Il concordato con continuità aziendale: requisiti del piano e oggetto della relazione di attestazione

Silvia Zenati
23 Ottobre 2013

Il Tribunale, nella valutazione di ammissibilità del concordato con continuità aziendale ex art.186-bis l. fall. deve verificare che il piano preveda, quale modalità esecutiva, la prosecuzione dell'attività d'impresa, che detto piano contenga un'analitica indicazione dei costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura, e che lo stesso piano sia attestato dal professionista in ordine alla funzionalità della prosecuzione dell'attività al migliore soddisfacimento dei creditori.
Massima

Il Tribunale, nella valutazione di ammissibilità del concordato con continuità aziendale ex art.186-bis l. fall. deve verificare che il piano preveda, quale modalità esecutiva, la prosecuzione dell'attività d'impresa, che detto piano contenga un'analitica indicazione dei costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura, e che lo stesso piano sia attestato dal professionista in ordine alla funzionalità della prosecuzione dell'attività al migliore soddisfacimento dei creditori.

In particolare, la mancanza della valutazione di convenienza da parte dell'attestatore rispetto alla soluzione liquidatoria impedisce che il concordato possa ascriversi al tipo del concordato in continuità aziendale ex art.186-bis l. fall., rimanendo un mero concordato con garanzia.

La relazione dell'esperto deve attestare anche le circostanze di cui alla lettera b) dell'art.186-bis l. fall., in quanto connesse alla valutazione di fattibilità del piano.

Il caso

La società ricorrente proponeva un concordato preventivo con continuità aziendale ex art.186-bis l. fall. basato su un piano industriale a sei anni che prevedeva la continuazione dell'attività tipica previa ristrutturazione, tale da generare flussi di cassa che, uniti alle dismissioni di assets (beni immobili) non strategici, e ad apporti esterni dei soci, avrebbero dovuto consentire il pagamento dei creditori nelle misure e secondo le classi previste nella proposta.La proposta di concordato veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale di Milano con riferimento a plurime situazioni di criticità, consistenti nell'insufficienza delle attestazioni rilasciate dall'esperto in ordine al migliore soddisfacimento dei creditori nel concordato in continuità rispetto alla soluzione liquidatoria, alla individuazione dei flussi di cassa della gestione caratteristica e alla descrizione degli scenari alternativi nell'arco temporale di durata del piano. Altre criticità venivano rilevate nella suddivisione in classi dei creditori, nella proposta di transazione fiscale, nella individuazione dei creditori strategici e nella inidoneità dell'attestazione ex art.182-quinquies, comma 1, l. fall.

Le questioni giuridiche

Il provvedimento in esame mette in rilievo molteplici situazioni controverse in tema di concordato in continuità, a riprova di quanto sia complessa la prospettazione di una proposta concordataria con continuità aziendale pura (rectius, con prosecuzione dell'attività d'impresa), cioè secondo il tipo normativo delineato dal legislatore nell'art.186-bis l. fall..Il concordato con continuità aziendale, per rientrare nel tipo descritto dall'art. 186-bis l. fall., e godere dei benefici che la legge gli riconosce, deve soddisfare tre requisiti, e cioè che il piano preveda, quale modalità esecutiva, la prosecuzione dell'attività d'impresa, che detto piano contenga un'analitica indicazione dei costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura, e che lo stesso piano sia attestato dal professionista in ordine alla funzionalità della prosecuzione dell'attività al migliore soddisfacimento dei creditori.A tale complessa e onerosa griglia di accesso fa riscontro, d'altra parte, la rilevante serie di benefici previsti solo per il concordato con continuità aziendale in senso proprio, cioè la prosecuzione dei contratti, anche con amministrazioni pubbliche, in corso alla data del deposito del ricorso (e l'inefficacia di eventuali patti contrari), la possibilità di partecipare a procedure di assegnazione di contratti pubblici, anche mediante avvalimento, nonché la possibilità, di rilevanza spesso decisiva nella scelta di questa forma di concordato, di essere autorizzati ad effettuare pagamenti di crediti anteriori su attestazione di un professionista circa il fatto che tali prestazioni siano essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.La tipizzazione dell'art. 186-bis l. fall. fa si che si possa parlare di concordato in continuità solo nelle ipotesi di gestione diretta dell'azienda da parte del debitore (concordato puro o di ristrutturazione), o di sua cessione in esercizio, o di suo conferimento, sempre in esercizio, in una o più società (cfr. da ultimo G.Covino - L.Jeantet, Il concordato con continuità aziendale: linee guida e sindacato del Tribunale nella fase ammissiva, in ilFallimentarista).Tale precisazione si rende necessaria in considerazione dell'esistenza di un filone giurisprudenziale (Tribunale di Firenze, 19 marzo 2013) volto a ricomprendere nella nozione di concordato in continuità anche quelle ipotesi di affitto dell'azienda, stipulato anteriormente alla presentazione della proposta concordataria, ad una società di nuova costituzione (c.d. newco) ovvero a terzi, correlato ad una successiva cessione dell'azienda allo stesso affittuario, previamente dichiaratosi disponibile ad esercitare opzione di acquisto a prezzo prefissato. Il prezzo della cessione, così come i canoni di affitto dell'azienda, diventano quindi elementi rilevanti per il fabbisogno del concordato preventivo, senza che ciò comporti per il debitore l'assunzione di alcun rischio legato alla gestione dell'impresa, rischio che permane unicamente sull'affittuario.In questa ipotesi, nessun senso riveste l'analitica indicazione, richiesta espressamente dal disposto dell'art. 186-bis, comma 2, lett a), l. fall., dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, in quanto sarà la società affittuaria, futura acquirente dell'azienda, a godere dei ricavi e a farsi carico dei costi dell'azienda concessa in affitto, profittando degli utili o sopportando le eventuali perdite.La società debitrice in concordato preventivo rileverà nell'attivo concordatario il solo canone di affitto e il successivo prezzo di cessione, senza doversi preoccupare della variabilità dei ricavi attesi o dell'incremento dei costi, così come delle coperture finanziarie della gestione: in definitiva, la società debitrice si potrà disinteressare della gestione dell'azienda affittata, rimanendo alla stessa estranea proprio in virtù dell'affitto d'azienda.Risulta così dimostrato come nell'ipotesi di c.d. continuità aziendale basata sull'affitto d'azienda, stipulato anteriormente alla presentazione della proposta di concordato, non si possa parlare di concordato in continuità secondo il tipo delineato dall'art. 186-bis l. fall., bensì di un concordato preventivo ordinario, qualificabile come concordato liquidatorio, stante l'esito di cessione dell'azienda, che sancisce la fine di ogni attività d'impresa (in senso conforme F.Lamanna, La legge fallimentare dopo il decreto sviluppo, Milano, 2012, 58).Il concordato in continuità ex art.186-bis l. fall., pertanto, è tipicamente il concordato nel quale l'attività d'impresa è proseguita dall'imprenditore che chiede l'accesso alla procedura, prosecuzione che deve essere tale da generare quei flussi di cassa positivi necessari a garantire l'adempimento della proposta concordataria: i predetti flussi possono essere integrati, come avvenuto nel caso in esame, dalle somme ricavate dalla dismissione di assets non strategici, nella fattispecie rappresentati da beni immobili di proprietà personale dei soci.Con riferimento al piano concordatario la cui proposta è stata dichiarata inammissibile, il Collegio giudicante ha innanzitutto rilevato la insufficienza dell'attestazione dell'esperto: come noto, l'art. 186-bis comma 2, lett.b), l. fall. indica il contenuto della relazione del professionista, che deve attestare non solo la fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali, ai sensi dell'art. 161, comma 3, l. fall., ma anche, in particolare, che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista nel piano di concordato sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.In proposito va sottolineato come la relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 83/2012 abbia inteso tutelare la continuità aziendale “solo in quanto strumentale alla migliore soddisfazione del ceto creditorio”. E' quindi evidente che non sempre la continuazione dell'attività d'impresa merita riconoscimento e tutela all'interno del piano concordatario, ma solo qualora tale prosecuzione sia tale da garantire ai creditori una soddisfazione maggiore di quella che potrebbe essere lecito attendersi qualora il piano non prevedesse la continuità, bensì la cessazione dell'attività.La valutazione comparativa, al fine di individuare quale sia la “migliore” soddisfazione dei creditori, va quindi effettuata tra la prospettiva di pagamento ai creditori in ipotesi di prosecuzione dell'impresa (anche se in realtà la soddisfazione dei creditori è concetto più ampio del pagamento, potendosi ottenere anche nelle forme dell'assegnazione) , rispetto alla prospettiva di pagamento in caso di cessazione dell'attività, e quindi in un'ottica meramente liquidatoria.Nella fattispecie in esame l'attestatore non ha compiuto una valutazione comparatistica tra la soluzione liquidatoria e quella della prospettata prosecuzione dell'attività aziendale, allo scopo di trarre il giudizio di miglior soddisfacimento dei creditori, che altro non è che “una valutazione di convenienza della proposta in continuità rispetto alla liquidazione dei beni (in sede concordataria e fallimentare)”.In effetti l'attestatore deve svolgere il non facile compito di esprimere un giudizio sulla valutazione prognostica, fatta dall'imprenditore, circa i risultati attesi dalla prosecuzione dell'attività: dal confronto con eventuali soluzioni liquidatorie emergerà il giudizio di maggiore o minore proficuità per i creditori.In quest'ottica, rilievo decisivo assume quindi non tanto la situazione economica e finanziaria attuale, bensì la situazione prospettica dell'azienda nel periodo durante il quale verrà adempiuta la proposta di concordato, situazione prospettica dalla quale dovrà emergere con ragionevole certezza che la gestione operativa prevista sarà in grado di produrre risorse finanziarie ulteriori rispetto alle necessità della gestione corrente, risorse da destinare al servizio del concordato. In questa complessa opera di valutazione l'attestatore avrà necessariamente come base di partenza l'analisi dei risultati economici realizzati negli anni precedenti.Su questo aspetto, in particolare, l'attestazione è stata, nello specifico, alquanto carente, essendosi limitato l'esperto ad evidenziare come la creazione del valore di EBITDA a sei anni sia incoerente con quello espresso dalle serie storiche pregresse, tenuto conto che la società ha subito nel frattempo una ristrutturazione e una riorganizzazione che non consente un giudizio di fattibilità nel lungo periodo.Tuttavia nella modifica del piano l'esperto ha effettuato la verifica di congruità dei dati contabili offerti dal ricorrente con i dati a consuntivo relativi al primo trimestre di adozione del piano, con ciò dando atto che il piano, perlomeno con riferimento alla fase iniziale, fosse stato adottato con la necessaria prudenza.Il Tribunale ha comunque ritenuto che, in mancanza della descrizione e analisi degli alternativi scenari liquidatori in sede concordataria e fallimentare, il piano non possa scriversi al tipo del concordato in continuità aziendale ex art.186-bis l. fall., “rimanendo un mero concordato con garanzia, ossia con attribuzione di percentuale fissa la cui garanzia è costituita dai beni del proponente”.Dal punto di vista dell'indicazione dei flussi di cassa attesi nella gestione caratteristica nel periodo di svolgimento della gestione in continuità, il Tribunale rileva l'insufficienza dell'analitica individuazione non solo nel piano, bensì anche nella relazione dell'attestatore.Il ragionamento sembra contrastare in apparenza con il dato normativo, che richiede l'attestazione solo per le circostanze di cui alla lettera b), ma in realtà è abbastanza evidente che l'attestatore deve partire proprio dall'esame del bilancio previsionale, e quindi dei costi e dei ricavi attesi dall'esercizio dell'impresa, per rilasciare l'attestazione di fattibilità del piano (ex art. 161, comma 3, l. fall.), prima, e di migliore soddisfazione dei creditori (ex art. 186-bis, comma 2, lett. b), l. fall.), poi, "per tracciare il percorso logico che individua il legame teleologico tra prosecuzione dell'attività d'impresa e miglior soddisfacimento dei crediti" ( P.Vella-F.Lamanna-S.Pacchi, Il concordato con continuità aziendale, in M. Ferro, P. Bastia, G.M. Nonno, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, Milano 2013, 161).Nel caso in esame, in effetti, i flussi di cassa vengono individuati dal debitore, anche se non verificati dall'attestatore, in modo analitico, ma non abbastanza da considerare soddisfatto il requisito previsto dall'art. 186-bis, comma 2, lett a), l. fall., e cioè la presenza nel piano dell'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, non essendo sufficiente, come sottolinea il Tribunale di Milano, la “mera indicazione delle risorse eccedentarie rispetto alla gestione ordinaria (cash flow) che verrebbero messe a disposizione dei creditori senza una analitica descrizione della base generativa dei costi”.D'altra parte la stessa relazione dell'advisor (che avrebbe dovuto anch'essa rientrare nella relazione dell'attestatore) in ordine ai possibili scenari alternativi ipotizzabili qualora le previsioni del piano industriale non venissero a realizzarsi, oltre a essere redatta in un arco temporale inferiore a quello del piano concordatario, incide negativamente sull'attestazione di fattibilità, in quanto ipotizza una significativa riduzione degli importi destinati al pagamento dei creditori chirografari, rispetto a quanto previsto nel piano.

Osservazioni

Dalla lettura della sentenza del Tribunale di Milano si comprende che nella fattispecie in esame la relazione di attestazione era sin dall'inizio fondamentalmente negativa, e quindi che il piano era minato alla base già sul punto del requisito della fattibilità.Ricorrono nella pronuncia riferimenti alla relazione dell'esperto come limitata a un “livello descrittivo, senza una effettiva analisi ragionata dei dati offerti dal ricorrente”, non idonea in quanto “apodittica”, mancante in ordine alla migliore soddisfazione dei creditori, non avendo l'esperto “adeguatamente descritto e analizzato” l'impatto degli alternativi scenari liquidatori.Particolare rilievo viene posto nella pronuncia sul piano dei costi e ricavi di cui all'art. 186-bis, comma 2, lett. a), l. fall., ritenendosi insufficiente l'indicazione del solo cash flow generato dalla gestione, in assenza della analitica descrizione della base generativa dei costi.Proprio la insufficienza di questo prospetto analitico sembra poter determinare la carenza del requisito sia del piano, sia dell'attestazione.Nonostante l'apparente contrasto con la lettera della norma, che richiede l'attestazione nelle sole ipotesi di cui alla lettera b), appare condivisibile dal punto di vista logico l'orientamento del Tribunale di Milano secondo il quale anche l'analitica indicazione dei costi e ricavi attesi dalla continuità aziendale, richiesta alla lettera a), debba essere oggetto di attestazione da parte dell'esperto.D'altro canto, appare evidente che l'attestazione sul punto dei costi e ricavi attesi è funzionalmente collegata alla attestazione richiesta dalla lettera b), in quanto solo la disponibilità di una situazione previsionale analitica può consentire di valutare la bontà del piano industriale redatto dall'advisor, la conseguente fattibilità del piano concordatario proposto dal debitore e, infine, la previsione di migliore soddisfacimento dei creditori nell'ipotesi liquidatoria concordataria e fallimentare.Sul punto, condivisibile in punto di diritto, appare opportuno svolgere anche alcune considerazioni dettate dalla quotidiana esperienza di crisi d'impresa.Premesso che il piano concordatario è un po' “come la vita” (perché non è mai come te l'aspetti), e considerato l'attuale protrarsi della crisi economica, è auspicabile che valutazioni prognostiche di tenuta del piano possano essere condotte cercando, da un lato, una coerenza con i risultati economici e finanziari realizzati negli esercizi passati, e, dall'altro, cercando quanto più possibile di ancorarsi ad impegni espressi in contratti di durata che possano ragionevolmente garantire la realizzazione dei flussi previsti nel piano.Peraltro la alternativa liquidatoria, che per il legislatore rappresenta il parametro per individuare la migliore soddisfazione per i creditori offerta dal piano di concordato in continuità, paradossalmente può rappresentare un punto a favore della continuità aziendale, vista la attuale fase di stagnazione del mercato immobiliare, a sua volta gravato dal fenomeno del credit crunch, con conseguente estrema difficoltà nell'individuare (e prospettare ai creditori votanti) quale sarà il valore di realizzo degli immobili, in particolare quelli strumentali.D'altra parte è innegabile il favor che il legislatore ha riservato, specialmente con l'introduzione nella legge fallimentare dell'art.186-bis, alle ipotesi di gestione delle crisi aziendali tali da consentire di preservare la continuità aziendale, ritenendo che la sopravvivenza nel mercato di un'impresa operativa sia preferibile, anche per i suoi creditori, rispetto alla sua liquidazione: in questo senso vanno letti tutti gli istituti di protezione del patrimonio dell'impresa in crisi, nonché le rilevanti deroghe al principio della par condicio.Come è stato rilevato, “la conservazione dell'impresa e la migliore liquidazione dell'attivo (auspicabilmente consentita dalla conservazione dell'impresa) rappresentano il primario obiettivo del legislatore, anche se il loro perseguimento può pregiudicare o, quantomeno, allungare le prospettive di recupero dei creditori concorsuali” ( M.Arato, Il concordato con continuità aziendale in ilFallimentarista).Se così è, è ineludibile che tutti gli operatori del diritto compiano uno sforzo per individuare i percorsi possibili per dare concretezza all'obiettivo posto dal legislatore.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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