Concordato con continuità aziendale (l. fall.)

Luigi Amerigo Bottai
19 Maggio 2020

Il concordato preventivo in continuità era già noto nella pratica ben prima del suo riconoscimento legislativo ad opera dell'art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, ma veniva comunemente inteso come tipo di concordato volto al risanamento aziendale per lo più in forma diretta, mediante la prosecuzione dell'esercizio dell'attività da parte del medesimo imprenditore e la generazione di flussi di cassa sufficienti, insieme alla liquidazione dei cespiti non più funzionali, a rimborsare parzialmente i creditori in un certo arco temporale.

Inquadramento

Il concordato preventivo “in continuità” era già noto nella pratica ben prima del suo riconoscimento legislativo ad opera dell'art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. con modif. in L. 7 agosto 2012, n. 134), ma veniva comunemente inteso, nelle non frequenti ipotesi in cui concretamente si proponeva (stante la difficoltà di mantenere il going concern allorché il patrimonio netto risulti azzerato da debiti e perdite), come tipo di concordato volto al risanamento aziendale per lo più in forma diretta, mediante la prosecuzione dell'esercizio dell'attività da parte del medesimo imprenditore e la generazione di flussi di cassa sufficienti, insieme alla liquidazione dei cespiti non più funzionali, a rimborsare parzialmente i creditori in un certo arco temporale. Non aveva, tuttavia, una specifica regolamentazione propria e quella contenuta nell'art. 182 (dettata per le ipotesi di cessione dei beni) non si attagliava a disciplinarne le peculiarità.

Con l'introduzione nella legge fallimentare dell'art. 186-bis, in una posizione sistematica per la verità poco comprensibile (il Capo VI dedicato all'esecuzione e alla risoluzione del c.p.), il legislatore del 2012 (precedente legislatura) ha inteso offrire agli operatori uno strumento processuale più duttile e a più ampio spettro, ricomprendendo nella fattispecie normativa definita “concordato con continuità aziendale” anche alcune forme in precedenza configurate come di cessio bonorum quali l'alienazione dell'azienda (o di suoi rami) in esercizio e il suo (o loro) conferimento in un veicolo societario appositamente costituito o preesistente (comma 1). In altri termini, la disposizione recepisce i fenomeni economici della ristrutturazione aziendale, la quale può avvenire sia in via diretta, mantenendo l'impresa (o il suo core business) nelle mani dello stesso debitore, se del caso con modifiche alla compagine sociale proprietaria e/o al management, sia attraverso il trasferimento dell'azienda o di suoi rami ad altri soggetti, già esistenti o neocostituiti, anche collegati, oppure nell'ambito di operazioni societarie straordinarie (c.d. risanamentoindiretto”). Discorso a parte merita la questione se l'affitto di azienda costituisca una forma di risanamento indiretto e, quindi, sia compatibile con la disciplina in esame (v. infra § 4.).

Sebbene il termine “continuità” debba riferirsi più propriamente all'attività d'impresa che non al complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa (qual è l'azienda), appare evidente la voluntas legis di favorire la conservazione degli organismi produttivi in qualsiasi modo risulti realizzabile, essendo notorio che la perdita della continuità aziendale può produrre una repentina e grave dispersione di valore del patrimonio dell'imprenditore (investimenti definitivamente perduti, penali contrattuali, beni e crediti svalutati). E poiché il patrimonio del debitore, “già dal momento della sua incapienza, è virtualmente destinato ai suoi creditori, è naturale che il diritto della crisi d'impresa consideri prioritario salvaguardarne l'integrità” (Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, 1222 ss.), alla stregua di quanto dispone il codice civile al verificarsi di una causa di scioglimento e sui poteri dei liquidatori (artt. 2486-2487).

Quel che rileva, dunque, per integrare la previsione di legge non è tanto la volontà del debitore di proporre questo genere di concordato, quanto il fatto – dirimente ex se poiché fa scattare le cautele imposte dal 2° e dall'ultimo comma - che:

  • l'azienda sia in esercizio al momento del deposito del ricorso, o almeno se ne preveda la riattivazione all'omologa, senza che ciò arrechi pregiudizio manifesto per i creditori,
  • il piano aziendale, sul quale si deve pronunciare l'attestatore, contempli ed illustri nel massimo dettaglio prescritto dalla norma (comma 2, lett. a: “un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”, in funzione informativa dei creditori e del tribunale) la prosecuzione dell'attività di impresa,
  • da attuare in via diretta o tramite la cessione o il conferimento dell'azienda in esercizio, come modalità adempitive della proposta formulata ai creditori, che risulti funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (comma 2, lett. b). Resta ferma la possibilità di liquidare i beni non rientranti nel perimetro aziendale o comunque non strumentali all'attività (art. 186-bis, comma 1, ult. periodo).

Non si tratta, quindi, di una nuova e diversa tipologia di concordato, perché – come detto – contiene differenti opzioni solutorie, ma di una condizione fattuale al ricorrere della quale scatta una serie di prescrizioni che disciplinano la fattispecie oggettiva dell'azienda in esercizio, quand'anche quest'ultima venga ceduta al miglior offerente (non previamente individuato).

In tal guisa con il c.d. Decreto Sviluppo del 2012 si ebbe ad adottare una scelta di politica del diritto – già intrapresa in diversi altri ordinamenti più evoluti in materia, in coerenza con la maturata consapevolezza del passaggio da un sistema incentrato sulla visione statica dei rapporti commerciali e della responsabilità patrimoniale ad uno imperniato sull'attività (non più sul soggetto imprenditore) e su una concezione dinamica dei medesimi rapporti e responsabilità (cfr. Terranova, Le nuove forme di concordato, Torino, 2013, 7) - esplicitamente diretta a salvaguardare, ove possibile, la conservazione delle imprese sul mercato, allo scopo di valorizzarne le componenti produttive in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali e, al contempo, di non pregiudicare tutte quelle categorie di soggetti (c.d stakeholders)che sono in rapporti con l'impresa in crisi e che dalla disgregazione conseguente all'alternativo fallimento ricaverebbero risultati sicuramente peggiori (dipendenti, fornitori, banche, persino l'erario in taluni contesti).

Agli stessi fini erano preordinati i nuovi istituti, inseriti nel medesimo D.L. n. 83/2012, che disciplinano la possibilità

  1. di presentare la domanda di concordato con riserva di deposito della documentazione di cui all'art. 161 nel termine (tra i 60 e i 120 giorni) assegnato dal tribunale,
  2. di ottenere lo scioglimento dei contratti pendenti ritenuti non più utili alla prosecuzione dell'attività (art. 169-bis) e, per converso, di mantenere i contratti pubblici in corso di esecuzione e di partecipare alle gare (con le cautele stabilite nel comma 3 e 6 dell'art. 186-bis),
  3. di contrarre finanziamenti interinali (art. 182-quinquies, commi 1-3) e
  4. di pagare, a determinate condizioni e solo se il concordato è in continuità, i debiti pregressi dei fornitori strategici (art. 182-quinquies, comma 4, ora 5, onde prevenire interruzioni esiziali), nonché, a completamento della cornice regolamentare di diritto societario,
  5. la sospensione degli obblighi codicistici di ricapitalizzazione ovvero di scioglimento della società per tutta la durata della procedura di concordato (art. 182-sexies). In parallelo l'art. 178, ult. comma, novellato dal medesimo D.L. n. 83/2012, agevolava le proposte concordatarie dettando la regola del c.d. silenzio-assenso, per cui i creditori non votanti venivano ritenuti favorevoli.

Insomma, un intervento organico, completo e meditato che stava iniziando a mostrare i suoi frutti (cfr. il rapporto “Il concordato preventivo in Italia: una valutazione delle riforme e del suo utilizzo”, Questioni di Economia e Finanza, Banca d'Italia, n. 316, Marzo 2016).

L'innovazione legislativa del 2015

In siffatto contesto è intervenuta la Legge 6 agosto 2015 n. 132, che nel convertire il D.L. 27 giugno 2015, n. 83, ha modificato parzialmente il quadro appena delineato inserendo nuove disposizioni, le quali se, da un lato, incentivano la contendibilità delle imprese in crisi – con la istituzionalizzazione delle offerte concorrenti in ogni tipo di concordato (art. 163-bis) e l'apertura alle proposte concorrenti di concordato (art. 163, comma 4-7) – e, come subito si vedrà, rimarcano una netta differenziazione tra i concordati liquidatori e quelli in continuità, da altra prospettiva sembrano imprimere al sistema un ritorno al passato rendendo assai più arduo il percorso per qualunque proposta di concordato 1)con il ripristino del sistema di voto del “silenzio-rigetto” previgente (v. novellato art. 178, ultimo comma), nonché 2) con l'apposizione di un requisito di ammissibilità per i concordati non in continuità, fissato nel pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari.

Ebbene, a distanza di 10 mesi i dati statistici rilevano che i nuovi procedimenti per concordato preventivo si sono drasticamente ridotti.

In sede di decretazione d'urgenza (art. 4 D.L. n. 83/2015) il Governo aveva inserito all'art. 161, comma 2, lett. e), l. fall. - dopo l'obbligo di descrivere modalità e tempi di adempimento della proposta - un nuovo periodo: “; in ogni caso, la proposta deve indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile procurata in favore di ciascun creditore”. Ma non era intervenuto sugli artt. 160 e 178 l. fall.

In fase di conversione il Parlamento, oltre a precisare nel periodo appena riportato dell'art. 161, comma 2, lett. e) che il proponente “si obbliga ad assicurare a ciascun creditore” la ridetta specifica utilità, ha - pur in assenza dei presupposti di necessità e urgenza e senza alcuna omogeneità con le norme del D.L. (v. Corte Cost. sent. n. 22 del 16 febbraio 2012; Panzani, Introduzione al volume di Ambrosini, La nuova crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016, 15)

  • aggiunto, fra molteplici altre novellazioni della legge sul concordato, un nuovo comma 4 all'art. 160, che introduce la soglia minima del 20% di soddisfazione da “assicurare” ai crediti chirografari, salvo che per i concordati in continuità aziendale;
  • modificato radicalmente il sistema di voto dei creditori nell'ultimo comma dell'art. 178, con l'abrogazione del silenzio-assenso finora in vigore (in controtendenza con altri ordinamenti, come quello tedesco: art. 244 InsO), smentendo l'espressa intenzione dello stesso legislatore del 2012 di voler facilitare il raggiungimento delle maggioranze al cospetto di un ceto creditorio sovente disinteressato.

Con il D.L. 83/2015, come anticipato, si è provveduto ad innestare nell'art. 163 l. fall. la facoltà per uno o più creditori, i quali anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato rappresentino almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata (esclusi quelli infragruppo), di presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima dell'adunanza dei creditori, a meno che nella relazione di attestazione il professionista asseveri che la proposta del debitore assicura il pagamento di almeno il 40% dell'ammontare dei crediti chirografari o, nel caso di concordato con continuità aziendale, di almeno il 30% dei chirografi. In tal caso le proposte concorrenti non sono ammissibili.

Contestualmente nell'art. 163-bis l. fall. si è resa obbligatoria la prassi invalsa presso alcuni tribunali - qualora il piano di concordato, benché in continuità, comprenda un'offerta di acquisto dell'azienda, del ramo d'azienda o di specifici beni da parte di un soggetto già individuato - di disporre la ricerca di altri interessati mediante l'apertura di un procedimento competitivo (regolato dai commi 2 e 3), anche se il debitore si sia vincolato contrattualmente al successivo trasferimento degli stessi cespiti.

Sulla corretta interpretazione delle novità legislative alcuni tribunali hanno già offerto una pronta risposta all'esigenza, manifestata da coloro che si propongono di accedere al concordato preventivo, di conoscere gli orientamenti degli uffici giudiziari quanto meno sulle questioni di più ampia portata applicativa (cfr., a titolo esemplificativo, le Linee guida 2016 dei Tribunali di Roma e Bergamo, in questo portale).

Da ultimo è stato emanato il D.L. 3 maggio 2016 n. 59, che contiene importanti innovazioni in materia di accelerazione della realizzazione dei crediti. Significativa è la previsione del pegno mobiliare non possessorio (limitato ai beni inerenti all'esercizio dell'impresa), già nota in altri sistemi giuridici, pensata a tutela dei creditori in ordine alla certezza dei tempi di soddisfazione del credito. Parimenti da menzionare il finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato all'inadempimento del debitore, l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un registro elettronico delle procedure di espropriazione forzata immobiliari, delle procedure d'insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi, nonché, in materia di concordato, la possibilità che l'adunanza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi.

Dal quadro sommariamente tratteggiato, in cui si colloca anche l'ambizioso (quanto, a questo punto, necessario) “Progetto di legge delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”, varato dal Consiglio dei ministri nel febbraio 2016 - che mira a far affrontare tempestivamente le crisi aziendali, limitando le perdite del tessuto economico contiguo, attraverso le c.d. misure di allerta a forte valenza recuperatoria -, emerge un deciso riequilibrio dei rapporti tra debitore e creditori e la tendenza a privilegiare il concordato in continuità (a scapito di quello liquidatorio), il cui obiettivo resta, in ogni caso, tassativamente stabilito dalla legge (art. 186-bis, comma 2, lett. b) nel perseguimento della migliore soddisfazione dei creditori e non del risanamento dell'impresa qual era, in base all'abrogato art. 187, per la procedura di amministrazione controllata. E di ciò gli interpreti devono tenere conto nel valutarne la concreta proponibilità (i consulenti del debitore) e l'ammissibilità (il tribunale e il commissario giudiziale).

Le prescrizioni normative dell'art. 186-bis l. fall: fattispecie concrete e disciplina

Come sopra evidenziato, l'art. 186-bis contiene, al comma 1, una norma di fattispecie e nei commi successivi norme di disciplina: il che implica che, a prescindere dalla qualificazione giuridica offerta dal debitore, se la proposta concordataria e il piano sottostante prevedono la prosecuzione dell'attività da parte del debitore medesimo ovvero la cessione dell'azienda in esercizio (o di suoi rami) oppure il conferimento di essa in una o più società, troverà applicazione la disciplina in esame, con la conseguenza che ove nel piano manchi la specifica rappresentazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno e delle fonti di copertura, ovvero l'attestatore ometta di asseverare che la continuità assicura il miglior soddisfacimento dei creditori, la domanda di concordato, se non integrata ex art. 162, risulterà inammissibile (Nigro-Vattermoli, AA.VV. Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, sub art. 186-bis, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2014, 561). D'altro canto occorre considerare che, se il piano appare completo, l'opinabilità delle valutazioni del commissario giudiziale o del tribunale circa la fattibilità economica nel caso concreto, sostanziandosi in rilievi valutativi e prognostici, è stata ritenuta inidonea a palesare la manifesta irrealizzabilità del piano e a giustificare l'arresto della procedura (Cass. 6 novembre 2013, n. 24970).

La continuazione dell'attività deve permanere sia durante la procedura sia nella fase esecutiva, fino alla vendita dell'azienda in esercizio ovvero al suo conferimento in una società (oltre che, naturalmente, nel caso di prosecuzione diretta).

Laddove l'attività aziendale sia temporaneamente ferma, ma nella proposta e nel piano si prevede che venga prontamente riattivata (grazie a nuovi innesti finanziari o mediante affitto ante omologa, prodromico alla cessione), sarà ugualmente applicabile la disciplina dell'art. 186-bis (v. Trib. Roma 24 marzo 2015) e delle norme collaterali, come l'art. 182-quinquies o l'art. 169-bis. Analogamente avverrà quando la prosecuzione dell'attività serva soprattutto a mantenere in equilibrio il conto economico dell'azienda, mentre le risorse da destinare ai creditori provengano precipuamente da terzi garanti o assuntori (v. Trib. Roma 16 dicembre 2015), in quanto l'eventuale sforamento delle previsioni degli oneri di gestione potrebbe finire per gravare sui creditori. Naturalmente deve sussistere il requisito imprescindibile del migliore trattamento dei creditori, rispetto alla liquidazione.

Per converso, la continuità aziendale potrebbe verificarsi anche nei concordati liquidatori, allo scopo di ultimare un ciclo produttivo o di completare dei beni da alienare (il c.d. esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del miglior realizzo, di cui parla l'art. 2487 c.c.): in tal caso, se il piano e la proposta sono chiaramente volti alla cessione immediata – oggi possibile anche in pendenza del termine di cui all'art. 161 e comunque prima dell'omologazione, ai sensi del novellato art. 182, comma 5, l. fall. – e alla futura disgregazione atomistica dell'impresa, non pare residuare spazio per la disciplina della continuità.

Anche nella fase di riserva, ossia prima del deposito della proposta definitiva e del piano, poiché rileva la reale situazione in cui opera l'impresa, laddove l'esercizio dell'attività cessi o risulti manifestamente pregiudizievole per i creditori (a causa delle gravose perdite o delle eccessive prededuzioni in rapporto all'attivo distribuibile) il debitore dovrà trasformare la proposta concordataria in una di tipo liquidatorio, pena la revoca ex art. 173 attivabile dal commissario giudiziale (v. art. 186-bis, ult. comma). Un breve periodo in perdita può essere tollerato, purché i flussi di cassa o i proventi straordinari successivi neutralizzino il deficit temporaneo.

Qualora, peraltro, insieme alla prosecuzione dell'attività sia prevista anche la liquidazione di beni non strumentali si deve analizzare se tale liquidazione sia compatibile con il piano in continuità: nell'ipotesi in cui la liquidazione concerna “assets funzionalizzabili, il concordato non potrebbe ritenersi esclusivamente in continuità, ma anche liquidatorio”, con quel che ne consegue in termini di disciplina applicabile (Di Marzio, Introduzione al concordato con continuità aziendale, in AA.VV. Un diritto per le imprese in crisi. The italian chances for restructuring, Milano, 2014, 11). In proposito la recente giurisprudenza di merito ha ritenuto configurarsi un “concordato misto (possibile e lecito in virtù del principio di atipicità del piano concordatario di cui all'art. 160 l. fall.)”, con conseguente applicazione della “disciplina del piano concordatario prevalente, salva la possibilità di applicazione congiunta delle due discipline, ove non siano incompatibili secondo il criterio della integrazione” [Così Trib. Roma, 22 aprile 2015, n. 17, in questo portale, con nota di Ravina; analogamente già Trib. Roma, 24 marzo 2015, cit. Contra, Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, blog del 16 settembre 2015, in questo portale, il quale ravvisa un errore concettuale nella specie la qualificazione giuridica di concordato misto, perché se “il debitore può continuare a disporre dei suoi beni, è del tutto naturale che poi possa provvedere di sua iniziativa alla vendita di singoli cespiti, che non vengono quindi resi oggetto di cessione ai creditori (ipotesi che presuppone l'operare di un mandato a vendere in senso lato), ma vengono liquidati nell'esercizio di una facoltà dispositiva connessa e coessenziale alla stessa causa di tale forma di concordato promissorio. Di conseguenza, per l'attuazione di tali modalità liquidative ha senso che sia il commissario giudiziale ad esercitare la sua consueta vigilanza, ma non avrebbe senso nominare un liquidatore giudiziale, che esplica una funzione gestoria compatibile solo con il concordato per cessione dei beni (tanto che non a caso la sua nomina è prevista esclusivamente per tale ipotesi dall'art. 182 l. fall.)]”.

Oggi il criterio dell'integrazione (o combinazione) delle due discipline – in continuità e liquidatoria – appare problematico per effetto dell'introduzione della soglia minima del 20% di cui all'art. 160, ult. comma, nei concordati liquidatori: come osservato in dottrina, invero, “postulare che per il piano di continuità è possibile proporre un soddisfacimento inferiore al 20% e per il piano liquidatorio un soddisfacimento almeno pari al 20%, è esercizio improponibile per la semplice ragione che prevarrà, sempre, il necessario rispetto della percentuale minima” (Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, NLCC, 2016, 10, § 7.).

Come si determini la prevalenza è inevitabilmente rimesso alla quantità di risorse generate dalla continuità, paragonate a quelle rivenienti dalla liquidazione dei cespiti.

Il Tribunale di Roma, nelle Linee guida sopra menzionate, ritiene che un piano concordatario che preveda di trarre dalla continuità aziendale (con risanamento o con cessione a terzi) risorse da distribuire ai creditori quantitativamente inferiori rispetto all'attivo estraneo al perimetro aziendale soggetto a liquidazione possa comunque integrare “gli estremi del concordato in continuità anche ai fini della non applicazione della soglia minima di cui al novellato art. 160 u.c.; in favore di tale soluzione depone il tenore letterale dell'art. 186-bis, comma 1, il quale ricomprende in modo palese anche tale eventualità (ossia quella del piano c.d. misto) nel più generale schema del concordato in continuità, senza operare alcuna ulteriore distinzione in funzione del peso specifico delle due componenti”.

Tutto ciò, però, riguarda il solo profilo relativo al pagamento dei creditori; non pertiene, invece, al fatto che per la parte del piano in continuità debbano, comunque, essere applicate le disposizioni di cui all'art. 186-bis.

Per la parte liquidativa, peraltro, grazie al novellato art. 182, comma 5 (applicabile anche ai concordati pendenti), che richiama gli artt. da 105 a 108-ter in quanto compatibili, si può oggi procedere alla cessione/trasferimento dei cespiti non strumentali già dopo il deposito della domanda di concordato.

In sostanza il debitore non può sottrarsi al pagamento del 20% sol perché nel piano è prevista anche una continuità aziendale; ma se questa continuità c'è le disposizioni di favore debbono essere applicate (Fabiani, ibidem).

Sempre a seguito della L. n. 132/2015, il novellato l'art. 161, comma 2, lett. e) - applicabile anche ai concordati con continuità – pone un'ulteriore requisito di ammissibilità, al fine di precludere domande che lascino indeterminate e aleatorie le proposte (v. Relazione di accompagnamento al ddl di conversione): orbene, il fatto che la proposta debba indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore solleva un problema di coesistenza con il principio di atipicità dei contenuti del piano e della proposta di cui all'art. 160. Cosa deve intendersi per “utilità”?

Se potesse intendersi come sinonimo di “vantaggio economico latamente inteso” sembrerebbero rientrarvi anche benefici diversi dal denaro (solo per i concordati in continuità, in base al nuovo art. 160, ult. comma), quali la prosecuzione di rapporti commerciali con determinati fornitori, la deduzione immediata di perdite su crediti, fino addirittura alla salvezza dalla revocatoria fallimentare: le c.d. classi a costo zero (inammissibili per Trib. Milano 26 ottobre 2011; contra, Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016, 73). In realtà, si replica che i vantaggi appena citati non pare possano annoverarsi tra le utilità in discorso, le quali derivano tutte dalla disciplina legale (art. 101 TUIR; art. 67 l. fall.) o dalla volontà della controparte contrattuale e non dall'autonomia negoziale del debitore proponente. Detta utilità va, quindi, ricercata nella disposizione dell'art. 160, comma 1, lett. a), che consente di soddisfare i crediti attraverso qualsiasi forma non indiretta (Vitiello, I contenuti della proposta di concordato dopo la miniriforma del 2015, in questo portale; Panzani, op. cit., 17).

(Segue) I requisiti del piano, gli oneri di attestazione e le agevolazioni

Ribadito che la continuazione dell'attività dev'essere oggetto di impegno del debitore, oltre che condizione fattuale da verificare nella procedura, affinché la continuità aziendale permanga nell'interesse dei creditori occorre la dimostrazione – rimessa all'attestatore a pena d'inammissibilità della proposta (art. 186-bis, comma 2) – che l'impresa, entro l'arco temporale del piano, torni a produrre utili in misura superiore al risultato prevedibile della liquidazione, per lo più da distribuire ai creditori (e da quantificare e descrivere in dettaglio nel piano stesso, in uno con i relativi costi), altrimenti occorrendo l'apporto di risorse esterne da ripartire.

La continuità è dunque da salvaguardare non come valore in sé, bensì e soltanto a condizione che risulti premiale per i creditori nel confronto con lo scenario liquidatorio o fallimentare: di qui l'intuizione che la formula normativa del “miglior soddisfacimento dei creditori” sia divenuta una sorta di clausola generale estensibile anche ad altre fattispecie normative aventi analoga ratio,quali il regime di autorizzazione degli atti urgenti di straordinaria amministrazione (art. 161, comma 7), la disciplina dei rapporti pendenti (art. 169-bis), i pagamenti di crediti anteriori, se strategici (art. 182-quinquies, comma 5), il canone di responsabilità degli amministratori nella gestione ordinaria in pendenza di domanda con riserva (Patti A., Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, Fall., 2013, 1099 ss.; in giur., v. esplicitamente Cass. 19 febbraio 2016, n. 3324).

La disciplina stabilisce severi oneri per i redattori del piano e l'attestatore [art. 186-bis, comma 2, lett. a e b: il piano, la cui durata non dovrebbe superare i 3/5 anni (termine massimo di attendibilità delle previsioni secondo la scienza economica), ha una duplice funzione: programmatica per il proponente (supportata dal piano industriale) e informativa per i creditori, dovendo contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività per tutto il periodo, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura; mentre la relazione dell'esperto indipendente deve attestare che la prosecuzione avviene per il miglior trattamento dei creditori).

Li bilancia, tuttavia, con delle agevolazioni:

  1. una moratoria fino a un anno per il pagamento dei crediti aventi privilegio (generale o speciale), senza diritto di voto: la regola generale è quella del pagamento non dilazionato di tali crediti, tanto che dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono inammissibile un concordato che non impegni il debitore a saldare i creditori privilegiati entro l'anno dall'omologa (cfr. Linee guida del Tribunale di Roma 2016, cit.); tuttavia, con due pronunce ravvicinate, la Cassazione ha offerto una diversa chiave di lettura della disposizione del comma 2, lett. c), affermando che il pagamento con dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della stessa liquidazione, per la parte non in continuità) equivale a soddisfazione non integrale in ragione della perdita economica conseguente al ritardo, rispetto ai tempi normali, con il quale i creditori prelatizi conseguono la disponibilità delle somme loro spettanti e per superare il vaglio di ammissibilità necessita della relazione giurata di cui all'art. 160, comma 2, che tenga conto degli interessi finalizzati a compensare la perdita derivante dalla dilazione di pagamento, ai fini della quantificazione del credito e del voto, a quel punto spettante ai creditori benché privilegiati (Cass. 26 settembre 2014, n. 20388 e Cass. 9 maggio 2014, n. 10112);
  2. il mantenimento in vita dei rapporti pendenti, che non si sciolgono – salva diversa richiesta del debitore - per effetto del deposito della domanda concordataria (anche con riserva), nemmeno quando il contratto preveda una clausola al riguardo (inefficace). La giurisprudenza di merito sembra, però, restia a concedere l'autorizzazione al recesso dai contratti non convenienti al debitore che non abbia presentato contestualmente il piano concordatario definito nelle linee essenziali e almeno un principio di attestazione, perché non ravvisa la prova dell'utilità/funzionalità dello scioglimento;
  3. l'ultrattività dei contratti pubblici, dopo l'ammissione al concordato, ove l'attestatore ne asseveri “la conformità al piano e la ragionevole capacità d'adempimento” dell'impresa (comma 3). Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda cui i contratti siano trasferiti;
  4. successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale (comma 4; v. il paragrafo seguente per l'impatto del nuovo codice degli appalti),
  5. previa presentazione in gara i) di una relazione dell'esperto di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; e ii) della dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si sia impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto (comma 5; v. paragrafo seguente);
  6. l'impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale (comma 6). In tal caso la dichiarazione precedente può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento.
  7. Specifiche provvidenze a favore della continuità aziendale si ritrovano, poi, nell'art. 182-quinquies, il quale facoltizza il tribunale, anche nella fase con riserva assunte sommarie informazioni, a concedere la prededuzione a tutti i finanziamenti finalizzati a continuare l'attività d'impresa, se l'attestatore verifica il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione e dichiara che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori;
  8. i finanziamenti (prededucibili) possono essere chiesti anche in via d'urgenza per fronteggiare necessità relative all'esercizio dell'attività aziendale fino alla scadenza del termine fissato dal tribunale ai sensi dell'art. 161, comma 6. In tal caso il ricorso, senza l'attestazione, deve specificare la destinazione dei finanziamenti (individuati anche nel mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere), che il debitore non è in grado di reperirli altrimenti e che, in assenza, deriverebbe un pregiudizio imminente ed irreparabile all'azienda. Il tribunale, assunte sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione, sentito il commissario giudiziale e, se del caso, i principali creditori, decide entro dieci giorni dal deposito dell'istanza di autorizzazione.
  9. La stessa disposizione, al comma 5, permette altresì di pagare fuori concorso i crediti pregressi dei fornitori di beni e servizi indispensabili per la salvaguardia dei valori organizzativi, se l'attestatore assevera che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. In proposito un recente arresto della Corte di legittimità ha statuito che i pagamenti eseguiti dall'imprenditore ammesso al concordato in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l'automatica revoca della suddetta ammissione ex art. 173, comma 3, la quale consegue solo all'accertamento, da compiersi ad opera del giudice di merito, che tali pagamenti, non essendo ispirati al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, siano diretti a frodare le ragioni di questi ultimi, così pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3324, che ha fatto riferimento ai pagamenti di crediti di lavoro, che impediscono che sul capitale maturino interessi e rivalutazione monetaria, o ai pagamenti di utenze, eseguiti al fine di evitare l'interruzione dell'erogazione del servizio, di prestazioni di manutenzione, di spese legali sostenute per difendere i beni dalla pretese avanzate da terzi, in modo da ricavarne un maggior prezzo in sede di liquidazione).
  10. In materia di DURC, la cui irregolarità rappresenta notoriamente per le imprese in concordato il più serio ostacolo al realizzo dei crediti da appalti e servizi pubblici a causa degli inadempimenti contributivi pregressi, il Decreto Interministeriale 30 gennaio 2015, recante “Semplificazione in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC)”, ha stabilito che in caso di concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis l. fall., “l'impresa si considera regolare nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e il decreto di omologazione, a condizione che nel piano di cui all'art. 161 sia prevista l'integrale soddisfazione dei crediti dell'Inps, dell'Inail e delle Casse edili e dei relativi accessori di legge” (art. 5, comma 1). Poiché, però, l'orientamento giurisprudenziale prevalente si mostra di contrario avviso (v. Trib. Roma 5 dicembre 2014), ciò ha indotto gli Enti di Previdenza (INPS e Inail), dopo oscillanti prese di posizione, a riconsiderare la posizione e a varare il Messaggio INPS n. 5223 del 6 agosto 2015, nel quale si enuncia che dopo il decreto di omologazione, pur in presenza di una parziale soddisfazione dei crediti previdenziali muniti di privilegio, si verifica la situazione prevista dall'art. 3, comma 2, lett. b), del D.M. 30 gennaio 2015, ossia la “sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative” (come l'art. 184 l. fall.) già contemplata all'art. 5, comma 2, lett. b), del D.M. 24 ottobre 2007, con la conseguenza che deve essere dichiarata la regolarità contributiva (ma si obbligano gli uffici periferici dell'Istituto ad esprimere il voto contrario alle proposte concordatarie che non prevedano la soddisfazione integrale dei crediti contributivi).

(Segue) In particolare: le interferenze del nuovo codice dei contratti pubblici

Nel quadro disciplinare sopra delineato (art. 186-bis, commi 3-5) sono sopravvenute le norme del nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), nella parte in cui regolano la partecipazione agli appalti pubblici di operatori economici sottoposti a procedure concorsuali.

Posto che l'art. 80 (rubricato “Motivi di esclusione”) al comma 5 dispone che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'art. 105, comma 6, qualora (…) b) l'operatore economico si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di concordato con continuità aziendale, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 110 (…)”; e l'art. 110 (“Procedure di affidamento in caso di fallimento dell'esecutore o di risoluzione del contratto e misure straordinarie di gestione”) al comma 3 sancisce che “(…) 3. Il curatore del fallimento, autorizzato all'esercizio provvisorio, ovvero l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC, possono: a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatarie di subappalto; b) eseguire i contratti già stipulati dall'impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale.

4. L'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale non necessita di avvalimento di requisiti di altro soggetto. L'impresa ammessa al concordato con cessione di beni o che ha presentato domanda di concordato a norma dell'art. 161, comma 6, può eseguire i contratti già stipulati, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC.

5. L'ANAC, sentito il giudice delegato, può subordinare la partecipazione, l'affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessità che il curatore o l'impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, che si impegni nei confronti dell'impresa concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa nel corso della gara, ovvero dopo la stipulazione del contratto, non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto o alla concessione (…)”.

Alla luce dell'art. 110, comma 3, del Codice sembrerebbe modificato l'art. 186-bis, comma 3, 3° periodo, l. fall. (“L'ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all'art. 67 ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento”), perché l'esecuzione del contratto è ora subordinata anche all'autorizzazione del G.D., sentita l'Autorità Anticorruzione (con prevedibile allungamento dei tempi); laddove l'art. 186-bis, comma 5, parrebbe abrogato tacitamente, sia pure nella sola parte relativa al necessario avvalimento, dall'art. 110, comma 4, che insieme al comma 5 lo subordina ora ad un'apposita richiesta dell'ANAC).

La questione dell'affitto di azienda

Una questione assai dibattuta - per effetto della frequenza con la quale lo strumento in discorso viene utilizzato dalle imprese in crisi - è quella relativa alla possibilità di configurare nel paradigma della continuità anche l'affitto d'azienda (o di un suo ramo), per lo più prodromico alla successiva cessione e non destinato a terminare con il ritorno dell'azienda al proponente: le tre ipotesi di continuità imprenditoriale enumerate nel comma 1 dell'art. 186-bis sono tassative oppure aperte ad altri negozi giuridici che contemplino la prosecuzione dell'attività aziendale (come l'affitto)? Si applica, ed eventualmente entro quali limiti, la disciplina dettata da tale disposizione e da quelle connesse alla continuità?

Secondo l'orientamento più “schematico”, il concordato con continuità aziendale implica una sopportazione del rischio di impresa da parte dei creditori concorsuali, la quale può giustificarsi e sussistere solo nell'ipotesi in cui l'impresa sia gestita dall'imprenditore e la gestione continui a presentare dei parametri di aleatorietà per i creditori concordatari. Deve, pertanto, essere esclusa l'applicazione della disciplina del concordato con continuità aziendale qualora il piano preveda l'affitto dell'azienda quale strumento di transito verso il successivo trasferimento a terzi della stessa (Trib. Firenze 1 febbraio 2016; v. anche Trib. Monza 11 giugno 2013, che distingue fra affitto propedeutico alla obbligatoria cessione dell'azienda e affitto temporaneo non finalizzato).

La ratio giustificatrice poggia sulla considerazione generale che legge fallimentare condiziona l'affitto alla probabilità di una più proficua vendita dell'azienda o di parti della stessa (infatti la durata dell'affitto deve essere compatibile con le esigenze della liquidazione dei beni (cfr. art. 104-bis). Nessuna norma, invece, si preoccupa di tutelare i creditori dal rischio d'impresa inerente alla conduzione dell'azienda da parte dell'affittuario (salvo stabilire che in caso di retrocessione dell'azienda il fallimento non risponde dei debiti contratti dall'affittuario).

Nel concordato, quando sia concluso (prima o dopo la pubblicazione del ricorso ex art. 161) un contratto di affitto a canone fisso – ossia indipendente dagli esiti dell'attività svolta (Stanghellini, op. cit., 1230) -, il rischio e la responsabilità di impresa gravano solo sull'affittuario. Né sarebbero prospettabili norme quali l'art. 182-quinquies e l'art. 169-bis a vantaggio di un soggetto estraneo alla procedura medesima, stante la eccezionalità delle disposizioni, non suscettibili di interpretazione analogica (Amatore, Concordato con continuità aziendale e affitto d'azienda, blog del 8 ottobre 2015, in questo portale), vuoi anche perché la continuità è stata già assicurata con una operazione stabile (Fabiani, Concordato preventivo. Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, 194), nonché per l'evidente disparità di trattamento con gli altri imprenditori sul mercato.

In conclusione, continuità aziendale e affitto di azienda si porrebbero in un rapporto di reciproca esclusione: dove vi è continuità aziendale non può esservi affitto di azienda; dove vi è affitto di azienda non può esservi continuità aziendale (così Di Marzio F., Affitto d'azienda e concordato in continuità, in questa rivista, blog del 15 novembre 2013, in questo portale; nello stesso senso, Galletti, La strana vicenda del concordato in continuità e dell'affitto di azienda, ibidem, blog del 3 ottobre 2012, in questo portale), e ciò anche se l'affitto venga stipulato dopo il deposito della domanda con riserva.

La tesi opposta, che sembra attualmente prevalere presso le corti di merito, sostiene che l'attività imprenditoriale non cessi, ma anzi prosegua in modo non dissimile – salvo che nella modalità tecnica, per sua natura temporanea – dalla allocazione dell'azienda in via definitiva. Tale interpretazione privilegia l'oggettività del fenomeno “continuità aziendale” rispetto alla figura dell'imprenditore (in linea con la tendenza sistematica del diritto societario della crisi a valorizzare l'impresa a scapito dell'imprenditore), in quanto l'impresa è sempre in esercizio, sia all'ingresso in procedura sia all'omologa, essendo irrilevante il soggetto che la conduca ed indifferente la conclusione del contratto di affitto prima o dopo la presentazione del ricorso ex art. 161 (Ambrosini, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in ilcaso.it, 9; Patti A., I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Milano, 2014, 86; in giur. Trib. Roma 24 marzo 2015, in questo portale, per cui “l'affitto è finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell'intero complesso aziendale in vista del successivo passaggio a terzi”; Trib. Bolzano 10 marzo 2015; Trib. Reggio Emilia 21 ottobre 2014; Trib. Mantova 19 settembre 2013).

Certo, l'affitto “fine a se stesso” – i.e. non prodromico al trasferimento della proprietà dell'azienda – non rientra nella fattispecie dell'art. 186-bis, perché non se ne prevede appunto la cessione, mentre il ritorno nelle mani del debitore concordatario è spostato nel tempo ad un momento non più rilevante ai fini della norma, di talché non può configurarsi una prosecuzione “diretta” dell'impresa.

Quel che preme sottolineare, in ogni caso, è che il rischio di impresa anche nell'affitto ricade sui creditori concorsuali, per la semplice ragione che se l'azienda viene mal gestita le conseguenze negative si riverberano sia sul patrimonio del debitore in ipotesi di risoluzione del contratto e retrocessione dell'azienda stessa, sia sulla misura di soddisfacimento dei creditori qualora il prezzo della vendita non sia già predeterminato e si formi all'esito della procedura competitiva oggi imposta dall'art. 163-bis. E un'azienda mal gestita non incentiva la partecipazione di terzi.

Giova rammentare, al riguardo, che l'ultimo comma di tale nuova disposizione rende espressamente applicabile la disciplina delle offerte concorrenti anche all'affitto di azienda o di uno o più rami di azienda.

Naturalmente nel caso di affitto propedeutico alla cessione non potranno richiedersi le provvidenze di cui agli artt. 182-quinquies e 169-bis, per i motivi dianzi esposti, e “il contenuto dell'attestazione dovrà incentrarsi sull'idoneità dell'affittuario e promissario acquirente a far fronte ai propri impegni (…), ma anche sulla realizzazione di un adeguato piano industriale” (Trib. Roma 24 marzo 2015, cit.).

Come osservato in dottrina, il futuro legislatore potrà trovare definitiva soluzione alla controversia, atteso che nei principi generali (art. 2, lett. g) della legge delega di riforma del diritto concorsuale redatta dalla c.d. Commissione Rordorf, il cui ddl è stato appena approvato dal Consiglio dei ministri (ma l'iter parlamentare si annuncia lungo e faticoso), si prevede che la continuità aziendale abbia luogo “anche per il tramite di un diverso imprenditore” (Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016, 89).

La prospettiva della Raccomandazione CE 12 marzo 2014

In conclusione, la disciplina italiana del concordato con continuità d'impresa appare in gran parte conformarsi ai principi posti dalla Commissione europea con la Raccomandazione del 12 marzo 2014, atto non vincolante ma dotato di forza persuasiva nella prospettiva di una futura armonizzazione delle leggi nazionali in materia concorsuale.

Il primo Considerando della Raccomandazione indica come finalità quella di “garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria l'accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l'insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia in generale”. Un secondo obiettivo è di assicurare “una seconda opportunità̀ in tutta l'Unione agli imprenditori onesti che falliscono”.

Nel quarto Considerando la Commissione osserva che “Le disparità tra i quadri nazionali in materia di ristrutturazione sono causa di costi aggiuntivi e fonte di incertezza nella valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro; frammentano le condizioni di accesso al credito e danno luogo a tassi di recupero del credito diversi; impediscono ai gruppi transfrontalieri di imprese di elaborare e adottare piani di ristrutturazione coerenti. Più in generale, possono costituire un disincentivo per le imprese che intendono stabilirsi in Stati membri diversi”.

Si invitano, quindi, gli Stati a prevedere procedure flessibili, in cui l'intervento del giudice sia limitato ai casi in cui è necessario e proporzionato per tutelare gli interessi dei creditori e terzi eventuali. Il giudice deve invero poter respingere “il piano di ristrutturazione che manifestamente non ha nessuna prospettiva di impedire l'insolvenza del debitore né di garantire la redditività dell'impresa, ad esempio perché non prevede i nuovi finanziamenti necessari per proseguire le attività” (par. 23). E' una chiara indicazione che “va in senso contrario alla tendenza del nostro legislatore e di parte della giurisprudenza ad affermare un onnipresente controllo del giudice” (cfr. Panzani, Le alternative al fallimento. Il concordato e gli accordi di ristrutturazione dopo il d.l. 83/2015, NDS, 11 novembre 2015 n. 21, 59 s.).

Un'ultima notazione, di un illustre Autore: “E' diffusa oggi la coscienza che l'iniziativa imprenditoriale è, da un lato, una risorsa tanto scarsa quanto preziosa (anzi: la più preziosa), e dunque meritevole di essere incoraggiata in ogni modo; dall'altro lato, che essa abbia una natura simile a quella attribuita da Karl Popper alla ricerca scientifica, ossia di attività che procede per tentativi, errori e correzioni. Con la conseguenza che sarebbe nell'interesse generale (i.e.: economicamente efficiente) rendere possibile l'avvio di dieci nuove imprese, essendo la prospettiva di vederne fallire nove, e i danni da ciò derivanti, bilanciati dal successo di una e dalla relativa produzione di ricchezza” [F. D'Alessandro, “L'inutil precauzione?” (Ovvero: dell'insolvenza come esternalità e della funzione profilattica del capitale), RDC, 2014, 356].

Riferimenti

Normativi

  • Art. 161 l. fall.
  • Art. 163 l. fall.
  • Art. 182-quinquies l. fall.
  • Art. 186-bis l. fall.
  • Art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83
  • D.L. n. 83/2015

Giurisprudenza

  • Cass. 19 febbraio 2016, n. 3324;
  • Cass. 26 settembre 2014, n. 20388;
  • Cass. 6 novembre 2013, n. 24970;
  • Trib. Firenze 1 febbraio 2016;
  • Trib. Roma 24 marzo 2015;
  • Trib. Roma, 22 aprile 2015, n. 17;
  • Linee guida 2016 dei Tribunali di Roma e Bergamo.

Bibliografia

  • Vitiello, I contenuti della proposta di concordato dopo la miniriforma del 2015, blog dell'8 marzo 2016 in questo portale;
  • Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, blog del 16 settembre 2015 in questo portale;
  • Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, 1222;
  • Terranova, Le nuove forme di concordato, Torino, 2013;
  • Patti A., Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 1099;
  • Galletti, La strana vicenda del concordato in continuità e dell'affitto di azienda, blog del 3 ottobre 2012 in questo portale.
Sommario