e non può essere paragonata a una sanzione penale secondo i tre criteri individuati dalla stessa Corte: la qualificazione nel diritto interno, la natura della sanzione, la severità della sanzione (Corte europea diritti dell'uomo, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi).

L'ingerenza nel godimento del diritto al rispetto dei beni dei privati, garantito dal § 1 dell'art. 1 del protocollo n. 1, è consentita dal § 2 che lascia agli Stati il potere di adottare le « leggi che giudicano necessarie per disciplinare l'uso dei beni in relazione all'interesse generale » – consistente nell'impedire « un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata » – ed è ritenuta proporzionata al legittimo scopo perseguito, rappresentato da una politica di prevenzione della criminalità per la cui attuazione il legislatore nazionale deve avere un ampio margine di manovra (Corte europea diritti dell'uomo 5 gennaio 2010, Bongiorno c. Italia; Corte europea diritti dell'uomo 26 luglio 2011, Pozzi c. Italia; Corte europea diritti dell'uomo 17 maggio 2011, Capitani c. Italia; Corte europea diritti dell'uomo 17 giugno 2014, Cacucci c. Italia).

La natura giuridica e la retroattività

Il dibattito sulla natura giuridica della confisca di prevenzione non può prescindere dal carattere proteiforme della confisca che, pur presentando il carattere comune della privazione di beni, può essere prevista per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, tanto da assumere natura di pena o di misura di sicurezza ovvero anche di misura di natura civile o amministrativa. Viene in rilievo, dunque, « non un'astratta e generica figura di confisca ma come risulta da una determinata legge » (Corte cost., 25 maggio 1961, n. 29; Cass. pen., Sez. II, 16 dicembre 2010, n. 6459).

La Corte europea, confrontandosi con istituti non sempre sovrapponibili disciplinati dalle diverse legislazioni nazionali, ritiene – come ricordato – la natura preventiva della confisca in esame.

La Corte Costituzionale si limita ad affermare che la confisca di prevenzione “comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al circuito economico di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo (recentemente Corte cost. 9 giugno 2015, n. 106).

La Corte di Cassazione ha sostenuto per lungo tempo la tesi della natura di “tertium genus, tra sanzione penale e provvedimento di prevenzione, equiparato a una sanzione amministrativa che produce gli effetti della misura di sicurezza prescritta dall'art. 240, comma 2, c.p.” (Cass. pen., Sez. un., 3 luglio 1996, n. 18). Tale tesi, ribadita pur dopo il riconoscimento legislativo dell'applicazione disgiunta (perciò venuta meno la necessità di forzare il dato normativo che non consentiva la misura patrimoniale in assenza di quella personale), evoca, però, una natura sanzionatoria dell'istituto, non cogliendo quanto la natura preventiva della confisca di prevenzione sia stata “esaltata” dal riconoscimento legislativo del nuovo principio (F. Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, cit., 358 ss.).

Le contraddizioni della giurisprudenza di legittimità hanno alimentato una tesi giurisprudenziale sulla natura sanzionatoria della confisca di prevenzione (Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2012, n. 14044), prontamente disattesa dalla stessa Corte di cassazione con diverse motivazioni: ritenendo ancora la confisca un tertium genus o delineando la natura preventiva in modo esplicito ovvero evocando la giurisprudenza della Corte Edu.

Le Sezioni Unite, infine, hanno riconosciuto la natura preventiva della confisca di prevenzione la cui finalità consiste nel “sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti, che non possano dimostrarne la legittima provenienza….in piena sintonia con la ratio decidendi delle … pronunce Edu e con i principi informatori dell'ordinamento convenzionale”. L'introduzione del principio di applicazione disgiunta, in forza del quale assume rilievo la circostanza che la persona fosse pericolosa al momento dell'acquisto del bene, esalta la funzione preventiva della confisca perché volta a prevenire la realizzazione di ulteriori condotte costituenti reato, stante l'efficacia deterrente della stessa ablazione”. La Corte delinea il rapporto che intercorre tra pericolosità della persona e del bene da questa illecitamente acquisito: “nel caso di beni illecitamente acquistati, il carattere della pericolosità si riconnette […] alla qualità soggettiva di chi ha proceduto al loro acquisto […] la pericolosità sociale del soggetto acquirente si riverbera eo ipso sul bene acquistato […] che” resta affetto da illiceità genetica (Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2014, n. 4880).

Le Sezioni Unite fanno condivisibilmente derivare dalla natura giuridica la retroattività della confisca. Trovano applicazione non l'irretroattività della legge penale prevista dagli artt. 25 Cost. e art. 2 c.p., bensì le norme in materia di misure di sicurezza che, in base al disposto degli artt. 200 e 236 c.p., sono “regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”.

Vi è contrasto sul limite di operatività della legge sopravvenuta (anche se peggiorativa): da un lato si fa riferimento alla legge in vigore nel momento in cui viene disposta la confisca in primo grado (Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 21491); dall'altro si richiama condivisibilmente la decisione di secondo grado in quanto gli artt. 200, comma 1, e 236, comma2, c.p. prevedono che la confisca sia regolata dalla legge vigente al tempo della loro applicazione, senza riferimento alcuno alle diverse fasi del procedimento di merito (Cass. pen., Sez. I, 24 marzo 2015, n. 31209).

I presupposti soggettivi: il principio di applicazione disgiunta

La confisca di prevenzione si fonda su presupposti soggettivi e oggettivi.

Nel passato il presupposto soggettivo era rappresentato dall'applicazione della misura prevenzione personale in virtù del principio di accessorietà, pur se la Corte di cassazione aveva nel tempo “creato” alcune ipotesi in cui poteva prescindersi dall'irrogazione della misura personale, in particolare nel caso di morte del proposto dopo l'accertamento non definitivo della pericolosità.

Il d.l. 92/2008, conv. dalla l. 125/2008, ha introdotto il principio di applicazione disgiunta ed ha previsto la proseguibilità del procedimento funzionale alla confisca nel caso di morte del proposto nel corso del procedimento e la possibilità di avanzare la proposta nei cinque anni dalla morte di colui che poteva essere proposto; tali disposizioni sono state riprodotte nei primi tre commi dell'art. 18, d.lgs. 159/2011.

Anche se la nuova normativa presenta alcuni profili problematici, è sufficiente porre in rilievo che il principio in esame ha fatto venire meno la precedente regola generale del binomio misure personali-misure patrimoniali (c.d. accessorietà), con la possibilità di disporre il sequestro e la confisca in tutte le ipotesi non previste normativamente in cui la misura personale, pur in presenza di una persona pericolosa – perciò rientrante in una delle categorie di pericolosità delineate dal legislatore e di cui risulta accertata la pericolosità sociale a una certa data – non può essere irrogata per mancanza di attualità della pericolosità (o per altra ragione) ovvero ne è cessata l'esecuzione. Si richiede, dunque, l'accertamento, sia pure incidentale, della pericolosità del proposto (o di chi poteva essere proposto per l'applicazione della misura personale), collegando imprescindibilmente la confisca alla pericolosità della persona, passando da un approccio incentrato sulla “pericolosità del soggetto” a uno fondato “sull'acquisizione illecita del bene da parte di persona pericolosa” (o che è stata pericolosa) e che ha acquistato i beni perché pericolosa. Tale tesi è stata accolta dalla Corte di cassazione che richiede l'imprescindibile previo accertamento, anche incidentale, dei presupposti della misura personale (Cass. pen.,Sez. I, 18 ottobre 2012, n. 10153; Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2013, n. 39204).

In evidenza

Dunque, oggi i presupposti soggettivi della confisca sono costituiti dall'accertamento (anche incidentale nel caso di proposta patrimoniale disgiunta):

  • della riconducibilità del proposto a una delle categorie di pericolosità delineate dall'art. 4, d.lgs. 159/2011;
  • della pericolosità sociale della persona.

Non è necessaria la verifica dell'attualità della pericolosità che, se assente, preclude l'irrogazione della misura personale ma non di quella patrimoniale.

I presupposti oggettivi

I presupposti (oggettivi) per procedere a sequestro (prima) e a confisca (poi) sono delineati dagli artt. 20 e 24 d.lgs. 159/2011:

a) disponibilità, diretta o indiretta, del bene da parte del proposto;

b) sufficienza indiziaria della provenienza illecita.

La disponibilità diretta si desume dalla formale titolarità del bene accertata sulla base delle ordinarie regole del diritto civile con gli opportuni adattamenti per evitare elusioni della normativa di prevenzione.

Per la disponibilità indiretta occorre la prova che il proposto risulti il dominus del bene. La disponibilità non può ritenersi limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene ma deve essere esteso, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene medesimo ricada nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche se costui eserciti il proprio potere per il tramite di altri che pure ne godano direttamente (Cass. pen, Sez. II, 9 febbraio 2011, n. 6977; Cass. pen, Sez. I, 22 marzo 2013, n. 18423). La prova della disponibilità indiretta deve essere rigorosa, anche se può essere fornita sulla base di requisiti della gravità, precisione e concordanza, che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale dell'intestazione e, corrispondentemente, del permanere della disponibilità dei beni nell'effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto, idonei a costituire prova indiretta della disponibilità (Cass. pen., Sez. V, 23 gennaio 2013, n. 14287).

La giurisprudenza non differenzia la natura dell'onere “probatorio” nel momento del sequestro o della confisca. In quest'ultima fase, col pieno esplicarsi del contraddittorio, a fronte della prova offerta dall'organo proponente ritenuta idonea dal tribunale in sede di sequestro, i terzi intestatari possono allegare elementi diretti a inficiare la ricostruzione accusatoria introducendo temi o tracce di prova ritenuti utili a fini difensivi (Cass. pen., Sez. II, 9 febbraio 2011, n. 6977, cit.); allegazioni che devono essere serie e riscontrabili (Cass. pen., Sez. V, 7 marzo 2014, n. 20734).

Sono previste presunzioni iuris tantum, sulla base delle persone coinvolte o della natura degli atti (art. 26, comma 2, d.lgs. 159/2011).

La disponibilità indiretta si può desumere anche dai rapporti che legano il proposto e l'apparente titolare del bene con i soggetti per i quali, ai sensi dell'art. 19, comma 3, d.lgs. cit. devono essere svolte indagini patrimoniali: coniuge, figli e coloro che nell'ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto. Per la giurisprudenza il rapporto tra detti terzi e il proposto costituisce circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, dell'apparente formale disponibilità giuridica in capo alle persone di maggior fiducia dei beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, laddove il terzo familiare convivente è sprovvisto di effettiva capacità economica (Cass. pen., Sez. I, 5 marzo 2013, n. 23520; Cass. pen., Sez. I, 7 marzo 2014, n. 17743).

Per la provenienza illecita, occorre accertare l'esistenza di sufficienti indizi, primo tra tutti la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi dichiarati o l'attività svolta, tali da far ritenere che i beni stessi siano frutto di attività illecita o ne costituiscano il reimpiego. Si tratta di uno standard probatorio inferiore alla prova costituito da quegli indizi che, in misura sufficiente, conducano alla genesi illecita dei beni o al loro reimpiego, in primo luogo la sproporzione tra il valore dei beni nella disponibilità (diretta o indiretta) del proposto e i suoi redditi e le attività da lui svolte (Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2014, n. 4880).

Aspetti processuali

L'autonomia dell'azione di prevenzione patrimoniale (art. 29, d.lgs. 159/2011) comporta che possano esservi diverse valutazioni nel procedimento penale e di prevenzione con riferimento ai medesimi fatti, pur con lo specifico onere di esplicitare le ragioni della scelta (Cass. pen., Sez. II, 30 aprile 2013, n. 26774). L'art. 30, d.lgs. cit. prevede la prevalenza del sequestro di prevenzione nel caso di concomitante sequestro penale.

Le autorità proponenti sono indicate dagli artt. 5 e 17, d.lgs. cit.: procuratore nazionale antimafia; procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ovvero del circondario; direttore della Direzione investigativa antimafia, questore. La competenza è individuata sulla base del luogo “ove dimora la persona”, vale a dire dove il proposto ha tenuto comportamenti sintomatici della sua pericolosità (Cass. pen.,Sez. un., 29 maggio 2014, n. 33451).

La competenza del giudice è attribuita al tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora (art. 5, comma 4, d.lgs. cit.).

Nel caso in cui venga disposto il sequestro, il tribunale nomina il giudice delegato e l'amministratore giudiziario (art. 35, comma 1, d.lgs. cit.) che provvedono all'amministrazione dei beni nel sub procedimento che si svolge fine alla revoca del sequestro o alla confisca definitiva (artt. 35 e ss.). Contestualmente si svolge l'ulteriore sub procedimento di verifica dei crediti (art. 52 e ss. d.lgs. cit.). In queste fasi interviene anche l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (artt. 38 ss., d.lgs. cit.)

All'udienza funzionale alla confisca possono partecipare i terzi formali intestatari dei beni e gli altri interessati (art. 23, d.lgs. cit.).

Il decreto del tribunale è appellabile dagli interessati entro 10 giorni dalla notifica. Decide la Corte d'appello con provvedimento ricorribile per cassazione per violazione di legge.

Il giudicato di prevenzione, rebus sic stantibus, include le sole questioni dedotte, non anche quelle deducibili. Sulla base di nuovi elementi si può instaurare un nuovo procedimento con riconsiderazione della situazione fattuale sotto entrambi i profili, personale e patrimoniale (Cass. pen., Sez. I, 21 settembre 2006, n. 33077).

Con la confisca definitiva i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi (art. 45, d.lgs. cit.). I terzi creditori in buona fede trovano tutela nell'apposito procedimento di verifica (artt. 52 ss., d.lgs. cit.); i diritti dei titolari di diritti reali o personali di godimento e dei comproprietari sono tutelati con le modalità previste dall'art. 52, commi da 4 a 9, d.lgs. cit.).

La destinazione dei beni confiscati è disciplinata, in modo articolato, dall'art. 48, d.lgs. cit., prevedendosi la destinazione a fini sociali dei beni immobili.

Casistica

Cass. pen., Sez. un., 29 maggio 2014, n. 33451

Il proposto può allegare elementi per giustificare la legittima provenienza del bene sequestrato offrendo elementi precisi e riscontrabili, ma non indicando il provento dell'evasione fiscale pur se derivante da attività economica lecita.

Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2014, n. 4880

Possono essere confiscati i soli beni acquisiti nel periodo in cui il proposto ha espresso la pericolosità (c.d. correlazione temporale), trattandosi di conseguenza che deriva dalla natura giuridica della confisca.

Cass. pen., Sez. VI, 17 settembre 2008, n. 37166

L'accertamento della sproporzione va operato su ogni singolo bene occorrendo la dimostrazione cronologica e logica della provenienza del bene dall'illecita attività o dal suo reimpiego

Cass. pen., Sez. V, 23 gennaio 2014, n. 16311

Per i complessi aziendali la giurisprudenza ritiene che non sia possibile una scissione tra eventuali componenti sane, riferibili a lecita iniziativa imprenditoriale, ed apporto di capitali illeciti, dovendo procedersi a confisca dell'intera impresa mafiosa.

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