Prime riflessioni sul DL 59/2016 (c.d. “Decreto Banche”)

Massimo Orlando
09 Maggio 2016

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio scorso, è entrato in vigore il c.d. Decreto Banche (d.l. n. 59/2016, recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione” ). L'Autore analizza il contenuto del testo normativo, offrendo una panoramica sulle principali novità, di natura processuale e sostanziale, in materia esecutiva e concorsuale.
Premessa

Le disposizioni di natura processuale sono contenute negli artt. 4-5-6. Ma sono molto importanti anche quelle presenti negli artt. 1 e 2, che introducono nuovi istituti di natura sostanziale e il registro informatizzato previsto nell'art. 3, che potrebbe fornire molte opportunità ai soggetti economici la cui attività principale consiste nell'acquistare in blocco i crediti delle imprese bancarie.

Prendendo le mosse dalle norme in materia esecutiva e concorsuale (artt. 4-5-6), il contenuto del DL 59/2016 può essere suddiviso nelle seguenti parti, in considerazione dell'oggetto e della finalità delle disposizioni.

Disposizioni incentrate sulla tecnologia telematica

Vi sono norme che puntano, ancora una volta, sull'innovazione tecnologica per far fronte al grave deficit di efficienza che attanaglia da decenni la giustizia civile italiana.

A questo proposito, si possono ricordare quelle che nelle procedure fallimentariprevedono quanto segue.

Il comitato dei creditori può accettare la nomina anche per via telematica (quindi, in pratica, a mezzo PEC).

La nuova norma non chiarisce a chi debba essere rivolta l'accettazione della nomina del creditore quale componente del comitato dei creditori (accettazione che finora non era espressamente prevista dalla legge fallimentare, anche se in tutti i tribunali si riteneva necessario che il creditore manifestasse la sua disponibilità a svolgere l'incarico di componente del comitato dei creditori).

Se si ritiene che l'accettazione debba essere inviata in cancelleria, per la concreta operatività della disposizione occorrerà attendere che i sistemi informatici ministeriali siano adeguati per consentire alla parte privata (non assistita da difensore) di effettuare i depositi telematici (possibilità prevista dall'art. 13 DM 44/2011 anche per gli “utenti privati”, ma non ancora tradotta in pratica).

Pertanto, la soluzione più semplice (e consentita dal silenzio della norma) è disporre che l'accettazione vada inviata dal creditore all'indirizzo PEC del curatore (è opportuno indicare espressamente l'indirizzo PEC del curatore, perché in alcuni uffici giudiziari è invalsa la prassi per cui il curatore attiva uno specifico indirizzo di posta elettronica certificata per ciascuna procedura fallimentare affidatagli).

Con modalità telematiche può essere tenuta anche l'adunanza di verifica dei crediti

A tal fine, non basta la PEC ma è necessario un software per il collegamento audiovisivo.

Questa norma vale anche per l'adunanza dei creditori nel concordato preventivo.

E' una semplice facoltà del GD, che deve valutare “il numero dei creditori e l'entità del passivo”.

Il legislatore si è fatto carico delle problematiche organizzative necessarie per attuare la disposizione e, conscio della difficoltà per l'amministrazione di munire i giudici dell'hardware, del software e della formazione necessaria per provvedere autonomamente ad organizzare la partecipazione a distanza all'udienza di verifica, ha previsto la possibilità che il giudice si avvalga “delle strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi”.

In tal caso, il compenso spettante al fornitore del servizio di video-udienza sarà posto a carico della procedura.

La norma non sembra possa avere particolari ricadute in termini di velocizzazione delle udienze di verifica (anzi, è un'indubbia complicazione sul piano organizzativo), ma ha un'innegabile portata sul piano della “democratizzazione” del processo, perché agevola la partecipazione dei creditori, ivi inclusi i difensori che esercitano in circondari diversi da quello del tribunale che ha dichiarato il fallimento o che ha ammesso il concordato preventivo.

Questa facilitazione potrebbe stimolare i creditori ad avvalersi della facoltà di contestare i crediti degli altri creditori, così inverando il principio del “contraddittorio incrociato” previsto dall'art. 95, comma 3, l. fall., che ad oggi non risulta molto praticato nelle aule di giustizia, sebbene siano trascorsi 10 anni dalla introduzione della norma.

La ricerca telematica dei beni del soggetto debitore nei confronti della procedura fallimentare o concordataria è possibile anche se l'organo della procedura non è in possesso di un titolo esecutivo.

Questa norma, modificando l'art. 155-sexies disp. att. c.p.c., ha lo scopo di evitare che la procedura (fallimentare o concordataria) sostenga spese processuali inutili, sull'erroneo presupposto che il debitore sia solvibile.

Specularmente, eviterà che gli organi della procedura rinuncino a promuovere un'azione di recupero del credito, perché indotti ad erroneamente ritenere (in assenza di validi strumenti informativi) che il debitore non ha beni o crediti su cui il credito della procedura può essere soddisfatto.

Una prima valutazione delle prime due (semplici) disposizioni in materia concorsuale è che si tratta di norme del tutto innocue (né utili né nocive), che non affrontano i reali problemi che sono alla base della lentezza delle procedure, e cioè:

- la mancanza di specializzazione dei giudici e dei professionisti;

- l'assenza di strumenti efficienti di controllo da parte del giudice dell'operato dei suoi ausiliari.

Il primo (specializzazione) richiederebbe un incisivo intervento normativo (il DDL delega presentato dal Governo, c.d. “commissione Rordorf”, prevede all'art. 2, comma 1, lettera m, che il decreto legislativo delegato debba assicurare la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale, con adeguamento degli organici degli uffici giudiziari la cui competenza risulti ampliata: 1) attribuendo ai tribunali sede delle sezioni specializzate in materia di impresa la competenza sulle procedure concorsuali, e sulle cause che da esse derivano, relative alle imprese in amministrazione straordinaria ed ai gruppi di imprese di rilevante dimensione; 2) mantenendo invariati i vigenti criteri di attribuzione della competenza per le procedure di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista e dell'imprenditore in possesso del profilo dimensionale ridotto di cui alla lettera e); 3) individuando tra i tribunali esistenti, sulla base di parametri quantitativi, quali piante organiche, flussi delle procedure concorsuali e numero di imprese iscritte nel registro delle imprese, quelli competenti alla trattazione delle procedure concorsuali relative alle restanti imprese”).

Il secondo (strumenti efficienti di controllo) è già oggetto di apposite previsioni normative.

Mi riferisco all'istituto del rapporto riepilogativo iniziale e periodico delle procedure concorsuali (ed esecutive), previsto dall'art. 16-bis del DL 179/2012 e che attende una compiuta attuazione da parte della Direzione Informatica del Ministero.

La disposizione diretta a facilitare l'accesso del curatore alle banche dati è, invece, utile perché consente agli organi della procedura di assumere decisioni consapevoli, potendo basarsi su un più ampio ventaglio informativo in ordine alla solvibilità dei propri debitori.

Altre disposizioni hanno una funzione acceleratoria del procedimento esecutivo individuale o concorsuale

Anzitutto quella che prevede che il curatore può essere revocato, se non effettua tempestivamente il riparto parziale delle somme ai creditori.

Si tratta di una norma opportuna non solo per consentire ai creditori di ricevere il prima possibile ciò a cui hanno diritto, ma anche per porre fine a fenomeni di rilevanza penale, che in passato si sono verificati con una allarmante ricorrenza. Si è scoperto che alcuni curatori immobilizzavano ingenti somme di denaro delle procedure presso una banca, al fine di “acquistare” un trattamento di favore nei loro confronti da parte dell'istituto di credito; anche sotto questo aspetto, è necessario che la Dgsia provveda a realizzare immediatamente i rapporti riepilogativi iniziali, intermedi e finali (sia nelle procedure concorsuali che in quelle esecutive), perché il giudice avrà a disposizione (tra gli altri) il dato relativo all'ammontare delle somme depositate in banca e potrà (dovrà) impartire le opportune disposizioni, nell'esercizio dei poteri di controllo e vigilanza.

Quella che fissa poi il termine ultimo per l'opposizione all'esecuzione nella data in cui è ordinata la vendita.

Questo termine massimo può essere superato (e, quindi, il debitore può proporre opposizione all'esecuzione anche dopo l'ordinanza di vendita) quando si verificano fatti sopravvenuti o per impossibilità o quando il debitore adduce di non aver potuto agire prima per una causa a lui non imputabile. Questi contemperamenti eliminano in radice ogni dubbio di costituzionalità.

E' una norma di non fondamentale rilevanza, perché la prassi di procrastinare il più possibile la proposizione dell'opposizione all'esecuzione è stata ormai stroncata dai tribunali, che dispongono l'ordine di liberazione. Il debitore, per evitare l'esecuzione per rilascio, deve spendere immediatamente tutti gli argomenti di cui è munito.

Ma vi è un'altra ragione che induce il debitore a proporre opposizione all'esecuzione il prima possibile, e comunque prima che il bene sia effettivamente venduto. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21110/2012, hanno chiarito che dall'art. 2929 c.c. (e dall'art. 18 l. fall.) deriva il principio per cui la vendita all'aggiudicatario in buona fede (cioè, non colluso col creditore procedente) è fatta salva anche quando si accerta che il creditore non aveva il diritto di procedere esecutivamente (per la inesistenza o invalidità del titolo esecutivo). Questo autorevole orientamento giurisprudenziale costituisce, come è del tutto evidente, per il debitore una formidabile motivazione per cercare di ottenere la sospensione dell'esecuzione ed evitare, quindi, di perdere irreversibilmente la proprietà del bene.

Numero massimo di esperimenti di vendita nelle procedure esecutive mobiliari.

Si prevede un numero massimo di esperimenti (3) entro un termine massimo (6 mesi); se entro questo termine il bene mobile non è venduto, si deve disporre la chiusura anticipata del processo esecutivo.

Si tratta di una norma che rende obbligatoria una prassi già diffusa in numerosi uffici e che consentirà di evitare inutili attività dirette a tentare di vendere beni pignorati di scarsissimo valore (beni di arredamento, elettrodomestici, ecc.).

La norma è coerente con la generale tendenza a ridurre sempre più il ricorso all'espropriazione mobiliare presso i privati, perché il mercato dei beni pignorati nelle case di abitazione non può competere con la vendita sul libero mercato di beni dello stesso genere merceologico. Questi ultimi sono infatti nuovi (non usati) e assistiti dalla garanzia per vizi, condizioni che invece mancano entrambe nel caso delle vendite coattive.

Esecuzione dell'ordine di liberazione dell'immobile da parte del custode (e non più da parte dell'ufficiale giudiziario).

La previsione, contenuta nel nuovo quarto comma dell'art. 560 c.p.c., consente di risparmiare tempo e spese, perché il custode (organo pubblico perché ausiliario del giudice) è il soggetto che dovrà rispondere nei confronti del GE dei tempi per la liberazione dell'immobile.

Non sarà quindi necessario notificare il precetto per rilascio, né il preavviso di rilascio (previsti rispettivamente dagli artt. 605 e 608 c.p.c.).

Il custode dovrà prendere contatto informalmente con il debitore e verificare la sua disponibilità a rilasciare spontaneamente l'immobile. Se nutre dubbi sul fatto che il debitore manterrà la parola data, è opportuno che il custode comunichi per iscritto il giorno fissato per il rilascio. Decorsa questa data, il custode dovrà chiedere al giudice dell'esecuzione l'autorizzazione a domandare l'intervento della forza pubblica. Da notare che la norma non equipara completamente il custode all'ufficiale giudiziario, perché quest'ultimo può avvalersi della forza pubblica senza necessità di intermediazione del giudice.

Si porrà però il problema del coordinamento di questa nuova disposizione con quella contenuta nell'art. 609 c.p.c., ampiamente rimaneggiato con il D.L. n. 132/2014 al fine di snellire le procedure di liberazione dell'immobile (oggetto di esecuzione per rilascio) dai beni mobili ivi riposti e che sono estranei all'esecuzione. L'art. 609 c.p.c., infatti, prevede che l'ufficiale giudiziario, quando procede all'esecuzione per rilascio, deve intimare alla parte tenuta al rilascio di asportare i beni mobili, fissando il relativo termine. Se la parte non vi provvede, l'ufficiale giudiziario è investito di poteri analoghi a quelli riconosciutigli per il pignoramento mobiliare, perché deve determinare il presumibile valore di realizzo dei beni mobili e le prevedibili spese di custodia e trasporto. Se il primo valore (presumibile prezzo di realizzo) è superiore al secondo (spese di custodia e trasporto), l'ufficiale giudiziario nomina un custode e lo incarica di asportare i beni, liberando così l'immobile e consegnandolo sgombro dai beni mobili al soggetto titolare del diritto di ottenere il rilascio dell'immobile stesso. Quanto alla sorte dei beni mobili, l'ufficiale giudiziario può disporne la vendita, a cura del custode, conformemente alle disposizioni impartite dal giudice dell'esecuzione per rilascio. Ma se la natura dei beni fa ritenere che la vendita non sia possibile o realistica, i beni si considerano res derelictae e, sempre su impulso dell'ufficiale giudiziario, sono smaltiti o distrutti.

La norma di cui all'art. 609 c.p.c. è però molto più articolata di come è stata riassunta in questa sede. Ma la considerazione principale, ai fini della verifica del rapporto con il nuovo quarto comma dell'art. 560 c.p.c., consiste nel rischio che l'intento del legislatore di agevolare la liberazione dell'immobile (sottraendo i relativi compiti all'ufficiale giudiziario ed attribuendoli al custode) sia in realtà frustrato ogni volta che nell'immobile siano presenti beni mobili non pignorati (il che è quanto si verifica praticamente sempre). Infatti, la norma non contiene una piena equiparazione dei poteri del custode a quelli dell'ufficiale giudiziario e, quindi, il primo non può intimare al debitore di asportare i beni, né può nominare un custode dei beni mobili stessi, né può ordinarne lo smaltimento o la distruzione.

E' quindi auspicabile che, in sede di conversione, si introduca un correttivo che stabilisca espressamente che al custode dell'immobile che procede a norma dell'art. 560 c.p.c. sono attribuiti tutti i poteri riconosciuti all'ufficiale giudiziario dall'art. 609 c.p.c.

Aumento del ribasso nelle esecuzioni immobiliari.

A partire dal quarto tentativo di vendita immobiliare andato deserto, il prezzo potrà essere ridotto non più di ¼ ma di ½, al fine di consentire alla procedura di individuare più velocemente il valore di mercato dell'immobile pignorato.

Questa disposizione prende atto che i tempi del processo esecutivo sono condizionati, in gran parte, dalla necessaria interferenza del mercato e della situazione economica generale del Paese.

Si propone quindi di accelerare il momento dell'incontro tra domanda e offerta, riducendo i tempi necessari per arrivare al prezzo di mercato.

La novità è dirompente, perché in poco più di un anno il prezzo base può arrivare a valori irrisori, se comparati al valore di stima.

E' quindi indispensabile assicurare le condizioni necessarie per consentire al meccanismo di mercato della domanda e dell'offerta di dispiegarsi in modo effettivamente libero. In termini più espliciti, è necessario (nel senso che è sommamente opportuno):

- che l'ordine di liberazione sia emesso ed effettivamente eseguito, perché uno dei principali elementi distorsivi tra la vendita coattiva e quella volontaria sul libero mercato è costituito dal fatto che nel secondo caso il venditore ha deciso di vendere il suo immobile perché deve trasferirsi in un'altra casa (e, quindi, il rilascio spontaneo è sicuro), mentre nella vendita forzata il debitore normalmente non dispone di una sistemazione alternativa;

- che i potenziali offerenti siano messi in condizione di visionare l'immobile pignorato senza essere esposti a pressioni di vario tipo (da parte del debitore o di altri controinteressati) per convincerli a desistere dal proposito di partecipare alla vendita forzata; queste pressioni possono assumere carattere di illecito penale, quando consistono in minacce o offerte di denaro, ma possono anche operare sul piano meramente psicologico o sociologico, quando il debitore cerca di commuovere o intenerire il potenziale interessato. A norma dell'art. 560, comma 5, spetta al giudice stabilire “le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinchè gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita”. La norma però non è stata applicata in modo efficace in tutti i tribunali, perché frequentemente il giudice non adotta alcuna specifica prescrizione idonea ad evitare il contatto tra gli interessati;

- che, infine, si assicurino le condizioni per la massima espansione della vendita coattiva immobiliare, ampliando il più possibile la platea dei possibili acquirenti e facilitando la loro partecipazione a tutte le fasi della vendita (dalla presentazione dell'offerta al decreto di trasferimento).

Pertanto, posta la delicatezza della disposizione che prevede che dal quarto ribasso in poi la riduzione del prezzo può essere operata in misura pari al 50% del prezzo base del precedente esperimento di vendita, al fine di evitare che la criminalità organizzata acquisti beni a prezzo vile, il legislatore del D.L. 59/2016 ha ritenuto necessario adottare specifiche cautele.

Rispondono a questa esigenza:

- sia la disposizione che attribuisce al custode il potere di eseguire l'ordine di liberazione; facendo a meno dell'attività dell'ufficiale giudiziario, sarà possibile ridurre i tempi necessari per far sì che l'immobile pignorato sia collocato libero sul mercato delle vendite coattive;

- sia la norma che (modificando l'art. 560, comma 5, c.p.c.) prevede che il professionista delegato stabilisca “modalità idonee a garantire la riservatezza dell'identità degli interessati e ad impedire che essi abbiano contatti tra loro”;

- sia quella che, intervenendo sull'art. 569, comma 4, c.p.c., rende sostanzialmente obbligatoria la vendita telematica anche nell'esecuzione forzata immobiliare (per quella mobiliare, lo era già in forza dell'art. 530, comma 6, c.p.c., così come modificato dal D.L. 90/2014).

Preme sottolineare ancora una volta che il Governo ha cercato di operare in modo sistematico, affiancando alla disposizione sul “ribasso veloce” altre norme in grado di assicurare la trasparenza delle procedure esecutive e di evitare che la criminalità organizzata possa approfittare della prima, facendo ricorso al potere intimidatorio.

Bisogna quindi auspicare che il Parlamento, nella fase della conversione del decreto-legge 59/2016, sia consapevole di questa intima connessione tra le varie norme e della loro funzionalizzazione a soddisfare un'unica finalità. Le disposizioni in commento non si propongono puramente e semplicemente l'accelerazione delle procedure, ma tentano di realizzare una sempre maggiore assimilazione delle vendite coattive alle vendite sul libero mercato.

Posto che tutte le tre le norme (ribasso accelerato, modalità di visita e vendita immobiliare telematica) operano in questa direzione, la abrogazione o il depotenziamento anche di una sola comporterebbe non solo un inevitabile indebolimento dell'intervento legislativo, ma anche gli effetti criminogeni che si volevano evitare.

Progetto di distribuzione parziale: la formazione dei progetti parziali diventa obbligatoria.

Già da tempo molti tribunali effettuano riparti parziali, senza attendere la vendita di tutti i beni, facendo leva sulla norma che dispone che il progetto di distribuzione deve essere formato “non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo”.

La funzione della norma, ancora una volta, non è quella di chiarire ciò che si poteva già fare, ma di estendere all'intero territorio nazionale le migliori prassi che nel corso degli anni si sono formate e stabilizzate.

Il D.L. prevede solo un limite massimo delle somme distribuibili (non superiore al 90% di quelle disponibili). Si deve quindi ritenere che il progetto di distribuzione parziale è sempre obbligatorio, anche per somme di modesta entità. D'altra parte, la mancata previsione di un tetto minimo si spiega col fatto che nella procedura esecutiva, se vi è necessità di anticipare somme per interventi nell'interesse comune dei creditori (ad esempio, per la riparazione urgente di un cornicione; o per la demolizione di una parte del fabbricato pericolante), è il creditore procedente a dover anticipare le somme (art. 8 d.P.R. 115/2002). La situazione è ben diversa nella procedura fallimentare, in cui il curatore deve poter disporre della liquidità necessaria per attuare le iniziative assunte nell'interesse della massa.

Per questa ragione non è comprensibile il motivo per cui il D.L. 59/16 ha introdotto all'art. 596 c.p.c. la previsione per cui “Il progetto di distribuzione parziale non può superare il novanta per cento delle somme da ripartire.”. Questa previsione è mutuata dall'art. 113, comma 1, l. fall. (che prevede il tetto massimo dell'80%), ma, come si è già detto, nella procedura fallimentare la norma ha una sua intrinseca giustificazione.

Il riparto parziale, anche per somme modeste, non comporta alcun significativo aggravio di attività o dispendio di tempo, grazie alle comunicazioni telematiche (per quanto riguarda i creditori e il debitore quando è assistito da difensore) e alla possibilità di comunicare il progetto di distribuzione in cancelleria, quando il debitore non si è avvalso della possibilità di eleggere o dichiarare domicilio a norma dell'art. 492, comma 2, c.p.c.

In conclusione, ritengo che il riparto parziale debba essere sempre effettuato, nei limiti del 90% delle somme disponibili, a meno che tutti i creditori, che potrebbero utilmente partecipare alla distribuzione, non chiedano concordemente di differirlo.

Provvisoria esecutorietà del Decreto Ingiuntivo parziale, cioè per le somme non contestate.

Anche questa disposizione non appare particolarmente incisiva. L'art. 648, comma 1, secondo periodo, c.p.c., prevedeva già che “il giudice concede l'esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l'opposizione sia proposta per vizi procedurali”.

La modifica apportata con il D.L. 59/2016 consiste esclusivamente nella sostituzione del verbo “concede” con l'espressione “deve concedere”. La ratio dell'innovazione è, con ogni evidenza, quella di sottolineare che il giudice ha l'obbligo di concedere la provvisoria esecutorietà del provvedimento monitorio, limitatamente alle somme non contestate.

La disposizione ha quindi un mero valore di “monito” al giudice, rimarcando una nozione ben nota e cioè che i poteri del giudice non sono facoltà esercitabili con discrezionalità, ma poteri-doveri (cfr. ex multis Cass. n. 26107/2014).

A ciò si aggiunge la considerazione che l'introduzione del verbo servile “deve” si pone in contrasto con quanto previsto dalle “Regole di redazione dei testi normativi”, contenute nella Circolare del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 maggio 2001 (n. 1/1.1.26/10888/9.92), in cui si rinviene la notazione che “l'uso del verbo servile (“deve”, “ha l'obbligo di”, “è tenuto a”) diretto a sottolineare l'obbligatorietà del comportamento richiesto al destinatario della disposizione, nulla aggiunge all'imperatività della norma”.

Disposizioni dirette a garantire la trasparenza delle procedure esecutive

Le disposizioni che, in materia di procedura esecutiva, per realizzare l'obiettivo della trasparenza fanno leva sulla tecnologia informatica e telematica sono quelle che prevedono quanto segue.

La vendita mobiliare si dovrà svolgere esclusivamente con le forme della vendita senza incanto (o a mezzo commissionario).

A seguito del D.L. 59/2016, la vendita all'incanto è possibile solo se si ritiene probabile che possa consentire di realizzare un prezzo superiore della metà rispetto al valore di stima (ipotesi praticamente del tutto irrealizzabile).

Da ciò consegue che la vendita mobiliare senza incanto dovrà essere obbligatoriamente svolta con modalità telematiche.

La norma è diretta a superare un dubbio interpretativo che si era posto in ordine all'art. 503 c.p.c. che si proponeva lo scopo di rendere del tutto residuale la vendita all'incanto, ma conteneva un riferimento soltanto all'art. 568 c.p.c. e, quindi, soltanto all'esecuzione immobiliare.

Per sciogliere questo nodo interpretativo, il D.L. 59/2016 ha introdotto nell'art. 503 c.p.c. anche un espresso richiamo alle disposizioni in materia di stima dei beni mobili (artt. 518 e 540-bis c.p.c.).

E' noto infatti che in numerosi tribunali, anche dopo il DL 90/2014, si è continuato a fare ricorso alla vendita con incanto, in tal modo frustrando lo scopo del legislatore che era quello di rendere del tutto eccezionale il ricorso alla forma dell'incanto.

Questo intervento normativo comporta quindi che anche nell'esecuzione mobiliare la regola diventa la vendita senza incanto (o a mezzo commissionario) e, conseguentemente, si generalizza l'obbligo di ricorrere alla vendita telematica (a norma dell'art. 530, comma 6, c.p.c.).

Rapporti riepilogativi iniziale e periodico nella esecuzione immobiliare.

Finora, nell'esecuzione immobiliare era previsto solo il rapporto finale (art. 16-bis, comma 9-septies, D.L. 179/2012). Il D.L. 59/16 ha “allineato” le disposizioni in materia di rapporti riepilogativi delle esecuzioni immobiliari a quelle in materia di procedure concorsuali; per queste ultime infatti già con il D.L. 83/2015 sono stati previsti i rapporti iniziali e periodici.

La norma si propone lo scopo di consentire al GE di controllare la diligenza del professionista delegato e, inoltre, al Ministero di acquisire ed elaborare dati statistici da elaborare anche a livello nazionale.

Queste disposizioni, quando verranno realizzati i modelli informatici, offriranno un importante contributo anche agli investitori, che potranno poggiare su basi oggettive le valutazioni economiche sul valore dei crediti vantati nei confronti dei debitori esecutati (o assoggettati a procedure concorsuali).

Obbligatorietà della vendita immobiliare telematica.

Come si è già anticipato, la vendita immobiliare telematica ha molteplici finalità: non solo quella di evitare le frequenti turbative d'asta, ma anche quella di ampliare la platea dei possibili interessati all'acquisto e, infine, quella di agevolare la loro partecipazione.

La norma, contenuta nel nuovo quarto comma dell'art. 569 c.p.c., dispone espressamente che la vendita telematica immobiliare deve svolgersi “nel rispetto della normativa regolamentare di cui all'art. 161-ter disp. att. C.P.C. ”.

Il regolamento ministeriale è stato emanato nel 2015 (DM 32/2015), ma la sua attuazione richiede due adempimenti da parte del Ministero della Giustizia, che non risultano ancora effettuati.

Il primo consiste nella istituzione del Registro dei gestori delle vendite telematiche; il secondo adempimento riguarda invece la predisposizione da parte della DGSIA del c.d. “redattore”, cioè di un software che l'offerente deve utilizzare per redigere l'offerta e criptarla (al fine di garantire la segretezza dell'identità dell'offerente).

La vendita telematica immobiliare diventerà obbligatoria (a norma dell'art. 4, comma 5, del D.L. 59/16) per le “vendite forzate di beni immobili disposte dopo il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”.

La disposizione pone due problemi.

Il primo riguarda il participio passato “disposte”: non si intende, cioè, se si deve applicare solo alla prima ordinanza del giudice dell'esecuzione o anche alle vendite fissate dal professionista delegato, a seguito di un esperimento di vendita andato deserto. Il dubbio era già sorto con il D.L. 83/15 e in quella occasione il Parlamento, in sede di conversione, lo aveva sciolto chiarendo che la norma transitoria si applicava anche alle vendite fissate dall'ausiliario del giudice. E' auspicabile che anche in questa occasione si apporti una modifica analoga.

Il secondo problema invece si porrà in concreto qualora, entro 60 giorni dalla legge di conversione (quindi, approssimativamente, agli inizi di settembre 2016), il Ministero non avrà ancora realizzato i due adempimenti sopra rammentati (Registro dei gestori e redattore). Fermo restando l'auspicio che il Ministero in questi 4 mesi di vacatio recuperi il tempo perduto (il DM 32/15 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 24 marzo 2015 ed è in vigore dall'8 aprile 2015), qualora ciò non si verificasse ritengo che la vendita telematica non potrà essere considerata né obbligatoria né consentita, perché il D.L. dispone chiaramente che deve essere espletata a norma del regolamento ministeriale previsto dall'art. 161 disp. att. c.p.c., regolamento di cui costituiscono parte integrante le due attività poste a carico del Ministero.

Visita agli immobili da parte degli interessati: si istituisce una sorta di prenotazione, tramite il portale delle vendite pubbliche e si dispone che il custode o il professionista delegato debba organizzare le visite in modo da garantire la riservatezza dell'identità degli interessati, per evitare turbative d'asta nella fase, anticipata, in cui il cittadino accede all'immobile per verificare se può essere di suo interesse. L'argomento è già stato accennato per evidenziare che lo scopo della norma è di avvicinare il più possibile il mercato delle vendite coattive a quello delle vendite volontarie.

Disposizioni dirette a favorire una celere definizione delle procedure esecutive, al fine di consentire lo smobilizzo dei crediti delle banche “incagliati”

A tal proposito, va evidenziata la norma che prevede che l'assegnazione, in caso di vendita immobiliare deserta, possa essere chiesta dal creditore non solo per sé, ma anche a favore di un terzo. Della norma si avvarranno, probabilmente, le banche creditrici che potranno chiedere l'assegnazione a favore di una società del gruppo bancario, il cui oggetto sociale sia quello di acquisire e gestire beni immobili.

La norma si pone “in concorrenza” con quella sul finanziamento alle imprese garantito dal trasferimento del bene immobile sospensivamente condizionato, nel senso che entrambe sono finalizzate a consentire alla banca di soddisfare il credito pecuniario con l'acquisizione della proprietà dell'immobile costituito in garanzia.

Pegno mobiliare non possessorio

Le disposizioni sul pegno non possessorio configurano una radicale innovazione rispetto al pegno tradizionale, che, a norma dell'art. 2786 c.c., comporta lo spossessamento della cosa oggetto di pegno, la quale – pur rimanendo di proprietà del debitore - deve essere consegnata al creditore.

Lo spossessamento impedisce al debitore di utilizzare la cosa.

Al fine di assicurare all'imprenditore la disponibilità dei beni strumentali (e, quindi, per consentirgli di continuare l'attività imprenditoriale, creando valore e producendo reddito) o materie prime, le nuove disposizioni consentono all'imprenditore e al creditore (a cui favore è costituito il pegno) di costituire una garanzia reale mobiliare che mantenga in capo al debitore-imprenditore la possibilità di continuare ad utilizzare il bene.

I beni possono essere anche futuri (quindi, è possibile che il creditore eroghi una somma di denaro per consentire all'imprenditore di acquistare uno o più beni strumentali).

Sarà anche possibile per l'imprenditore procedere alla trasformazione o alienazione dei beni costituiti in pegno (ciò è quello che accadrà nel caso di materie prime): in tal caso la garanzia reale si trasferisce sul corrispettivo ricavato. In questo caso è indispensabile che la banca preveda, nel contratto costitutivo del pegno, procedure che la tutelino contro il rischio che il corrispettivo venga sottratto alla garanzia (la creatività degli intermediari finanziari sarà messa a dura prova).

Per garantire il creditore, si prevede l'istituzione di un registro informatizzato costituito presso l'Agenzia delle Entrate: ciò impedirà che l'eventuale alienazione del bene pregiudichi il creditore. La gestione è stata affidata all'Agenzia delle Entrate e non al Ministero della Giustizia, sia perché il pegno non ha alcun punto di contatto con le procedure giudiziarie, sia perché l'Agenzia del territorio ha un considerevole bagaglio di professionalità, essendo abituata a gestire (ormai da decenni) i registri immobiliari (il Sister, sistema informatico che gestisce i registri immobiliari informatici, era fino a qualche anno fa presso l'Agenzia del territorio, Agenzia che da qualche tempo è confluita nell'Agenzia delle Entrate).

In caso di inadempimento, al creditore sono riconosciute una serie di facoltà tutte finalizzate a consentire un celere soddisfacimento delle proprie ragioni.

In particolare:

a) se oggetto del pegno senza spossessamento è un bene mobile, il creditore può procedere alla vendita, sulla base di una stima effettuata d'accordo e, in mancanza, dal giudice; il creditore deve avvalersi di procedure competitive e, in ogni caso, va effettuata la pubblicità sul portale delle vendite gestito dal Ministero della giustizia; allo stato, il contributo di pubblicazione non deve essere pagato, posto che l'art. 18-bis d.P.R. 115/2002 lo prevede solo per i beni immobili e mobili registrati, e il pegno senza spossessamento non è consentito per i beni mobili registrati;

b) se il pegno riguarda un credito del debitore nei confronti di un terzo, il creditore può escuterlo direttamente e, quindi, può anche promuovere le relative azioni giudiziali ed esecutive; non si può, tuttavia, configurare una cessione di diritto del credito a favore del creditore (subordinato alla condizione sospensiva dell'inadempimento del debitore), perché il creditore è legittimato solo alla escussione del credito, ma non ne acquista la titolarità; si verifica quindi un caso di sostituzione processuale ex lege, secondo quanto previsto in linea generale dall'art. 81 c.p.c., perché il creditore può trattenere la somma “fino a concorrenza della somma garantita” e, quindi, è tenuto al rendiconto nei confronti del debitore;

c) se il pegno riguarda un bene, il creditore può anche concederlo in locazione, purchè questa possibilità sia stata prevista nel contratto;

d) ancora, sempre per il caso in cui il pegno riguarda un bene mobile, il trasferimento della proprietà passa al creditore nei casi disciplinati dalla lettera d) del comma 7 (quando cioè il trasferimento è stato previsto nel contratto); per riferirsi al trasferimento della proprietà, il legislatore adopera il termine “appropriazione”. L'acquisto della proprietà è consentito solo se i criteri e le modalità di valutazione sono stati previsti nel contratto; quindi, le parti possono prevedere anche la nomina di uno stimatore; la norma evoca la nozione di patto marciano (non disciplinato dal diritto positivo), che costituisce il modo per prevedere (lecitamente) il trasferimento al creditore di un bene dato in garanzia, sottraendosi alla sanzione della nullità del patto commissorio (art. 2744 c.c.). L'elemento distintivo tra il patto marciano e il patto commissorio risiede nel fatto che il primo prevede ex ante le modalità di determinazione del valore del bene dato in garanzia. In particolare, la giurisprudenza ritiene che, verificandosi l'inadempimento del debitore, il bene deve essere stimato ad opera di un terzo indipendente, con tempi certi e modalità definite, sulla base di parametri oggettivi ed autonomi (Cass. n. 1625/2015).

Quanto ai rapporti con la procedura fallimentare, il comma 8 prevede che il creditore può avvalersi delle facoltà previste dal contratto costitutivo (per i beni mobili: vendita, locazione o appropriazione; per i crediti, escussione in via autonoma) solo dopo che il creditore è stato ammesso al passivo del fallimento del suo debitore. La norma riproduce quella contenuta nell'art. 53 l. fall. che però riguarda solo la vendita.

Pertanto:

a) in caso di pegno “comune” o “ordinario”, il creditore deve essere autorizzato dal GD che deve stabilire il tempo e le modalità della vendita;

b) in caso di pegno senza spossessamento, il creditore non abbisogna di alcun provvedimento autorizzativo da parte del GD (perché l'art. 53 l. fall. non è richiamato); l'unica condizione è che il suo credito sia stato ammesso al passivo del fallimento con prelazione e, successivamente, può procedere a norma del comma 7 e delle facoltà attribuitegli dal contratto (e cioè, come già detto: per i beni mobili, può procedere alla vendita, alla locazione o alla loro appropriazione; per i crediti, invece, può escuterli in via autonoma).

Infine, il comma 10 equipara il pegno senza spossessamento al pegno ordinario sotto il profilo delle azioni revocatorie (ordinaria e fallimentare).

Non vi è una espressa deroga all'art. 2787 c.c. che per il pegno “ordinario” dispone che “la prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore o presso il terzo designato dalle parti”. E' indubbio che la norma non si possa applicare al pegno senza spossessamento, perché altrimenti l'intera nuova disciplina crollerebbe miseramente.

Tuttavia, non è disciplinato il caso in cui il bene oggetto del pegno sia sottoposto a pignoramento da parte di altro soggetto (diverso dal creditore pignoratizio). Il tema è del tutto nuovo, perché nella procedura fallimentare non ha alcuna possibilità di porsi, atteso che l'art. 51 l. fall. dispone la improcedibilità di tutte le esecuzioni individuali e, quanto a quella concorsuale, l'art. 53 l. fall. consente al creditore di soddisfare il proprio creditore in deroga al divieto di azioni esecutive individuali (secondo l'opinione di Satta e Provinciali) o, secondo un'altra opinione, pur sempre nell'ambito della procedura concorsuale, con un'esenzione dal solo concorso formale ma non da quello sostanziale (Pajardi, Inzitari).

Per tornare all'ipotesi del pegno non possessorio, se si verifica un pignoramento prima che il creditore agisca per soddisfare il proprio credito, occorre chiedersi se il creditore pignoratizio possa avvalersi del diritto di vendere il bene, a norma del comma 7, lettera a).

La risposta non è agevole, perché richiede un coordinamento con le norme processuali in materia di esecuzione mobiliare. Probabilmente, si dovrà ritenere che nel caso di pignoramento successivo al pegno ma precedente all'inadempimento da parte del debitore del debito garantito col pegno, il creditore pignoratizio non può sovrapporsi al processo esecutivo già pendente e dovrà quindi intervenire. Nel processo esecutivo farà valere il suo diritto di prelazione.

Ad analoga conclusione deve pervenirsi per il caso di appropriazione (lettera d), che dovrà soccombere se prima dell'inadempimento viene promosso un pignoramento da parte di altro creditore.

Quanto ai rapporti tra pegno e privilegio speciale, sebbene il D.L. 59/16 non contenga alcun richiamo specifico, dovrebbe comunque applicarsi la norma generale contenuta nell'art. 2748, comma 1, c.c., da cui deriva la prevalenza del pegno sul privilegio speciale.

Il comma 7, prevedendo la vendita diretta del bene da parte del creditore pignoratizio, non dispone alcunchè in ordine alle modalità con cui il creditore deve consegnare al debitore la somma ricavata in eccedenza rispetto all'ammontare del credito. Soccorrono quindi le regole generali sull'offerta reale e sul deposito con efficacia liberatoria (artt. 1209 e 1210 c.c.).

La lacuna principale riguarda però il caso in cui vi siano altri creditori, oltre al creditore pignoratizio. Il comma 7 disciplina infatti la sola ipotesi in cui vi siano “eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente”. Questa limitazione si spiega con la necessità di evitare che il creditore sia obbligato ad effettuare una vera e propria indagine per accertare se vi sono soggetti che vantano diritti sul bene oggetto del pegno costituito in suo favore. In particolare, considerato che il pegno senza spossessamento può riguardare solo i beni mobili non sottoposti a regime di pubblicità, né il sequestro né il pignoramento risultano da alcun registro pubblico.

Tuttavia, la possibilità che sul bene intervenga un sequestro o un pignoramento non è affatto da escludere: nessuna norma vieta l'apposizione di un siffatto vincolo ad un bene oggetto di pegno. Il creditore che agisce a seguito dell'inadempimento ben può venire a conoscenza del vincolo, perché può essere informato dal custode nominato a norma dell'art. 520 c.p.c.

Non si intende pertanto per quale ragione si debbano pretermettere i creditori sequestranti o pignoranti che hanno ottenuto, rispettivamente, un sequestro o un pignoramento dopo l'iscrizione del pegno costituito a favore del creditore procedente. Anche costoro, al pari di coloro che hanno un pegno non possessorio trascritto successivamente, sono soggetti che possono avere delle chances di soddisfacimento sul bene.

A maggior ragione, non si intende perché ci si debba disinteressare di coloro che, prima della iscrizione del pegno a favore del creditore che agisce a norma del comma 7 per l'inadempimento del suo debitore, hanno trascritto un altro pegno non possessorio, o di coloro che hanno ottenuto un sequestro o un pignoramento.

Inoltre, si pone il problema di come debba comportarsi il creditore che vende un bene sottoposto a pegno e sul quale sia stato iscritto un pegno successivamente al proprio. Non si comprende, cioè, se deve versare la eccedenza al debitore o al successivo creditore; e, in questo secondo caso, come possa venire a conoscenza dell'effettiva entità del credito di quest'ultimo. In mancanza di una disciplina specifica, è probabile che il dilemma si risolva con il pignoramento, da parte del secondo creditore, della somma residua, purchè però si sia nel frattempo munito di un titolo esecutivo; in mancanza, potrà proporre un ricorso per sequestro conservativo.

Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato (art. 48-bis T.U.B.)

Il D.L. 59/2016 introduce l'art. 48-bis nel Testo Unico Bancario, legittimando una nuova forma di finanziamento a favore delle imprese, caratterizzato dal fatto che il credito è garantito da un immobile per il quale si prevede il trasferimento al creditore, sospensivamente condizionato all'inadempimento del debitore.

Vi sono alcune limitazioni:

1) soggettive: perché possono essere parti di questa nuova forma di finanziamento solo una banca o un intermediario finanziario (da un lato) e un imprenditore (dall'altro);

2) oggettive, perché il contratto non può prevedere il trasferimento automatico di immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado; la norma è chiaramente diretta ad evitare che la procedura accelerata per il trasferimento, qualora si applicasse anche alle abitazioni, possa provocare disordini sociali, perché il debitore si troverebbe privato della casa in tempi (si ritiene) più celeri rispetto a quelli richiesti dalle procedure esecutive immobiliari; questa limitazione si inserisce in un filone normativo già in atto, perché il d.P.R. 602/73 vieta al concessionario per la riscossione di procedere all'esecuzione immobiliare se il debitore ha un unico immobile (art. 76, comma 1, d.P.R. 602/73).

La norma di cui all'art. 48-bis creerà alcuni problemi applicativi.

Quanto all'abitazione principale, è prevedibile che il debitore, quando decide di non versare le rate dovute, si affretterà a trasferirsi nell'immobile (o a farvi trasferire il coniuge o un parente o affine di terzo grado). Pertanto, sarà prudente che la banca faccia ricorso a questo tipo di finanziamento solo in relazione ad immobili diversi da quelli ad uso abitativo.

Inoltre, la norma che vieta di pattuire il trasferimento sospensivamente condizionato si applica all'immobile che è adibito ad abitazione principale “dal proprietario” e non soltanto dal debitore. Ciò significa che la banca dovrà sottostare al divieto di prevedere il trasferimento, anche quando l'immobile è costituito in garanzia dal terzo datore di ipoteca.

La norma è costruita secondo le regole (non codificate) del patto marciano.

Il creditore, per avvalersi del trasferimento diretto, dovrà chiedere al Presidente del tribunale la nomina di un esperto. Va evidenziato che, mentre nel pegno senza spossessamento, la stima può essere concordata preventivamente dalle parti (che potranno quindi in sede di conclusione del contratto prevedere il nome dello stimatore), nel caso invece del finanziamento alle imprese garantito da trasferimento immobiliare sospensivamente condizionato il creditore deve necessariamente rivolgersi all'autorità giudiziaria.

Questa scelta si spiega con la diffusa opinione secondo cui i beni immobili hanno un valore superiore rispetto ai beni mobili, opinione che peraltro è sempre più minoritaria, considerato l'impetuoso processo di dematerializzazione della ricchezza.

La contestazione da parte del debitore in ordine al valore attribuito dall'esperto non comporta la sospensione del diritto del creditore di ottenere il trasferimento dell'immobile, perché il comma 7 prevede espressamente che, se in giudizio il debitore vedrà accolte le sue contestazioni, il creditore dovrà pagare la relativa differenza.

Quanto ai rapporti con le procedure esecutive immobiliari, va evidenziato che, se l'inadempimento si verifica quando l'immobile è già stato pignorato, alla stima procede l'esperto nominato dal GE (comma 10).

La norma si applica anche quando pende una procedura esecutiva esattoriale o una procedura fallimentare.

Non è disciplinato invece il caso del concordato preventivo.

Disposizioni con forte impatto organizzativo finalizzate ad incrementare il mercato dei NPL (non performing loans)

Viene istituito il Registro elettronico delle procedure esecutive immobiliari e concorsuali (art. 3 D.L. 59/2016)

E' prevista una sezione ad accesso pubblico ed una sezione ad accesso limitato

Si prevede un decreto del Ministero della Giustizia che stabilisca quali informazioni e documenti dovranno essere inseriti nella sezione pubblica e quali in quella privata.

La norma intende porre le condizioni perché si crei anche nel nostro ordinamento un vero e proprio mercato dei crediti in sofferenza (NPL, “non performing loans”), al fine di consentire alle banche ed agli intermediari finanziari di smobilizzare celermente ed efficientemente i crediti “incagliati”.

La disposizione si segnala perché è la prima volta che si prevede che la piattaforma informatica del Ministero della Giustizia sia realizzata dalla SOGEI, cioè da una società (a partecipazione integralmente pubblica, perchè il suo capitale è posseduto per il 51% dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e per il restante 49% dall'INPS) che non gravita nell'orbita del Ministero della Giustizia.

Il legislatore ha assunto questa decisione perché si è reso conto della estrema difficoltà di allestire un registro notevolmente complesso, in considerazione sia del numero dei procedimenti che, soprattutto, della enorme mole di informazioni e documenti che sono necessari per consentire la necessaria, completa valutazione (“due diligence”) alle società che svolgono attività di acquisto dei crediti.

Anche sul piano organizzativo, vi è una disposizione particolarmente innovativa, perché si prevede che la Banca d'Italia e il Ministero dell'Economia e delle Finanze potranno assumere un ruolo (da definire con una convenzione da stipularsi con il Ministero della Giustizia) per la realizzazione, la gestione e il monitoraggio del registro informatizzato.

La Banca d'Italia, inoltre, potrà anche contribuire sul piano finanziario.

Queste ultime disposizioni confermano la rilevanza strategica che il Governo attribuisce al registro informatizzato, al fine di consentire lo smobilizzo dei crediti in sofferenza.

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