Paolo Bosticco
21 Maggio 2020

L'azione revocatoria fallimentare costituisce il principale strumento a tutela della parità di trattamento dei creditori e di garanzia del rispetto della graduazione dei crediti; essa è stata peraltro ampiamente “depotenziata” dalla riforma concorsuale con la riduzione del periodo entro il quale possono essere revocati gli atti lesivi della par condicio e con l'introduzione di numerose e rilevanti esenzioni. L'art. 67 l. fall. distingue due tipologie sostanziali di atti impugnabili, di cui la prima caratterizzata dall'anomalia del rapporto tra fallendo ed accipiens, dalla quale deriva una presunzione di percezione dell'insolvenza che impone a soggetto in bonis l'onere di provare l'inscientia ed una seconda categoria in cui ad essere presunto è solo l'eventus damni.

Inquadramento

L'azione revocatoria fallimentare costituisce il principale strumento a tutela della parità di trattamento dei creditori e di garanzia del rispetto della graduazione dei crediti; essa è stata peraltro ampiamente “depotenziata” dalla riforma concorsuale con la riduzione del periodo entro il quale possono essere revocati gli atti lesivi della par condicio e con l'introduzione di numerose e rilevanti esenzioni.

L'art. 67 l. fall. distingue due tipologie sostanziali di atti impugnabili: una prima categoria, caratterizzata per diversi aspetti dalla anomalia del rapporto tra fallendo ed accipiens, dalla quale deriva una presunzione di percezione dell'insolvenza che impone a soggetto in bonis l'onere di provare l'inscientia ed una seconda categoria in cui ad essere presunto è solo l'eventus damni, laddove invece la conoscenza dell'insolvenza deve essere dimostrata dal curatore, che peraltro potrà giovarsi anche della prova presuntiva.

L'azione si propone avanti al foro fallimentare e deve essere avviata nel termine di decadenza di tre anni dal fallimento ovvero entro cinque anni dal compimento dell'atto.

Il fondamento sistematico della revocatoria fallimentare: la violazione della par condicio

L'azione disciplinata dall'art. 67 l. fall. rappresenta la vera e propria revocatoria concorsuale, distinguendosi sia dalle azioni previste dagli artt. 64 e 65 l. fall. per le quali, pur se di fatto riferite ad atti inefficaci, il legislatore utilizza l'espressione “privi di effetto” e dalla revocatoria ordinaria, consentita anche al singolo creditore verso il debitore in bonis, alla legittimazione del quale si sostituisce quella del curatore, a norma dell'art. 66 l. fall.

La finalità dell'azione è la tutela della par condicio, intesa sia come rispetto delle cause di prelazione, sia come esigenza di parità di trattamento dei creditori di eguale grado; non vi è dubbio che tale principio, pur se in parte indebolito nei tempi (ad esempio per l'ampliamento dei casi che generano crediti prededucibili, in quanto tali destinati a prevalere su tutti i crediti anteriori), sia tuttora tutelato, come dimostra la permanenza nell'art. 216 l. fall. del reato di bancarotta connesso con i pagamenti preferenziali.

L'istituto revocatorio, un tempo (sulla disciplina previgente: A. Bonsignori, Il fallimento, Padova, 1986, 441 ss.) forse addirittura utilizzato in modo eccessivamente favorevole alle Procedure (laddove l'onere restitutorio talora – ad esempio nella revocatoria di rimesse bancarie – prescindeva dall'effettivo rientro ottenuto dal creditore), è stato pesantemente “depotenziato” dalla riforma concorsuale, sin dall'entrata in vigore del D.L. 35/2005 (S. Bonfatti, Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, in A. Jorio – M. Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006, 902; M. Porzio, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in G. Capo – F. De Santis – B. Meoli (a cura di), Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010, 331).

Proprio considerato il mutamento di approccio alla revocatoria, la giurisprudenza conclude che le nuove norme non possono applicarsi alle procedure avviate prima dell'intervento riformatore (ed in tal senso Cass., Sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19729 ha altresì, respinto il dubbio di incostituzionalità), sia in quanto la disciplina transitoria espressamente esclude tale estensione (Cass., Sez. I, 16 settembre 2011, n. 18965; Cass., Sez. I, 7 marzo 2008, n. 6192), sia perché appunto l'applicabilità retroattiva - che comporterebbe un'inattesa restrizione dei diritti acquisiti dei creditori a quella fonte di realizzo - si pone in contrasto con la radicale “novità” della disciplina riformata (cfr. Cass., Sez. I, 9 dicembre 2015, n. 24868; Cass., Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9375; Cass., Sez. I, 7 ottobre 2010, n. 20834) che rende di contro legittimo il differente trattamento imposto all'accipiens di procedure ante riforma (Cass., sez. I, 5 marzo 2008, n. 5962).

Proposta di una rilettura dell'istituto

L'azione revocatoria, pur così “depotenziata” resta comunque il principale mezzo di riequilibrio della par condicio, e costituisce per certi versi una sanzione indiretta per il creditore che ottenga il soddisfo, pur essendo in grado di percepire che in tal modo si avvantaggerà rispetto ed a danno degli altri creditori.

Sotto tale profilo, a ben vedere, vi è un fil rouge che collega tutte le fattispecie nelle quali è possibile impugnare gli atti compiuti da un soggetto poi fallito e si dipana in virtù del rapporto tra tali fattispecie e la percezione dello stato di insolvenza in capo all'accipiens: vi sono situazioni così anomale da giustificare una presunzione juris et de jure di cosciente violazione della par condicio, quali gli atti a titolo gratuito (art. 64 l. fall., nel quale in aggiunta sussiste una minor esigenza di tutela della controparte del fallito, che ha ottenuto un vantaggio senza versare un corrispettivo) ed i pagamenti eseguiti prima della loro naturale scadenza di cui all'art. 65 l. fall.; in questi casi, l'anomalia intrinseca dell'atto è tale che addirittura si prescinde da qualsiasi verifica in merito alla posizione soggettiva dell'accipiens; vi sono, poi, le situazioni disciplinate al comma 1 dell'art. 67 l. fall., che comunque presentano profili di anormalità, le quali implicano una presunzione semplice di scientia che può essere superata solo se l'accipiens provi di aver compiuto quegli atti senza conoscere l'altrui insolvenza; infine, vi sono gli atti che sarebbero di per sé normali, ma che divengono revocabili a norma del comma 2 dell'art. 67 l. fall. qualora la Procedura fornisca la prova della circostanza che l'accipiens conoscesse l'insolvenza del solvens (sulla centralità dell'elemento della conoscenza dell'insolvenza nella revocatoria, E. Bertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Torino, 2016, 1380 ss.).

Del resto, leggendo l'art. 5 l. fall. che descrive lo stato di insolvenza (con definizione che non può non valere anche ai fini della revocatoria: M. Porzio, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit., 349), si nota che il legislatore lo individua nella incapacità di adempiere regolarmente, in che consente di affermare che ogni volta che si palese una anomalia nella vicenda solutoria, si è in presenza di una situazione nella quale l'accipiens prende atto di uno stato di insolvenza, dal quale anzi in alcuni casi trae un vantaggio a danno del debitore fallendo o quantomeno dei suoi creditori.

In evidenza: Cass., Sez. I, 8 marzo 2016, n. 4530

Nella giurisprudenza di legittimità è costante l'affermazione che equipara l'insolvenza all'impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa (v. anche Cass., Sez. VI, 16 settembre 2015, n. 18192), senza che rilevi l'assenza di protesti, pignoramenti ed azioni giudiziarie di recupero (Cass., Sez. I, 11 dicembre 2013, n. 27738), nonché a prescindere dal mero rapporto tra attivo e passivo (Cass., Sez. I, 27 marzo 2014, n. 7252) che diviene rilevante e decisivo solo nei casi in cui la società sia in liquidazione (Cass., Sez. I, 14 dicembre 2015, n. 25175).

Seppure la giurisprudenza abbia sancito che l'atto revocabile non è di per sé illecito (Cass., sez. I, 10 giugno 2011, n. 12736), occorrerebbe forse verificare in quale misura sia corretto ritenere legittimo il comportamento del creditore che, perseguendo un proprio interesse del tutto lecito (quello ad ottenere l'adempimento), peraltro concorre con il debitore in un atto che, alla luce degli artt. 216 e 217 l. fall. può costituire per il fallendo un reato di bancarotta – sia sotto il profilo “preferenziale”, ma anche semplicemente perché il pagamento consente di differire l'evento fallimentare –, evidentemente, la problematica sarà la ricostruzione dell'elemento psicologico, ma a ben vedere, il creditore che accetta pagamenti in natura, ed a maggior ragione se con dazione sperequata, per certi versi sfrutta scientemente la situazione di insolvenza (in tal senso App. Torino, 21 dicembre 2011, ipotizza che l'atto revocando possa ritenersi stipulato in frode); di contro, il creditore chirografario che ritira l'istanza di fallimento a fronte dell'adempimento tardivo, laddove dai bilanci che ha lui stesso prodotto nell'istruttoria prefallimentare emergono debiti privilegiati impagati, scientemente ottiene un soddisfo preferenziale.

In dottrina sembra prevalere l'opinione che vede nella revocatoria l'unica azione promovibile, escludendo l'azione di nullità (G. Amara – G. Corapi, I rimedi negoziali contro i fatti di bancarotta pre-fallimentare, in Obbl. contr., 2012, 375), pur se ante riforma si era teorizzato che la revocatoria fosse anche una sanzione per il creditore che, anziché far fallire l'imprenditore – per il quale è un dovere sancito quello di presentare istanza di fallimento – accetta il pagamento; tale impostazione potrebbe essere in quest'ottica recuperata, anche alla luce della forse eccessiva restrizione delle ipotesi in cui è ammessa la revocatoria.

In evidenza: Trib. Napoli, 28 settembre 2010

La sentenza di merito richiamata esclude che l'atto revocabile sia impugnabile per nullità, in quanto non se ne ravvisano profili di illiceità ed in quanto proprio le azioni di inefficacia previste dal Titolo III della l. fall. costituiscono un rimedio specifico per l'impugnazione di atti lesivi della par condicio.

L'inefficacia degli atti caratterizzati da anomalie e la presunzione di scientia

E dunque, pare coerente con la ricostruzione ora proposta il comma 1 dell'art. 67 l. fall., che consente di revocare una prima tipologia di atti caratterizzati da una intrinseca anomalia (e proprio in considerazione della peculiarità di atti, che ipso iure fondano una presunzione di scientia, Cass., sez. I, 18 aprile 2011, n. 8826, ha respinto la questione di costituzionalità sulla legittimità della presunzione).

Si tratta più precisamente di:

  • atti a sinallagma sproporzionato, laddove l'accipiens riceve dal fallito un bene o una prestazione di valore superiore per oltre un quarto al valore del corrispettivo;
  • pagamenti con mezzi anormali avvenuti nell'anno anteriore al fallimento;
  • garanzie prestate o ottenute nell'anno anteriore al fallimento per debiti preesistenti non scaduti;
  • garanzie prestate o ottenute nel semestre anteriore al fallimento per debiti pregressi scaduti.

Nella prima tipologia rientrano tutti gli atti “sproporzionati” (S. Bonfatti, Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, cit., 908), in cui il beneficio conseguito dall'impresa fallita sia inferiore all'onere corrispettivo assunto, comprese le rinunzie ai diritti, se hanno un contenuto economico (in tal senso, Trib. Salerno, 9 marzo 2010, ritiene revocabile il mancato esercizio del diritto di opzione su quote, solo se sia alienabile) e comprese altresì le operazioni straordinarie societarie (cfr. G. Milano, La revocatoria fallimentare della scissione societaria, in Fall., 2013, 983 ss.). La revocatoria per sproporzione è l'unica ammessa anche ai fini di impugnare una transazione, salvo che in tal caso la valutazione non opera sulle pretese originarie, ma in base ad un giudizio prognostico sulla reciproca fondatezza (Cass., Sez. I, 21 novembre 2013, n. 26124).

La riforma ha fissato in via presuntiva la misura della sproporzione (la cui determinazione, prima della riforma, era rimessa alla discrezione del Giudice: Cass., Sez. I, 6 luglio 2015, n. 13881; Cass., sez. I, 18 novembre 2010, n. 23356, con osservazioni di A. Penta), in una differenza di un quarto tra il valore della prestazione del fallito e quella da questi ricevuta (M. Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2014, 826). La sproporzione deve essere valutata al momento della conclusione del contratto (Cass., 10 ottobre 2003, n. 15142) e nel caso di contratto preliminare seguito dal definitivo, è al momento della stipula di quest'ultimo che occorre valutare i presupposti per la revoca (Cass., Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19314); così come, in caso di contratto di leasing, si dovrà considerare il valore storico del cespite e non l'aggravio finanziario (Trib. Milano, 7 giugno 2012, con commento di E. Frascaroli Santi, I problemi della revocatoria del contratto di leasing, in Fall., 2013, 464 ss.).

La seconda fattispecie revocabile ai sensi del primo comma dell'art. 67 l. fall. è il pagamento attuato con mezzi anormali (G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, Padova, 2006, 391) la norma fa riferimento al pagamento dei debiti scaduti, ma si ritiene che si estenda anche ai pagamenti di debiti non scaduti (Trib. Milano, 7 febbraio 2012), che sfuggano alla sanzione dell'art. 65 l. fall. In genere, si ritiene che si sottraggano alla disposizione in esame solo i pagamenti con mezzi comuni nella prassi commerciale, come assegni circolari e bancari (anche se post-datati: Cass., sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 3471), vaglia cambiari e bonifici (Cass., Sez. I, 23 dicembre 2015, n. 25928) e che siano viceversa revocabili come anormali tutte le fattispecie finalizzate all'estinzione di passività pregresse; non rientra tra i pagamenti anomali il versamento del terzo esecutato per un debito verso il fallito (App. Roma, 4 aprile 2011), né il pagamento che il terzo effettui per liberare da ipoteca un immobile dal medesimo acquistato (Cass., Sez. I, 20 ottobre 2015, n. 21272).

Casistica delle ipotesi di atti anormali

Tipologia di atto

Orientamento giurisprudenziale

Datio in solutum ovvero di res pro pecunia

Cass., sez. I, 4 marzo 2016, n. 4265

Datio in solutum di beni in luogo del danaro o restituzione di merci impagate

Cass., sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3581; Cass., sez. I, 18 febbraio 2009, n. 3905

Negozi collegati finalizzati alla copertura di debiti pregressi ed ipoteche concesse per estingere con l'importo finanziato debiti anteriori scaduti

Cass., Sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19710; Cass., sez. I, 9 giugno 2011, n. 12644; Cass., sez. I, 7 gennaio 2004, n. 12; App. Milano, 17 ottobre 2006

Pagamento con delegazione

Trib. Milano, 2 febbraio 2015; Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15691

Accollo con liberazione dell'accollante per effetto di pagamento a beneficio del creditor creditoris

Cass., sez. I, 4 maggio 2012, n. 6795; Cass., Sez. I, 23 dicembre 2015, n. 25928 (in tema di appalto)

Cessione di credito per consentire il rientro da un debito anteriore scaduto

Cass., Sez. I, 31 ottobre 2014, n. 23621; Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9388; Cass., sez. I, 29 luglio 2009, n. 17683

La fattispecie più comune di pagamento anormale è costituita dalla datio in solutum, che si verifica in ogni caso in cui il creditore accetti una prestazione diversa da quella pattuita, in particolare quando venga trasferito un bene in luogo del danaro (M. Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2014, 841). In questi casi, l'anormalità deve essere valutata in rapporto alle modalità solutorie pattuite nel contratto; peraltro, il Trib. Milano, 7 febbraio 2012 ipotizza che anche la modalità alternativa di adempimento pattuita ab initio possa costituire pagamento anormale se la stessa non rispondeva a monte ad un interesse delle parti, bensì fosse volta a precostituire l'elusione al principio del concorso.

Quanto osservavamo sulla ratio della disciplina trova conferma nel diverso termine di revocabilità delle garanzie (E. Bertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit., 1416 ss.): se è alquanto anomalo – ed anzi richiama alla mente l'istituto dell'art. 1461 c.c. che postula lato sensu la percezione di un rischio di insolvenza – che venga rilasciata una garanzia per debiti precedenti non ancora esigibili, l'anomalia sussiste, ma è meno evidente quando il debitore garantisca ex post un debito che avrebbe dovuto già pagare; aggiungiamo che, in linea con tale impostazione, è logico poi che rientrino invece nella fattispecie più lieve disciplinata dal comma 2 dell'art. 67 l. fall. le garanzie prestate in condizione di normalità, ovvero contestualmente al sorgere del debito (con la precisazione, peraltro che la concessione di ipoteca per un pluralità di debiti potrà essere impugnata ai sensi dell'art. 67, comma , l. fall. anche in relazione ad uno di essi: Trib. Catania, 16 maggio 2013). Tra le garanzie revocabili rientrano anche quelle coattive con la significativa eccezione dell'ipoteca fiscale, che un recente revirement ha esonerato da revoca qualificandola come tertium genus di ipoteca (A. La Malfa, La Corte di cassazione individua una nuova categoria di ipoteca e ribadisce l'irrevocabilità di quella esattoriale, in Fall., 2014, 896), né giudiziale né volontaria e perciò esclusa dall'ambito applicativo dell'art. 67 l. fall. (Cass. , Sez. I, 8 aprile 2015, n. 6997; Cass., sez. I, 9 gennaio 2014, n. 325; Cass., sez. I, 18 maggio 2012, n. 7911; Cass., sez. I, 1° marzo 2012, n. 3232).

Per le ipotesi disciplinate al comma 1 dell'art. 67 l. fall., come si diceva, il legislatore ha inasprito il regime probatorio, considerando presunta la conoscenza dell'insolvenza in capo all'accipiens. Si tratta, peraltro, di una presunzione semplice, che il soggetto chiamato in revocatoria può sovvertire fornendo la prova dell'inscientia decoctionis (S. Bonfatti, Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, cit., 905); a tal fine, peraltro, non basterà dedurre la mancata percezione del dissesto, bensì occorrerà la prova di elementi tali da far ritenere all'accipiens che il debitore fallendo si trovasse in situazione di regolare attività (Cass., Sez. I, 11 aprile 2011, n. 8224; Cass., Sez. I, 6 agosto 2009, n. 17998) e ciò in base ad una valutazione del collegamento tra il convenuto ed i sintomi conoscibili da un soggetto di ordinaria avvedutezza, avuto riguardo anche alla contiguità territoriale e alla occasionalità o meno dei rapporti (Cass., Sez. I, 30 luglio 2014, n. 17286).

In evidenza: Cass., Sez. I, 19 gennaio 2016, n. 803

Ai fini della prova dell'elemento soggettivo la dimostrazione della non conoscenza del dissesto si differenzia dalla negazione dello stato di insolvenza. Con la sent. 803/2016, la Suprema Corte pare riprendere la tesi sostenuta sotto la normativa previgente, secondo la quale la sentenza di fallimento giustifica una presunzione assoluta di insolvenza anche per il “periodo sospetto” (di modo che non sarebbe accoglibile il tentativo del creditore di dimostrare l'inscientia negando in radice che l'impresa fosse insolvente alla data dell'atto revocando) peraltro, in senso contrario, altre pronunzie sostengono che in realtà l'elemento è irrilevante, nel senso che la verifica sulla datazione del dissesto viene assorbita dalla necessità di provare o negare la conoscenza di quella situazione (Cass., Sez. I, 11 novembre 2013 n. 25284).

Sotto il profilo della prova dell'elemento soggettivo, soprattutto nei dissesti di ampie proporzioni, entra in gioco la rilevanza o meno, ai fini dei escludere la scientia decoctionis, dell'avvio di progetti di risanamento: per talune ipotesi, il legislatore ha ritenuto di fondare una specifica esenzione; peraltro, proprio la tipicità di tali situazioni, tutte caratterizzate dalla presenza di un'attestazione fidefaciente dell'esperto munito delle caratteristiche di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., induce a ritenere che in tutte le altre ipotesi l'avvio di soluzioni “stragiudiziali” di composizione della crisi d'impresa – spesso supportate dal sistema finanziario più per timore di perdere i crediti e nel tentativo di costruire i presupposti per un rientro anche solo parziale che per convinzione circa la effettiva risanabilità della crisi – non solo non sussista alcuna esenzione, ma non si possa neppure opporre alla curatela una situazione di inscientia, che, anzi, in questi casi l'incapacità di adempiere regolarmente è addirittura confessoriamente ammessa dal fallendo e la prospettiva di soluzione della crisi – evidentemente errata, se poi l'impresa è fallita (Cass., Sez. I, 28 novembre 2008, n. 28445) – non vale a vantaggio dell'accipiens (arg. in tal senso dalla giurisprudenza che afferma l'identità dello stato di insolvenza che, ipotizzata come reversibile in una procedura minore, si evolva in fallimento: Cass., Sez. I. , 31 agosto 2015, n. 17339; Cass., Sez. I, 6 agosto 2010, n. 18437).

Ciò anche in quanto da sempre si teorizza che la prova della scientia decoctionis non postula che il terzo preconizzi l'evento concorsuale, bensì unicamente che ne riconosca il presupposto, inteso come stato di insolvenza (Cass., Sez. I, 13 dicembre 2006, n. 26697).

La revocatoria degli atti e dei pagamenti prevista al comma 2 dell'art. 67 l. fall.

Il capoverso dell'art. 67 l. fall. consente invece l'azione di inefficacia rispetto ad una serie di atti, se compiuti nei sei mesi anteriori al fallimento, così descritti per categorie generali:

  • i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili;
  • gli atti a titolo oneroso;
  • la costituzione di garanzie contestuale alla concessione del credito.

La fattispecie più rilevante riguarda i pagamenti i quali – in quanto atti solutori che di per sé incidono sul patrimonio del fallito – vengono ritenuti revocabili a prescindere dal titolo che vi ha dato origine e della natura del credito (Cass., Sez. I, 31 agosto 2015, n. 17346; Cass., Sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3583); per vero, a seguito della riforma il titolo può invece assumere rilievo quando esso rientri nell'ambito delle esenzioni dalla revoca previste nel comma 3 dell'art. 67 l. fall. Proprio l'assenza di una effettiva efficacia solutoria fonda la limitazione alla revocabilità delle rimesse bancarie (v. amplius G. Bevilacqua, La revocatoria delle rimesse bancarie in Fall., 2015, 716; A. Patti, Rimesse in conto corrente bancario: da una concezione atomistica ad una più realistica, in Fall., 2011, 693), che saranno revocabili solo se affluiscano su conto scoperto ovvero passivo oltre i limiti del fido (Cass., Sez. I, 29 marzo 2016, n. 6042; Cass., Sez. I, 9 luglio 2014, n. 15605), avuto riguardo al c.d. “saldo disponibile” (Cass., Sez. I, 1 aprile 2015, n. 6621); nello stesso senso, sfuggono alla revoca le rimesse c.d. bilanciate, con la precisazione che la fattispecie postula che l'importo accreditato di fatto resti nella disponibilità e venga riutilizzato dal correntista, situazione ravvisabile solo in caso di coincidenza temporale e di importo tra accredito ed uscite ovvero in forza di espressa pattuizione intercorsa con la banca opponibile al fallimento (Cass., Sez. I, 29 luglio 2014, n. 17195); viceversa, dopo qualche oscillazione, sembra che la giurisprudenza sia propensa a ritenere revocabili in quanto solutori i giroconti su un conto di appoggio scoperto che abbia una movimentazione autonoma (Cass., Sez. I, 13 febbraio 2013 n. 3507; Cass., Sez. I, 20 giugno 2011, n. 13449. V. peraltro, il commento di G. Tarzia, Giroconti ed annotazioni sul ‘‘conto anticipi'' nelle revocatorie bancarie, in Fall., 2011, 1301).

In questo caso, si tratta di atti di per sé coerenti con la normale attività di impresa; in tal senso, si è ritenuto che, se risulta revocabile a norma dell'art. 67, comma 1, l. fall. la cessione di crediti con fini solutori (E. Tuccari, La cessio pro solvendo ex art. 1198 c.c. alla prova della revocatoria fallimentare, in Obbl. contr., 2011, 778), non assume invece connotazione di anomalia la cessione o il mandato all'incasso con funzione finanziaria, volta a garantire nuovi affidamenti contestualmente concessi (Cass., sez. I, 10 giugno 2011, n. 12736; Trib. Lecce, 6 luglio 2011); la cessione di crediti ha, poi, una sua disciplina peculiare se attuata nell'ambito del contratto di factoringcome disciplinato dalla L. 52/1991 (G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, cit., 450 ss.; A. Dimundo, L'inefficacia nei confronti del fallimento del cedente della cessione dei crediti di impresa, in Fall., 2016, 164).

Proprio in considerazione della generica normalità degli atti considerati dal capoverso dell'art. 67 l. fall., ai fini della declaratoria di inefficacia occorre sia l'organo concorsuale a fornire la prova della scientia decoctionis; la prova dello stato soggettivo riguarda colui che ebbe a compiere l'atto revocabile e quindi per le persone giuridiche la situazione del soggetto che all'epoca le rappresentava, anche se sia poi mutato (Cass., sez. I, 29 marzo 2012, n. 5106) ed altresì se i diritti siano stati trasferiti in capo ad altra società per effetto di operazioni straordinarie (Cass., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059); quando la revocatoria riguardi atti o pagamenti compiuti dal socio fallito di società di persone, deve conoscersi l'insolvenza della società e non quella personale (Cass., sez. I, 2 aprile 2012, n. 5260).

Anche in relazione al presupposto soggettivo, il momento determinante per verificare la scientia è quello dell'atto che attua il trasferimento di ricchezza e quindi, in caso di contratto preliminare, occorrerà valutare lo stato soggettivo alla data del contratto definitivo (Cass., sez. VI, 21 ottobre 2011, n. 21927, in Fall., 2012, 956 con osservazioni di G. Federico), anche tenuto conto della facoltà della parte in bonis di rifiutare la stipula ove tra il preliminare e il definitivo si palesi l'insolvenza dell'altro contraente (Cass., Sez. I, 29 marzo 2016, n. 6040).

Revocatoria fallimentare ed eventus damni: i pagamenti del terzo

Tra i presupposti della revocatoria non rientra l'eventus damni, insito ex lege nella revocatoria (Cass., Sez. I, 8 marzo 2010, n. 5505) e correlato alla sua funzione distributiva e non indennitaria (Trib. Piacenza, 31 marzo 2011; G. Tarzia, La «funzione redistributiva» ed il «danno» nella revocatoria fallimentare, in Fall., 2010, 932 ss.).

Tuttavia, l'assenza di un pregiudizio concreto per la massa può entrare in gioco sotto il profilo dell'interesse ad agire, in particolare in relazione alla natura privilegiata del debito pagato dal fallito, che di per sé non esclude il pregiudizio (in tal senso concludono per la revocabilità dei pagamenti ai professionisti Cass., Sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19728 e Cass., Sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23710), salvo che l'accipiens possa recuperare interamente in sede di ripartizione l'importo che abbia restituito alfallimento e per il quale venisse ammesso al passivo (cfr. I. Mecatti, La revocabilità del pagamento delle spese legali, in Fall., 2013, 472).

In evidenza: Cass., sez. I., 16 settembre 2011, n. 18965

Muovendo dalla funzione anti indennitaria della revocatoria, la Suprema Corte ritiene che il danno per la massa sia costituito in re ipsa dall'uscita del bene dal patrimonio del fallito e quindi considera ammissibile la revocatoria degli atti e pagamenti anche se destinati a soddisfare crediti privilegiati (v. anche Cass., Sez. I, 19 dicembre 2012 n. 23430), spettando al terzo di provare l'assenza di danno ovvero che il credito del soggetto revocando ammesso al passivo al privilegio verrebbe poi interamente soddisfatto in sede di riparto (in tal senso Trib. Roma, 22 marzo 2006; Trib. Milano, 15 novembre 2005); ancor più severamente Cass., Sez. I, 19 novembre 2014, n. 24656 e Cass., Sez. I, 17 dicembre 2010, n. 25571 concludono che la carenza di interesse della procedura non può essere accertata in corso di revocatoria, tenuto conto anche del possibile sopravvenire di creditori tardivi, dovendosi accogliere quindi la domanda di revoca e valutare poi la possibilità di soddisfo del creditore privilegiato in sede di riparto dell'attivo.

Una situazione tipicamente esonerata da revocatoria proprio per l'assenza di un pregiudizio alla massa è quella dei pagamenti provenienti da un terzo (G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, cit., 488; S. Bonfatti, Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, cit., 926) ed in particolare se effettuati da un fidejussore che in tal modo estingua una propria obbligazione di garanzia e non un debito dell'impresa insolvente (Cass., Sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2903; Cass., Sez. I, 31 agosto 2015, n. 17340). Per vero, anche in tali casi la revocatoria può essere ammessa, ma solo quando il terzo abbia pagato usando danaro del fallito, ovvero si sia rivalso nei suoi confronti prima del fallimento (Cass., Sez. I, 31 marzo 2016, n. 6282; Cass., Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23893); si ritiene, invece, revocabile come atto solutorio anomalo il pagamento effettuato dal terzo per effetto di collegamento negoziale volto ad eludere la par condicio (Cass., Sez. I, 14 gennaio 2016, n. 506).

Il pagamento del terzo, d'altro canto, è revocabile qualora discenda da una obbligazione del solvens verso l'impresa fallita ed in tal senso restano revocabili le rimesse che affluiscano alla banca per bonifici da parte di clienti del debitore insolvente (Cass., Sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4762) così come sarà revocabile il soddisfo ottenuto esecutando il credito verso terzi del fallito (Cass., Sez., I, 1° aprile 2011, n. 7579); in quest'ultimo caso, la revoca concerne il pagamento effettivo, essendo irrilevante la data del provvedimento che assegna il credito al creditore procedente (Cass., Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18051 e Cass., Sez. I, 18 giugno 2014, n. 13908, che respingono anche il dubbio di costituzionalità sollevato sul punto; v. anche C. Trentini, Revocatoria di assegnazioni di crediti espropriati e onere di allegazione per le eccezioni in senso lato, in Fall., 2009, 1168; contra sul punto G. Battaglia, Effetti del fallimento del debitore esecutato sull'assegnazione forzata del credito, in Riv. dir. proc., 2012, 814 ss.; ID, Revocatoria fallimentare del pagamento effettuato a seguito di assegnazione forzata del credito, in Riv. dir. proc., 2015, 1248 ss.).

La prova del presupposto soggettivo

La dimostrazione diretta della percezione dell'insolvenza in capo all'accipiens – seppure non impossibile, come nel caso del debitore che proponga uno stralcio dichiarandosi incapiente oppure quando sia il creditore che, per ottenere provvedimenti anticipatori o cautelari, adduca un periculum connesso con una situazione di insolvenza del debitore (App. Milano, Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 437) – sconta la difficoltà di provare gli stati soggettivi ed è perciò comune l'utilizzo della prova per presunzioni (Cass., Sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19728; Cass., Sez. I, 13 febbraio 2015, n. 14584; Cass., sez. I, 18 aprile 2011, n. 8827), che costituisce, anzi, la forma più comune di prova della scientia (Cass., Sez. I, 24 aprile 2007, n. 9903).

La giurisprudenza sottolinea tuttavia come l'ammissibilità della prova presuntiva non significhi sostituire la prova della mera conoscibilità dell'insolvenza a quella richiesta dall'art. 67 l. fall. (Cass., Sez. I, 14 gennaio 2016, n. 504; Cass., sez. I, 4 marzo 2010, n. 5256), che postula che si dimostri in capo al creditore la positiva conoscenza dell'insolvenza (Cass., Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 526; Cass., Sez. VI, 30 ottobre 2015, n. 22184), non sussistendo un generico obbligo del creditore di informarsi sulla “salute” del debitore (Cass., Sez. I, 13 luglio 2015, n. 14584); occorrerà, quindi, collegare gli “indizi” del dissesto alla sfera soggettiva dell'accipiens, in modo che si possa affermare che, alla luce della sussistenza di tali elementi e considerata la normale avvedutezza ipotizzabile in situazioni similari (Cass., Sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19709), si deve ritenere che il creditore abbia percepito l'insolvenza, anchein relazione alle condizioni in cui l'accipiens si è trovato concretamente ad operare (Cass., Sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2916; Cass., sez. I, 3 maggio 2012, n. 6686).

Nella casistica si suole distinguere tra indici diretti ed indiretti; se questi ultimi sembrano avere un ruolo meno rilevante (e secondo M. Maienza, Il tramonto della revocatoria fallimentare e le ripercussioni sulla scientia decoctionis,in Fall., 2011, 983 risultano anch'essi ridimensionati dopo la riforma), i primi hanno una valenza più decisiva, in quanto si tratta di situazioni di cui l'accipiens ebbe percezione effettiva in quanto avvenute nell'ambito dei suoi rapporti con l'impresa insolvente.

Sono state perciò ritenuti indici diretti di scientia:

  • gli inadempimenti sistematici (Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15686; App. Roma, 21 febbraio 2014) soprattutto se il creditore intimi perciò la risoluzione del contratto (App. L'Aquila, 12 novembre 2014);
  • l'adempimento ottenuto con azioni giudiziarie ed esecutive (Trib. Milano, 10 aprile 2013) ovvero la minaccia di sospendere le forniture (Cass., sez. I, 4 ottobre 2011, n. 25161);
  • la riscontrata presenza di ipoteche giudiziali sul bene acquistato con vendita richiesta di revoca (Cass., Sez. I, 7 ottobre 2015, n. 20110; Cass., Sez. I, 12 novembre 2013 n. 25379);
  • la pattuizione di piani di rientro (Cass., Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9376) ed il mutamento delle condizioni di pagamento con la richiesta di pagamenti anticipati (App. Milano, 27 giugno 2012, n. 2496);
  • i protesti che si verifichino nel rapporto diretto con il fornitore (Cass., Sez. I, 24 ottobre 2012 n. 18196);
  • per gli operatori bancari, la revoca dei fidi con richiesta di rientro (Trib. Torino, 21 febbraio 2014).

Più in generale, nella verifica della sussistenza degli indici di scientia, occorre a mio avviso muovere dal tenore dell'art. 5 l. fall., ove si prevede che lo stato di insolvenza “si manifesta” con gli inadempimenti, correlato al palesarsi di una incapacità del debitore di adempiere regolarmente e ciò a prescindere dall'esistenza di protesti, pignoramenti ed esecuzioni (Cass., Sez. I, 11 dicembre 2013, n. 27738): in tal caso, come osserva Cass., Sez. VI, 6 novembre 2014, n. 23724, l'aver percepito la tipica manifestazione dell'insolvenza impone all'accipiens l'onere di provare la propria inscientia.

Per indici indiretti si intendono invece quelle situazioni non inerenti allo specifico rapporto con l'accipiens, ma che secondo il quod plerumque accidit caratterizzano l'impresa insolvente, quali a titolo esemplificativo il riscontro di una pletora di protesti pubblicati in data anteriore al pagamento (Cass., Sez. I, 14 gennaio 2016, n. 526; Cass., sez. I, 19 marzo 2012, n. 4342), ma anche la notorietà del dissesto segnalata da organi di stampa (Trib. Novara, 17 dicembre 2012; contra Trib. Roma, 13 settembre 2010) e l'evidenza della crisi manifestata nei bilanci depositati (Cass., Sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4762). Nell'ambito dei gruppi di società, poi, si ritiene che l'insolvenza nota in capo ad altre società del gruppo possa valere a far presumere la scientia in capo all'accipiens, soprattutto se questi sia in rapporto con più società del gruppo (Cass., Sez. I, 28 aprile 2015, n. 8579; Cass., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059).

In tal caso, la “forza” della prova presuntiva è minore e dipende soprattutto dalla possibilità di provare, da un lato, che la controparte del fallito era a conoscenza degli indici indiretti (in tal senso, Cass., Sez. I, 22 marzo 2013 n. 7281 non considera rilevante la pendenza di istanza di fallimento, trattandosi di iniziativa non esteriorizzata) e, viceversa, si è attribuita rilevanza alla vicinanza o meno della sede di debitore e creditore (Cass., Sez. I, 6 novembre 1993, n. 11013), oppure alla notorietà degli inadempimenti sistematici del debitore nel settore in cui opera.

(Segue): prova presuntiva e qualità “professionale” dell'accipiens

La questione fondamentale nella prova della scientia è quindi il passaggio dalla sussistenza documentata di indici di insolvenza alla dimostrazione della conoscenza da parte del creditore di tali situazioni, sempre che - in considerazione della percezione un soggetto di media diligenza – la percezione di quegli indici possa far ritenere che l'accipiens abbia potuto evincere una situazione d'insolvenza.

In tal senso, occorre aver riguardo alla ragionevole percezione di un soggetto di ordinaria diligenza secondo l'id quod plerumque accidit(Cass., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1834; Cass., sez. I, 19 ottobre 2007, n. 22008), di modo che non vale ad escludere la scientia il fatto che il creditore sostenga di non aver ricollegato ad una situazione di insolvenza gli indici percepiti se questi deponevano in tal senso (Cass., Sez. I, 7 aprile 2015, n. 6905) né la deduzione di un'ignoranza che appaia colpevole o non plausibile (Cass., sez. I, 23 settembre 2009, n. 20482), nel senso che, a fronte di indici che fanno presumere l'insolvenza, il convenuto in revocatoria non ne potrà dedurre una propria soggettiva “ingenuità” (Cass., Sez. I, 7 febbraio 2001, n. 1719), né la percezione dello insolvenza può essere di per sé esclusa dal rilievo che il creditore abbia proseguito il rapporto con l'impresa insolvente (Cass., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1617).

E proprio nell'ambito del corretto utilizzo dello strumento presuntivo, che muove dalla peculiare situazione in cui opera l'accipiens taluni indici si ritengono di per sé percepiti da soggetti “professionali”, i quali cioè svolgono attività precipua nel settore finanziario (Cass., Sez. I, 4 febbraio 2008, n. 2557) e si presume operino con peculiare avvedutezza (Cass., Sez. I, 29 luglio 2014, n. 17208); e proprio dalla considerazione per la capacità analitica dell'operatore finanziario la giurisprudenza fa discendere la possibilità di desumere la scientia dalle risultanze dei bilanci (Cass., Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13540), se questi manifestino in modo palese uno stato di insolvenza (Cass., sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3920) ed altresì dai dati della Centrale rischi (Trib. Torino, 21 febbraio 2014).

In evidenza: Cass., sez. I, 3 maggio 2007, n. 10208

Sul punto, la Suprema Corte ha precisato ante riforma che non costituisce una presunzione sul presunto, in quanto tale vietata, il ritenere che l'accipiens consulti i bilanci e che ravvisi in essi gli indici di insolvenza; a ben vedere, del resto, non si tratta di una doppia presunzione: il Giudice, invero, semplicemente presume che l'ente finanziario, in quanto tenuto ex lege a verificare la solvibilità del debitore affidato con la richiesta delle situazioni contabili, abbia consultato i bilanci ed a questo punto considera, in base alla capacità percettiva del soggetto professionale, che questi abbia percepito come manifestazione di insolvenza i dati negativi che emergano dal documento contabile.

Occorre, tuttavia, rammentare sempre che non esiste una presunzione assoluta di scientia semplicemente collegata alla tipologia dell'accipiens: si tratta, invece, di adeguare il mezzo di prova alla peculiare capacità di percezione del soggetto revocando, ma anche alla situazione in cui si è trovato ad operare (Cass., Sez. I, 20 gennaio 2014, n. 1101), di modo che si è ritenuto che anche a carico di un normale fornitore si possa presumere una verifica dei dati di bilancio, in presenza di reiterati inadempimenti che lo abbiano allertato sull'inaffidabilità del solvens (App. Roma, 21 febbraio 2014).

Cenni alla revocatoria in fattispecie particolari

Con la riforma concorsuale è stata introdotta all'art. 67 bis l. fall. una fattispecie di revocatoria specifica nell'ambito dei “patrimoni destinati”, che comunque si caratterizza solo per la precisazione che l'eventus damni deve riguardare il patrimonio della società.

La riforma non ha modificato l'art. 68 l. fall.(G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, cit., 502 ss.; E. Bertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit., 1444), già ante riforma considerato di natura eccezionale (ove l'eccezione del prenditore di aver dovuto accettare il pagamento per non perdere l'azione di regresso prescinde dalla sua scientia, che rileva solo a carico dell'ultimo obbligato in via di regresso, come precisa Cass., sez. I, 22 dicembre 1995, n. 13085), non estensibile, tra l'altro, al pagamento ricevuto dal creditore ipotecario che voglia evitare di perdere l'azione sui fidejussori (Cass., sez. I, 26 gennaio 1999, n. 684); la “necessità cambiaria” che esime l'accipiens dalla revocatoria (sempre che non si tratti del primo prenditore: Cass., sez. I, 7 marzo 1997, n. 2088) può essere accertata incidentalmente nel processo verso l'ultimo prenditore e provata per presunzioni (Cass., sez. I, 7 dicembre 1999, n. 13663).

L'art. 69 l. fall. (che sostituisce l'abrogata presunzione “muciana” quinquennale del previgente art. 70 l. fall., già dichiarata illegittima sia nel regime di comunione che in caso di separazione dei beni: Cass., sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1501 e Cass., sez. I, 18 marzo 1996, n. 2272) detta, invece, una disciplina più severa in tema di revocabilità degli atti compiuti tra coniugi, che sono revocabili nel periodo biennale con inversione dell'onere della prova, essendo il coniuge a dover provare l'inscientia (C. D'Arrigo, Pagamento di cambiale scaduta, atti fra coniugi, decadenza dall'azione, revocatoria ordinaria, in G. Fauceglia – L. Panzani, Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 688); la Suprema Corte ha confermato anche post riforma che la norma è di stretta interpretazione e quindi non si applica al coniuge del socio illimitatamente responsabile (Cass., sez. I, 2 aprile 2012, n. 5260) o in caso di estensione del fallimento al socio unico di s.r.l. che non abbia rispettato le forme pubblicitarie prescritte (Cass., sez. I, 14 marzo 2014, n. 6028, in Fall., 2015, 81, con nota di G. Carmelino); sotto il profilo dell'oggetto, invece, Cass., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8516 concludeva in passato per la revocabilità delle attribuzioni tra coniugi anche se derivanti da accordi di separazione (ed anche in regime di separazione dei beni: App. Torino, 21 ottobre 1992).

Le normative in tema di amministrazione straordinaria hanno infine introdotto una fattispecie “aggravata” di revocatoria nell'ambito dei rapporti interni al gruppo insolvente (G. Lo Cascio, Commentario alla legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 462), laddove l'art. 91 D. Lgs. 270/1999 sancisce che per gli atti compiuti tra società assoggettate a procedura in quanto facenti parte del medesimo gruppo il periodo sospetto per le azioni previste all'art. 67 l. fall. si estende rispettivamente sino a cinque anni per gli atti di cui ai nn. 1, 2 e 3 previsti al comma 1, ed a tre anni per le garanzie di cui al n. 4 e per gli atti di cui al comma 2 (disposizione che, per vero, non è stata adeguata al dimezzamento dei termini attuato dalla riforma).

Nell'ambito di quel tipo di procedura – ed in particolare con riguardo alla vecchia “legge Prodi” (L. 95/1979) –, peraltro, è sorta una questione di legittimità rispetto alle prescrizioni comunitarie (cfr. C. Costa (a cura di), L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2008, 390), risolta dalla giurisprudenza nel senso di escludere che la revocatoria costituisca un aiuto di Stato all'impresa insolvente, con conseguente conferma della legittimità dell'istituto revocatorio (Cass., Sez. I, 29 luglio 2014, n. 17200; Cass., Sez. I, 20 dicembre 2012 n. 23655).

In quest'ottica, peraltro, la nuova normativa in tema di amministrazione straordinaria (D. Lgs. 270/99) – recependo del resto una corrente già consolidatasi (Cass., sez. VI, 4 marzo 2011, n. 5330, in Fall., 2011, 1184 con commento di P. Filippi, La revocatoria fallimentare nelle “vecchie” procedure di amministrazione straordinaria) con riferimento alla previgente legge Prodi (L. 95/79) - ha limitato l'esercizio delle azioni revocatorie alla fase liquidatoria, escludendolo nella fase conservativa (M. Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2014, 874; Cass., sez. VI, 4 marzo 2011, n. 5330) e proprio la cessazione della fase conservativa viene dedotta ad escludere che la revocatoria costituisca un “aiuto di Stato” (Cass., sez. I, 25 agosto 2006, n. 18552; Trib. Bologna, 12 luglio 2005).

In evidenza: Cass., sez. I., 10 maggio 2012, n. 7163

La Corte di Cassazione ha altresì precisato che la fase liquidatoria può ritenersi già avviata anche prima del formale avvio della procedura di liquidazione, qualora sia comunque venuta meno la finalità “conservativa” della procedura di amministrazione straordinaria.

Tale limite non è stato, peraltro, riproposto nelle procedure rette dal c.d. “Decreto Marzano” (art. 6 D. Lgs. 347/2003), ove è prescritto solo che sussista la convenienza per il ceto creditorio, senza distinzione tra fase conservativa o liquidatoria (Cass., sez. I, 10 novembre 2005, n. 21823).

Da ultimo, non si può non fare cenno alla innovazione apportata dal recente D.L. 83/2012, che ha previsto l'inefficacia delle ipoteche legali iscritte nei sessanta giorni anteriori alla presentazione della domanda di concordato preventivo, introducendo una sorta di revocatoria di natura eccezionale che opera anche nell'ambito della procedura minore. Ed infine, non può non ricondursi ad una fattispecie assimilabile alla revocatoria (con la peculiarità della irrilevanza dell'elemento soggettivo, similarmente a quanto avviene per le azioni di cui agli artt. 64 e 65 l. fall.) la sanzione di inefficacia prevista dall'art. 2467 c.c. per gli atti restitutori di finanziamenti societari compiuti nell'anno anteriore all'avvio di procedura concorsuale.

Termini per proporre l'azione e decorrenza del “periodo sospetto” nella consecuzione di procedure

Si è detto del dimezzamento, ad opera della riforma concorsuale, dell'ambito temporale entro il quale gli atti possono essere dichiarati inefficaci. I termini decorrono a ritroso dal deposito della sentenza che dichiara il fallimento (Cass., Sez. I, 20 ottobre 2015, n. 21273) ovvero, a seguito delle più recenti modifiche normative, dalla iscrizione della sentenza a RR.II. (Trib. Milano, 23 gennaio 2014).

Ai fini della collocazione o meno di un atto revocando nel “periodo sospetto”, poi, occorre avere riguardo al momento di effettuazione del pagamento e non alla disposizione così come per la costituzione di garanzia il momento rilevante non è quello della concessione, bensì quello dell'iscrizione (Cass., Sez. I, 18 dicembre 2014, n. 26746); viceversa, se il pagamento deriva da un negozio traslativo di un credito, ad essere revocabile sarà l'atto di cessione e non il pagamento. La giurisprudenza esclude in tal senso la revocabilità del pegno “rotativo”, ovvero della garanzia che preveda la sostituzione periodica dei beni che ne formano oggetto, se l'atto originario che la costituisce sia compiuto al di fuori del periodo sospetto (Cass., Sez. I, 1 luglio 2015, n. 13508; Trib. Novara, 24 gennaio 2012; in relazione alla normativa ante riforma, il principio era del resto già sancito da Cass., sez. I, 1° febbraio 2008, n. 2456).

Con la riforma fallimentare, peraltro, è stata recepita la corrente giurisprudenziale già in passato maggioritaria (quantomeno per il concordato preventivo: Cass., sez. I, 6 agosto 2010, n. 18437 per l'amministrazione controllata non mancano pronunzie in senso opposto, anche se di recente la consecuzione è stata riaffermata da Cass., Sez. I, 9 dicembre 2015, n. 24861) in forza della quale, in caso di consecuzione tra la procedura minore ed il fallimento i termini per la revocatoria si computano a ritroso dal momento in cui viene avviata la prima procedura (E. Bertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit., 1464).

Il principio è oggi dettato espressamente all'art. 69-bis l. fall. e si ritiene che la consecuzione vada intesa non in senso rigidamente temporale (anche in considerazione della soppressione del fallimento d'ufficio che potrebbe richiedere un'iniziativa per la declaratoria di fallimento successiva alla mera declaratoria di inammissibilità della procedura minore), bensì sostanziale, nel senso che si ravviserà consecuzione anche se vi sia uno iato temporale – purché non eccessivo – tra la chiusura della procedura minore ed il fallimento, se questo derivi dallo stato di insolvenza già denunziato con l'avvio del concordato preventivo o di altra procedura (Cass., Sez. I, 14 marzo 2014, n. 6031) anche se Cass., Sez. I, 25 settembre 2013 n. 21900 onera in tal caso il curatore della prova della continuità. In caso di mancata ammissione, peraltro, non essendovi un legame tra la procedura minore – mai venuta ad esistenza - ed il fallimento successivo, il termine non può che decorrere da quest'ultima procedura (Trib. Udine, 6 marzo 2010).

In evidenza: Cass., Sez. I, 13 aprile 2016, n. 7324

Per quel che concerne, invece, il computo del periodo sospetto nell'ambito dei fallimenti estesi ai soci illimitatamente responsabili di società di persone, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il termine a ritroso debba computarsi dalla sentenza che ne ha dichiarato il fallimento quale conseguenza di quello societario (negli stessi termini Cass., Sez. I, 28 aprile 2015, n. 8577 e Cass., sez. I, 17 febbraio 2012, n. 2335; contra, in precedenza, Cass., sez. I, 26 marzo 2010, n. 7273).

In applicazione del principio generale, poi, si è ritenuto che, in caso di dichiarazione di fallimento da parte di Tribunale incompetente, la procedura non viene caducata, ma prosegue aventi al giudice competente, di modo che il periodo sospetto decorrerà a ritroso dalla prima sentenza dichiarativa (Trib. Messina, 31 marzo 2011; Cass., sez. I, 5 novembre 2010, n. 22544, in Fall., 2011, 276, con nota di P. Bosticco).

L'art. 69-bis l. fall. fissa la decorrenza a ritroso del periodo sospetto dalla pubblicazione della domanda di concordato e con tale indicazione pare anche escluso possa ipotizzarsi la consecutio rispetto al deposito di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis l. fall.

Competenza e limiti di proponibilità

La revocatoria è un'azione di inefficacia tipicamente concorsuale, che si propone perciò avanti al Tribunale fallimentareex art. 24 l. fall., con la precisazione che la competenza riguarda il foro, non anche la sezione specializzata all'interno dello stesso Tribunale (Cass., sez. I, 1 aprile 2011, n. 7579).

La competenza funzionale del foro fallimentare e la natura dell'azione, che non riguarda il diritto sul bene escludono, ad esempio, questioni in tema di competenza delle sezioni agrarie (Cass., sez. I, 12 luglio 2011, n. 15246), sussistendo quindi la vis actractiva del foro fallimentare anche per le azioni di simulazione dei contratti agrari (Cass., sez. I, 13 ottobre 2011, n. 21196)

Per quel che concerne i limiti di esperibilità dell'azione, si esclude l'ammissibilità dell'azione a carico di altra procedura concorsuale se con essa si pretenda di “esecutare” un bene ai danni del fallimento (Cass., sez. I, 12 maggio 2011, n. 10486), salvo che la limitazione non si estende alle azioni avverso atti compiuti nel corso della procedura e non vale ad impedire che venga riassunta nei confronti del fallimento l'azione revocatoria avviata prima della procedura (salvo che le statuizioni restitutorie devono essere fatte valere nel fallimento dell'accipiens nella forma dell'insinuazione al passivo, come precisa Cass., sez. VI, 8 marzo 2012, n. 3672).

Un limite di proponibilità può derivare invece dagli effetti del giudicato endo-concorsuale (I. Pagni, Accertamento del passivo e revocatoria: efficacia preclusiva del decreto di esecutività, in Fall., 2010, 1392 ss.), ad esempio se il curatore voglia revocare un'ipoteca avendo già consentito all'ammissione del credito con quella prelazione (Cass., Sez. I, 26 luglio 2012 n. 13289, in Fall., 2013, 306 con nota di E. Staunovo Polacco) o contesti la risoluzione di un contratto di leasing avendo già accolto la rivendica (Cass., Sez. I, 4 settembre 2013 n. 20222).

In evidenza: Cass., Sez. I, 29 settembre 2015, n. 19319

In precedenza, proprio in considerazione degli effetti del giudicato interno, Cass., sez. un., 14 luglio 2010, n. 16508 aveva dichiarato inammissibile la revocatoria avente ad oggetto l'atto i cui effetti compensativi fossero stati espressamente dedotti in una domanda di ammissione al passivo cui il curatore non si sia opposto (L. Salvato, Intangibilità dell'accertamento della compensazione effettuato in sede di verifica del passivo, in Fall., 2010, 1384); contra di recente Cass. 19319/2015 ha ritenuto che la mera ammissione, anche senza riserva di revoca, di un minor credito non implica di per sé rinunzia a revocare l'atto mediante il quale il creditore si sia parzialmente soddisfatto.

L'azione è proponibile anche nei confronti dello straniero, salvo che l'art. 13 del Reg. UE n. 1346/2000 dichiara inammissibile l'azione se il contratto tra l'accipiens ed il fallito sia assoggettato a legge di un Paese comunitario diverso da quello in cui è stata aperta la procedura concorsuale e se in quell'ordinamento l'atto non sarebbe impugnabile (Trib. Roma, 2 febbraio 2011); in passato si era escluso che l'esenzione valesse per i pagamenti in quanto atti solutori che prescindono dal contratto di cui il curatore non è parte (Trib. Busto Arsizio, 27 giugno 2008); più di recente, peraltro, prevale la corrente che estende l'esenzione agli atti esecutivi di contratto disciplinato dalla legge estera (Trib. Roma, 7 marzo 2012); al convenuto incombe l'onere di provare sia pattuizione sulla legge applicabile sia che nell'ordinamento richiamato non sia possibile contestare gli atti revocandi (Corte giustizia UE, Sez. VI, 15 ottobre 2015, C-310/14, in Fall, 2016, 273 con nota di G. Montella) peraltro, la Corte UE (Corte giustizia UE, Sez. I, 16 aprile 2015, C-557/13) ha sancito che ad escludere l'esenzione non basta che la legge estera preveda in astratto azioni per impugnare l'atto del fallito, occorrendo viceversa che la domanda possa essere in concreto accolta dal giudice in applicazione delle norme straniere (v. anche Trib. Busto Arsizio, 10 luglio 2012)

L'azione revocatoria deve essere introdotta entro il termine – tre anni dalla dichiarazione di fallimento e non più di cinque anni dal compimento dell'atto - previsto dall'art. 69 bis l. fall., che secondo l'interpretazione pressoché uniforme (cfr. R. Conte, Azione revocatoria e termini di prescrizione e decadenza, in Fall., 2014, 316 ss.; M. Montanari Termine triennale di proponibilità dell'azione revocatoria fallimentare: sulle condizioni di rilevabilità della relativa violazione, in Fall, 2014, 1309 ss.) fissa un'ipotesi di decadenza e non più di mera prescrizione (arg. da Cass., sez. I, 18 luglio 2007, n. 15960), anche se non mancano pronunzie incerte sul punto (Trib. Napoli, 2 maggio 2013).

Già in passato, allorché i termini per l'avvio dell'azione avevano natura prescrizionale, si escludeva che ad interromperne il decorso bastasse un atto stragiudiziale: la natura costitutiva dell'azione imponeva, quindi, la notifica della citazione (Cass., Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30077; Cass., sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3379) o l'avvio di altro giudizio (anche cautelare: Cass., Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13302) e ciò vale a maggior ragione per la decadenza oggi prevista. Da segnalare che da ultimo, mutando il proprio precedente indirizzo (cfr. Cass., Sez. I, 29 novembre 2013, n. 26804), la Suprema Corte ritiene che il momento interruttivo retroagisca al momento di richiesta della notificazione (Cass. civ., Sez. Unite, 9 dicembre 2015, n. 24822) e che ad integrare l'esercizio dell'azione assumono rilievo anche gli atti conosciuti dalla parte per il tramite del difensore a norma dell'art. 170 c.p.c. (come nel caso di domanda riconvenzionale avanzata in sede di opposizione allo stato passivo: Cass., sez. I, 6 agosto 2010, n. 18438).

Occorre, tuttavia, rammentare che la decadenza deve essere oggetto di eccezione di parte (Trib. Napoli, 1 aprile 2014) e che, anche ove sia prescritta l'azione, la revocatoria potrà essere sempre dedotta in via di eccezione (Cass., Sez. I, 27 novembre 2013, n. 26504).

Effetti della revoca

Trattandosi di azione di inefficacia, la revocatoria non comporta non l'invalidità dell'atto – che viene ritenuto originariamente valido ed efficace (Cass., Sez. I, 8 maggio 2015, n. 9403) – erga omnes bensì la sua mera inopponibilità alla massa dei creditori e quindi l'assoggettabilità ad esecuzione (Cass., Sez. III, 12 maggio 2015, n. 9584); come precisano Cass., Sez. I, 3 luglio 2015, n. 13767 e Cass., Sez. I, 29 luglio 2014, n. 17196 nella domanda di revoca è implicita anche quella volta ad ottenere la condanna alle conseguenti restituzioni (M. Spiotta, La restituzione dei beni: conseguenza implicita della pronuncia di inefficacia, in Fall., 2015, 292 ss.).

La revocatoria può essere proposta anche “a cascata” nei confronti degli acquisti successivi (A. Archinà, L'azione revocatoria fallimentare tra lesione della par condicio creditorum, malafede del sub-acquirente e obbligo di reintegrazione, in Giur. it., 2011, 1826 ss.), ma in tal caso viene esercitata nei confronti del terzo una revocatoria ordinaria come previsto dall'art. 66 l. fall. con tutte le limitazioni connesse (Cass., sez. III, 6 agosto 2010, n. 18370, in Fall, 2010, 1140 con osservazioni di P. Genoviva; Cass., sez. I, 23 dicembre 2009, n. 27230; Cass., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28988).

Quando non sia possibile la restituzione in natura – per perimento del bene o perché trasferito a terzi verso i quali non sia stata proposta azione restitutoria – può richiedersi la restituzione per equivalente (Cass., Sez. I, 2 luglio 2014, n. 15123; Cass., sez. I, 17 giugno 2009, n. 14098).

La condanna restitutoria comporta l'obbligo di pagamento degli interessi, ma per la natura costitutiva dell'azione l'obbligo sorge solo dal momento della notifica della citazione introduttiva della revocatoria (Cass., sez. I, 15 dicembre 2011, n. 27084), con esclusione della rivalutazione (salvo che il fallimento dimostri il maggior danno: Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538); quando, peraltro, l'azione abbia ad oggetto l'inefficacia di un atto traslativo di un diritto non più apprensibile al fallimento, si ritiene che l'onere restitutorio possa essere gravato di rivalutazione monetaria per risarcire il deprezzamento (Cass., sez. I, 16 giugno 2011, n. 13244), anche con applicazione dell'indice Istat (Trib. Milano, 7 febbraio 2012)

Proprio muovendo dalla natura costitutiva della sentenza, taluno contestava che la sentenza di revoca fosse suscettibile di provvisoria esecuzione (Trib. Cuneo, 3 febbraio 2011); la giurisprudenza, peraltro, più di recente (Cass., sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737; App. Milano, 12 maggio 2011) si è orientata nel senso di ritenere che l'esecutorietà valga anche per le sentenze costitutive ed in particolare per la condanna restitutoria conseguente alla revocatoria (cfr. P. Bontempi, La provvisoria esecutività delle sentenze che accolgono l'azione revocatoria fallimentare di rimesse bancarie in conto corrente, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 58).

Ai sensi dell'art. 70 l. fall. (che peraltro riprende quanto già previsto dal previgente art. 71 l. fall.), il soggetto che ha subito la revoca può chiedere di essere ammesso al passivo per quanto abbia restituito alla procedura (o per l'equivalente credito in caso di restituzione di beni).

Qualche dubbio sorge sulla natura del credito restitutorio, se cioè esso debba essere ammesso con lo stesso privilegio che avrebbe avuto il credito se non fosse stato decurtato per effetto della revocatoria (in senso negativo, quanto al pegno escusso ante fallimento, Trib. Brescia, 23 settembre 2014); ciò che invece pacificamente si esclude è che l'accipiens revocato possa compensare il debito restitutorio con un proprio credito concorsuale posto che quello restitutorio sorge post fallimento (Cass., Sez. I, 31 agosto 2015, n. 17338; App. Torino, 21 dicembre 2011, in Fall., 2012, 1450, con nota di G. Bettazzi, Il credito del terzo revocato; Cass., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518).

Qualche dubbio era sorto, invece, circa la reviviscenza delle garanzie di terzi connesse con il debito che, a seguito della revocatoria del pagamento effettuato dal debitore principale, risulta di fatto insoluto (per la tesi negativa: App. Milano, 3 ottobre 2000, in Fall., 2001, 939 con nota di P. Bosticco).

Riferimenti

Normativi

  • Art. 2740 c.c.
  • Art. 67 l. fall.
  • Art. 70 l. fall.
  • Art. 69-bis l. fall.

Giurisprudenza

  • Cass. Sez. I, 13 aprile 2016, n. 7324
  • Cass. Sez. I, 31 marzo 2016, n. 6282
  • Cass. Sez. I, 29 marzo 2016, n. 6042
  • Cass. Sez. I, 29 marzo 2016, n. 6040
  • Cass. Sez. I, 8 marzo 2016, n. 4530
  • Cass. sez. I, 4 marzo 2016, n. 4265
  • Cass. Sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2916
  • Cass. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 526
  • Cass. Sez. I, 14 gennaio 2016, n. 504
  • Cass. Sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2903

Bibliografia

  • E. Bertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Torino, 2016
  • M. Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2014
  • F. Dimundo, L'inefficacia nei confronti del fallimento del cedente della cessione dei crediti di impresa, in Fall., 2016, 164 ss.
  • G. Battaglia, Revocatoria fallimentare del pagamento effettuato a seguito di assegnazione forzata del credito, in Riv. dir. proc., 2015, 1248 ss.
  • R. Conte, Azione revocatoria e termini di prescrizione e decadenza, in Fall., 2014, 316 ss.
  • M. Spiotta, La restituzione dei beni: conseguenza implicita della pronuncia di inefficacia, in Fall., 2015, 292 ss.
Sommario