Codice Civile art. 1174 - Carattere patrimoniale della prestazione.

Cesare Trapuzzano

Carattere patrimoniale della prestazione.

[I]. La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore [648, 1256, 1384, 1411 ss., 1457, 1464].

Inquadramento

L'obbligazione ha ad oggetto la prestazione, la quale consiste in un comportamento del debitore atto a consentire l'acquisto di beni o servizi a vantaggio del creditore (Cannata, in Tr. Res., 1999, 35). Sicché la prestazione si sostanzia in un programma materiale o giuridico che il debitore è tenuto a realizzare e a cui il creditore ha diritto (Bianca, 68).

Con riguardo alle obbligazioni di facere si distinguono le obbligazioni di condotta o di mezzi, nelle quali assumono rilevanza le modalità di prestazione dell'attività del debitore, dalle obbligazioni di risultato, alla realizzazione del quale è finalizzata l'attività del debitore medesimo (Cannata, in Tr. Res., 1999, 36). La dottrina tende a negare rilievo a tale distinzione poiché anche nelle obbligazioni di mezzi è richiesto uno sforzo di diligenza cui il debitore è tenuto per l'esecuzione della prestazione. Piuttosto tale distinzione conserva un'utilità sotto il profilo dell'ampiezza del margine discrezionale spettante al debitore in ordine alla scelta dei mezzi e dei modi di attuazione della prestazione dovuta (Bianca, 71). Si parla più propriamente all’attualità di obbligazioni governabili o controllabili, la cui attuazione rientra in via fisiologica nella disponibilità del debitore.

Quanto alle obbligazioni aventi ad oggetto un non facere, è esclusa l'applicazione della normativa sulla mora, atteso che ogni fatto compiuto in violazione dell'obbligazione negativa costituisce di per sé inadempimento, nonché delle regole sul ritardo e sull'inesattezza (Rescigno, 193).

Con riferimento ai requisiti della prestazione, essi devono essere desunti logicamente dalla norma che regola l'oggetto del contratto (art. 1346). Pertanto, la prestazione deve essere possibile; determinata o determinabile attraverso i criteri offerti dal contratto stesso ovvero dalla legge, quando non sia precisato esattamente il comportamento dovuto; lecita, nel senso della non contrarietà a norme imperative o all'ordine pubblico (Giorgianni, 602).

Carattere peculiare della prestazione, oltre che condizione indispensabile per la stessa esistenza dell'obbligazione, è la sua patrimonialità. La natura patrimoniale della prestazione può servire a disconoscere valore di obbligazione in senso tecnico ad un dovere giuridico privo di questa natura (Rescigno, 138).

Inoltre, la prestazione deve corrispondere ad un interesse del creditore, la cui esistenza è condizione necessaria affinché il rapporto obbligatorio si costituisca e si attui (Rescigno, 195). L'obbligazione si connota come tale in quanto il debitore sia tenuto a soddisfare l'interesse di un soggetto determinato. Altrimenti non vi sarebbe distinzione con gli altri doveri giuridici ove pure il contegno di un soggetto è destinato a soddisfare un interesse, nondimeno del tutto generico, dei consociati (Giorgianni, 587).

In giurisprudenza è operata la discriminazione nella materia lavoristica tra prestazioni o attribuzioni patrimoniali di natura retributiva o risarcitoria o mista, in ragione della riconduzione dell'attribuzione patrimoniale ad una finalità corrispettiva ovvero ad uno scopo riparatorio di un pregiudizio ovvero ad una duplice valenza, sinallagmatica e compensativa (Cass. n. 14388/2000).

Il contenuto della prestazione

Il contenuto della prestazione, può essere rappresentato da qualsiasi comportamento, positivo o negativo, materiale o negoziale, purché determinato o quantomeno determinabile.

Secondo una ripartizione ormai superata, le obbligazioni potevano essere distinte, proprio sulla base del contenuto delle relative prestazioni, in obbligazioni di dare, di facere e di praestare. Le prestazioni di dare sono di due specie: quelle che si traducono nella consegna di una cosa (art. 1177) e quelle che importano il trasferimento o la costituzione di un diritto. Le obbligazioni di facere comprendono qualsiasi rapporto la cui prestazione non implichi un dare, ivi compresi i comportamenti negativi od omissivi.

All'attualità la distinzione delle prestazioni, sulla scorta del relativo contenuto, ha una rilevanza marginale. E ciò perché le prestazioni relative al praestare, vale a dire caratterizzate da comportamenti di garanzia o di assunzione del rischio, quali quelle del fideiussore (art. 1936) o dell'assicuratore (art. 1882) o del promittente del fatto o dell'obbligo altrui (art. 1381), non possono individuare un'autonoma categoria di obbligazioni, in quanto la relativa prestazione è pur sempre riconducibile ad un dare o ad un facere. Per converso, le obbligazioni di dare hanno perso in gran parte la propria autonomia, in ragione dell'immediata efficacia traslativa dello scambio dei consensi legittimamente manifestato nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, cosicché conservano un limitato spazio applicativo nelle sole ipotesi in cui il trasferimento del diritto non sia effetto immediato della conclusione del contratto (artt. 1376, 1378, 1476 n. 2). Ne discende che le prestazioni presentano essenzialmente l'aspetto di un facere o di un non facere (Rescigno, 180).

Diverso dal contenuto della prestazione è il suo oggetto. Quest'ultimo può essere costituito da una cosa nelle prestazioni di dare o consegnare ovvero da un fatto nelle prestazioni di facere o di non facere.

Il contenuto della prestazione muta in conseguenza dell'inadempimento imputabile: al contenuto originario subentra, infatti, un contenuto risarcitorio (art. 1218).

In giurisprudenza, con riguardo alle prestazioni di facere, si è osservato che esse non sono suscettibili di restituzione e, in quanto indebite, non sono oggetto di valide ed efficaci determinazioni delle parti circa il loro valore economico, sicché non è proponibile l'azione di indebito oggettivo ma, in presenza dei relativi presupposti, solo quella di ingiustificato arricchimento (Cass. n. 6747/2014). 

Ancora, è stato chiarito che la compressione o la limitazione del diritto di proprietà o di usufrutto di un immobile, che siano causate dall’altrui fatto dannoso, sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (c.d. danno emergente) o di perdita dei frutti della cosa (c.d. lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio (Cass. n. 33439/2019; Cass. n. 4779/1988).

L'esecuzione

L'attuazione della prestazione, ovvero il relativo adempimento, può essere istantanea o prolungata. È istantanea l'esecuzione che si esaurisce nel momento stesso del suo compimento. Tra le obbligazioni quae uno actu solvuntur si iscrivono quelle di consegna.

L'esecuzione è, invece, prolungata quando non si conclude istantaneamente ma dura nel tempo. Fra le obbligazioni ad esecuzione prolungata si collocano le obbligazioni negative e quelle relative a rapporti di durata.

Le obbligazioni con prestazione prolungata possono essere ad esecuzione continuata, ossia con un'unica ininterrotta prestazione, ovvero ad esecuzione periodica, ossia con una serie di atti di esecuzione distribuiti nel tempo in maniera ricorrente o saltuaria. In quest'ultimo caso le obbligazioni sono qualificate come obbligazioni ad esecuzione reiterata.

Secondo l'elaborazione della giurisprudenza, nell'ambito delle prestazioni ad esecuzione istantanea è possibile differenziare le prestazioni aventi ad oggetto un'unica cosa non frazionabile dalle prestazioni aventi ad oggetto più cose con una propria individualità, ciascuna delle quali mantenga un'autonomia economico-funzionale che la renda definibile come bene a sé, suscettibile di diritti e negoziazioni distinte. In quest'ultima ipotesi è ammissibile la risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall'art. 1458 per i contratti ad esecuzione continuata o periodica (Cass. n. 16556/2013).

La natura patrimoniale

La prescrizione in ordine alla patrimonialità della prestazione nei rapporti obbligatori consente, da un lato, di discriminare le obbligazioni dai generici doveri giuridici e, dall'altro, di porre un argine all'autonomia privata, impedendo che possano essere dedotti in obbligazione comportamenti che non rivestono tale carattere.

In ordine al senso dell'espressione adoperata, secondo cui la prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica, sussiste un contrasto tra dottrina e giurisprudenza.

Secondo la dottrina prevalente, la patrimonialità deve essere intesa in senso oggettivo, ossia come obiettivo requisito della prestazione in sé considerata, per il sacrificio economico che essa comporta nel preciso momento storico in cui l'obbligazione è assunta, anche a prescindere dall'esistenza di un prezzo di mercato per la prestazione di cui trattasi (Rescigno, 186; Giorgianni, 585).

La giurisprudenza aderisce, invece, ad un concetto di patrimonialità in senso soggettivo ed all'uopo ritiene che la possibilità di valutazione economica non si realizza soltanto se la prestazione abbia un intrinseco valore patrimoniale, ma anche quando lo riceva di riflesso dalla natura della controprestazione ovvero da una valutazione rimessa alle parti (Cass. n. 835/1964), come accade quando si convenga una clausola penale. In questo senso si è reputata suscettibile di valutazione economica la prestazione di attività sacerdotale (Cass. n. 5324/1984) ovvero il disagio o sacrificio imposto al proprietario di un immobile ad uso abitativo soggetto ad infiltrazioni di acqua provenienti da lastrici solari ed imputabili a gravi difetti costruttivi (Cass. n. 4779/1988).

Infine, secondo altro filone della dottrina (Di Majo, in Comm. S. B., 1988, 257), la rinunzia al requisito del prezzo di mercato, oltre che al requisito di un effettivo scambio con denaro o altro bene patrimoniale, comporta che la patrimonialità sfumi nel più comprensivo criterio della negoziabilità del comportamento, della quale la possibilità di valutazione pecuniaria della prestazione potrebbe al più costituire un indice.

L'interesse del creditore

L'indefettibilità dell'esistenza di un interesse del creditore connota l'obbligazione ed è posta in dinamico collegamento con la prestazione: la prestazione deve soddisfare un interesse del titolare del diritto soggettivo dal lato attivo.

La natura dell'interesse del creditore, in rapporto con la prestazione, può essere anche non patrimoniale mentre la prestazione deve essere necessariamente suscettibile di valutazione economica. Tale interesse può essere, quindi, di natura morale, culturale, religiosa (Rescigno, 196).

Pertanto, la natura patrimoniale o non patrimoniale dell'interesse assume un rilievo puramente classificatorio ed esplicativo, poiché comunque sono inclusi nell'ambito dell'obbligazione anche i rapporti obbligatori con prestazioni economicamente valutabili che siano diretti però a soddisfare meri bisogni culturali o morali del creditore (Breccia, in Tr. I.Z., 1991, 37).

Parte della dottrina ritiene che l'interesse del creditore costituisca un requisito indispensabile non solo ai fini della valida costituzione del rapporto obbligatorio, ma anche per la sua permanenza, nel senso che, qualora sopravvenga la perdita dell'originario interesse del creditore, si estinguerebbe anche il vincolo obbligatorio (Bianca, 42). Altra dottrina ha, invece, rilevato che l'interesse del creditore, il quale condizionerebbe sia il sorgere sia la permanenza del rapporto obbligatorio, non dovrebbe essere individuato nello specifico interesse di un determinato creditore, quanto piuttosto nello scopo cui tipicamente tende quel genere di prestazione (Di Majo, in Comm. S. B., 1988, 264).

Ad ogni modo, la previsione circa la sufficienza di un interesse anche non patrimoniale del creditore non deve essere intesa come significativa del riconoscimento di un principio generale di risarcibilità anche del danno non patrimoniale nel campo della responsabilità contrattuale, né è significativa della configurazione automatica del prezzo della prestazione rimasta ineseguita quale misura del danno economico.

In giurisprudenza si è affermato che il danno non patrimoniale da inadempimento, in ragione della rilevanza dell'interesse, anche non patrimoniale, del creditore, è risarcibile, non solo nel limitato contesto del rapporto di lavoro, ove peraltro trova applicazione l'art. 2087 (Cass. S.U., n. 65723/2006), ma più in generale alla luce dell'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059, ove siano integrati determinati presupposti. Segnatamente il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Cost., è ristorabile, sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento (Cass. S.U., n. 26973/2008). E ciò avendo riguardo alla ricorrenza di posizioni inviolabili della persona umana, secondo una tipicità elastica o evolutiva (Cass. S.U., n. 26972/2008.). Il riferimento all'interesse del creditore è stato altresì in funzione dell'indicazione dello strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia, o meno, manifestamente eccessiva, dovendo la difficoltà del debitore riguardare l'esecuzione stessa della prestazione risarcitoria (ove ad esempio venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità), senza che occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l'ammontare (Cass. n. 7180/2012).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano 1997; Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. civ., 1988; Di Majo, Le modalità delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1986; Di Majo, L'adempimento dell'obbligazione, Bologna 1993; Giorgianni, voce Obbligazione (diritto privato), in Nss. D.I., Torino, 1965; Nicolò, voce Adempimento (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1958; Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., Milano 1979; Rodotà, voce Diligenza (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1964; Romano, voce Buona fede (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1959; Rovelli, voce Correttezza, in Dig. civ., 1989; Schlesinger, Il pagamento al terzo, Milano, 1961.

Sommario