Soddisfazione non integrale dei creditori con prelazione: condizioni (l. fall.)

03 Maggio 2016

L'art. 160, comma 2, l. fall., così come modificato dal D.Lgs. 169/2007, sancisce la possibilità, nell'ambito del concordato preventivo, di stralciare in via “coattiva” le pretese dei creditori privilegiati. Questa possibilità è disciplinata con riferimento ai creditori privilegiati speciali e ricorre quando il bene su cui grava la relativa prelazione non risulta, sulla base di una perizia estimativa, capiente per coprire il valore del debito. Questa disciplina, anche a seguito della recente pronuncia della Corte di Giustizia europea, trova applicazione anche nel caso del credito erariale.

Inquadramento

L'art. 160, comma 2, l. fall., così come modificato dal D.Lgs. 169/2007, sancisce la possibilità, nell'ambito del concordato preventivo, di stralciare in via “coattiva” le pretese dei creditori privilegiati.

Questa possibilità è disciplinata con riferimento ai creditori privilegiati speciali e ricorre quando il bene su cui grava la relativa prelazione non risulta, sulla base di una perizia estimativa, capiente per coprire il valore del debito. Questa disciplina, anche a seguito della recente pronuncia della Corte di Giustizia europea, trova applicazione anche nel caso del credito erariale.

La giurisprudenza maggioritaria nega, invece, la possibilità di stralcio delle pretese dei creditori privilegiati generali, salvo il caso di apporto di “finanza esterna” da parte di un soggetto terzo, stante il necessario rispetto delle cause legittime di prelazione e la considerazione che il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale escluderebbe l'esistenza di risorse per un qualsiasi soddisfacimento dei creditori chirografari.

E' altresì possibile, nell'ambito del concordato preventivo, lo stralcio del privilegio in conseguenza della rinuncia espressa e volontaria alla prelazione da parte del creditore, mentre è discusso il tema della rinuncia c.d. implicita che deriverebbe dall'esercizio del diritto di voto da parte dei creditori privilegiati.

Nell'ambito della disciplina del concordato preventivo, il principio della non obbligatorietà della formazione delle classi vige anche nel caso in cui, tra i creditori concorsuali, vi siano dei creditori privilegiati non integralmente soddisfatti, quantomeno se questi creditori, per la parte “declassata” ottengano il medesimo soddisfacimento riconosciuto ai creditori chirografari.

E' discussa la possibilità di formare classi di privilegiati nell'ambito di una proposta di concordato liquidatorio che preveda un soddisfacimento dilazionato, ancorché integrale, del relativo credito; oppure di una proposta con classi che, nell'ambito di un concordato in continuità, preveda un soddisfacimento oltre l'anno di moratoria

ex art. 186- bis l. fall.

Ai sensi dell'art. 161, comma 2, lett. e), l. fall. il debitore deve presentare “un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”.

Il profilo temporale del pagamento dei creditori privilegiati nell'ambito del concordato preventivo liquidatorio è stato oggetto di acceso dibattito in giurisprudenza e dottrina, in quanto il pagamento dilazionato potrebbe rappresentare una lesione della posizione giuridica del privilegiato, poiché quest'ultimo non è chiamato ad esprimere, ai sensi dell'art. 177, comma 2, l. fall., il voto su una proposta di concordato che, ancorché modifichi l'originario rapporto obbligatorio, consenta il ripagamento integrale della pretesa creditoria.

Nel caso di concordato preventivo in continuità, invece, l' art. 186-bis l. fall. dispone una moratoria, fino ad un anno dall'omologazione, per il pagamento del credito privilegiato. Dottrina e giurisprudenza sono divise sulla possibilità che, in assenza di consenso del privilegio e fuori dall'ipotesi di cui all'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall., il credito privilegiato possa essere pagato oltre l'anzidetto termine di moratoria annuale.

La falcidia dei creditori privilegiati nel concordato preventivo: il credito privilegiato speciale nel caso di incapienza del bene su cui grava la prelazione

Il tema della possibilità di stralcio delle pretese dei creditori privilegiati è stato oggetto di una vivace disputa dottrinale e giurisprudenziale sino alla riforma di cui al d.lgs. n. 169/2007 (c.d. Decreto Correttivo), con cui è stato modificato l'art. 160 l. fall. mediante l'espressa introduzione della possibilità, nell'ambito del concordato preventivo, di pagare in percentuale anche il ceto creditorio privilegiato.

Questa previsione normativa muove dall'assunto che i crediti assistiti da cause di prelazione non possono ricevere, nell'ambito del concordato preventivo, un trattamento peggiore rispetto a quello ottenibile a seguito dell'esecuzione forzata, ancorché questo trattamento non consenta l'integrale pagamento della pretesa creditoria originaria.

L'art. 160, comma 2, l. fall. sancisce, quindi, la possibilità di stralcio del credito privilegiato, con soddisfazione parziale dei creditori titolari di privilegio speciale nei limiti ricavato della vendita dei beni mobili o immobili e con degradazione al rango di chirografi per la parte del credito non soddisfatta, così andando a determinare il definitivo superamento dell'orientamento interpretativo affermatosi in precedenza, che imponeva, nel concordato preventivo, il pagamento integrale dei crediti privilegiati, ancorché questo privilegio insistesse su beni non capienti o non più presenti nel patrimonio del debitore.

Questo stralcio è subordinato al deposito, unitamente alla proposta ed al piano di concordato, di una relazione giurata, predisposta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all' art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.

Questa relazione giurata serve a stimare il valore di mercato attribuibile ai beni oggetto della prelazione, riferito all'epoca di presunto realizzo secondo le modalità ed i tempi prospettati dal piano di concordato, e quindi, tenendo conto, a seconda dei casi, della prospettiva di continuazione dell'impresa o di quella della liquidazione.

La relazione giurata deve essere presentata unitamente alla proposta concordataria, concorrendo alla formazione del piano e costituendo, ex art. 162 l. fall., un presupposto di ammissibilità.

Segue: il credito IVA

L'art. 182-ter, comma 1, l. fall. ha introdotto nell'ordinamento italiano il principio di “intangibilità” del credito IVA, secondo cui la proposta di concordato preventivo, con transazione fiscale, può prevederne soltanto un pagamento dilazionato, essendo intangibile l'importo complessivo di questo credito in sede concorsuale.

Questa norma è stata intesa dalla giurisprudenza come una norma di natura sostanziale, e non puramente processuale, con la conseguenza che la relativa applicazione è stata estesa anche ai casi di ristrutturazione senza ricorso allo strumento della transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall.

In evidenza: Cass., 12 ottobre 2011, n. 22931

La norma che prescrive l'integrale pagamento (anche se dilazionato) dell'Iva non è una norma processuale, legata allo specifico procedimento di transazione fiscale, ma una norma sostanziale relativa al trattamento dei crediti nell'ambito dell'esecuzione concorsuale, dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e che prescindono dalle modalità con cui si svolge la procedura di crisi”.

Il trattamento del credito IVA è stato oggetto di ampio dibattito in giurisprudenza e dottrina, poiché si è registrato un contrasto rispetto alla possibilità di falcidia di questo credito nell'ambito di un concordato preventivo senza transazione fiscale, essendo invece ammissibile, quantomeno in linea di principio, lo stralcio di questo credito nel caso in cui l'Erario, mediante lo strumento della transazione fiscale, accetti la relativa falcidia.

La questione in esame ha interessato la Corte Costituzionale che ha sostenuto il principio dell'intangibilità del credito IVA, ponendo a fondamento dell'impossibilità di stralcio di questo credito la natura stessa dell'IVA, quale risorsa dell'Unione Europea, da cui derivano precisi vincoli per il legislatore nazionale, nel rispetto dei principi comunitari, con conseguente impossibilità di falcidia.

In evidenza: Corte Cost., 25 luglio 2014, n. 225

“Dalla natura di "risorsa propria" dell'Unione europea riconosciuta all' i.v.a. discendono per gli stati membri vincoli nella gestione e riscossione dell'imposta, come pure nella disciplina interna del tributo, cui è da ricondurre la formulazione del censurato art. 182 ter, che appunto, in ossequio al principio dell'indisponibilità della pretesa tributaria, ha escluso la falcidiabilità del credito i.v.a. in sede di transazione fiscale, consentendone solo la dilazione di pagamento; modalità, questa, che non lede il principio di buon andamento della p.a., dovendo essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo, né determina alcun vulnus per i criteri di "economicità" e di "massimizzazione delle risorse" in considerazione del fatto che persiste in capo all'amministrazione finanziaria la possibilità di riscuotere il tributo in futuro, con la contestuale approvazione di un piano di concordato idoneo a garantire il graduale superamento dello stato di crisi dell'impresa. Né sussiste la denunciata violazione del principio di eguaglianza riguardante la mancata possibilità per l'amministrazione finanziaria di valutare in concreto la convenienza del piano che proponga un importo superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore, diversamente da quanto previsto in relazione ad altre categorie di debitori, atteso che un simile ragionamento accosta trattamenti differenziati che la disciplina del concordato fallimentare prevede per diverse categorie di creditori, non tenendo in debita considerazione le peculiarità della regolamentazione della transazione fiscale del credito i.v.a., non riconducibile a nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari, essendo assoggettato ad una disciplina eccezionale, attributiva di un trattamento peculiare ed inderogabile, che, consentendo esclusivamente la transazione dilatoria, è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un'imposta assistita da un privilegio di grado postergato, in deroga al principio dell'ordine legale delle cause di prelazione”.

Il tema della falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo ha coinvolto anche la Corte di Giustizia europea, che è stata chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità di una proposta di concordato preventivo che preveda il pagamento soltanto parziale del credito privilegiato generale IVA, qualora non sia utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia ipotizzabile per quel credito – sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente e all'esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare.

La Corte di Giustizia, con una recente pronuncia, ha statuito l'ammissibilità dello stralcio del credito privilegiato generale IVA, anche in assenza di transazione fiscale, a condizione che un professionista indipendente attesti l'incapienza del patrimonio del debitore.

In evidenza: Corte Giustizia UE, 7 aprile 2016, causa C-546/14

L'articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell'imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.”.

In particolare e come puntualmente osservato dall'avvocato generale della Corte di Giustizia europea, nelle conclusioni presentate il 14 gennaio 2016, uno stato membro può “ragionevolmente ritenere legittima la rinuncia la pagamento integrale di un credito IVA” e gli Stati membri devono godere di un livello di flessibilità, quanto alla riscossione di tale tributo, quando il soggetto passivo si trovi in stato di difficoltà economica e, nello specifico, in concordato preventivo.

In altre parole, la normativa comunitaria non è ostativa alla possibilità “di consentire ad un'impresa in difficoltà finanziaria di effettuare un concordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice”.

L'applicazione pratica di questa statuizione della Corte di Giustizia europea è quella di ammettere, anche in assenza di transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall., la falcidiabilità del credito IVA, a condizione che un esperto indipendente attesti l'incapienza del patrimonio del debitore e, quindi, la sua incapacità a servire i privilegi generali.

In evidenza: Trib. Livorno, 13 aprile 2016

Viene, dunque, meno l'argomento principale che aveva portato la Cassazione, con la sentenza 25.6.2014 n. 14447 a statuire che "la precisazione circa l'intangibilità dell'i.v.a., contenuta nell'art. 182 ter, comma 1 [...] connessa con le peculiarità di tale tributo, considerato da normativa e giurisprudenza europee tra le risorse proprie dell'Unione Europea la cui gestione - sia normativa che esecutiva - è di interesse comunitario e come tale sottoposta a vincoli", citando, in un'altra occasione ( Cass. 7667/2012 ) proprio la Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, che la sentenza della CGUE ritiene, invece, non incompatibile con una falcidia dell'IVA in sede concordataria. (…) Ne consegue, pertanto, che la non falcidiabilità di IVA e ritenute deve essere confinata nell'ambito della transazione fiscale, e dunque la legittimità della falcidia in assenza di transazione fiscale che – pacificamente – è solo facoltativa”.

Con particolare riguardo al principio dell'ordine legale delle prelazione, una parte della giurisprudenza ha sostenuto che la portata eccezionale e sostanziale dell'art. 182-ter l. fall. potrebbe essere intesa quale deroga all'anzidetto principio, potendo, almeno in linea teorica, essere ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, da un lato, il pagamento integrale e dilazionato del credito IVA , e, dall'altro, la falcidia dei creditori privilegiati di grado superiore, non comportando queste previsioni alcuna alterazione dell'ordine delle legittime cause di prelazione.

Questa posizione non ha ottenuto il consenso unanime della giurisprudenza, infatti, secondo un diverso e maggiormente condivisibile orientamento, il trattamento peculiare previsto per il caso di transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall. non produce l'effetto di incidere sul trattamento degli altri crediti, per i quali continua a valere l'ordine legale dei privilegi.

In evidenza: App. Milano, 22 dicembre 2015,

“Si deve ritenere che l' art. 182 ter L.F. , nello stabilire che la proposta di concordato debba prevedere l'integrale soddisfazione del credito per IVA e per ritenute, ponga una condizione ineludibile di ammissibilità della stessa; pur tuttavia la proposta deve essere dichiarata inammissibile qualora, per soddisfare integralmente detti crediti, preveda di utilizzare, alterando l'ordine di graduazione dei privilegi, le risorse proprie del patrimonio dell'impresa con priorità rispetto ai crediti privilegiati poziori, anziché, stante l' eventuale incapienza dello stesso, fare ricorso alla finanza esterna.”.

Segue: Il credito privilegiato generale, il rispetto dell'ordine delle prelazioni ed il ricorso alla c.d. “finanza esterna”

La possibilità di stralcio delle pretese dei creditori privilegiati generali rappresenta un tema molto dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza.

Si è infatti dubitato che la falcidia dei crediti previlegiati possa estendersi ai titolari di privilegio generale, atteso il rischio di violazione del divieto di alterare l'ordine legale delle prelazioni, la difficoltà di verificare la capienza dell'intero complesso dei beni sui quali grava la prelazione e la variabilità dei relativi valori ove l'impresa sia in esercizio.

E' stato, peraltro, osservato che la questione assumerebbe rilevanza solo teorica, posto che un soddisfacimento dei creditori muniti di privilegio generale escluderebbe l'esistenza di risorse per i creditori chirografari, ma è stato obiettato che l'insufficienza patrimoniale potrebbe essere colmata dall'intervento di un terzo.

In questo senso, l'opinione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza nega la possibilità di stralcio in assenza di risorse esterne, stante la considerazione che il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale escluderebbe, in linea con l'ordine delle cause legittime di prelazione, l'esistenza di risorse per un qualsiasi soddisfacimento dei creditori chirografari.

In evidenza: Cass. 8 giugno 2012, n. 9373

Per i giudici di legittimità “n el concordato preventivo il principio del divieto di alterazione delle cause di prelazione nella proposta di pagamento formulata dal debitore può essere derogato in caso di risorse provenienti da terzi”. Tuttavia, come precisato dalla stessa Corte di Cassazione e da numerose successive pronunce, la condizione imprescindibile è data dalla circostanza che “l'apporto risulti neutrale sia perché non comporti un diretto incremento dello stato patrimoniale dell'impresa, sia perché non determini un aggravio della massa passiva con il riconoscimento di un credito a favore del terzo”.

Seguendo questa linea di pensiero, occorre, quindi, verificare quando le risorse apportate da terzi possano essere ritenute “finanza esterna” e quale provenienza devono avere queste risorse per potersi qualificare come “neutrali” rispetto al patrimonio del debitore assoggettato alla procedura di concordato preventivo.

Quanto alla provenienza, è necessario che (i) le risorse finanziarie provengano da un terzo; (ii) le risorse finanziarie non vengano immesse nel patrimonio del debitore in concordato preventivo ma vengano destinate direttamente ai creditori; e (iii) il terzo, in virtù del pagamento effettuato, non vanti un credito verso il debitore in concordato.

Sul tema, la casistica giurisprudenziale è abbastanza varia e le opinioni non sono sempre concordi.

Ad esempio, una parte della giurisprudenza di merito ha escluso la configurabilità di finanza esterna per il prezzo di acquisto di un bene offerto da un terzo per un complesso di beni dedotti in concordato in relazione alla misura di tale prezzo eccedente il valore dei beni.

In evidenza: Trib. Milano, 20 luglio 2011

la proposta prevede espressamente che una quota del prezzo di cessione di beni sui quali - incontestabilmente - sussiste il privilegio generale mobiliare non sia destinata al soddisfacimento dei crediti assistiti da tale privilegio, bensì sia utilizzata per il soddisfacimento percentuale delle classi dei creditori chirografari”. A tal riguardo la Corte ambrosiana, ha disposto che “quando le risorse destinate al pagamento dei creditori sociali derivano da operazioni di liquidazione dei beni facenti parte del patrimonio della proponente, esse non costituiscono risorse esogene e non possono essere utilizzate in violazione delle regole che intendono assicurare al ceto privilegiato un trattamento non deteriore rispetto a quello conseguibile mediante la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione. In altri termini, dal riferimento espresso, che la norma opera, al valore di mercato dei beni sui quali il privilegio insiste, ed alla relazione attestatrice di tale valore, non può discendere la conclusione secondo cui la quota di prezzo esuberante rispetto al valore di mercato così stimato integri una risorsa liberamente allocabile tra i creditori

Altra parte della giurisprudenza ha qualificato in termini di “finanza esterna” le risorse patrimoniali derivanti dall'attività prestata gratuitamente dai soci, che hanno permesso di trasformare semi-lavorati in macchine finite.

In evidenza: Trib. Monza, 22 dicembre 2011

E' equiparabile a finanza terza, e quindi liberamente destinabile dal debitore ai propri creditori, il maggior attivo conseguibile nel concordato preventivo, rispetto al fallimento, grazie alla peculiarità della proposta concordataria”.

Altre pronunce qualificano come “finanza esterna” le maggiori risorse ricavate dalla liquidazione del patrimonio del debitore nell'ambito del concordato preventivo, qualora quest'ultimo preveda modalità di liquidazione più agili e convenienti rispetto all'alternativa liquidazione fallimentare.

In evidenza: Trib. Rovereto, 13 ottobre 2014

Il debitore pertanto ha discrezionalità, nell'articolare la proposta ai creditori nel caso in cui l'offerta ai creditori di rango inferiore rispetto a quelli falcidiati, ed ai creditori chirografari, sia alimentata da "nuova finanza", ossia da risorse esterne al patrimonio del debitore: per tale deve intendersi, nel concordato in continuità, a mente dell'art. 160, co. 2, l.fall ., tutto l'apporto finanziario che deriva dal concordato, quale che ne sia la fonte, diverso da quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio a valore di mercato, e così pure l'utile che derivi dalla continuità aziendale in tanto in quanto idoneo a garantire ai creditori una soddisfazione maggiore di quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione ”.

La dottrina riconduce la messa a disposizione e la destinazione di risorse “esterne” a beneficio dei creditori del concordato preventivo va ricondotta alla fattispecie dell'adempimento del terzo (Giacomo D'Attorre, La finanza esterna tra vincoli all'utilizzo e diritto di voto dei creditori, in IlCaso.it).

Nel caso di “finanza esterna”, infatti, è il terzo a provvedere direttamente all'utilizzo delle proprie risorse per la soddisfazione dei creditori, sia pure per il tramite della proposta presentata dal debitore e della procedura concordataria, così da non essere invocabili nei suoi confronti i vincoli che avvincono i pagamenti eseguiti dal debitore.

Quanto alla neutralità di queste risorse esterne rispetto al patrimonio del debitore, deve trattarsi di risorse che (i) non determinino un incremento dello stato patrimoniale dell'impresa; e (ii) non determinino un aggravio della massa passiva (Filippo Lamanna, Le insidie logiche della finanza esterna in caso di prelazioni incapienti, in questo portale, 20 gennaio 2014).

Tornando al tema della possibilità di stralcio del privilegio generale, in dottrina, alcuni autori (Sido Bonfatti, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Crisi d'Impresa e Fallimento, 28 ottobre 2013) hanno ritenuto che non possa essere esclusa a priori l'ipotesi di falcidia del privilegio in assenza di “finanza esterna”.

Questa linea di pensiero prende le mosse da due principali considerazioni (i) non è detto che il concordato preventivo (con falcidia del privilegio e senza finanza esterna) non raccolga il voto favorevole dei creditori privilegiati parzialmente soddisfatti, magari perché consapevoli che il fallimento prospetterebbe risultati peggiori, e dei creditori chirografari; e (ii) tra i presupposti e le condizioni di ammissibilità della domanda di concordato non è prevista, quantomeno per il caso di concordato in continuità ex art. 186-bis l. fall. e con esclusione del caso del concordato liquidatorio come recentemente riformato con l'introduzione della soglia minima di soddisfacimento del 20%, la prospettazione di una percentuale minima per i creditori chirografari, essendo ipotizzabile, almeno in linea di principio, l'ammissibilità di proposte di concordato anche caratterizzate dal c.d. “trattamento zero” dei creditori chirografari (o certamente di talune classi di essi).

Quest'ultima dottrina, ad avviso degli scriventi, non è condivisibile per due ordini di ragioni.

Da un lato, questa linea di pensiero è foriera di una violazione del divieto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione di cui all'art. 160, comma 2, l. fall.; e, dall'altro lato, si pone in contrasto con le pronunce di merito secondo cui la soddisfazione dei creditori chirografari inferiore ad una percentuale minima del credito dagli stessi vantato non è idonea a garantire la realizzazione della causa concordataria (in tal senso, Trib. Modena, 3 settembre 2014 e Trib. Bergamo, 4 dicembre 2014).

Segue: il credito privilegiato in caso di rinuncia volontaria e rinuncia c.d. “implicita” al privilegio

La falcidia dei crediti privilegiati può essere conseguenza di una rinuncia volontaria alla prelazione da parte dei creditori interessati.

A tal riguardo, si evidenzia, in primo luogo, che, ai fini della rinuncia volontaria al privilegio, occorre una manifestazione esplicita, non essendo possibile, ancor più a seguito dell'abrogazione dell'ultima parte dell'art. 177, comma 3, l. fall. previgente, trarre l'implicita rinuncia al privilegio dall'esercizio del voto in occasione dell'adunanza dei creditori o nel successivo termine di raccolta dei voti tardivi.

A tal riguardo, si ricorda che, prima della riforma, la problematica circa il valore del voto espresso da un creditore privilegiato, non si poneva, perché l'ultima parte del terzo comma dell'art. 177 l. fall. prevedeva che il voto favorevole espresso da un creditore privilegiato importava la rinuncia all'ipoteca, al pegno o al privilegio per l'intero credito.

Da questa previsione discendeva quindi l'ammissibilità della rinuncia c.d. implicita alla prelazione in caso di voto favorevole al concordato preventivo che, peraltro, era valido ai fini del raggiungimento della maggioranza per l'approvazione del concordato, mentre il voto contrario doveva essere ritenuto inefficace.

Nel nuovo testo dell'art. 177 l. fall. è stata eliminata questa previsione, con conseguente dibattito se la partecipazione al voto (favorevole o contrario) del creditore privilegiato dovesse essere interpretata come una vera e propria rinuncia al diritto di prelazione o dovesse essere considerata inefficace o nulla.

Sul punto, si è creato un contrasto giurisprudenziale.

A parere degli scriventi, è preferibile la prima tesi, poiché la rinuncia al diritto di prelazione deve essere considerata come un atto straordinario, per il quale è necessaria, in assenza di un'esplicita disposizione normativa, una chiara manifestazione di volontà negoziale del creditore, che evidenzi la consapevolezza degli effetti pregiudizievoli conseguenti all'atto di rinuncia, non essendo possibile trarre questa consapevolezza nella semplice manifestazione del voto, che potrebbe pur sempre discendere da un errore.

Quanto precede trova conferma nella giurisprudenza secondo cui, ai fini della rinuncia alla prelazione, occorre un'espressa dichiarazione in tal senso, non essendo possibile derivare questa rinuncia dall'esercizio del diritto di voto da parte del privilegiato.

In evidenza: Trib. Torino, 4 novembre 2011

Il voto contrario all'omologazione del concordato preventivo espresso da un creditore che si afferma privilegiato, non comporta rinuncia implicita al privilegio”.

Segue: il credito privilegiato soddisfatto con utilità diversa dal denaro

E' discussa in giurisprudenza e dottrina l'ammissibilità del soddisfacimento dei creditori privilegiati attraverso modalità diverse dal pagamento in denaro.

Partendo dal dato normativo, si rileva che l'art. 160 l. fall. consente al debitore di presentare una proposta di concordato dal contenuto “aperto”, comprensivo quindi di una soluzione che preveda la soddisfazione dei crediti in qualsiasi forma, anche diversa dal denaro.

In evidenza: Trib. Cuneo, 31 luglio 2014

“l' art. 160 l. fall . (…) consente al ricorrente di proporre ai creditori un piano concordatario “aperto”, comprensivo quindi di una soluzione che preveda la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma”.

Infatti, nessuna norma di legge vieta al debitore di proporre il soddisfacimento della pretesa in forma diversa rispetto alla destinazione del ricavato dalla vendita del bene su cui grava il relativo privilegio.

L'art. 160, comma 2, l. fall. individua quale unico limite il fatto che i creditori privilegiati speciali vengano soddisfatti in misura non inferiore a quella che ricaverebbero in caso di liquidazione del bene sul quale è iscritto il privilegio, senza richiedere che il soddisfacimento derivi dal ricavato della vendita di tale bene.

In altre parole ed a titolo esemplificativo, è legittimo prevedere, nell'ambito di una proposta di concordato preventivo, il soddisfacimento del creditore privilegiato speciale attraverso l'assegnazione del bene gravato dalla prelazione, a condizione e nei limiti in cui non sia imposta al creditore garantito da ipoteca o pegno dal proponente il concordato e dal volere della maggioranza degli altri creditori.

A tal riguardo, la giurisprudenza ha osservato che il creditore privilegiato che, nell'ambito del concordato preventivo, sia soddisfatto con utilità diversa dal denaro, è portatore di un interesse economico e di una posizione giuridica diversa rispetto agli altri creditori.

Si rinvia al successivo paragrafo “La formazione della classe di creditori privilegiati “declassati” o soddisfatti con utilità diversa dal denaro” nel quale si verificherà se il creditore soddisfatto, nell'ambito del concordato preventivo, con utilità diversa dal denaro, ancorché integralmente, debba o meno essere collocato in un'apposita classe di creditori ammesso al voto in sede di adunanza.

Segue: soddisfazione non integrale e soglia del 20% nel “nuovo” concordato liquidatorio

Il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (come converto dalla legge 6 agosto 2015, n. 132) ha introdotto, nell'art. 160, comma 4, l. fall., una soglia minima di soddisfacimento delle pretese dei creditori chirografari, pari al 20% delle relative pretese.

Questa norma trova applicazione al concordato liquidatorio o a prevalenza liquidatoria, restando escluso dal campo applicativo di questa previsione il concordato preventivo in continuità ai sensi dell'art. 186-bis l. fall.

In evidenza: Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015

La nuova disposizione introdotta al quarto comma dell' articolo 160 legge fall ., la quale prevede che la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari, ha natura di norma generale applicabile ad ogni tipo di concordato, fatta eccezione di quello con continuità aziendale di cui all' articolo 186-bis legge fall .”.

Si pone, quindi, il problema di comprendere l'operatività di questa norma nel caso in cui la proposta concordataria preveda, anche tramite il ricorso a classi, la falcidia delle pretese dei creditori privilegiati.

Deve osservarsi che la norma in esame non regola solamente la posizione dei creditori chirografari, ma ha, ancorché in via indiretta, delle importanti conseguenze rispetto al trattamento dei creditori privilegiati destinatari, nell'ambito di una proposta di concordato preventivo, di un soddisfacimento non integrale.

In applicazione di questa norma, infatti, non è ammissibile una soddisfazione dei creditori privilegiati in misura inferiore alla soglia minima prevista per i creditori chirografari, poiché quest'ipotesi si porrebbe in conflitto con il principio del divieto di alterazione delle cause di prelazione.

In evidenza: Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015

La nuova disposizione, introdotta al quarto comma dell' articolo 160 legge fall . dalla legge 6 agosto 2015 n. 132 che ha convertito il decreto-legge 27 giugno 2015 n. 83 , secondo la quale la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari, è destinata ad incidere anche sul trattamento dei creditori privilegiati per i quali sia prevista una soddisfazione non integrale, in quanto una soddisfazione di detti creditori in misura complessivamente inferiore alla soglia minima del venti per cento avrebbe l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.”.

Questo ragionamento subisce, tuttavia, una diversa declinazione nel caso in cui il debitore abbia formato, nell'ambito del concordato preventivo, delle classi di creditori.

In questo caso, la giurisprudenza che, sino ad oggi, si è espressa sul punto, ritiene che l'anzidetta regola non sia interpretabile in via estensiva, sino a condizionare il trattamento della singola classe, tanto da imporre che per ciascuna di esse debba necessariamente prevendersi un pagamento non inferiore alla soglia legale prevista per i creditori chirografari.

In evidenza: Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015

La nuova regola (…) non si espande, nel concordato con classi, fino a condizionare il trattamento della singola classe tanto da imporre che per ciascuna classe la proposta debba necessari9amente prevedere un pagamento non inferiore a detta soglia; depone a favore di questa interpretazione non solo il principio di ragionevolezza, per il quale è ragionevole prevedere un trattamento minimo per una classe composta ad esempio da creditori muniti di garanzie esterne, ma anche la lettera stessa della norma che si riferisce espressamente allo “ammontare” dei crediti chirografari e non già al singolo credito”.

La formazione della classe di creditori privilegiati “declassati” o soddisfatti con utilità diversa dal denaro

Accertata la possibilità di stralcio delle pretese dei creditori privilegiati, secondo i termini e le condizioni espresse nei precedenti paragrafi, occorre svolgere ulteriori approfondimenti rispetto ai seguenti profili: (i) se per la parte residua delle pretese dei creditori privilegiati “declassati” debba essere costituita un'apposita “classe” distinta dalle pretese che sono (interamente) chirografarie per loro natura, e (ii) se per la parte “declassata” delle pretese dei creditori privilegiati possa essere previsto un trattamento diverso e deteriore rispetto a quello riservato ai creditori chirografari.

Prendendo le mosse dal primo tema, occorre ricordare che vige, nell'ambito della disciplina del concordato preventivo, il principio della non obbligatorietà della formazione delle classi.

Ai sensi dell'art. 160, comma 1, lett. c), l. fall., , infatti, la proposta di concordato può prevedere la formazione di classi di creditori secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei, tuttavia quest'ipotesi rappresenta una possibilità rimessa alla scelta del debitore e sottoposta sia al sindacato del Tribunale che è tenuto a verificare che la formazione delle classi sia coerente con il principio di omogeneità degli interessi dei creditori appartenenti a ciascun classe, nonché al giudizio dei medesimi creditori, i quali possono poi censurare la scelta del debitore, votando per il rigetto della proposta di concordato preventivo.

A tal riguardo, si osserva che il principio di non obbligatorietà delle classi vige, senza dubbio, nel caso in cui, tra i creditori concorsuali, vi siano dei creditori privilegiati non integralmente soddisfatti, quantomeno se questi creditori, per la parte “declassata” ottengano il medesimo soddisfacimento riconosciuto ai creditori chirografari.

Occorre, a questo punto, interrogarsi se è ammissibile il riconoscimento di un soddisfacimento al credito privilegiato “declassato” diverso rispetto a quello riconosciuto al credito chirografario, e, in questo caso, se è necessario procedere alla formazione di due diverse classi.

A tal riguardo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere perseguibile, ancorché non obbligatoria, questa soluzione, a condizione che il concordato preventivo preveda un raggruppamento dei crediti privilegiati “declassati” e dei crediti chirografari in due classi distinte in ragione del diverso trattamento economico.

In evidenza : Trib. Roma 20 aprile 2010

“La norma di cui all' art. 160, legge fallimentare che, in tema di concordato preventivo, consente di prevedere trattamenti differenziati tra creditori suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei, costituisce una deroga al principio generale della par condicio creditorum e, come tale, non può che ricevere una stretta interpretazione; ne consegue che i) tale norma non potrà essere applicata ai creditori privilegiati cui si offra il pagamento integrale; ii) qualora vengano offerti trattamenti differenziati ai creditori chirografari ed a quelli prelatizi non integralmente soddisfatti, dovranno essere formate classi distinte di creditori suddivisi secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei; iii) non potranno essere formate classi distinte di creditori laddove non si intenda offrire loro trattamenti differenziati, in quanto ciò urterebbe contro il principio di eguaglianza sotto il profilo del diritto di voto.”.

Affermata l'ammissibilità di un trattamento diverso, non sussistono ragioni per escludere che questa differenziazione possa comportare un trattamento

deteriore

per la classe dei crediti privilegiati “declassati” rispetto a quella costituita dai crediti chirografari.

Questa conclusione resta tuttavia soggetta al rispetto di due condizioni, entrambe fondate sul disposto dell'art. 160, comma 2, l. fall., vale a dire l'attribuzione ai crediti privilegiati “declassati” di: (i) un trattamento comunque complessivamente più favorevole rispetto a quello che riceverebbero all'esito dell'alternativa liquidazione fallimentare; e (ii) un trattamento complessivamente(cioè tenuto conto sia della collocazione in privilegio per una parte del credito sia della collocazione in chirografo per l'altra parte del credito) più favorevole rispetto a quello riservato ai titolari di pretese aventi natura esclusivamente chirografaria.

I tempi di pagamento dei creditori privilegiati: nell'ambito del concordato preventivo liquidatorio

Ai sensi dell'art. 161, comma 2, lett. e), l. fall. il debitore deve presentare “un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”.

Il profilo temporale del pagamento dei creditori privilegiati nell'ambito del concordato preventivo liquidatorio è stato oggetto di acceso dibattito in giurisprudenza e dottrina, in quanto è stato rilevato che il pagamento dilazionato delle pretese dei creditori privilegiati potrebbe rappresentare una lesione della posizione giuridica del privilegiato, poiché quest'ultimo, ai sensi dell' art. 177, comma 2, l. fall ., non esprime, il voto su una proposta di concordato che, ancorché modifichi l'originario rapporto obbligatorio, consenta il ripagamento integrale della pretesa creditoria.

In altre parole, il tema è delicato poiché l'ammissione della possibilità di soddisfacimento differito potrebbe essere ricondotta ad una lesione del diritto di credito, con conseguente necessità di verificare se riconoscere o meno il diritto di voto a questi creditori e, in caso di risposta positiva, in quale misura riconoscere questo diritto.

Sul punto, la giurisprudenza è divisa.

Secondo una prima parte della giurisprudenza, i creditori privilegiati devono essere necessariamente soddisfatti all'omologa, senza alcuna dilazione.

In evidenza : Trib. Roma, 4 maggio 2011

“Il soddisfacimento dei creditori privilegiati mediante somme derivanti dalla liquidazione dei beni, in un arco temporale non esiguo, rende la proposta di concordato preventivo contraria al principio per cui il pagamento deve essere immediato e non può essere dilazionato. È pertanto inammissibile la proposta di concordato che prevede il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati.”.

Secondo altra parte della giurisprudenza, invece, è ammissibile la dilazione del pagamento del privilegio nei limiti dei tempi tecnici necessaria, nell'ambito del concordato preventivo, alla liquidazione dei beni su cui grava il relativo privilegio, e comunque a condizione che questi tempi non siano superiori a quelli dell'alternativa liquidazione fallimentare.

In evidenza : Trib. Modena, 8 febbraio 2016

“La dilazione ultrannuale dei creditori privilegiati nel concordato con continuità aziendale è consentita solo laddove i tempi di pagamento non risultino più lunghi di quelli che sarebbero necessari nell'alternativa liquidatoria, circostanza questa che deve essere attestata nella relazione ex art. 161, comma 3, legge fall .”.

A tal riguardo, si evidenzia che il d.l. 27 giugno 2015 n. 83, convertito dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, ha introdotto nell'art. 104-ter, comma 3, l. fall., un termine finale del programma di liquidazione fallimentare, che “non può eccedere due anni dal deposito della sentenza di fallimento. Nel caso in cui, limitatamente a determinati cespiti dell'attivo, il curatore ritenga necessario un termine maggiore, egli è tenuto a motivare specificamente in ordine alle ragioni che giustificano tale maggior termine” .

Questa previsione non è richiamata dall' art. 182 l. fall. relativo al concordato con cessione di beni, che si limita ad affermare, nel comma 5, che “alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili”.

Anche in assenza di un espresso richiamo alla disciplina dell'art. 104-ter l. fall. è evidente che il limite temporale di due anni disposto da questa norma ha delle ripercussioni sulla disciplina concordataria, nel caso in cui si aderisca alla giurisprudenza che ritiene che la liquidazione, nell'ambito del concordato preventivo, dei beni su cui grava il relativo privilegio non deve avere durata superiore ai tempi dell'alternativa liquidazione fallimentare.

In altre parole e seguendo questa linea di pensiero, la liquidazione dei beni, nell'ambito del concordato preventivo, non potrà avere durata superiore a due anni, con conseguente applicazione, ancorché indiretta ed implicita, dell'art. 104-ter, comma 3, l. fall. (Ambrosini S., La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in IlCaso.it).

Un'ultima parte della giurisprudenza, consente, infine, la dilazione anche oltre i tempi della liquidazione ed a condizione che i creditori privilegiati siano “indennizzati” per il pregiudizio temporale loro subito e agli stessi sia attribuito, come meglio si dirà nel seguito, il diritto di voto sulla proposta concordataria.

Quest'ultimo orientamento trova conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui è ammissibile la proposta concordataria di natura liquidatoria che preveda la dilazione del pagamento del ceto privilegiato in un arco temporale superiore a quello corrispondente ai tempi tecnici della liquidazione fallimentare, purché questa dilazione venga “remunerata” a favore dei creditori privilegiati dilazionati e questi siano ammessi al voto, così che possano esprimere il proprio eventuale dissenso alla proposta di concordato preventivo.

In evidenza: Cass., n. 10122, 9 maggio 2014

“In materia di concordato preventivo, la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei creditori privilegiati, sicché l'adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della liquidazione, in caso di concordato cosiddetto "liquidativo") equivale a soddisfazione non integrale degli stessi in ragione della perdita economica conseguente al ritardo, rispetto ai tempi "normali", con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti. La determinazione in concreto di tale perdita, rilevante ai fini del computo del voto ex art. 177, terzo comma, legge fall ., costituisce un accertamento in fatto che il giudice di merito deve compiere alla luce della relazione giurata ex art. 160, secondo comma, legge fall ., tenendo conto degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati in ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta nonché della disciplina degli interessi di cui agli artt. 54 e 55 legge fall . (richiamata dall' art. 169 legge fall .)”.

L'anzidetta posizione della Suprema Corte, confermata dalla più recente pronuncia n. 17461 del 2 settembre 2015 (in Rivista dei Dottori Commercialisti 2015, 4, 665) non è tuttavia esente da critiche, poiché, secondo recente giurisprudenza di merito, la medesima potrebbe prestarsi all'abuso dello strumento concordatario.

In particolare e come osservato da attenta giurisprudenza, l'indiscriminata dilazione dei tempi di pagamento dei privilegiati si pone in contrasto con il principio sancito dall'art. 160, comma 2 sull'ordine delle cause legittime di prelazione in quanto, secondo la tesi prevalente, non si dovrebbero soddisfare i creditori di rango inferiore fino a quando non vengono soddisfatti quelli di rango superiore, per cui delle due l'una: o non si possono pagare i creditori fino a quando quelli con privilegio di rango superiore non vengono soddisfatti oppure si segue l'ordine dei pagamenti indicato nella proposta con il rischio che i creditori muniti di privilegio subiscano un trattamento deteriore.

In evidenza: Trib. Modena, 8 febbraio 2016

“Non ci si può invece spingere fino al punto di dover accettare il principio, che sembra presente nella giurisprudenza della Cassazione (sent. n. 10112 e 20388 del 2014 e n. 17461 del 2015), secondo cui l'entità del ritardo sarebbe discrezionalmente rimessa al debitore proponente, dal momento che si tratterebbe di soluzione suscettibile di prestarsi ad evidenti abusi”.

Segue: nell'ambito del concordato preventivo in continuità

L'art. 186-bis l. fall. dispone che “il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall'articolo 160, secondo comma, una moratoria fino a un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto.”

La possibilità di moratoria annuale per i creditori privilegiati opera nei limiti dell'art. 160, comma 2, l. fall., restando quindi ferma la necessità, anche in caso di moratoria dei privilegiati, che il piano preveda la soddisfazione di questi creditori in misura non inferiore al valore del bene su cui insiste la prelazione e salva la retrocessione a chirografario della parte del credito privilegiato di cui non sia prevista la soddisfazione per incapienza del bene.

A tal riguardo, occorre verificare se il credito privilegiato, anche considerata la componente ex art. 186-bis l. fall. del piano di concordato, possa essere pagato oltre il termine di pagamento annuale.

In primo luogo, unaderoga è rappresentata dalle diverse pattuizioni che potranno essere stipulate tra la società in concordato preventivo ed il creditore privilegiato speciale e che dovranno essere allegate alla proposta concordataria, quali patti in deroga alla moratoria annuale di cui all'art. 186-bis l. fall.

In secondo luogo, altra deroga trova applicazione nel caso in cui il concordato preventivo qualificato, sulla base del principio della prevalenza, come concordato in continuità ai sensi dell'art. 186-bis l. fall., preveda una componente liquidatoria di taluni beni non essenziali all'esercizio dell'attività d'impresa.

A tal riguardo, autorevole dottrina ha correttamente rilevato che “l'inciso «salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione» sta a significare che il termine annuale della moratoria non riguarda i beni non funzionali alla continuità dell'impresa, per la cui liquidazione la tempistica non è predeterminabile, ma dipende dalle concrete contingenze dell'attività liquidatoria, sicché il pagamento del relativo creditore privilegiato (per quanto maggiorato degli interessi) potrà avvenire solo all'esito della liquidazione, che come detto può durare più, ma anche meno, di un anno” (Vella-Lamanna-Pacchi, Il concordato con continuità aziendale, il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, a cura di Ferro- Bastia-Nonno, Milano, 2013, 182).

Salve le anzidette due deroghe, permane ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza sul tema, poiché il tenore letterale della norma e la sua natura eccezionale potrebbero indurre ad escludere la possibilità di una dilazione di durata superiore all'anno, cui consegue però il riconoscimento del diritto di voto.

Sul punto, la giurisprudenza è divisa.

Seconda una parte della giurisprudenza, è possibile un pagamento dei creditori privilegiati, nell'ambito di un concordato in continuità, oltre l'anno di moratoria di cui all'art. 186-bis l. fall., a condizione che venga loro riconosciuto il diritto di voto.

Quest'interpretazione viene ricavata dal tenore letterale della norma, secondo cui i creditori privilegiati rispetto ai quali il pagamento sia ritardato fino ad un anno non hanno diritto di voto, lascia intendere, al contrario, che il diritto di voto spetti solo in caso di pagamento differito oltre l'anno.

In evidenza: Trib. Rovereto, 13 ottobre 2014

“E' ammissibile la proposta di concordato che preveda il pagamento differito oltre l'anno dei creditori privilegiati, con attribuzione ad essi del diritto di voto. Tale interpretazione è del resto ispirata dalla natura stessa del concordato in continuità, nel quale, normalmente, la provvista necessaria alla soddisfazione dei crediti si acquista progressivamente con l'esecuzione del concordato, sì che - non solo al tempo dell'omologa ma anche negli anni successivi durante l'esecuzione del concordato, manca in tutto o in parte l'oggetto del privilegio. Imporre all'impresa che propone un concordato in continuità il pagamento integrale del ceto privilegiato allo scadere del primo anno significherebbe snaturare la regolamentazione del concordato in continuità, che mira non solo a garantire la maggior soddisfazione del ceto creditorio complessivamente inteso, ma anche a salvaguardare la continuità aziendale in funzionamento.”.

In altri termini, assumendo la regola della moratoria annuale quale espressione e specificazione del limite temporale di compatibilità della dilazione con l'integralità del pagamento considerata dall'art. 177, comma 2, l. fall., si giunge ad una qualificazione della previsione di una dilazione per periodi superiori in termini non di inammissibilità della proposta, ma di pagamento non integrale, cui consegue – a compensazione della dilazione del pagamento – l'ammissione al voto del suo titolare (Ferro, La legge fallimentare, commentario teorico-pratico, commento art. 186-bis, Padova, 2014, 2709).

Questa posizione non raccoglie tuttavia il consenso unanime della giurisprudenza, poiché alcuni tribunali di merito ritengono che il limite annuale sia derogabile solo mediante singole pattuizioni individuali e non mediante il riconoscimento del diritto di voto, anche qualora i creditori interessati dalla dilazione venissero collocati in una classe, con conseguente applicazione del meccanismo della doppia maggioranza.

In evidenza: Trib. Monza, 11 giugno 2013

“Il limite temporale della moratoria stabilito dall' articolo 186 bis, comma 2, lett. c, L.F. non può essere superato attraverso la formazione del consenso sulla proposta concordataria con il sistema delle maggioranze di cui all' articolo 177 L.F. ; detto limite può, infatti, essere derogato solo mediante singole pattuizioni (che dovranno essere allegate alla domanda di concordato) con i creditori privilegiati coinvolti, oppure mediante il meccanismo di cui all' art. 182 bis L.F. che modula l'accordo al di fuori dalla sede giurisdizionale.”.

Peraltro, sul punto, occorre infine richiamare quanto riportato nel precedente paragrafo “Nell'ambito del concordato preventivo liquidatorio“ in relazione al termine finale della liquidazione fallimentare, che, ai sensi dell'art. 104-ter l. fall., non può eccedere due anni dal deposito della sentenza dichiarativa di fallimento.

Anche in assenza di un espresso richiamo dell'art. 104-ter l. fall. è evidente che il limite temporale di due anni disposto da questa norma ha delle ripercussioni sulla disciplina concordataria, nel caso in cui si aderisca alla linea di pensiero di una parte della giurisprudenza che ritiene che la liquidazione concordataria dei beni su cui grava un privilegio non debba avere durata superiore ai tempi dell'alternativa liquidazione fallimentare.

Riferimenti

Normativi:

  • Art. 104 l. fall

    .

  • Art. 160 l. fall

    .

  • Art. 161 l. fall

    .

  • Art. 177 l. fall

    .

  • Art. 182-ter l. fall

    .

  • Art. 186-bis l. fall

    .

Giurisprudenza:

  • Cas

    s., 9 maggio 2014, n. 10122

  • Cass

    . 8 giugno 2012, n. 9373

  • Cass

    .,

    12 ottobre 2011, n. 22931

  • Cost., 25 luglio 2014, n. 225

  • Corte Giustizia UE, 7 aprile 2016, causa C-546/14

  • Trib

    .

    Bergamo, 4 dicembre 2014

  • Trib. Cuneo, 31 luglio 2014

  • Trib. Livorno, 13 aprile 2016

  • Trib. Milano, 20 luglio 2011

  • Trib

    .

    Modena, 3 settembre 2014

  • Trib. Modena, 8 febbraio 2016

  • Trib. Monza, 22 dicembre 2011

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