Ammissione al passivo e giudicato endofallimentare: il problema dei fatti sopravvenuti

Rosaria Giordano
04 Ottobre 2016

In sede di ripartizione dell'attivo fallimentare, il giudice delegato deve limitarsi a risolvere le questioni relative alla graduazione dei privilegi ed alla collocazione dei crediti, mentre non può apportare modifiche allo stato passivo, impugnabile solo nelle forme previste dalla legge: può, tuttavia, procedere all'esclusione di un credito già ammesso al concorso laddove il curatore faccia valere un fatto estintivo dello stesso, sopravvenuto alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo e, dunque, nuovo e posteriore rispetto al giudicato endofallimentare.
Massima

In sede di ripartizione dell'attivo fallimentare, il giudice delegato deve limitarsi a risolvere le questioni relative alla graduazione dei privilegi ed alla collocazione dei crediti, mentre non può apportare modifiche allo stato passivo, impugnabile solo nelle forme previste dalla legge: può, tuttavia, procedere all'esclusione di un credito già ammesso al concorso laddove il curatore faccia valere un fatto estintivo dello stesso (nella specie, l'integrale soddisfazione del creditore intervenuta in sede extrafallimentare da parte dei coobbligati in solido del fallito), sopravvenuto alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo e, dunque, nuovo e posteriore rispetto al giudicato endofallimentare.

Il caso

Una società proponeva reclamo ex art. 26 l. fall. avverso il decreto di esecutività del (nono) piano di riparto dell'attivo di una procedura fallimentare lamentando che, violando il giudicato endofallimentare formatosi con l'ammissione del rilevante credito vantato dalla stessa al passivo concorsuale, tale credito era stato poi escluso dal riparto.

Il Tribunale adito in sede di reclamo, pur ritenendo tardivo lo stesso, svolgeva alcune considerazioni sul merito del gravame proposto rilevandone l'infondatezza, in quanto l'esclusione del credito in sede di riparto si correlava alla circostanza che, mediante una transazione stragiudiziale, risultante dall'attivo del bilancio della reclamante nell'anno 2002, la stessa era stata soddisfatta da altri coobligati solidali del credito vantato nei confronti della società in bonis, sicché la curatela si era avvalsa della transazione ex art. 1304 c.c.

La ricorrente in sede di legittimità deduceva diversi motivi di impugnazione. In particolare, con il quarto sosteneva che, in considerazione dell'efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di approvazione dello stato passivo, non avrebbero dovuto essere esclusi in sede di riparto i crediti ammessi, la cui esistenza non può più essere posta in discussione, venendo in rilievo, in tale sede, la sola graduazione tra i crediti e la distribuzione delle somme.

La questione

Il problema posto all'esame della S.C. concerne la portata del giudicato endofallimentare costituito dall'ammissione al passivo dei crediti, in particolare ove vengano in rilievo circostanze di fatto sopravvenute rispetto al momento del relativo accertamento.

Costituisce in effetti jus receptum il principio in omaggio al quale, in sede di ripartizione dell'attivo del fallimento, oggetto della cognizione del giudice delegato sono solo le questioni relative alla graduazione dei crediti e all'ammontare della somma distribuita, restando esclusa la proponibilità, in tale sede, di ogni altra questione relativa all'esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento dell'accertamento del passivo, sicché tali questioni devono essere proposte con la forma dell'opposizione allo stato passivo ex art. 98 l. fall., restando altrimenti precluse, né possono essere fatte valere come osservazioni e poi con il reclamo ex art. 26 l. fall. avverso il decreto del giudice delegato che renda esecutivo il piano di riparto (Cass. Civ., 10 giugno 2011, n. 12732).

In altre e più chiare parole, secondo regole che operano in generale anche per i titoli esecutivi nelle procedure concorsuali di carattere individuale (per un'assimilazione cfr. Cass. Civ., 20 gennaio 2015, n. 892) qualsivoglia questione afferente agli eventuali vizi degli stessi può e deve essere dedotta esclusivamente con il mezzo di gravame a tal fine previsto, mentre non può essere fatta valere con un'opposizione proposta durante la stessa esecuzione.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento, pur riconducendosi al richiamato e consolidato principio giurisprudenziale per il quale in sede di ripartizione dell'attivo non può essere posta in discussione l'avvenuta ammissione di un credito al passivo, rigetta il ricorso proposto anche per un'altra ragione.

Sottolinea infatti la decisione in esame che non è stata colta la peculiarità della fattispecie, costituita dalla circostanza che in sede di ripartizione dell'attivo alla ricorrente non era stato riconosciuto il credito già ammessosemplicemente a causa diuna circostanza di fatto sopravvenuta rispetto al momento dell'ammissione, ossia l'avvenuta transazione intervenuta con altri soggetti coobbligati in solido per gli stessi crediti vantati nei confronti della società in bonis, transazione della quale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1304 c.c., la Curatela aveva deciso di avvalersi.

Pertanto, osserva la pronuncia che si annota, il principio – anch'esso consolidato nella giurisprudenza di legittimità – che viene in rilievo è in realtà quello secondo cui, anche qualora sia intervenuta una sentenza passata in giudicato e sia iniziata l'esecuzione sulla base di tale sentenza, è ammissibile l'opposizione all'esecuzione con la quale si faccia valere un fatto modificativo successivo alla pronuncia, rilevando il giudicato solo rispetto ad una situazione normativa e fattuale immutata (Cass. Civ., 4 luglio 2012, n. 11169).

Osservazioni

L'orientamento assunto dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in esame è condivisibile poiché si fonda su solidi e consolidati principi in tema di c.d. limiti temporali del giudicato sostanziale.

Invero, l'efficacia di accertamento, anche extraprocessuale, del giudicato sostanziale non si estende ai fatti sopravvenuti rispetto all'ultimo momento nel quale possano essere dedotte circostanze di fatto nel giudizio che ha dato luogo all'emanazione della sentenza passata in cosa giudicata. In altre parole, come efficacemente evidenziato, la sentenza conserva la forza di giudicato solo fino a quando resta inalterata la situazione di fatto sulla quale essa è imperniata, e quindi perde ogni efficacia in relazione al sopravvenire di una diversa situazione (Cass. Civ., 24 agosto 1998, n. 8358). Il giudicato sostanziale è intangibile, nei limiti di quanto forma oggetto del giudicato stesso, e cioè del dedotto e del deducibile nel procedimento nel quale si è formato il titolo (Cass. Civ., 12 dicembre 1995, n. 12701), mentre restano fuori le circostanze sopravvenute che vadano ad incidere sul modo d'essere del diritto sostanziale oggetto dell'accertamento medesimo. La preclusione del c.d. dedotto e deducibile attiene, difatti, a quanto è stato dedotto e a ciò che poteva essere dedotto nel processo in quanto esistente in quel momento e non già a fatti che vengono ad esistenza in un momento successivo.

Pertanto, a fortiori, non potrebbe ritenersi che il giudicato, peraltro endoprocessuale, che deriva, nel procedimento fallimentare, dall'avvenuto accertamento dei crediti, sia tale da rendere irrilevanti circostanze di fatto sopravvenute rispetto al momento di siffatto accertamento in sede di ripartizione dell'attivo.

Guida all'approfondimento

In dottrina, ampiamente, sul tema dell'accertamento del passivo fallimentare, LAMANNA, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, Milano 2006; DIMUNDO – QUATRARO, Accertamento del passivo, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di FAUCEGLIA e PANZANI, Torino, 2009, 992.

Sui limiti temporali dell'efficacia del giudicato sostanziale v., per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, II, 8a ed., Milano 2015, 182 ss.

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