Il ddl delega della Commissione Rordorf: una riforma organica della crisi di impresa

Aldo Fittante
17 Giugno 2016

Il contributo mira ad analizzare le principali novità contenute nel progetto organico di riforma predisposto dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con decreto 28 gennaio 2015, nota anche come Commissione Rordorf (presieduta dal Consigliere di Corte di Cassazione Renato Rordorf) e approvato lo scorso 11 febbraio dal Consiglio dei Ministri.
Introduzione

Lo scorso 11 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega per la riforma organica della crisi di impresa e dell'insolvenza, che mira ad attuare un vero e proprio superamento della legge fallimentare del 1942, attualmente in vigore, nell'ottica di un nuovo Testo Unico della crisi di impresa.

Il disegno di legge va a completare e ad integrare le disposizioni normative contenute nel D.L. n. 83 del 2015 ed allinea la normativa italiana in tema d'insolvenza a quella presente negli altri Stati membri, con l'obiettivo di perseguire una emersione tempestiva della crisi di impresa, al fine di limitare le perdite del tessuto economico – sociale e garantire il risanamento aziendale.

Il presente contributo mira ad analizzare le principali novità contenute nel progetto organico di riforma, predisposto dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con decreto 28 gennaio 2015, nota anche come Commissione Rordorf (presieduta dal Consigliere di Corte di Cassazione Renato Rordorf).

Le principali novità

In primo luogo, nel disegno di legge di riforma viene eliminata la parola “fallimento” da sempre portatrice di discredito sociale. Al riguardo, infatti, non si parlerà più di fallimento bensì di insolvenza quale step fisiologico di un esito sfortunato di una crisi di impresa.

Si propone, pertanto, di sostituire il termine fallimento e i suoi derivati con espressioni equivalenti quali “insolvenza” o “liquidazione giudiziale”.

Al riguardo, la procedura di liquidazione giudiziale sostituisce quello che è oggi il fallimento: si è inteso, infatti, abbandonare il vecchio linguaggio, vagamente punitivo, per adoperarne uno più moderno e in linea con la normativa comunitaria.

Nell'ambito della riforma la procedura di liquidazione è alternativa e subordinata a quella di ristrutturazione, nel senso che, in conformità alla normativa europea viene data prevalenza, salvi i casi di abuso, agli strumenti negoziali di risoluzione della crisi d'impresa rispetto a quelli meramente disgregatori.

Il progetto contiene inoltre alcune disposizioni volte a rafforzare i poteri del curatore, assicurandone al contempo una più elevata professionalità ma sancendone l'incompatibilità con eventuali incarichi già ricoperti in fasi procedurali precedenti relative alla stessa impresa (ad esempio in una precedente procedura conservativa riguardante la medesima società, dalla quale possono derivare condizionamenti o addirittura la necessità per il nuovo curatore di esercitare l'azione di responsabilità).

Con riferimento alla fase di accertamento del passivo le novità principali riguardano:

  • la previsione di un termine più ampio rispetto a quello attuale di trenta giorni per il deposito delle domande di insinuazione tempestive;
  • la limitazione delle domande tardive a quelle oggi definite “ultratardive”, previa prova da parte del creditore o del terzo istante del ritardo a lui non imputabile;
  • esclusione nella fase monocratica della necessità del patrocinio di un difensore legalmente esercente, prevedendo nella fase di impugnazione una disciplina delle spese che tenga conto dell'eventuale ritardo delle allegazioni probatorie;
  • la necessità di assicurare stabilità alle decisioni assunte dal giudice delegato in materia di diritti reali immobiliari, decisioni che, tenuto conto dell'efficacia endoconcorsuale della pronuncia in materia di accertamento del passivo, potrebbero essere messe in discussione una volta chiusa la procedura (si pensi, ad esempio, all'accertamento del diritto di proprietà di un bene immobile in capo al terzo rivendicante nuovamente posto in contestazione dall'imprenditore insolvente ritornato in bonis).

In ordine ai rapporti pendenti il disegno di legge contiene quattro indicazioni generali destinate al legislatore delegato.

L'art. 7, comma 5, punto i), intende limitare la prededuzione ai soli crediti maturati in corso di procedura, con previsione che si estende all'esercizio provvisorio.

La seconda indicazione integra un invito al legislatore delegato a dettare una disciplina generale ed unitaria per tutti i contratti caratterizzati dall'intuitus personae (ovvero per quei contratti ove rivestono particolare rilevanza le qualità personali dei contraenti) prevedendone lo scioglimento in difetto del consenso della parte non fallita alla prosecuzione del rapporto.

La terza indicazione riguarda l'introduzione di un'autonoma regolamentazione del contratto preliminare, anche in relazione alla disciplina degli immobili da costruire (sul punto si sono espresse di recente le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza 18131 del 16 settembre 2015 che a risoluzione di un contrasto ha stabilito il principio secondo cui il curatore fallimentare del promittente venditore non può esercitare la facoltà di scioglimento del preliminare ex art. 72 l. fall. nei confronti del promissario compratore il quale abbia trascritto prima della dichiarazione di fallimento una domanda ex art. 2932 c.c. successivamente accolta con sentenza trascritta).

L'ultima indicazione è quella di introdurre una disposizione che regolamenti gli effetti della procedura fallimentare sul rapporto di lavoro. In particolare, fornendo sul punto indicazioni piuttosto ampie, la riforma stabilisce che gli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato debbono essere coordinati con la vigente legislazione lavoristica, sia sostanziale che processuale, quanto a licenziamento, forme assicurative e di integrazione salariale, trattamento di fine rapporto e modalità di insinuazione al passivo.

Il disegno di legge ha, inoltre, prestato particolare attenzione allaspecializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale. In particolare, si è prevista l'attribuzione ai tribunali sede delle sezioni specializzate in materia di impresa la competenza sulle procedure concorsuali e sulle cause che da esse derivano. Le procedure di sovraindebitamento rimarranno invece di competenza dei tribunali ordinari.

Viene poi introdotta una preventiva fase di allerta, allo scopo di anticipare i segnali della crisi di impresa e di porvi rimedio prima di ricorrere ad una procedura concorsuale.

In particolare, si prevede l'introduzione di un'apposita sezione specializzata degli organismi di composizione della crisi che avrà competenze a riguardo. A carico degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione è, invece, posto l'obbligo di avvisare immediatamente l'organo amministrativo della società dell'esistenza di fondati indizi della crisi e, in caso di omessa o inadeguata risposta, di informare direttamente il competente Organismo di Composizione della Crisi.

L'Organismo di Composizione della Crisi, a seguito delle segnalazioni ricevute o su istanza del debitore, convoca immediatamente, in via riservata e confidenziale, il debitore medesimo nonché, ove si tratti di società dotata di organi di controllo, anche questi ultimi al fine di individuare nel più breve tempo possibile, previa verifica della situazione patrimoniale, economica e finanziaria in essere, le misure idonee a porre rimedio allo stato di crisi.

Si prevede, inoltre, che l'Organismo di Composizione della Crisi, su istanza del debitore, anche all'esito dell'audizione, affidi ad un mediatore scelto tra soggetti di adeguata professionalità nella gestione della crisi d'impresa, iscritti presso l'organismo stesso, l'incarico di addivenire ad una soluzione concordata della crisi tra debitore e creditori, entro un congruo termine, prorogabile solo a fronte di positivi riscontri delle trattative, precisando, altresì, le condizioni in base alle quali gli atti istruttori della procedura possono essere utilizzati nell'eventuale fase giudiziale.

Si consente, inoltre, al debitore di chiedere al giudice l'adozione, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, delle misure protettive necessarie per condurre a termine i negoziati in corso, disciplinandone durata, effetti, regime pubblicitario, competenza ad emetterle e revocabilità, anche d'ufficio in caso di atti in frode ai creditori. In tal caso saranno stabilite delle misure premiali (al riguardo il CNDCEC ha proposto che, seguendo le disposizioni contenute nell'art. 20 D.Lgs. n. 28/2010, per favorire le procedure di mediazione, potrebbe essere previsto un credito di imposta per le imprese che abbiano aderito e favorito la composizione negoziale della crisi. Il criterio di delega potrebbe essere il seguente: “Prevedere per le imprese che abbiano corrisposto un'indennità alle sezioni specializzate istituite presso l'Organismo di composizione competente, il riconoscimento, in caso di successo, di un credito di imposta commisurato all'indennità versata”. Si potrebbero altresì prevedere agevolazioni fiscali, quali ad esempio, l'esenzione dal pagamento delle imposte di bollo e di registro”) per l'imprenditore che ricorra tempestivamente alla procedura e ne favorisca l'esito positivo, e misure sanzionatorie per l'imprenditore che ingiustificatamente la ostacoli o non vi ricorra, pur in presenza dei relativi presupposti.

Altra importante novità del testo approvato dal Consiglio dei Ministri è la previsione di una regolamentazione dellacrisi dei gruppi di imprese.

La riforma viene, dunque, a colmare una lacuna della legge fallimentare attualmente in vigore che non contempla l'ipotesi di insolvenza del gruppo di imprese. In proposito, la Corte di Cassazione, di recente, con la sentenza 13 ottobre 2015, n. 20559, occupandosi di un caso di concordato preventivo proposto da un gruppo di società, ha evidenziato come “l'attuale sistema del diritto fallimentare, […] non conosce il fenomeno, non dettando alcuna disciplina al riguardo, che si collochi sulla falsariga di quella enunciata in tema di amministrazione straordinaria agli art. 80 ss. della legge 8 luglio 1999, n. 270, o dall'art. 4 bis d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 sulla ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza, convertito, con modificazioni, in l. 18 febbraio 2004, n. 39, o con riguardo ai gruppi bancari od assicurativi insolventi”.

Il progetto di riforma non ha inteso fornire una nuova nozione di gruppo di impresa bensì dà una definizione (art. 3) di gruppo di impresa “modellata sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli articoli 2497 e seguenti e 2545 septies del codice civile”.

Il progetto di riforma ha stabilito, sempre in via generale, non solo che anche ai fini concorsuali vale la “presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile”, ma ha stabilito, altresì, la necessità di prevedere “specifici obblighi dichiarativi, nonché il deposito del bilancio consolidato di gruppo, ove redatto, a carico delle imprese appartenenti ad un gruppo, a scopo di informazione sui legami di gruppo esistenti, in vista del loro assoggettamento a procedure concorsuali”, nonché “il potere dell'organo di gestione della procedura di richiedere alla Consob, o a qualsiasi altra pubblica autorità, informazioni utili ad accertare l'esistenza di collegamenti di gruppo, nonché di richiedere alle società fiduciarie le generalità degli effettivi titolari di diritti sulle azioni o sulle quote ad esse intestate”.

Sempre in linea generale la riforma ribadisce quanto già statuito dall'art. 2497-quinquies c.c. in merito alla postergazione del rimborso dei crediti di società o imprese appartenenti allo stesso gruppo, in presenza dei presupposti di cui all'art. 2467 c.c. (postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci).

Il progetto di riforma, dettando anche una disciplina di dettaglio, prevede la possibilità di proporre ununico ricorso per il gruppo di imprese sia per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti del gruppo, sia per l'ammissione delle società del gruppo alla procedura di concordato preventivo e la successiva eventuale omologazione, con la presentazione di un piano concordatario unico o di piani distinti ma tra loro collegati.

Nel caso di concordato preventivo di gruppo, si stabilisce la necessità di prevedere la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale ed il deposito di un unico fondo per le spese di giustizia. Dall'altro lato, si prevede la contemporanea e separata votazione dei creditori di ciascuna impresa, l'esclusione dal voto dei soggetti appartenenti al gruppo che siano titolari di crediti nei confronti delle altre imprese assoggettate alla procedura.

Sul punto riveste particolare interesse una recente pronuncia della Suprema Corte (sent. n. 20559/2015) che ha stabilito l'improponibilità, davanti al medesimo tribunale, del concordato di gruppo, in assenza di una disciplina normativa del fenomeno che si occupi di regolarne la competenza, le forme del ricorso, la nomina degli organi, nonché la formazione delle classi e delle masse.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha ribaltato l'omologazione – disposta dal Tribunale di La Spezia (poi confermata dal verdetto della Corte d'appello di Genova) - del concordato di una società in nome collettivo costituita attraverso il conferimento del patrimonio di quattro società di capitali (tre s.r.l. e una s.p.a.), a loro volta ammesse al medesimo concordato in veste di soci illimitatamente responsabili.

Venendo poi all'istituto del concordato, il medesimo viene limitato al solo cd. concordato in continuità “quando cioè, vertendo l'impresa in situazione di crisi o anche di vera e propria insolvenza, ma reversibile, la proposta preveda il superamento di tale situazione mediante la prosecuzione (diretta o indiretta) dell'attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che sia consono anche al soddisfacimento, per quanto possibile dei creditori”.

Altra importante novità contemplata dal progetto di riforma è l'introduzione di una procedura semplificata in merito all'esdebitazione.

Il disegno di legge va nella direzione di un ampliamento dell'ambito applicativo dell'istituto, da un lato estendendo l'esdebitazione (attualmente riservata alle sole persone fisiche) anche alle società e alle persone giuridiche (purché non ricorrano ipotesi di frode ai creditori o doloso inadempimento del piano o dell'accordo), dall'altro lato consentendo nelle procedure di sovraindebitamento l'accesso al beneficio dell'esdebitazione per una sola volta anche a chi non sia attualmente in grado di assicurare alcuna utilità ai propri creditori (salvo l'obbligo da parte del medesimo di pagare i debitori entro tre anni qualora sopravvengano delle utilità).

Sempre in materia di esdebitazione, un'altra importante novità è rappresentata dalla possibilità per il debitore di presentare domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura di liquidazione giudiziale (destinata nel progetto di riforma a sostituire l'attuale procedura fallimentare) e dopo tre anni dalla sua apertura, a condizione che non siano configurabili ipotesi di frode o malafede e purchè il debitore abbia collaborato fattivamente con gli organi della procedura.

Al riguardo, è importante ricordare che in forza della disciplina attualmente vigente (art. 143 l. fall.) l'esdebitazione può essere pronunciata sia con il decreto di chiusura del fallimento sia con provvedimento successivo, purché tuttavia, la domanda del debitore sia presentata entro un anno.

Ebbene, la previsione del termine di tre anni contenuta nella riforma pare ispirarsi a quanto contenuto nella raccomandazione della Commissione Europea del 12 marzo 2014 secondo cui “Sarebbe opportuno limitare gli effetti negativi del fallimento sull'imprenditore per dare a questi una seconda opportunità. L'imprenditore dovrebbe essere ammesso al beneficio della liberazione integrale dai debiti oggetto del fallimento dopo massimo tre anni a decorrere: a) nel caso di una procedura conclusasi con la liquidazione delle attività del debitore, dalla data in cui il giudice ha deciso sulla domanda di apertura della procedura di fallimento”.

Nei casi poi di insolvenza di minori dimensioni si rende possibile l'esdebitazione di diritto (senza passare dal giudice), fatta salva la possibilità di opposizione da parte dei creditori.

Infine, il progetto di riforma, pur estendendo l'ambito applicativo dell'esdebitazione, ha comunque fatto salvi stringenti requisiti di meritevolezza del debitore. In particolare, infatti, da un lato si esclude la possibilità di accedere all'esdebitazione nel caso in cui in cui l'insolvenza derivi da malafede o frode del debitore, dall'altro si è precluso l'accesso all'istituto ai soggetti già esdebitati nei cinque anni precedenti la domanda, o che abbiano beneficiato dell'esdebitazione per due volte, ovvero nei casi di frode accertata.

Dei privilegi si occupa l'art. 10 della proposta di disegno di legge delega, che rimette al legislatore delegato il compito di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale oggi esistenti. In particolare, si chiede di agire sul privilegio retentivo (cioè legato al possesso del bene), eliminando quelle forme non più attuali né funzionali ad interessi costituzionalmente protetti, ed adeguando in conformità l'ordine delle cause legittime di prelazione.

Particolare attenzione è poi dedicata all'introduzione delle cd. garanzie non possessorie vale a dire garanzie reali mobiliari che si distinguono dal pegno in quanto prescindono dal requisito dello spossessamento del debitore, avendo ad oggetto beni, materiali o immateriali, anche futuri, determinati o determinabili, salva la specifica indicazione dell'ammontare massimo garantito.

Nel disegno di legge si prevede in proposito di consentire al creditore di escutere stragiudizialmente la garanzia anche in deroga al divieto del patto commissorio, a condizione che il valore dei beni sia determinato in maniera oggettiva, e salvo l'obbligo di restituire immediatamente al debitore, o ad altri creditori, l'eventuale eccedenza tra il valore di realizzo o assegnazione e l'importo del credito.

Al riguardo, particolare interesse rivestono proprio le parole del presidente della Commissione nella cui relazione si osserva che “Facendo anche tesoro di precedenti progetti di legge già circolati in materia, si propone perciò di eliminare l'attuale regola generale che prescrive lo spossessamento del costituente il pegno e sottrae così i beni oggetto di garanzia ad un loro possibile ulteriore impiego nel processo produttivo, e di rendere assai più elastiche le norme volte ad individuare l'oggetto della garanzia ed il credito garantito. Ne dovrebbe risultare favorito l'uso di figure più agili, quali quella già nota del pegno rotativo o altre ad essa assimilabili, bilanciando la maggiore flessibilità del sistema con la creazione di un adeguato regime pubblicitario, in grado sia di soddisfare il bisogno di certezza, anche dei terzi, in ordine alla situazione giuridica dei beni offerti in garanzia, sia le esigenze inerenti alla graduazione dei privilegi spettanti ai creditori”.

Passando ad altro tema affrontato dalla riforma deve ritenersi innovativa anche la previsione di un sistema di vendita dei beni ispirato a quello definito “common”, nel quale tutti i beni in vendita nell'ambito delle procedure concorsuali confluiscono in un unico mercato telematico unificato a livello nazionale, così da ampliare la platea dei potenziali acquirenti.

Infine, in materia di accordi di ristrutturazione e di piani attestati, la Commissione Rordorf ipotizza l'eliminazione o la riduzione della soglia del 60% dei crediti a patto che sia attestata l'idoneità dell'accordo alla soddisfazione integrale e tempestiva dei creditori estranei alla trattativa, salvo che il debitore intenda chiedere misure protettive quali la sospensione delle azioni esecutive o cautelari durante le trattative. Si prevede, altresì, l'estensione degli effetti dell'accordo o dell'eventuale convenzione di moratoria ai creditori non aderenti qualora l'accordo venga raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 75% dei crediti.

Conclusioni

In conclusione, si può ritenere che la ratio ispiratrice della riforma sia quella di apportare maggiore organicità e unitarietà alla regolamentazione delle procedure concorsuali alla luce di una legge fallimentare che è stata protagonista di continui interventi settoriali che hanno delineato una disciplina disorganica e a tratti lacunosa.

Nella medesima relazione illustrativa dello schema del disegno di legge si osserva che la Commissione si è posta l'obiettivo di elaborare un progetto di riforma organico delle diverse procedure concorsuali che il nostro ordinamento giuridico oggi contempla, prospettando la futura emanazione di un testo normativo che abroghi la vigente legge fallimentare e le leggi successive in tema di crisi di impresa, per disciplinare in modo coerente ed unitario il fenomeno dell'insolvenza.

Tuttavia, come osservato dal medesimo presidente della commissione nella propria relazione illustrativa, la riforma (in quanto non investita di operare su tale fronte) non interviene, se non in via marginale, sulle disposizioni penali oggi contemplate in materia fallimentare.

Al riguardo, si può osservare che attualmente i reati più gravi previsti dalla legge fallimentare presuppongono la dichiarazione di fallimento. Occorre, pertanto, chiedersi in quali casi, una volta eliminato il termine “fallimento” ed ogni sua derivazione, potrà ravvisarsi una responsabilità penale.

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