Omologazione del concordato preventivo (l. fall.)

Chiara Ravina
19 Maggio 2020

L'omologazione del concordato preventivo è quella fase del procedimento concordatario che si apre in caso di approvazione della proposta da parte del ceto creditorio in sede di adunanza.

Inquadramento

Avvertenza – Bussola in aggiornamento.

L'omologazione del concordato preventivo è quella fase del procedimento concordatario che si apre in caso di approvazione della proposta da parte del ceto creditorio in sede di adunanza.

In sede di omologazione il tribunale è chiamato a verificare la regolarità della procedura e la “legittimità” dell'utilizzo dello strumento concordatario in alternativa al fallimento. L'ambito e l'estensione del sindacato del tribunale in sede di omologazione ha ad oggetto, secondo l'opinione pacifica della dottrina e della giurisprudenza, i seguenti profili: (i) la verifica della regolarità della procedura e (ii) la verifica dell'esito della votazione. Più dibattuta è invece la questione se il sindacato del tribunale si estenda anche (e in caso affermativo, in quali termini) alla verifica dei profili relativi (i) alla fattibilità della proposta e (ii) all'assenza di condotte del debitore rilevanti ai sensi dell'art. 173 l. fall.

Sono parti necessarie del procedimento, rispettivamente, il debitore, il commissario giudiziale ed i creditori dissenzienti. Sono considerate parti eventuali (seppur con opinioni discordanti), in particolare, il commissario giudiziale, il pubblico ministero, i creditori assenti.

Il procedimento – che è soggetto alle regole dei procedimenti camerali, seppur declinate in maniera “atipica” - si conclude, alternativamente, con il decreto di omologa (in caso di accoglimento), ovvero, con un decreto di rigetto. Entrambi devono essere motivati e sono impugnabili con il mezzo del reclamo da proporre avanti la Corte d'appello entro i 30 giorni dalla notifica (per il debitore) o dall'inserimento del provvedimento nel registro delle imprese (per i terzi).

L'omologazione della proposta di concordato preventivo: nozione e oggetto del giudizio di omologazione

L'omologazione della proposta di concordato preventivo è una fase del procedimento concordatario – procedimento che, come noto, si dipana dal ricorso per l'ammissione sino alla fase di esecuzione del concordato - e viene in considerazione laddove la proposta venga approvata dai creditori.

Ciò è quanto emerge dall'art. 180 l. fall. (“Giudizio di omologazione”) che, al comma 1, stabilisce: “Se il concordato è stato approvato a norma del comma 1 dell'art. 177, il giudice delegato riferisce al tribunale il quale fissa un'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento venga pubblicato a norma dell'art. 17 e notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti”.

Per poter definire la nozione di omologazione della proposta concordataria occorre analizzare il processo di omologazione sotto un triplice profilo, stabilendo quale ne sia l'oggetto; la struttura (i.e. gli aspetti processuali) e la funzione (i.e. gli effetti).

Sotto il profilo dell'oggetto, è stata correttamente segnalata l'opportunità di non confondere l'oggetto del giudizio di omologazione – attraverso cui si delimita l'ambito del sindacato del tribunale nel giudizio medesimo - con l'oggetto del procedimento di concordato nel suo complesso, rectius con la sua causa, che consiste nella regolazione della crisi dell'imprenditore (così, M. Fabiani, Art. 2221. Fallimento e concordato preventivo. Vol. 2: Concordato preventivo, Bologna, 2014, 646).

Ed infatti, la regolazione della crisi dell'imprenditore è il “presupposto” del concordato e la sua sussistenza viene verificata dal tribunale, come noto, già nella fase di ammissione al concordato. In tale fase, il tribunale, sulla base della documentazione allegata dal debitore ai sensi degli artt. 160 e 161 l. fall., è chiamato a controllare che il debitore presenti i requisiti oggettivi (stato di crisi) e soggettivi (qualità di imprenditore commerciale “non piccolo” ex art. 1 l. fall.) per poter accedere alla procedura e, quindi, regolare i propri debiti secondo le regole del concorso, in una prima fase (sino alla omologazione) e, con le regole negoziali, in una fase successiva (i.e. nella fase c.d. “esecutiva”).

Diversamente, nel giudizio di omologazione si deve discutere se il potere dell'imprenditore di regolare la crisi attraverso la procedura di concordato preventivo anziché di fallimento (o altra procedura liquidatoria di carattere espropriativo) sia stato esercitato legittimamente. E ciò perché, se è vero che la procedura di concordato preventivo è basata sull'attuazione del principio di responsabilità patrimoniale del debitore nel rispetto della par condicio creditorum, è altrettanto vero che tale procedura è soggetta a regole autonome e in parte diverse dal fallimento (si pensi per esempio al fatto che non siano azionabili le azioni revocatorie fallimentari).

Insomma, non tutte le crisi possono essere legittimamente regolate attraverso lo strumento del concordato ed il tribunale - chiamato ad omologare una proposta approvata dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti - deve, in sostanza, verificare la sussistenza di tale potere in capo all'imprenditore.

Ciò detto, occorre allora domandarsi quali siano in concreto gli indici/gli elementi che il tribunale deve prendere in considerazione ai fini di questa verifica.

Orbene, è opinione consolidata della giurisprudenza e della dottrina che il sindacato del tribunale nel giudizio di omologazione debba necessariamente avere ad oggetto:

(a) la verifica della regolarità della procedura, con ciò intendendosi non solo il controllo sulla regolarità formale degli atti posti in essere dal commissario giudiziale e dal giudice delegato, ma anche la verifica sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità della proposta e sulla mancanza di condotte del debitore sanzionabili dall'art. 173 l. fall. (così, ex multis, F.S. Filocamo, Commento sub art. 180 l. fall. in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, II ed., Padova, 2014, 2041-2076; I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in V. Buonocore-G. Bassi, (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010, I, 558-609; App. Salerno, 19 ottobre 2010; Trib. Siracusa, 16 novembre 2010; più in generale, cfr. Indagine OCI, commentata da M. Ferro, P. Bastia, G.M. Nonno, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione – La soluzione negoziata della crisi di impresa: dalla domanda al piano all'attuazione operativa. I progetti aziendali e le scelte processuali; Milano, 2013, 495 e la dottrina e giurisprudenza ivi citate);

(b) la verifica dell'esito della votazione, che, secondo l'orientamento più recente della giurisprudenza, comporta non solo un mero controllo sull'esattezza dei conti, ma altresì implica un controllo sulla regolarità della votazione e sui soggetti ammessi al voto (così, ex multis, F.S. Filocamo, op. cit., 2060; G. Bozza, Il vecchio, l'attuale e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare, in Fall., 2007, 689-700); nel senso che il tribunale è chiamato a verificare la genuinità ed il carattere informato del consenso espresso dai creditori. La sussistenza di tale potere viene motivata, per lo più, sulla base della c.d. natura mista del concordato preventivo, ovverosia la circostanza che, accanto ad una connotazione privatistica dell'istituto, permangono aspetti pubblicistici.

E' opinione altrettanto consolidata che l'oggetto del giudizio di omologazione non muti in presenza di un concordato preventivo con opposizioni o senza opposizioni (così F.S. Filocamo, op. cit., 2061; I. Pagni, op. cit., 587; G. Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in Fall. 2011, 182-196; sub 189-190). Le uniche particolarità del giudizio di omologazione con opposizioni attengono, infatti, all'esame dei motivi proposti dai creditori e al giudizio di convenienza (c.d. cram down), mentre deve ritenersi comune ad entrambi i giudizi di omologazione (con o senza opposizioni) la verifica della regolarità della procedura e dell'esito della votazione richieste dall'art. 180, comma 3, l. fall. e, secondo un certo orientamento (v. infra), la fattibilità della proposta.

Sono invece questioni dibattute in dottrina e in giurisprudenza – o quantomeno lo sono state sino al noto arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 23 gennaio 2013, n. 1521 - se il tribunale sia chiamato o meno ad un controllo:

(a) sulla fattibilità del piano di concordato, da intendersi come “prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati” (così, Cass. SS.UU. n. 1521/2013) e

(b) sull'assenza di condotte del debitore rilevanti ai sensi dell'art. 173 l. fall.

(a) Quanto al controllo di fattibilità, è noto che prima dell'arresto delle Sezioni Unite del 2013, sussistevano, per l'appunto, due opposti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali ed un terzo di matrice esclusivamente dottrinale, che vale la pena ripercorrere, seppur non più del tutto attuali.

Secondo un primo orientamento (che si riscontra, per lo più, nella giurisprudenza di merito) il sindacato sulla fattibilità rientra tra i controlli di regolarità e legittimità della proposta che vengono compiuti d'ufficio dal Tribunale in tutte le fasi della procedura, ivi inclusa quella del giudizio di omologazione (così, ex multis, G. Bozza, op. cit., 189-190; G.B. Nardecchia, Nuova proposta di concordato, istanza di fallimento, e poteri del tribunale in sede di ammissione, in Fall., 2011, 1457-1458; Corte d'Appello Aquila, 10 febbraio 2012; Corte d'Appello Bologna, 15 giugno 2009; Tribunale Perugia 6 novembre 2012).

Il controllo avviene in via officiosa, attraverso le risultanze dell'attestazione e, soprattutto, della relazione del commissario giudiziale ex art. 172 l. fall. e non deve essere confuso con il giudizio sulla convenienza che spetta esclusivamente al ceto creditorio (salvo che in caso di c.d. cram down): il tribunale non deve dare un giudizio di valore sul contenuto della proposta concordataria, ma limitarsi a controllare che l'oggetto dell'accordo proposto dal debitore ai creditori sia astrattamente possibile.

Gli argomenti a fondamento di questo orientamento sono i seguenti: (i) la fattibilità è una condizione di ammissibilità della proposta, in quanto è una caratteristica consustanziale al concetto di piano e oggetto di attestazione necessaria e pertanto deve essere necessariamente verificata dal tribunale nel corso dell'intera procedura; (ii) la riforma della legge fallimentare attuata attraverso la legge n. 134/2012 ha confermato il sindacato del tribunale in punto di fattibilità, nella misura in cui ha esaltato il controllo giudiziale di merito da parte del giudice in numerose fattispecie di nuova introduzione, seppur veicolato da attestazioni tecniche esterne (così, F. Lamanna, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, in questo portale; P. Vella, Lo spettro della fattibilità ed il controllo giudiziale sulla prededuzione nel concordato preventivo riformato, in www.osservatorio-oci.org, 2012, 10; contra Cass. SS.UU. n. 1521/2013 che ritiene trattarsi di “modifiche tutte caratterizzate dalla necessità di un intervento urgente finalizzato a dare corso alla possibilità di accesso alla procedura” e imponenti “necessariamente l'intervento di un organo terzo”, il giudice, “in funzione di garanzia dei creditori”).

Secondo un secondo orientamento (che si riscontra, per lo più, nella giurisprudenza di legittimità), la fattibilità esula dal controllo (anche officioso) del tribunale in sede di omologazione (così, ex multis, Cass. 23 giugno 2011, n. 13817; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274; in dottrina, ex multis, M. Fabiani, Art. 2221. Fallimento e concordato preventivo,cit.). Gli argomenti a fondamento di questo orientamento sono i seguenti: (i) la fattibilità non farebbe parte delle condizioni di ammissibilità della proposta di concordato, fatti salvi alcuni “casi-limite” di impossibilità giuridica oggettiva di adempiere e di opposizione del creditore già consenziente; impostazione che troverebbe conferma anche nel disposto dell'art. 179, comma 2, l. fall. a norma del quale “Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto”; (ii) la valutazione sulla fattibilità del piano deve essere rimessa esclusivamente ai creditori ed il tribunale non può “intervenire” d'ufficio per mettere in discussione l'esito della votazione, salvo che in caso di opposizione di uno dei creditori ovvero di mutamento delle condizioni di fattibilità in epoca successiva al voto. L'unico controllo di fattibilità che il tribunale è legittimato fare è quello in sede di ammissione della proposta di concordato, ma pur sempre “filtrato” attraverso il sindacato sulla relazione di attestazione dell'esperto.

Secondo un terzo orientamento (“intermedio”), minoritario e di stampo esclusivamente dottrinale, l'ampiezza del sindacato del tribunale in sede di giudizio di omologazione varierebbe a seconda della presenza o meno di opposizioni. In particolare, nel primo caso, il tribunale sarebbe legittimato a svolgere un controllo di legittimità sostanziale sulla proposta, tra cui rientra anche la fattibilità del piano, laddove, invece, in assenza di opposizioni all'omologazione, il controllo del tribunale dovrebbe essere limitato alle sole condizioni di legittimità formali (tra cui non rientrerebbero né la veridicità dei dati aziendali, né l'esattezza, l'attendibilità e la congruità delle valutazioni del professionista attestatore) (così, E. Norelli, Il giudizio di omologazione nel concordato preventivo, in R.es.f., 2008, 331).

Intervenendo su questo dibattito la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 1521/2013 ha operato, come noto, una distinzione tra la fattibilità giuridica, di competenza del tribunale, e la fattibilità economica rimessa alla valutazione del ceto creditorio.

I contenuti essenziali della pronuncia in questione e l'analisi degli orientamenti giurisprudenziali che ne sono seguiti sono trattati nella Bussola relativa alla “Fattibilità della proposta di concordato preventivo”, di prossima pubblicazione. In questa sede ci limitiamo a ribadire – per chiarezza espositiva - il significato delle nozioni di fattibilità giuridica e di fattibilità economica, laddove la fattibilità giuridica è stata definita dalla Corte di Cassazione sia come potere-dovere del tribunale di dichiarare l'inammissibilità della proposta concordataria tutte le volte che le “modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili” che mirano a tutelare interessi indisponibili, la cui tutela non è cioè rimessa all'iniziativa di parte; sia come possibilità per il tribunale di indagare la causa in concreto del concordato preventivo, ovverosia l'idoneità del piano e della proposta a consentire il superamento della crisi dell'imprenditore e a garantire un seppur minimo soddisfacimento ai creditori chirografari. La fattibilità economica, invece, attiene agli aspetti economici della proposta e riguarda sia la prognosi circa la ragionevole possibilità che la stessa abbia esito positivo, sia il giudizio di convenienza.

Quest'ultimo giudizio, come noto, è di competenza del tribunale esclusivamente nell'ipotesi di c.d. cram down, ovverosia quando un creditore appartenente ad una classe dissenziente, ovvero in caso di concordato senza classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il 20% dei crediti ammessi al voto contestano la convenienza della proposta; in tale caso il tribunale, a norma dell'art. 180, comma 4, l. fall. deve, per l'appunto, svolgere una valutazione anche sul profilo di “convenienza” della procedura concordataria rispetto ad un'eventuale alternativa fallimentare e “omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili”.

(b) Con riguardo alla questione circa il potere del tribunale di controllo della sussistenza di fatti rilevanti per la revoca ai sensi dell'art. 173 l. fall., l'opinione prevalente è nel senso che il controllo officioso del tribunale in sede di giudizio di omologazione vada esteso anche a questo profilo (così, Indagine OCI, cit., 490-491). In tal senso, la nota sentenza n. 1521/2013 delle Sezioni Unite confermerebbe questa impostazione, laddove afferma che l'estensione del sindacato del tribunale sulla proposta concordataria è la medesima nel corso del procedimento e quindi nelle fasi di: ammissibilità, revoca ed omologazione (sul profilo specifico riguardante le modalità con cui il procedimento di revoca ex art. 173 l. fall. si declina nel giudizio di omologazione, cfr. infra).

Sindacato del tribunale sulla fattibilità della proposta in sede di omologa: orientamenti a confronto pre-Sezioni Unite n. 1521/2013

Favorevole

Contrario

Intermedio

App. L'Aquila, 10 febbraio 2012

Cass. n. 13817/2011

Norelli, cit.

App. Bologna, 15 giugno 2009

Cass. n. 3586/2011

Trib. Perugia, 6 novembre 2012

Cass. n. 3274/2011

Lamanna, cit.

Fabiani, cit.

Bozza, cit.

Nardecchia, cit.

Vella, cit.

Per quanto concerne la struttura del processo, l'art. 180, comma 1, l. fall. contiene un espresso riferimento all' “udienza in camera di consiglio”. Senonché, il modello di procedimento adottato non è né quello generale del codice di rito ex artt. 737 ss c.p.c. né quello camerale “arricchito” previsto dall'art. 26 l. fall. e richiamato, per il concordato fallimentare, dall'art. 129 l. fall.

Ferme le particolarità di cui sopra, il tratto distintivo del procedimento in questione è, però, certamente quello dei procedimenti in camera di consiglio, come conferma, da un lato, il dato letterale dell'art. 180, comma 1, l. fall. con il riferimento all'udienza in camera di consiglio sopra citato e, dall'altro lato, il fatto che il modello processuale sia lasciato alla completa discrezionalità del giudice, tant'è che manca un richiamo espresso ai procedimenti camerali come declinati in sede fallimentare. Ciò che è certo è che il tribunale potrà disporre l'assunzione delle informazioni di cui all'art. 738, comma 3, c.p.c. esercitando così dei poteri istruttori, e ciò non soltanto nel caso in cui siano state proposte opposizioni, ma altresì in mancanza delle stesse. Ed infatti, secondo parte della dottrina, l'espressione di cui all'art. 180, comma 4, l. fall.: “Se sono state proposte opposizioni il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio (…)” non deve essere intesa nel senso che, in mancanza di opposizioni l'attività istruttoria sia inibita, bensì in senso opposto e cioè quello di prevedere che nel giudizio di omologazione sono ammessi non soltanto i mezzi di prova di cui all'art. 738 c.p.c., ma anche quelli sollecitati ad iniziativa di parte; inoltre non vi sono preclusioni quanto alla tipologia degli accertamenti istruttori che possono estendersi anche ai mezzi di prova costituendi ed alla consulenza tecnica d'ufficio (così, M. Fabiani, op. ult. cit., 667 et seq. e dottrina ivi citata).

Per completezza segnaliamo che, secondo un certo orientamento, la natura del procedimento in questione andrebbe diversamente classificata a seconda che vi siano o meno opposizioni. In particolare, in presenza di opposizioni si avrebbe un processo contenzioso, mentre nel secondo caso un processo di volontaria giurisdizione (così, E. Pacchi, Il concordato preventivo, in E. Bertacchini e altri, Manuale di diritto fallimentare, Milano 2011, 518; contra M. Fabiani, op. ult. cit., 648, ove l'Autore evidenzia come le opposizioni non allarghino l'oggetto del giudizio ma solo la cognizione del giudice sugli antecedenti logici da accertare, mentre l'assenza di opposizioni restringa, per l'appunto, tale cognizione. Tutto questo, però – sostiene l'Autore – non riguarderebbe la natura volontaria o contenziosa del procedimento).

Per quanto concerne la funzione del giudizio di omologazione, essa consiste nel consentire che, con il decreto di omologazione, gli effetti dell'accordo stipulato tra il debitore ed i propri creditori si propaghino ai terzi, in modo che si producano tutti gli effetti del concordato: si pensi agli effetti di esdebitazione rispetto ai creditori ex art. 184 l. fall.; agli effetti sull'esenzione dalle azioni revocatorie (art. 67 comma 3, lett. e) l. fall.) e agli effetti ai fini dell'esimente dal reato di bancarotta (art. 217 bis l. fall.).

Gli aspetti processuali del giudizio di omologazione

Con riguardo ai profili processuali del giudizio di omologazione, occorre chiedersi in primo luogo chi siano le parti necessarie del giudizio e le parti eventuali.

Ricordiamo che per “parti necessarie” si intendono le parti del processo in senso formale, cioè coloro che pongono in essere un atto di iniziativa processuale o nei confronti delle quali tale atto è posto in essere. Per “parti eventuali” si intendono invece quei soggetti che possono (ma non devono necessariamente) partecipare al processo.

E' altresì bene precisare che, secondo una certa dottrina, le “parti necessarie” sono tali non in quanto hanno un onere di necessaria partecipazione al giudizio di omologazione, potendo le stesse teoricamente non costituirsi in giudizio, ma unicamente perché devono essere messe in grado di partecipare al giudizio medesimo, qualora lo ritengano necessario (così, F.S. Filocamo, op. cit., 2052). Resta fermo che la mancata costituzione di una parte necessaria comporta la dichiarazione di contumacia, con tutte le relative conseguenze (così B. Quatraro, Riforma del fallimento – Il concordato preventivo, G.dir.So., dossier n. 5, 2006, 82-111).

Ciò detto, è certamente parte necessaria il debitore, che è anche l'unico soggetto legittimato a promuovere il giudizio di omologazione attraverso la domanda di concordato. Ed infatti, se è vero che il procedimento di omologazione prende formalmente avvio con l'iniziativa del giudice delegato che - accertata l'approvazione della proposta - chiede che il tribunale fissi l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale (arg. ex art. 180, comma 1, l. fall.); è altrettanto vero che l'atto di impulso processuale del procedimento in questione è la domanda di concordato.

Sono, poi, considerate parti necessarie anche il commissario giudiziale (pressoché unanimemente) ed i creditori dissenzienti (seppur, per questi ultimi, non vi sia totale unanimità di vedute). La qualità di “parte necessaria” dei predetti soggetti si ricava, da un lato, dal ruolo che gli stessi rivestono nell'ambito del giudizio di omologazione e, dall'altro lato, dalla circostanza che essi sono i destinatari del decreto di fissazione dell'udienza ai sensi dell'art. 180, comma 1, l. fall.

Con particolare riguardo alla questione circa l'inclusione dei creditori dissenzienti tra le “parti necessarie” segnaliamo la presenza di due opposti orientamenti in dottrina: secondo un primo orientamento essi sarebbero parti necessarie (così, F. Filocamo, op. cit., 2052; B. Quatraro, op. cit., 99) così che, in caso di omessa notificazione ad uno di essi del decreto di fissazione dell'udienza ai sensi dell'art. 180, comma 1, l. fall., sarebbe necessario pronunciare l'ordine di integrazione del contraddittorio (così, P. Pajardi – A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 875); secondo un altro orientamento, invece, i creditori dissenzienti sarebbero parti eventuali in quanto la notifica del decreto di fissazione dell'udienza rappresenterebbe una mera provocatio ad opponendum, ma non li renderebbe destinatari di una vera e propria vocatio in ius (così, S. Pacchi – L. D'Orazio – A. Coppola, Il concordato preventivo, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, II, Milano, 2009, 1879; L. Pica, Fallimenti e concordati, in P. Celentano – E. Forgillo (a cura di) Fallimenti e concordati, 2008, 1155, n. 270).

In particolare, quest'ultimo orientamento pone a fondamento della propria tesi sia il dato letterale dell'art. 180, comma 2, l. fall. - ove si dice che gli “eventuali” creditori dissenzienti devono costituirsi in giudizio nei dieci giorni anteriori all'udienza fissata per l'omologa (con ciò dimostrando che la loro partecipazione al giudizio sarebbe meramente “eventuale”) - sia il meccanismo del silenzio-assenso di cui all'art. 178 l. fall. (peraltro, vigente sino all'introduzione delle modifiche di cui al D. L. n. 83/2015).

Al contrario, la giurisprudenza è divisa sulla qualifica di parte necessaria dei seguenti soggetti:

(i) il pubblico ministero;

(ii) i creditori non ammessi al voto;

(iii) i soci illimitatamente responsabili di società di persone;

(iv) il garante,

(v) l'assuntore e

(vi) i creditori che si costituiscono ai sensi dell'art. 179 l. fall. al solo scopo di far risultare la modifica della propria adesione in voto contrario a seguito delle mutate condizioni di fattibilità del piano.

Tutti soggetti questi che, almeno secondo una parte della giurisprudenza, sarebbero invece parti facoltative del giudizio in questione (per le diverse posizioni della giurisprudenza sul punto, si rimanda all'Indagine OCI cit., 423 ss.).

Con particolare riguardo al pubblico ministero, la questione della sua natura di parte necessaria o meno si intreccia con altra questione ampiamente dibattuta circa l'obbligatorietà o facoltatività del suo intervento nel giudizio in questione. In particolare, dall'Indagine OCI sopra citata è emersa una situazione di notevole incertezza, a livello di giurisprudenza, sul ruolo del pubblico ministero nell'ambito del concordato preventivo e, più in generale, sulla natura del procedimento che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella pronuncia n. 1521/2013, ha considerato mista, con presenza di interessi pubblicistici.

Ed infatti, nel vigore del R. D. n. 267/1942 era l'art. 162 l. fall., applicabile ratione temporis, a stabilire espressamente che il tribunale sentito il pubblico ministero poteva dichiarare l'inammissibilità della proposta concordataria a cui seguiva la dichiarazione di fallimento d'ufficio. La mancata partecipazione del pubblico ministero al procedimento avrebbe comportato la nullità del decreto di inammissibilità della proposta e della conseguente sentenza dichiarativa di fallimento.

Viceversa, il D. Lgs. n. 169/2007 ha stabilito che la proposta di concordato preventivo “è comunicata al pubblico ministero”, ma nulla ha previsto con riguardo al giudizio di omologazione. Tuttavia, considerato che il pubblico ministero può chiedere la pronuncia di fallimento ai sensi dell'art. 180, comma 7, l. fall. a seguito della mancata omologazione – analogamente a quanto avviene a seguito di pronuncia di inammissibilità della proposta da parte del tribunale ai sensi dell'art. 162 l. fall. nel corso della procedura di revoca ovvero in caso di risoluzione del concordato ex art. 186 l. fall. - la dottrina è dell'avviso che il decreto di fissazione dell'udienza di omologazione debba essergli comunicato (così, E. Norelli, op. cit., 504; S. Pacchi – L. D'Orazio – A. Coppola, op. cit., 1878).

Venendo allora alla questione della obbligatorietà (art. 70, comma 1, n. 5, c.p.c.) o facoltatività (art. 70, comma 2, c.p.c.) dell'intervento del pubblico ministero, l'opinione dottrinale prevalente e la giurisprudenza di legittimità sostengono la tesi della facoltatività dell'intervento (cfr. E. Norelli, op. cit., 508; G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale. Profili di diritto sostanziale, in V. Buonocore – A. Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, I, Padova, 2010, 509; M. Vitiello, Commento sub art. 180 l. fall., in G. Lo Cascio (diretto da) Codice commentato del fallimento, Milano, 2008, 1575; in giurisprudenza, ex multis, Cass. 22 luglio 2011, n. 16136; Cass. 31 marzo 2010 n. 7953) sul presupposto che esso sia funzionale all'esercizio, da parte del pubblico ministero, della facoltà di chiedere il fallimento in caso di non omologazione della proposta ex art. 180, comma 7, l. fall.

L'orientamento opposto (minoritario) che sostiene l'obbligatorietà dell'intervento fa leva sulla sussistenza di interessi pubblici sottesi alla procedura di concordato ed al fatto che, una volta che il pubblico ministero viene notiziato (obbligatoriamente da parte del tribunale) dell'esistenza della procedura di concordato, si trova nella condizione d dover intervenire ed esercitare tutti i poteri che la legge gli attribuisce (così G. Rago, op. cit., 2068).

Per quel che concerne la legittimazione a proporre opposizione all'omologa, sono legittimati i creditori dissenzienti e ogni altro possibile interessato, tra cui i creditori privilegiati non votanti e coloro che neppure rivestono la qualità di creditori o ancora coloro che assumono di essere tali ma le cui pretese sono contestate. In altri termini il novero dei soggetti interessati che possono proporre opposizione all'omologazione è piuttosto ampio con il limite che essi devono essere titolari di una posizione giuridica soggettiva rilevante che sarebbe incisa se il concordato venisse approvato.

Più in particolare, tra i soggetti legittimati ad opporsi, la giurisprudenza richiama – con (quasi) unanimità di vedute – il creditore dissenziente in sede di adunanza; il creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente; il pubblico ministero; il creditore escluso in sede di votazione; resta minoritaria l'opinione di quella parte della giurisprudenza che include tra i soggetti legittimati ad opporsi anche l'assuntore; il creditore escluso ai sensi dell'art. 177 comma 2 l. fall. (prelatizio pagato integralmente); il socio illimitatamente responsabile, i cessionari/aggiudicatari dei crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato; il coniuge del debitore/parenti ed affini fino al quarto grado, il socio di società di capitali (per le diverse posizioni di giurisprudenza e dottrina, cfr. Indagine OCI, 426-427).

Venendo al procedimento secondo cui si svolge il giudizio di omologazione - oltre al richiamo alle questioni relative alla natura camerale del rito (su cui cfr. supra) - segnaliamo come, ai sensi dell'art. 180 l. fall., il tribunale debba svolgere un'attività istruttoria, anche ufficiosa, soltanto nel caso siano state proposte opposizioni all'omologazione. In realtà, parte della dottrina (cfr. M. Fabiani, op. ult. cit., 669 ss.) è dell'avviso che una qualche attività istruttoria debba essere svolta anche in assenza di opposizioni: e ciò considerato che il modello camerale a cui è ispirato il procedimento di omologazione contempla l'assunzione di informazioni da parte del tribunale ai sensi dell'art. 738, comma 3, c.p.c.; e che nella “assunzione di informazioni” confluisce, tra l'altro, un ampio spettro di mezzi istruttori. La circostanza che il tribunale possa svolgere attività istruttoria anche in assenza di opposizioni si giustifica sul presupposto che, come già accennato (cfr. supra) l'oggetto del giudizio di omologazione non muta per la presenza o meno di eccezioni, sollevate dai creditori, dagli altri interessati o dal commissario giudiziale ed il giudice deve, sempre ed in ogni caso, verificare se sussistono o meno i presupposti per attribuire efficacia all'accordo tra il debitore ed i creditori.

Quanto all'ampiezza dei poteri istruttori, è noto che i poteri istruttori d'ufficio del giudizio camerale sono più ampi di quelli del giudizio di cognizione. Nell'ambito del procedimento di omologa questi poteri devono, però, declinarsi in maniera compatibile con il principio dispositivo, ovverosia con il principio che il giudice non può disporre d'ufficio mezzi di prova, ma deve muoversi entro i limiti delle allegazioni delle parti nel rispetto di quanto previsto dall'art. 115 c.p.c. E' opinione pressoché pacifica che tra i mezzi istruttori che il tribunale può disporre sia inclusa anche la consulenza tecnica d'ufficio (così ex multis, Cass. 13 marzo 2009, n. 6155 e Indagine OCI, cit. 481).

In evidenza: la sospensione feriale dei termini nel giudizio di omologazione

La stragrande maggioranza della giurisprudenza attuale è dell'avviso che la sospensione feriale dei termini processuali stabilita, in generale, dall'art. 1 l. n. 742/1969 sia applicabile al giudizio di omologazione (cfr. ex multis Cass. 4 febbraio 2009 n. 2706 e Indagine OCI, 423).

Prima della riforma del 2007-2009, la giurisprudenza era divisa sull'applicabilità della sospensione feriale dei termini al concordato preventivo in generale. Più in particolare, in un primo momento, la sospensione era stata ritenuta non applicabile al concordato preventivo in considerazione dell'analogia tra tale procedura e le “cause relative alla dichiarazione e revoca di fallimenti”. In seguito, la Cassazione ha espresso un diverso orientamento, affermando l'estensione della deroga al principio di sospensione feriale dei termini anche al concordato preventivo in forza di un'interpretazione estensiva dell'art. 92 O.G., che ha ritenuto consentita perché i giudizi di omologazione “hanno ad oggetto in via primaria l'accertamento in ordine all'esistenza o meno delle condizioni di ammissibilità del concordato e, in via secondaria, in caso di esito negativo, il mero riscontro dei presupposti del fallimento dedotti dallo stesso imprenditore, svolgendosi la procedura appunto sul presupposto dell'esistenza oggettiva dello stato di insolvenza e della consapevolezza dello stesso da parte dell'istante all'epoca della domanda di ammissione al concordato (art. 160 l. fall.)” e ciò impone di includerli nella categoria delle cause relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti (così, Cass. 27 gennaio 1995, n. 970; Cass. 4 marzo 1994, n. 2139).

Dopo la riforma del 2005-2007, vi sono state pronunce che hanno consapevolmente affermato il superamento delle argomentazioni dell'indirizzo da ultimo citato ed hanno rivalutato l'indirizzo precedente, ritenendo operante, anche nel concordato preventivo, la sospensione feriale dei termini nel periodo feriale (così Tribunale Pescara, 16 ottobre 2008; Tribunale Padova, 23 febbraio 2006, Tribunale Pescara, 13 ottobre 2005) e ciò in ragione (i) del diverso presupposto che porta all'apertura della procedura di concordato rispetto al fallimento e (ii) della necessità di uno specifico accertamento dello stato di insolvenza per aversi il passaggio dal concordato preventivo al fallimento; elementi che renderebbero evidente la diversità tra le due procedure e la conseguente impossibilità di applicazione “estensiva” della deroga alla sospensione. Da ultimo, si è pronunciata in questo senso la sentenza della Corte di Cassazione del 2009 sopra citata.

E' stato fatto correttamente notare come l'applicazione della sospensione feriale alla procedura di concordato preventivo comporti un notevole allungamento dei tempi della procedura. Ed infatti, già la procedura di concordato con riserva ex art. 161, comma 6, l. fall. prevede, come noto, che al debitore sia concesso un periodo che va dai 60 ai 180 giorni per poter presentare la proposta ed il piano concordatari. Ora, aggiungendo il periodo di sospensione feriale (1-31 agosto) è evidente come possa risultare difficoltoso rispettare il termine di nove mesi (che sino alle modifiche del D. L. n. 83/2015 era di sei mesi) di durata complessiva della procedura di concordato preventivo previsto ai sensi dell'art. 181 l. fall. (cfr., sul punto, Indagine OCI cit., 476-477).

Venendo alla decisione del tribunale sulla richiesta di omologa, essa assume la forma del decreto ed ha un contenuto “vincolato”, nel senso che i tribunale può soltanto omologare il concordato o rigettare la richiesta; non può cioè omologare il concordato modificando le condizioni della proposta sulle quali vi è stato il consenso dei creditorio. La ratio di tale impostazione è riconducibile a due principi: (i) la natura contrattuale-privatistica del concordato: nel concordato esiste una base negoziale che esprime una sfera di autonomia privata che non può essere intaccata dal tribunale; (ii) la proposta di concordato è contenuta in un ricorso che ha anche il valore di domanda giudiziale, sicché il giudice, in aderenza al principio dispositivo previsto ai sensi dell'art. 112 c.p.c. non può accogliere una domanda che non è stata formulata (così, M. Fabiani, op. ult. cit., 672 ss.).

Dunque se il tribunale accoglie la domanda, emette un decreto di omologazione; se, invece, il tribunale ritiene che la richiesta non sia accoglibile, respinge il concordato con un decreto di rigetto; entrambi i provvedimenti devono essere motivati (cfr. art. 180, comma 7, l. fall.). In caso di rigetto, accertata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 (fallibilità) e 5 (stato di insolvenza) l. fall. il tribunale può dichiarare il fallimento del debitore, sempre che vi siano istanze in tal senso dei creditori o del pubblico ministero (non più d'ufficio). In assenza di istanze di fallimento, il tribunale può trasmettere gli atti al pubblico ministero perché assuma l'iniziativa di cui all'art. 7 l. fall.

Come anticipato, il decreto (sia di accoglimento sia di diniego) deve essere motivato e deve dare adeguatamente conto delle verifiche e delle valutazioni svolte dal tribunale e delle risultanze dei mezzi di prova assunti e non può prescindere dal contenuto delle opposizioni. Il decreto deve essere comunicato al debitore ed al commissario giudiziale e, secondo parte della dottrina, anche alle parti costituite (così A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, sub art. 180 l. fall., Padova, 2014); esso inoltre deve essere pubblicato ai norma dell'art. 17 l. fall. e comunicato, senza formalità, ai creditori.

Il contenuto “necessario” del decreto di omologa è, per l'appunto, l'omologazione del concordato preventivo, cui conseguono gli effetti (costituitivi; esdebitatori o diversamente modificativi) previsti dal piano e regolati dall'art. 184 l. fall. (si pensi, in particolare, ai coobbligati, fideiussori e obbligati in via regresso); il ritorno in bonis del debitore; l'obbligo del medesimo (e di eventuali assuntori o garanti) di dare esecuzione al piano; la modificazione delle funzioni degli organi della procedura nei termini di cui all'art. 185 l. fall. (i.e. Il decreto di omologa è provvisoriamente esecutivo e tale provvisoria esecutività del decreto anticipa gli effetti della chiusura del concordato preventivo al momento del deposito del decreto di omologazione rispetto alla sua acquisizione di definitività, anche nel caso in cui sia soggetto ad impugnazione).

Il ruolo del Commissario Giudiziale: poteri “processuali” e poteri “sostanziali” – il rapporto con il giudizio di revoca ex art. 173 l. fall.

Un paragrafo a parte merita la questione relativa al ruolo del commissario giudiziale nell'ambito del giudizio di omologa. Si tratta di un ruolo particolare, in quanto, da un lato,, egli è parte formale del processo (così, Cass. 9 maggio 2007 n. 10632) nel senso già detto che deve essere posto nelle condizioni di partecipare (non nel senso che debba necessariamente parteciparvi), ma non è normalmente parte in senso sostanziale in quanto non ha, nella generalità dei casi, un interesse proprio da far valere. Dall'altro lato, egli interviene come organo della procedura, quasi una sorta di ausiliario del giudice, visto che deve depositare un parere finale motivato sulla richiesta di omologa.

Con particolare riguardo ai poteri del commissario giudiziale, è oggetto di dibattito se tra di essi via sia il potere di proporre opposizione all'omologazione (cfr. Indagine OCI, 464 ss.; M. Ferro, La legge fallimentare, II, Padova, 2011). Il dubbio nasce essenzialmente dal fatto che l'opposizione presupporrebbe, a rigore, la sussistenza di un interesse proprio del commissario quale parte sostanziale. Viceversa se si considera il ruolo del commissario giudiziale quale organo della procedura che agisce nell'interesse della massa dei creditori che rappresenta formalmente, diventa difficile immaginare una opposizione del commissario posto che i creditori si sono espressi con la votazione approvando il concordato.

In realtà, chi ha sostenuto l'ammissibilità dell'opposizione del commissario giudiziale ha fatto leva sul suo ruolo pubblicistico di tutela degli interessi pubblici sottesi alla procedura, di interessi anche di contraenti in bonis (come dipendenti o fornitori); ed ha ricordato come il profilo pubblicistico della procedura di concordato sia stato espressamente consacrato nella nota sentenza della Cassazione S.U. n. 1521/2013 che ha rilevato come il legislatore del D. L. n. 80/2005 abbia valorizzato l'elemento negoziale della procedura di concordato, ma non si sia “curato di cancellare tutti gli aspetti pubblicistici”, tenendo conto, dunque, delle forti limitazioni e compressioni che subiscono i creditori nel procedimento di concordato.

Coloro che, invece, escludono la legittimazione del commissario giudiziale a proporre opposizione fanno leva sul fatto che ai sensi di legge il tribunale, in assenza di opposizioni, dovrebbe limitarsi a verificare la regolarità della procedura e poi procedere all'omologazione, senza svolgere ulteriori indagini sui profili di fattibilità del piano (cfr. Indagine OCI cit., 455 e 456).

Un ulteriore profilo oggetto di contrasto riguarda la necessità o meno che il commissario giudiziale si costituisca nel giudizio di omologazione e le relative modalità in cui tale costituzione si svolge. Ed infatti, secondo alcuni, non vi sarebbe necessità di costituzione del commissario in quanto questi è già presente nel giudizio dovendo provvedere al deposito del parere motivato e ad esporre nella relazione ex art. 172 l. fall. il contenuto dello stesso. Tuttavia, in mancanza di costituzione in giudizio, egli non sarebbe legittimato ad interloquire con le altre parti, con conseguente impossibilità di proporre opposizione all'omologazione.

Nell'ambito dell'analisi della posizione del commissario giudiziale, riveste particolare rilievo la questione relativa alla possibilità o meno per il commissario di aprire un procedimento di revoca del concordato ai sensi dell'art. 173 l. fall. nell'ambito del giudizio di omologazione.

In senso affermativo, si sono espresse la quasi unanimità della dottrina e della giurisprudenza (cfr. ex multis F. Filocamo, op. cit., 2067; A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2014, commento sub art. 180 l. fall.; Cass. 15 settembre 2011 n. 18864; Corte d'Appello L'Aquila, 10 ottobre 2012; Tribunale Ancona, 25 marzo 2010 ) sul presupposto che l'art. 173 l. fall. risulta applicabile per tutto il corso della procedura che si conclude, per l'appunto, con il decreto di omologazione (cfr. art. 181 l. fall.: “la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell'art. 180”). Del resto, è opinione ampiamente consolidata che, ove venga proposta un'opposizione all'omologazione basata su fatti rilevanti ex art. 173 l. fall., l'accertamento di essi entri a far parte dell'oggetto del giudizio demandato al tribunale, il quale dovrà assumere, in caso di accertamento positivo, un provvedimento che nega l'omologazione del concordato.

Quello che rimane in discussione è se i predetti fatti – che giustificano, per l'appunto, l'apertura di un procedimento di omologazione – debbano essere necessariamente introdotti nel giudizio di omologazione per il tramite di una opposizione, ovvero siano rilevabili (sempre che non emergano degli atti, ovvero dalla relazione del commissario giudiziale) dal tribunale anche in mancanza di opposizione. Questa seconda opzione pare essere quella prevalente; opzione però che dà luogo ad una serie di problematiche giuridiche; in particolare, nell'ipotesi in cui venga proposta opposizione all'omologazione, le caratteristiche strutturali del procedimento di omologa non risultano sostanzialmente differenti rispetto a quelle di cui all'art. 15 l. fall. richiamato dall'art. 173 l. fall.; se, invece, i fatti a fondamento della revoca vengono “veicolati” dal parere ex art. 180 l. fall. del commissario giudiziale non costituito in giudizio (ovvero da altri atti della procedura utilizzabili dal tribunale o da una richiesta di fallimento del pubblico ministero, ove non lo si consideri parte necessaria), il giudizio di omologazione si svolge con modalità tali da non garantire il diritto di difesa del debitore (ma anche delle altre parti) in misura analoga a quella del procedimento ex art. 15 l. fall.: si pensi, inter alia, all'impossibilità di procedere ad un'attività istruttoria, sia su impulso di parte, sia d'ufficio. Secondo parte della dottrina, la problematica sopra descritta potrebbe essere superata sul piano procedimentale, ritenendo che, qualora dovessero emergere fatti rilevanti ai sensi dell'art. 173 l. fall., in un giudizio di omologazione ove non siano state proposte opposizioni, il tribunale debba innestare un subprocedimento di revoca dell'ammissione nel quale le predette attività difensive ed istruttorie potrebbero essere espletate (cfr. M. Ferro, op. cit., 2067).

Le fasi successive al giudizio di omologazione: brevi cenni

L'art. 183 l. fall. stabilisce al comma 1 che “contro il decreto del tribunale può essere proposto reclamo alla corte di appello, la quale pronuncia in camera di consiglio” e al secondo comma “Con lo stesso reclamo è impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente emessa a norma dell'art. 180, comma 7”.

La norma è stata interamente novellata con il D. Lgs. n. 169/2007 allo scopo di “chiarire e razionalizzare il regime di impugnativa dei provvedimenti emessi all'esito del giudizio di omologazione, nel rispetto dei principi del giusto processo” (così Relazione illustrativa al D. Lgs. n. 169/2007). In altri termini, se l'obiettivo era quello di trasformare il giudizio di omologazione in un giudizio di natura camerale concluso con un decreto, era ragionevole aspettarsi che anche l'impugnazione del decreto medesimo dovesse svolgersi nelle medesime forme e che il legislatore si occupasse anche dell'impugnazione dell'eventuale sentenza dichiarativa di fallimento emessa in caso di rigetto dell'omologazione.

Senonché l'art. 183 l. fall. non dice né entro quale termine può essere proposto il reclamo (contro il decreto del tribunale), né da chi, né con quale procedura, né seguendo le forme di quale altro procedimento camerale, né entro quale termine il decreto della corte d'appello sia impugnabile in cassazione; né cosa accade laddove, omologato il concordato, il decreto sia stato impugnato e l'impugnazione sia accolta dalla corte d'appello.

Secondo una certa dottrina, si deve applicare, per analogia, il modello processuale previsto ai sensi dell'art. 18 l. fall. e ciò in considerazione del fatto che in sede di omologa può anche essere emessa la sentenza di fallimento (in caso di rigetto dell'omologa) e con il medesimo reclamo può essere impugnata, per l'appunto, anche la sentenza di fallimento medesima (così, E. Filocamo, op. cit., 378). Secondo altra dottrina, invece, non può escludersi l'applicazione del modello generale di reclamo avverso i provvedimenti emessi in camera di consiglio (artt. 739 ss. c.p.c.) anche se poi la medesima dottrina ritiene che siffatta lettura sia passibile di censura di costituzionalità per la differenza ingiustificata di trattamento tra la procedura di reclamo fallimentare e quella dei procedimenti camerali (così, S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, Padova, 2007, 11, I, 136). L'Autore esclude l'ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Costituzione.

In linea generale, si può senza dubbio affermare che si tratta di un procedimento camerale e che il reclamo deve introdursi con un ricorso rivolto alla Corte d'appello, che è l'organo competente alla decisione. Il termine, se si adotta il modello dell'art. 18 l. fall., è di 30 giorni decorrenti per il debitore dalla notifica del decreto e per i terzi dall'inserimento del provvedimento nel registro delle imprese.

Alla luce di quanto precede, si può ritenere che il procedimento di omologazione si svolga su tre gradi, di cui due di merito ed uno di legittimità, che determinano, al loro esaurirsi, il passaggio in giudicato del provvedimento, ovverosia la sua definitività ed intangibilità. La sua valenza è strumentale al processo, nel senso che non riguarda e non condiziona i crediti o i debiti dell'imprenditore che non possono, neppure incidentalmente, essere quantificati o qualificati dal provvedimento che decide definitivamente sull'omologa (così, F.S. Filocamo, op. cit., in M. Ferro, Aggiornamento, 379; il medesimo Autore avanza poi un dubbio di costituzionalità sulla norma in questione, relativo alla limitazione della legittimazione attiva al debitore ed agli opponenti, esclusi i creditori dissenzienti).

Riferimenti

Normativi

  • Art. 180 l. fall.
  • Art. 173 l. fall.
  • Art. 179 l. fall.

Giurisprudenziali

  • Cass. S.U. n. 1521/2013

Bibliografia

  • M. Fabiani, Art. 2221. Fallimento e concordato preventivo. Vol. 2: Concordato preventivo, Bologna, 2014
  • F. S. Filocamo, Commento sub art. 180 l. fall. in M. Ferro (a cura di) La legge fallimentare, II ed., Padova, 2014
  • Indagine OCI, commentata da M. Ferro, P. Bastia, G.M. Nonno, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione – La soluzione negoziata della crisi di impresa: dalla domanda al piano all'attuazione operativa. I progetti aziendali e le scelte processuali; Milano, 2013
  • F. Lamanna, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, in www.osservatorio-oci.org, 2012
  • M. Vitiello, Commento sub art. 180 l. fall., in G. Lo Cascio (diretto da) Codice commentato del fallimento, Milano, 2008
  • Maffei Alberti, Sub art. 180 l. fall., in Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2014
Sommario