Luca Caputo
09 Giugno 2016

Il pegno - su cui il legislatore è da ultimo intervenuto con d.l. 3 maggio 2016, n. 59 - è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore una causa legittima di prelazione, in virtù del quale questi acquista un diritto di prelazione sulla cosa data in garanzia, che gli consente di soddisfarsi sul ricavato della vendita forzata con preferenza sugli altri creditori, in deroga alla regola della par condicio creditorum di cui all'art. 2741, comma 1, c.c. L'art. 2784 c.c. stabilisce che il pegno è costituito a garanzia dell'obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore.
Inquadramento

Il pegno - su cui il legislatore è da ultimo intervenuto con d.l. 3 maggio 2016, n. 59 - è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore una causa legittima di prelazione, in virtù del quale questi acquista un diritto di prelazione sulla cosa data in garanzia, che gli consente di soddisfarsi sul ricavato della vendita forzata con preferenza sugli altri creditori, in deroga alla regola della par condicio creditorum di cui all'art. 2741, comma 1, c.c.

L'art. 2784 c.c. stabilisce che il pegno è costituito a garanzia dell'obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore.

Esso può avere ad oggetto beni mobili, universalità di beni mobili (art. 816 c.c.), crediti ed altri diritti aventi ad oggetto beni mobili (ad es. il diritto di usufrutto).

Il contratto di pegno si caratterizza dunque per la sua natura accessoria rispetto al credito garantito, per cui se questo è invalido, oppure estinto, anche il pegno risulta privo di causa; il pegno è anche indivisibile ex art. 2799 c.c.

La valida costituzione del pegno presuppone di norma la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l'esclusiva disponibilità della cosa ex art. 2786, comma 1, c.c., per cui esso è ricondotto nell'area dei contratti reali, per la cui conclusione è necessaria la traditio rei.

In realtà la consegna della cosa su cui si costituisce il pegno non è necessaria tanto la valida costituzione del pegno tra le parti, quanto ai fini dell'opponibilità della causa legittima di prelazione nei confronti dei terzi e, quindi, per far sì che il creditore pignoratizio possa esercitare la prelazione di cui all'art. 2787 c.c.

Il pegno, pur essendo un istituto di origine antica (già nel diritto romano esisteva il cd. “pignus) è da sempre crocevia di una serie di dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, che certificano il disagio della prassi economico-sociale rispetto all'immobilizzazione della ricchezza, cioè dei beni su cui viene costituito tale diritto reale di garanzia.

L'autonomia privata, infatti, ha elaborato a tale scopo una serie di figure controverse di pegno, definite “anomale” o “atipiche”, come in generale quella del “pegno senza spossessamento”, in cui sono riconducibili il pegno consensuale, il pegno su cosa futura ed il pegno rotativo.

Dall'altra parte, poi, vi sono alcune tipologie di pegno, sempre frutto della libera autodeterminazione delle parti, come il “pegno omnibus o “irregolare” che pongono problemi di compatibilità con le caratteristiche proprie del pegno.

Presupposti del pegno; il pegno senza spossessamento

La legge riconduce al pegno una serie di effetti:

  • il sorgere del diritto di prelazione a favore del creditore sulla cosa data in pegno (artt. 2787-2788 c.c.),
  • la possibilità per il creditore di agire in rivendica (art. 2789 c.c.),
  • di fare propri i frutti della cosa, ove questa sia fruttifera (art. 2791 c.c.),
  • il diritto di ritenzione del bene per il creditore insoddisfatto (art. 2794, comma 1, c.c.),

con efficacia “erga omnes”, dal momento che il pegno è un diritto reale su cosa altrui e, dunque, mutua i connotati tipici dei diritti reali (diritto di sequela, assolutezza ecc.).

Affinché il pegno possa produrre i suddetti effetti, però, è necessario che sia validamente costituito e, dunque, che siano rispettati una serie di requisiti legali.

Il principio di accessorietà ricavabile dall'art. 2784 c.c. comporta la nullità del pegno per difetto di causa laddove questo sia costituito per un credito inesistente, ma non invece in caso di crediti condizionali o che possono eventualmente sorgere in dipendenza di un rapporto già esistente, in applicazione analogica dell'art. 2852 c.c. (in materia di ipoteca).

Tuttavia in quest'ultimo caso è necessaria, per la validità del contratto, la determinazione o determinabilità del credito, che postula non solo l'individuazione dei soggetti del rapporto, ma anche della sua fonte; ferma restando la validità ed efficacia “inter partes” del contratto, la mera determinabilità del rapporto cagiona però l'inopponibilità del pegno agli altri creditori, laddove ai fini della prelazione, manchi la sufficiente determinazione del credito garantito (ex multis Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2009, n. 7214; Cass. civ., sez. I, 11 agosto 1998, n. 7871).

Ad ogni modo perché possa ritenersi che il credito garantito sia sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva del pegno (o indici esterni richiamati dal documento), in tutti i suoi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi che comunque portino all'identificazione del credito garantito (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2006, n. 1532; Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2004, n. 5561).

La giurisprudenza (ex multis Cass. civ., sez. I, 21 maggio 1984, n. 3111) ha anche chiarito – in ossequio alla natura accessoria del pegno ed alla sua funzione di garanzia - che presupposto necessario per la costituzione del pegno, avendo questo funzione di assicurare la prelazione ex art. 2787 c.c. del creditore pignoratizio in sede di espropriazione forzata del bene che ne costituisce l'oggetto, è l'esistenza di un'obbligazione garantita cui corrisponda un credito di somma di denaro, tale originariamente o comunque suscettibile di assumere carattere pecuniario.

L'art. 2787, comma 2, c.c. per il pegno su beni mobili stabilisce che quando il credito eccede la somma di euro 2,58, la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, che contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa.

La Cassazione (Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2006, n. 19059; Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2002, n. 16261) ha altresì stabilito che nel rapporto tra le parti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2786, comma 1, e 2787, comma 3, c.c., il pegno è validamente costituito con la solo consegna della cosa, senza la necessità di alcuna formalità, poiché la forma scritta e l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia sono necessari per la prelazione, cioè per rendere opponibile la garanzia agli altri creditori del datore di pegno.

La mancanza dell'atto scritto e della datazione ex art. 2787, comma 3, c.c., danno luogo a mera inopponibilità, e non a nullità del pegno, per cui tale carenza non è rilevabile d'ufficio dal giudice e, di conseguenza, dev'essere prospettata, a pena di decadenza, con l'osservanza delle norme stabilite dall'art. 183 c.p.c.

Assai controverso è invece se la consegna al creditore (o a un terzo), e lo spossessamento del debitore (o del terzo) rispetto alla cosa oggetto di pegno, rappresenti oppure no un presupposto indefettibile per la valida costituzione del pegno.

Sul punto occorre rilevare che l'art. 2786, comma 1, c.c. per il pegno su beni mobili stabilisce che il pegno si costituisce con la “consegna” della cosa o del documento che conferisce l'esclusiva disponibilità della cosa al creditore, oppure con la consegna ad un terzo designato dalle parti, o ancora ponendoli in custodia di entrambe le parti (art. 2746, comma 2, c.c.).

il pegno, dunque, è un contratto reale per la cui conclusione sembra necessaria la consegna materiale della cosa o dei documenti che ne conferiscono l'esclusiva disponibilità.

Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che non è così; per la Suprema Corte, infatti, se è vero che il pegno si attua mediante lo spossessamento del debitore, cioè privando questi della disponibilità materiale della cosa, è altrettanto vero che l'assenza dello spossessamento del bene non determina la nullità del pegno, ma la sua inopponibilità ai terzi (Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 1998, n. 10526; Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23268; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4766; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2008, n. 13998).

In altri termini il pegno consensuale o senza spossessamento è validamente costituito solo tra le parti, ma non potrà far sorgere la causa legittima di prelazione ex art. 2787, co. 1, c.c. in capo al creditore che, di conseguenza, non sarà privilegiato rispetto agli altri creditori.

Lo spossessamento non è, dunque, presupposto per la valida costituzione del pegno “inter partes”, ma lo è perché questo produca l'effetto tipico di far sorgere in capo al creditore lo “ius praelationis” in capo al creditore.

Nel pegno avente ad oggetto beni mobili, dunque, l'unico requisito imprescindibile per la valida costituzione del pegno tra le parti, con efficacia relativa, è l'esistenza di una valida obbligazione da garantire.

Tutti gli altri requisiti, ovvero la consegna/spossessamento, la scrittura di data certa recante la sufficiente indicazione del credito e della cosa sono però necessari perché sorga un diritto reale di garanzia in senso tecnico, cioè opponibile nei confronti dei terzi creditori, e, soprattutto, idoneo a far nascere a favore del creditore pignoratizio il diritto di prelazione.

In punto di pegno su titoli azionari, invece, ai sensi dell'art. 2001 c.c., la disciplina speciale dettata dall'art. 3 r.d. 239/1942 prevale su quella prevista dall'art. 2786 c.c., per cui per la costituzione del vincolo e la sua opponibilità non è sufficiente lo spossessamento del titolo accompagnato da scrittura di data certa, ma è necessaria la doppia annotazione sul titolo e nel libro dei soci, o la consegna del titolo accompagnata dalla girata in garanzia (Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4766).

Nel caso di pegno di crediti, invece, l'art. 2800 c.c. stabilisce che la prelazione non ha luogo, se non laddove il pegno risulti da atto scritto e la costituzione di esso sia stata notificata al debitore del credito dato in pegno, o sia stata da questo accettata con scrittura di data certa.

Secondo la giurisprudenza, però, tale disciplina non trova applicazione nell'ipotesi di pegno di titoli di credito – tanto regolare quanto irregolare – dove per la costituzione del vincolo pignoratizio sono sufficienti, ex artt. 1997 e 2786 c.c., la consegna del titolo al creditore pignoratizio ed il relativo spossessamento del debitore (Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2009, n. 7214; Cass. civ., sez. I, 11 novembre 1982, n. 5949).

Pegno di cosa futura

Il pegno “senza spossessamento” o “consensuale” è anche definito in dottrina “anomalo” o “atipico”, dal momento che deroga al requisito della consegna della res da parte del debitore o del terzo al creditore.

In altri termini quest'ipotesi rappresenta un caso in cui le parti derogano alla disciplina legale circa il modo di conclusione del pegno, doppiando lo schema legale di contratto reale con uno consensuale; la giurisprudenza, però, esclude che in questi casi la validità e l'efficacia del pegno possa avere luogo “erga omnes”, assumendo rilevanza invece solo obbligatoria “inter partes” (così Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4766; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2008, n. 13998).

Anche il pegno di cosa futura, cioè di una cosa che non esiste ancora “in rerum natura” al momento della costituzione, rientra nell'ambito dei pegni anomali, ed in particolare di quello senza spossamento, poiché, non esistendo ancora la cosa, questa non è suscettibile di essere consegnata al creditore o a un terzo.

Secondo la Cassazione (Cass. civ., sez. I, 27 agosto 1998, n. 8517) il pegno di cosa futura rappresenta una fattispecie a formazione progressiva, che trae origine dall'accordo delle parti avente effetti meramente obbligatori, e si perfeziona solo con la venuta ad esistenza della cosa e con la consegna di essa al creditore ex art. 2786, comma 1, c.c.

Il pegno su cosa futura, dunque, è ammissibile e validamente costituito tra le parti già “ab origine”; tuttavia esso produce immediatamente solo effetti obbligatori, con la costituzione del vincolo pignoratizio che non può prescindere dalla consegna della cosa al creditore e, dunque, dalla sua venuta ad esistenza.

La figura del pegno di cosa futura è stato approfonditamente indagato di recente dalla giurisprudenza di legittimità, con riguardo al problema dell'efficacia del pegno di credito all'acquisto ed alla consegna di titoli dello Stato non ancora emessi.

Sul punto Cass. Civ., sez. U., 11 febbraio 2012, n. 16725 (ancor prima, ex multis Cass. civ., sez. I, 27 aprile 1999, n. 4208) ha stabilito che tale tipologia di pegno ha natura di pegno di credito futuro (e dunque di cosa futura) e, pertanto, finché non si verifica la consegna dei titoli dello Stato produce solo effetti obbligatori, ma non attribuisce prelazione al creditore, che sorge soltanto dopo la specificazione o la consegna.

Il pegno in esame, infatti, a differenza del pegno di credito alla consegna di denaro o altra cosa fungibile di cui all'art. 2803 c.c., già esistenti al momento della convenzione, ha ad oggetto i titoli di Stato che, in regime di materializzazione, non sono ancora esistenti fino a quando non viene formato il documento che li incorpora e, pertanto, fino a che non venga effettuata l'individuazione, non può sussistere la prelazione.

Pegno rotativo

Altra ipotesi di pegno anomalo è rappresentata dal pegno cd. “rotativo”, fattispecie elaborata e diffusasi nella prassi bancaria degli ultimi anni.

Il pegno rotativo è un contratto di pegno con cui un soggetto, per ottenere un'anticipazione bancaria o costituirsi una garanzia per i propri debiti presenti o futuri, offre in pegno un bene, ed a cui accede una clausola di rotatività.

La suddetta clausola consente la sostituibilità nel tempo dell'oggetto del pegno, senza necessità, ad ogni sostituzione, di rinnovare la consegna ai fini della costituzione del pegno, come richiederebbe l'art. 2786, comma 1, c.c.

Il problema del pegno rotativo, dunque, è che esso non rispetta il requisito della sufficiente indicazione della cosa di cui all'art. 2787, comma 3, c.c.

La giurisprudenza ammette ormai da anni in modo pacifico la validità del pegno con clausola di rotatività (Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5264; Cass. civ., sez. I, 27 settembre 1999, n. 10685; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1526) per cui questo è anche opponibile nei confronti degli altri creditori, facendo sorgere a favore del creditore (di solito un istituto bancario) il diritto di prelazione sulla cosa oggetto di pegno.

Tuttavia la giurisprudenza subordina la validità del pegno rotativo – e dunque la sua opponibilità ai terzi - ad una serie di requisiti che devono sussistere congiuntamente, volti a tutelare la posizione degli altri creditori, potenzialmente danneggiati dal pegno con clausola di rotatività.

In mancanza di anche solo uno di essi, dunque, il pegno rotativo non sarà affetto da nullità (ex plurimis Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1526), avrà efficacia obbligatoria, valendo soltanto fra le parti.

Innanzitutto è necessario che il pegno rotativo risulti da atto scritto avente data certa, nonché che la cosa oggetto di pegno con cui si effettua la sostituzione sia effettivamente consegnata.

Infine, poi, occorre che la cosa che sostituisce quella precedentemente data in pegno non superi il valore di quella già consegnata.

Ad ogni modo il patto di rotatività e la sostituzione del bene non producono effetti novativi del rapporto ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1, l. fall.

Per la Suprema Corte (ex multis Cass. civ., sez. I, 1 luglio 2015, n. 13508), infatti, il patto di rotatività del pegno integra una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall'accordo scritto e di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell'oggetto al pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, purché tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente, ed il bene offerto in sostituzione non abbia valore superiore a quello sostituito.

La sostituzione del bene, dunque, è mera esecuzione di un'operazione economica più ampia, in cui l'unico atto di costituzione rilevante giuridicamente è quello di costituzione del pegno, ovvero quello originario.

Ne consegue che, ai fini dell'azione revocatoria fallimentare, la continuità dei rinnovi fissa la genesi del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione e non a quello successivo della sostituzione.

Pegno irregolare

L'art. 1851 c.c. disciplina il cd. “pegno irregolare”, che si caratterizza per il fatto di trovare il suo ambito applicativo nei rapporti bancari (ed in particolare a garanzia di un contratto di anticipazione bancaria) e per avere ad oggetto cose fungibili.

La suddetta norma stabilisce che in caso di pegno irregolare la proprietà delle cose date in pegno (somme di denaro, merci, titoli di credito non individuati o per cui sia stata data alla banca facoltà di disporre) passa al creditore, il quale è obbligato a restituire, una volta estinto il debito, il “tandundem eiusdem generis” nella misura in cui eccedano la misura dei crediti garantiti; eccedenza che va determinata con riguardo al valore dei beni oggetto di pegno irregolare al momento della scadenza dei crediti.

La Cassazione (Cass. civ., sez. I, 17 febbraio 2014, n. 3674; Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2008, n. 2456) è granitica nel ritenere che il patto che prevede la facoltà del creditore pignoratizio di provvedere autonomamente alla riscossione dei titoli concessi in pegno alla scadenza e di impiegare gli importi riscossi nell'acquisto di altrettanti titoli della stessa natura, e così di seguito ad ogni successiva scadenza dei titoli provenienti dal rinnovo o dai rinnovi, con l'avvertenza che gli importi riscossi ed i titoli con essi acquistati restino soggetti all'originario vincolo di pegno, è incompatibile col pegno irregolare, in quanto la riscossione dei titoli alla scadenza (e non la vendita degli stessi in qualsiasi momento) e l'acquisto di titoli della stessa natura rendono evidente la mera surrogazione nell'oggetto di un pegno regolare e non l'attribuzione alla banca della facoltà di disporre dei titoli.

Né ad escludere tale natura è idonea l'inclusione dei titoli in un certificato cumulativo, atteso che la dematerializzazione, pur superando la fisicità del titolo, non è incompatibile col pegno regolare, consentendone forme di consegna e trasferimento virtuali, mediante meccanismi alternativi di scritturazione, senza la movimentazione e senza neppure la creazione del supporto cartaceo.

Resta fermo che sebbene le parti, nella loro autonomia negoziale, abbiano il potere di determinare l'oggetto, la durata del pegno, ed eventualmente la possibilità di sostituzione mediante il meccanismo rotativo, esse non hanno anche la facoltà di qualificarlo come regolare o irregolare, poiché tale conseguenza giuridica discende dalle norme del codice civile in tema di diritti reali di garanzia opponibili ai terzi, che hanno carattere indisponibile (così Cass. civ., sez. V, 8 maggio 2013, n. 10740; Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2120).

Per Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2015, n. 2479 la natura giuridica del pegno irregolare comporta che le somme di denaro o i titoli depositati presso il creditore diventino – diversamente che nelle ipotesi di pegno regolare - di proprietà del creditore stesso, che ha diritto di soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo di cui agli artt. 2796-2798 c.c. (che presuppone l'altruità delle cose ricevute in pegno), bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori.

Poichè esiste unicità (ovvero accessorietà) di rapporti tra pegno irregolare e credito a garanzia del quale esso è stato costituito, l'estinzione del credito stesso è effetto di un'operazione meramente contabile, che resta quindi fuori dall'ambito di operatività dell'istituto della compensazione.

Circa i rapporti tra pegno irregolare e fallimento, Cass. civ., sez. I, 21 Novembre 2014, n. 24865 ha statuito che il creditore assistito da pegno irregolare, diversamente da quello assistito da pegno regolare, non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell'art. 53 l. fall. per il soddisfacimento del proprio credito, e l'incameramento in via definitiva del denaro o delle altre cose fungibili ricevuti in garanzia (salvo l'obbligo di restituire l'eccedenza ex art. 1851 c.c.) resta sottratto alla revocatoria, operando la compensazione.

Pegno omnibus

Pegno omnibus e “clausola di estensione” sono due pattuizioni da tempo utilizzate nella prassi bancaria, soprattutto nei contratti bancari di finanziamento; queste figure contrattuali di matrice negoziale, mirano ad ampliare l'oggetto del pegno e la sua estensione, per cui il pegno non risulta più limitato ad un singolo credito (clausola di estensione) o ad un bene vincolato (pegno omnibus), riguardando piuttosto tutti i debiti che il debitore assumerà nei confronti del creditore, nonché tutti i beni che entreranno nella disponibiltà del debitore.

Tali clausole, invalse soprattutto nei rapporti tra banche (creditrici) e clienti (debitori) pongono due ordini di problemi; da un lato la validità delle stesse in relazione a crediti futuri ed indeterminati, dall'altro la possibilità che questi crediti siano assistiti dal diritto di prelazione ex art. 2787, comma 3, c.c.

Questa norma, infatti, richiede per l'esercizio del diritto di prelazione che il pegno risulti da atto scritto di data certa che rechi la sufficiente indicazione del credito e della cosa.

La giurisprudenza dominante (ex multis Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2009, n. 7214) ritiene che sia la clausola omnibus che quella di estensione producano effetti soltanto tra le parti (inter partes), ma non nei confronti dei terzi (erga omnes), in quanto sarebbe stipulata in pregiudizio di una cautela di ordine pubblico come quella sancita in loro favore dall'art. 2787 c.c.

Ne consegue, dunque, che il creditore garantito da un siffatto tipo di pegno non potrà azionare la prelazione di cui all'art. 2787, comma 3, c.c.

Ove non fossero rispettati i requisiti della sufficiente determinazione della cosa e del credito, infatti, gli altri creditori rischierebbero di vedere completamente svuotata la tutela rappresentata per loro dalla responsabilità patrimoniale generica ex art. 2740, comma 1, c.c.

In alcune pronunce, però, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 11 agosto 1998, n. 7871; Cass. civ., sez. I, 27 agosto 1996, n. 7859) ha assunto un diverso atteggiamento, stabilendo che l'apposizione ad un contratto di pegno di una clausola contenente un generico riferimento “ad ogni altro eventuale credito presente e futuro, diretto o indiretto, vantato dal creditore”, oltre alla puntuale indicazione di quello per il quale il pegno risulti convenuto, è nulla per contrarietà con l'art. 2787, comma 3, c.c., quale espressione di un principio di ordine pubblico.

Ciononostante tale nullità non travolge automaticamente la prelazione pignoratizia anche con riguardo al singolo credito specificamente e ritualmente indicato nel contratto, qualora il giudice di merito, in applicazione di tutti i parametri interpretativi funzionali all'individuazione dell'essenzialità o meno della singola pattuizione al fine di dichiarare la nullità dell'intero contratto ovvero solo quella parziale (art. 1419 c.c.), pervenga alla conclusione che la singola convenzione rappresenti null'altro che una mera clausola di stile, la cui nullità parziale non si riverbera sull'intero negozio.

L'apprezzamento in proposito formulato, se adeguatamente e razionalmente motivato, non è censurabile da parte del giudice di legittimità (così Cass. civ., sez. I, 11 agosto 1998, n. 7871; Cass. civ., sez. I, 1 agosto 1996, n. 6969).

Riferimenti dottrinali

Per la tesi secondo cui lo spossessamento sarebbe un elemento indefettibile ai fini della costituzione del pegno: F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XIV° Ed., Napoli, 2011, p. 662; G. GORLZA – P. ZANELLI, Del pegno. Delle ipoteche, in Comm. Cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Roma-Bologna, 1992, p. 66

Per la tesi secondo cui lo spossessamento non è elemento costitutivo del pegno: E. GABRIELLI, Il pegno, in Trattato di diritto civile a cura di R. Sacco, Vol. V, Torino, 2005, p. p. 333;

Per la definizione di “pegni anomali” o “atipici”: M. CENINI, Le garanzie atipiche, in Dig. Disc. Priv. Sez. civ., Torino, 2013, p. 312; E. GABRIELLI, Il pegno anomalo, Padova, 1990, p. 182 ss.

Per la natura anomala del “pegno rotativo”: E. GABRIELLI, Il pegno anomalo, Padova, 1190, p. 182 ss.

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